RICORSO N. 54 DEL 3 MAGGIO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 3 maggio 2019.

(GU n. 25 del 19.6.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione per la Presidenza del Consiglio dei ministri (codice fiscale n. 80188230587), in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato (Codice fiscale n. 80224030587; pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it; fax 06/96514000) ed elettivamente domiciliata presso i suoi Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12; ricorrente;   Contro Regione Sicilia in persona del Presidente pro tempore, dott. Nello Musumeci, con sede in Palermo, piazza Indipendenza, n. 21 resistente;   per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge della Regione Sicilia n. 1 del 22 febbraio 2019, pubblicata nel B.U.R. n. 9 del 26 febbraio 2019, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019. Legge di stabilita' regionale».

La legge della Regione Sicilia 22 febbraio 2019, n. 1, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019. Legge di stabilita' regionale», e' censurabile in alcune sue disposizioni, in quanto viola i principi di cui agli articoli 3, 51, comma 1, 81, 97, comma 4, e 117, commi 2, lettera l e s) e 3 della Costituzione per i seguenti:

 

Motivi

 

La legge indicata in epigrafe ha carattere eterogeneo; per tale ragione si indicheranno le specifiche disposizioni che appaiono adottate in violazione dei precetti costituzionali sopra indicati.

Art. 33, in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

Preliminarmente si evidenzia che la vigente normativa in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio e' contenuta nella legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157, concernente «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatoria», ritenuta dalla Corte costituzionale disciplina recante, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, il cui rispetto deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale (Corte Cost. n. 233/2010).

La stessa giurisprudenza della Corte costituzionale ha, in materia, affermato che «spetta allo Stato, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost, stabilire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, ponendo regole che possono essere modificate dalle Regioni, nell'esercizio della loro potesta' legislativa in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell'innalzamento del livello di tutela» (ex plurimis, sentenze n. 303 del 2103, n. 278. n. 116 e n. 106 del 2012).

Cio' posto, l'esame, in punto di legittimita' costituzionale, della norma regionale che si contesta impone una preliminare ricostruzione delle previsioni legislative statali suscettibili di assumere in materia la valenza di parametri interposti, in quanto espressione della competenza esclusiva dello Stato a porre standard uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema non derogabili in pejus dalle regioni.

In questa prospettiva, occorre tener conto, anzitutto, dell'art. 19, comma 2 della suddetta legge n. 157 del 1992, il quale intesta alle regioni il controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia.

Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante metodi ecologici su parere dell'istituto nazionale per la fauna selvatica (oggi: ISPRA). Solo laddove ISPRA verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento, i quali devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, che potranno a propria volta avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purche' provvisti di licenza per l'esercizio venatorio, nonche' delle guardie forestali e delle guardie comunali munite della stessa licenza.

Nell'ambito di tale cornice normativa primaria statale, l'art. 33 della legge in parola, sotto la rubrica «Utilizzo personale per attivita' di controllo faunistico», al comma 4 dell'art. 1 della legge regionale 11 agosto 2015, n. 18, dopo le parole «legge 11 febbraio 1992, n. 157», aggiunge la seguente previsione: «e all'art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394». Quest'ultima disposizione stabilisce, al comma 6, che: «6. Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l'attivita' venatoria e' vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformita' al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilita' e sorveglianza dell'organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente».

La disposizione regionale in parola, attraverso il testuale richiamo all'art. 22 della legge n. 394 del 1991, prevede, al ritenuto fine di ricomporre gli squilibri ecologici, la possibilita' che all'interno delle aree protette i prelievi e gli abbattimenti faunistici siano effettuati dal personale dipendente dall'organismo di gestione del parco o da persone da esso autorizzate, scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco.

La precedente legge regionale n. 18 dell'11 agosto 2015 (che viene modificata con la norma che qui si impugna), recante «Norme in materia di gestione del patrimonio faunistico allo stato di naturalita'» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Reg. Sic. 28 agosto 2015, n. 35), era intervenuta a disciplinare il controllo della fauna sull'intero territorio regionale, fissando i seguenti punti salienti:   per le aree naturali protette, la competenza all'attuazione dei piani di controllo e' correttamente affidata agli enti gestori (comma 4 dell'art. 1);   per il rimanente territorio regionale (al di fuori quindi delle aree naturali protette) la competenza e' attribuita alle ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio, che sono degli uffici della regione (comma 9 dell'art. 1);   soggetti da utilizzare in entrambe le fattispecie (comma 4 dell'art. 1) risultano essere esclusivamente il personale dell'ente e quelli previsti dall'art. 19 della legge n. 157 dell'11 febbraio 1992.

Prima, quindi, della modifica recata dall'art. 33 della legge di cui trattasi, nella Regione siciliana l'unico personale che poteva essere destinato al controllo del patrimonio faunistico era quello previsto dall'art. 19 della legge n. 157 del 1992, con la differenza che nelle aree protette provvedevano gli enti gestori, mentre nel rimanente territorio (comprese le aree precluse a fini venatori) le ripartizioni faunistico venatorie.

Con l'art. 33, quindi, modificando il comma 4 dell'art. 1 della preesistente legge regionale n. 18 del 2015, si consente di utilizzare sull'intero territorio regionale (ed anche da parte delle ripartizioni faunistico venatorie) il personale previsto dall'art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, che riguarda solo le aree naturali protette.

Al riguardo, occorre tenere presente che, a livello nazionale e per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il controllo della fauna e' sottoposto al rispetto di rigorose disposizioni statali non derogabili dal legislatore regionale, le quali, in particolare, prevedono rigorose distinzioni per l'utilizzo del personale per il controllo venatorio e gli abbattimenti, tenuto conto, nello specifico:   che in tutto il territorio diverso dalle aree naturali protette, ai sensi del comma 2 dell'art. 19 della legge 157/1992, operano esclusivamente le «guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresi' avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purche' muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonche' delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio»;   che nelle aree naturali protette, ai sensi del comma 22 della legge n. 394/1991, i controlli devono essere attuati esclusivamente dal personale dipendente dall'ente gestore o da persone da esso autorizzate;   che ai sensi dell'art. 2 comma 33 della legge 9 dicembre 1998, n. 426 (che ha modificato il comma 22 della legge n. 394/1991) le persone autorizzate dall'ente gestore vanno scelte «con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco».

Cio' posto, non appare chiaro, dunque, se il richiamo operato dall'art. 33 vada riferito al (solo) testo dell'originario art. 22 della legge n. 394/1991 (come recita testualmente la norma regionale) o debba riferirsi anche alla modifica successiva dell'art. 22 operata dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426/1998: cio' in quanto non e' precisato dalla legge regionale se il recepimento delle norme nazionali abbia carattere statico e recepimento dinamico.

Da siffatta ricostruzione del quadro normativo di riferimento possono discendere due distinte prospettazioni:   1) ove l'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019 si riferisca solo al testo originario dell'art. 22 della legge n. 394 del 1991, la censura che si muove e' quella che l'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019, prevedendo per il controllo della fauna quanto disposto dall'art. 22 della legge n. 394/1991, in ragione dell'applicazione delle suddette norme al resto del territorio regionale da parte delle ripartizioni faunistico venatorie (comma 9 dell'art. 1 della legge regionale n. 18 del 2015) consentirebbe a queste di utilizzare il personale degli enti gestori delle aree naturali protette al di fuori delle aree stesse da cui dipende e, soprattutto, consentirebbe alle ripartizioni faunistico venatorie di individuare (ulteriori) personale da autorizzarsi al di fuori di quanto tassativamente previsto dall'art. 19 della legge n. 157/1992.

2) ove l'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019 si riferisca al testo dell'art. 22 della legge n. 394/1991, come modificato dalla legge 426/1998, ritiene l'intestata Presidenza che l'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019, prevedendo per il controllo della fauna quanto disposto dall'art. 22 della legge n. 394/1991 come modificato dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426/1998, in ragione dell'applicazione delle suddette norme al resto del territorio regionale da parte delle ripartizioni faunistico venatorie (comma 9 dell'art. 1 della legge regionale n. 18/2015) consentirebbe di utilizzare anche i cacciatori nel controllo della fauna nel rimanente territorio regionale e nelle aree interdette dalla normativa venatoria (oasi, zone di ripopolamento e cattura, demani forestali, ecc.) al di fuori di quanto previsto tassativamente dall'art. 19 della legge n. 157/1992.

Per altro verso, si osserva altresi' che, essendo unica per l'intero territorio regionale la disposizione che individua il personale da utilizzare nelle attivita' di controllo della fauna (art. 1, comma 4, legge regionale n. 18 del 2015, come integrato dall'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019) sia nelle aree protette (a cura dell'ente gestore ai sensi del comma 4 dell'art. 1 della legge regionale n. 18/2015), sia nel rimanente territorio regionale (a cura delle ripartizioni faunistico venatorie ai sensi del comma 9 dell'art. 1 della legge regionale n. 18 del 2015), la norma e' affetta da irragionevolezza e profili di incostituzionalita' in riferimento alle disposizioni nazionali che distinguono rigorosamente i soggetti che possono essere utilizzati nelle attivita' di controllo nelle aree protette rispetto al resto del territorio e viola altresi' i canoni che presiedono alla corretta legiferazione, ponendosi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, atteso che non si comprende se l'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019 si riferisca al testo originario dell'art. 22 della legge n. 394 del 1991 o a quello successivamente modificato dall'art. 2, comma 33 della legge n. 426 del 1998 e come possa applicarsi il criterio di «cacciatori residenti nel territorio del parco» al rimanente territorio regionale.

In entrambi i casi, chiaramente con maggiore gravita' per il secondo scenario (ossia riferimento all'art. 22 della legge n. 394 del 1991 come modificato dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426 del 1998), si amplierebbe la platea dei soggetti (arrivando a prevedere i cacciatori) che potrebbero essere utilizzati nelle attivita' di controllo della fauna, in violazione delle rigide disposizioni dettate dal legislatore nazionale che rappresentano il nucleo minimo di tutela, non derogabile in pejus dal legislatore regionale.

E' incontestabile, exfacto, che i cacciatori non possono essere utilizzati nelle attivita' di controllo della fauna selvatica sull'intero territorio regionale e nelle aree precluse dalla normativa venatoria, oltre alle aree naturali protette.

Univoca e rigorosa e' stata in questi anni l'azione del Governo volta alla declaratoria di incostituzionalita' di disposizioni simili contenute in altre leggi regionali.

E' sufficiente fare riferimento al ricorso del Presidente del Consiglio del 3 marzo 2016 contro la legge regionale della Liguria n 29/2015, definito con la sentenza n. 139/2017.

Da tanto discende che l'illegittimita' della norma regionale in questione e, soprattutto, il pregiudizio per la corretta gestione del patrimonio faunistico regionale al di fuori del rigoroso quadro definito dallo Stato e dalla Corte costituzionale, risiedono nel fatto che dal combinato disposto della preesistente legge regionale n. 18 del 2015 e dell'integrazione di cui all'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019 e' possibile applicare l'art. 22 della legge 394 del 1991 anche nei Siti Natura 2000 (SIC, ZPS e ZSC al di fuori delle aree protette) e con particolare pregiudizio per quelli sottoposti a divieto di caccia dal vigente Piano Regionale Faunistico Venatorio.

In particolare, ai sensi del comma 9 dell'art. 1 della legge regionale n. 18 del 2015, le ripartizioni faunistico venatorie applicano il comma 4 dell'art. 1 della medesima legge regionale (come integrato dall'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019) e quindi possono applicare l'introdotto art. 22 della legge n. 394/1991 in aree diverse dalle aree protette e, quindi, anche nei Siti Natura 2000 (SIC, ZPS e ZSC) ed in particolare anche in quelli sottratti alla caccia dal piano regionale faunistico venatorio, in violazione delle tassative disposizioni dell'art. 19 della legge n. 157 del 1992 sul controllo della fauna selvatica al di fuori delle aree protette (diversamente disciplinato proprio dall'art. 22 della legge n. 394 del 1991).

A tal riguardo si rileva che la materia del controllo venatorio e' stato oggetto di disciplina da parte del legislatore statale con la suddetta, successiva, legge n. 157 del 1992 - qualificabile, secondo giurisprudenza costituzionale, come norma fondamentale di riforma economico-sociale - la quale, all'art. 19, comma 2, fornisce un'elencazione dei soggetti ad esso deputati, definita dalla Corte costituzionale tassativa, oltre che vincolante per le Regioni, in quanto espressione della competenza esclusiva dello Stato sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; di talche' una sua integrazione da parte della legge regionale riduce il livello minimo e uniforme di tutela dell'ambiente (sent. n. 139/2017 e, da ultimo, sentenza n. 217/2018). La Consulta ha avuto altresi' modo di rilevare che la suddetta disposizione primaria statale non attiene alla caccia, poiche' disciplina un'attivita', il controllo faunistico, che non e' svolta per fini venatori, ma a fini di tutela dell'ecosistema (sentenza n. 392 del 2005), com'e' dimostrato dal fatto che e' presa in considerazione dalla norma statale solo come extrema ratio, ove i metodi ecologici non risultino efficaci.

Nella parte in cui, dunque, l'art. 19 della legge n. 157 del 1992 ha introdotto un elenco tassativo di soggetti autorizzati al controllo venatorio in cui non sono compresi i cacciatori che non siano proprietari o conduttori dei fondi interessati dai piani medesimi, essa mira a «evitare che la tutela degli interessi (sanitari, di selezione biologica, di proiezione delle produzioni zootecniche, ecc.) perseguiti trasmodi nella compromissione della sopravvivenza di alcune specie faunistiche ancorche' nocive» (sent. n. 392 del 2005), in linea, peraltro, con la piu' rigorosa normativa europea in tema di protezione delle specie selvatiche (direttiva 74/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici).

Pertanto, la norma regionale della Sicilia, nella parte in cui estende, secondo la modifica apportata al comma 4 dell'articolo i della legge regionale 11 agosto 2015, n. 18, il novero dei soggetti autorizzati al controllo faunistico ai cacciatori, viola la sfera di competenza statale alterando, altresi', il contemperamento di interessi delineato dal legislatore nell'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, che, nella parte in cui disciplina i poteri regionali di controllo faunistico, realizza uno standard minimo uniforme di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, rappresentando un limite invalicabile anche per l'autonomia regionale (Corte Cost. sentenza n. 44/2012).

Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo eurounitario e statale in cui si colloca la tutela delle specie oggetto della disposizione censurata, si rileva il contrasto della norma regionale con il secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost., poiche' tendente a ridurre inpdus il livello di tutela della fauna selvatica stabilito dalla legislazione nazionale, invadendo illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, in riferimento all'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, nonche' con il parametro di ragionevolezza della legislazione desumibile dall'art. 3 Cost.

Profili di incostituzionalita' presentano gli articoli 24 e 25.

L'art. 24 stabilisce:   una disciplina transitoria, a livello regionale «nelle more del recepimento delle disposizioni di cui all'art. 1, commi da 675 a 684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145», per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime, fissandone modalita', termini, casi di revoca (comma 1, lettera a);   l'utilizzo di procedure amministrative semplificate per il «rilascio di autorizzazioni di durata breve per l'occupazione e l'uso di limitate porzioni di aree demaniali marittime e di specchi acquei, comunque non superiori a complessivi metri quadrati mille e per un periodo massimo di novanta giorni, non prorogabili e non riproponibili nello stesso anno solare, allo scopo di svolgere attivita' turistico ricreative, commerciali o sportive, anche attraverso la collocazione di manufatti, purche' precari e facilmente amovibili» (comma 1, lettera b), demandando, per tali fattispecie, a un decreto dell'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente la disciplina concernente le modalita' di presentazione delle richieste e le procedure amministrative, nonche' le modalita' per il rilascio della concessione (comma 2).

L'art. 25 prevede che:   «1. Ai sensi dell'art. 32 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, le prestazioni delle strutture di marina resort sono assimilate a quelle delle strutture ricettive all'aria aperta e pertanto sono soggette all'applicazione del tributo di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972 e successive modifiche ed integrazioni, nella medesima misura come determinata ai sensi della Tabella A, parte III, n. 120 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 63311972.

2. Le strutture dedicate alla nautica da diporto, che rientrano nella categoria degli imbullonati ai sensi dell'art. 1, comma 21, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono escluse dal calcolo della rendita catastale. La disposizione di cui al presente comma non comporta minori entrate per il bilancio della Regione.»   Preme evidenziare, in via preliminare, che i commi da 675 a 684 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021», delineano un'articolata procedura per la generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime, che prevede l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ne fissi i termini e le modalita', nonche' successive attivita' di implementazione da parte delle Amministrazioni competenti, tra cui una consultazione pubblica al termine della quale saranno assegnate le aree concedibili che attualmente non sono date in concessione.

In particolare, il comma 675 dispone l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che fissi i termini e le modalita' per la generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime. La finalita' indicata nella norma e' quella di tutelare, valorizzare e promuovere il bene demaniale delle coste italiane, che rappresenta un elemento strategico per il sistema economico, di attrazione turistica e di immagine del Paese, in un'ottica di armonizzazione delle normative europee.

Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dovra' essere adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro per le politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari europei, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro per gli affari regionali e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

Si ricorda che sulla materia delle concessioni demaniali marittime interviene anche il comma 246, che consente ai titolari di concessioni demaniali marittime e punti di approdo con finalita' turistico ricreative di mantenere installati i manufatti amovibili fino al 31 dicembre 2020 data di scadenza della proroga delle concessioni in essere al 31 dicembre 2015 - nelle more del riordino della materia.

Il comma 676 definisce piu' in dettaglio i contenuti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che dovra' stabilire le condizioni e le modalita' per procedere:   a) alla ricognizione e mappatura del litorale e del demanio costiero-marittimo;   b) all'individuazione della reale consistenza dello stato dei luoghi, della tipologia e del numero di concessioni attualmente vigenti nonche' delle aree libere e concedibili;   c) all'individuazione della tipologia e numero di imprese concessionarie e sub-concessionarie;   d) alla ricognizione degli investimenti effettuati nell'ambito delle concessioni stesse e delle tempistiche di ammortamento connesse, nonche' dei canoni attualmente applicati in relazione alle diverse concessioni;   e) all'approvazione dei metodi, indirizzi generali e criteri per la programmazione, pianificazione e gestione integrata degli interventi di difesa delle coste e degli abitati costieri di cui all'art. 89, primo comma, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

Il comma 677 prevede inoltre che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri contenga altresi' i criteri per strutturare:   a) un nuovo modello di gestione delle imprese turistico-ricreative e ricettive che operano sul demanio marittimo secondo schemi e forme di partenariato pubblico-privato, atto a valorizzare la tutela e la piu' proficua utilizzazione del demanio marittimo, tenendo conto delle singole specificita' e caratteristiche territoriali secondo criteri di: sostenibilita' ambientale; qualita' e professionalizzazione dell'accoglienza e dei servizi, accessibilita'; qualita' e modernizzazione delle infrastrutture; tutela degli ecosistemi marittimi coinvolti; sicurezza e vigilanza delle spiagge;   b) un sistema di rating ditali imprese e della qualita' balneare;   c) la revisione organica delle norme connesse alle concessioni demaniali marittime, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di demanio marittimo contenute nel Codice della navigazione o in leggi speciali in materia;   d) il riordino delle concessioni ad uso residenziale e abitativo, tramite individuazione di criteri di gestione, modalita' di rilascio e termini di durata della concessione nel rispetto di quanto previsto dall'art. 37, primo comma, del Codice della Navigazione e dei principi di imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita' e tenuto conto, in termini di premialita', dell'idonea conduzione del bene demaniale e della durata della concessione.

e) la revisione e l'aggiornamento dei canoni demaniali a carico dei concessionari, che tenga conto delle peculiari attivita' svolte dalle imprese del settore, della tipologia dei beni oggetto di concessione anche con riguardo alle pertinenze, della valenza turistica.

In base al comma 678, le amministrazioni competenti per materia, che saranno individuate nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dovranno provvedere entro due anni dall'adozione del decreto, ciascuna per la propria competenza, all'esecuzione delle attivita' indicate nei due precedenti commi. Sulla base delle risultanze di tali lavori svolti sara' avviata una procedura di consultazione pubblica, nel rispetto dei principi e delle previsioni della legge n. 241 del 1990, sulle priorita' e modalita' di azione e intervento per la valorizzazione turistica delle aree insistenti sul demanio marittimo che dovra' concludersi nel termine massimo di centottanta giorni dalla data di conclusione dei lavori da parte delle Amministrazioni (comma 679).

Tanto premesso, in disparte la circostanza (sulla quale preme comunque richiamare l'attenzione) che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo delle specifiche previsioni della legge di Bilancio 2019, e' in corso di avanzata definizione, si rileva che le richiamate previsioni regionali, sovrapponendosi alla predetta disciplina statale emanata in materia, dalla quale con ogni evidenza si discostano sostanzialmente, generano dubbi interpretativi e incertezze riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge applicabili e presentano significativi profili di incostituzionalita'.

Al riguardo si sottolinea il consolidato orientamento della Corte costituzionale secondo il quale i criteri e le modalita' di affidamento delle concessioni sui beni del demanio marittimo appartengono ad ambiti riservati alla competenza esclusiva statale dall'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di «tutela della concorrenza» , nella quale le pur concorrenti competenze regionali trovano «un limite insuperabile» (cfr. da ultimo, sentenza n. 221 del 2018 e sentenza n. 1 del 2019) e dall'art. 97, primo comma, Cost. (principio di buon andamento dell'amministrazione), laddove si censura per le richiamate disposizioni la sovrapposizione alla disciplina statale emanata in materia e la conseguente incertezza riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge applicabili (statali o regionali).

Evidenti, dunque, sono i profili di censura delle disposizioni citate.

Articoli 11, 14, 22, commi 2 e 3, e 23.

Ad analoghe censure sono soggette le disposizioni in questione, tutte in materia di personale.

L'art. 11 della legge regionale in esame (Personale ASU Assessorato Beni Culturali) stabilisce che: «Al fine di garantire la continuita' dei servizi prestati presso gli uffici dell'assessorato regionale dei beni culturali e dell'identita' siciliana i soggetti di cui all'art. 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in utilizzazione presso gli stessi».

L'art. 14, pur nella genericita' del testo normativo, dispone che personale forestale possa essere utilizzato con un inquadramento riservato.

Tale pare l'unico senso logico attribuibile alla disposizione, che letteralmente prevede che tale personale «e' mantenuto nelle medesime mansioni»; cio' in mancanza di qualsiasi termine finale e senza alcuna limitazione numerica.

Quanto all'art. 22, comma 2, si osserva che dal quadro normativo di riferimento (art. 20, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 75/2017, art. 3 della legge regionale siciliana n. 27 del 2016 e art. 26, comma 6 della legge regionale siciliana n. 8 del 2018) emerge una contrapposizione tra la disciplina di cui all'art. 20, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017 (che prevede, nelle procedure di stabilizzazione, la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno) e quella contenuta nell'art. 22, secondo comma, della legge regionale all'esame, laddove si prevede che le procedure di cui all'art. 3, comma 6, della legge regionale n. 27 del 2016 e di cui all'art. 26, comma 6, della legge regionale n. 8 del 2018 sono da intendere come procedure di stabilizzazione del personale precario «interamente riservate» a detto personale.

Si evidenzia che, in proposito, con deliberazione n. 28/2019, la Corte dei Conti, Sezione di Controllo per la Regione siciliana, chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione degli articoli 20, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017, 3, comma 6, della legge regionale n. 27 del 2016 e 26, comma 6, della legge regionale n. 8 del 2018, ha avuto modo di precisare quanto segue: «[...] il Collegio non ravvisa alcuna antinomia tra la norma di cui all'art. 20, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017, che prevede la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, in relazione alla disposizione recata dall'art. 26, comma 6 della legge regionale n. 8 del 2018, che introduce la possibilita' di stabilizzare il personale precario mediante concorsi «interamente riservati». Il decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, infatti, e' immediatamente applicabile in Sicilia, da una parte perche' introduce disposizioni attinenti l'ordinamento civile sottratte alla potesta' legislativa delle regioni e, dall'altra, in quanto contiene norme in tema di stabilizzazione dei lavoratori precari che, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (Sentenze n. 310 del 2011, n. 18 e n. 277 del 2013) e, come tali, non possono essere derogati da norme regionali. In tal senso, peraltro, e' intervenuta anche la circolare n. 16042 del 5 novembre 2018 dell'Assessorato regionale delle autonomie locali e della funzione pubblica. La disposizione di cui all'art. 26, comma 6 della legge regionale n. 8 del 2018, va intesa, invero, nel senso che nell'ambito degli spazi assunzionali disponibili per le stabilizzazioni di personale precario ( che non possono superare il cinquanta per cento della complessiva disponibilita' dell'ente) - al netto di quelli destinati ad essere coperti mediante procedure concorsuali aperte all'esterno, le relative procedure concorsuali possano essere interamente «riservate», senza che cio' contrasti con l'art. 20, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017. La «ratio» della garanzia della riserva dei posti all'esterno, infatti, non riguarda la singola procedura selettiva, nell'ambito della quale sia prevista una riserva di posti a favore dei precari da stabilizzare, bensi' risulta assicurata dal generale obbligo per gli enti di bandire procedure concorsuali aperte a tutti per la copertura del fabbisogno, nell'ambito degli spazi finanziari disponibili (ovvero nel rispetto di tutte le disposizioni vincolistiche sulturn-over), destinando risorse non superiori al cinquanta per cento di detto plafond all'espletamento di procedure concorsuali ad hoc tra il personale precario da stabilizzare, al fine di selezionare le unita' previste nel piano del fabbisogno del personale. In altri termini, il reclutamento del personale attraverso procedure concorsuali per la stabilizzazione dei precari non puo' in ogni caso assorbire risorse finanziarie superiori al cinquanta per cento (possono essere anche inferiori) di quello da reclutare attraverso ordinarie procedure concorsuali aperte all'esterno. [...] Ferma restando la natura non derogatoria della disciplina regionale rispetto all'obbligo di garantire l'adeguato accesso dall'esterno, come sopra evidenziato, per rispondere al secondo quesito il Collegio, richiamando le disposizioni della circolare n. 3 del 2017 del Ministro per la semplificazione e la Pubblica amministrazione (§ 3.2.2. nota 4), precisa che nell'ambito della individuazione degli «spazi assunzionali» il concetto di «posti disponibili» non deve essere inteso in relazione alla dotazione organica dell'ente, che e' rimodulabile, ma quale «spago finanziario disponibile», ovvero riferito alle risorse finanziarie complessivamente utilizzabili dall'ente per le assunzioni di personale, sul cui coacervo calcolare la quota (che non puo' in ogni caso superare il cinquanta per cento del totale) da destinare alle stabilizzazioni del personale precario.

Detta interpretazione fornita dalla citata circolare consente agli enti, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, di utilizzare al meglio le risorse finanziarie per la copertura degli oneri per il personale, i citi costi a carico degli enti variano in relazione alla qualifica ed alla natura del contratto di lavoro (a tempo pieno o parziale): il riferimento ai «posti» da coprire, infatti, risulta troppo stringente e di difficile applicazione in concreto, mentre il concetto di «risorse finanziarie» disponibili, pur rispettando i vincoli di bilancio per la spesa del personale, consente una effettiva autonomia nell'organizzazione delle risorse umane. Il Collegio ritiene che le risorse finanziarie assegnate ai comuni dalla citata legge regionale n. 8 del 2018, ai sensi dell'art. 26, comma 7, abbiano la finalita' di garantire la possibilita' (non prevista dal comma 4 dell'art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017) di elevare i complessivi spazi assunzionali mediante risorse aggiuntive regionali anche in caso di stabilizzazioni da attuarsi ai sensi dell'art. 20, comma 2, del decreto legislativo citato; in tal senso, «il 50 per cento dei posti disponibili» quale limite imposto alle procedure di stabilizzazione dal predetto art. 20, comma 2, deve calcolarsi considerando la possibilita' di elevare con risorse aggiuntive regionali gli spazi assunzionali ordinari ovvero, come prospettato dall'Amministrazione richiedente, con «riflesso solo sulla determinazione degli spazi assunzionali complessivamente disponibili, ferma restando, in ogni caso, la necessita' di rispettare l'adeguato accesso dall'esterno fissato nella misura del 50% delle risorse (sia comunali che regionali) utilizzabili». Ne consegue che, dato il vincolo di destinazione delle risorse regionali alle procedure di stabilizzazione, l'entita' di dette risorse aggiuntive, affinche' possa dirsi garantito l'adeguato accesso dall'esterno, non potrebbe in ogni caso superare l'importo di quelle a carico del bilancio e destinate al reclutamento ordinario».

Orbene, la legge regionale in oggetto, approvata in data successiva alla pubblicazione del parere della Corte dei Conti, laddove stabilisce che «le disposizioni di cui all'articolo 3 della legge regionale n. 27/2016 e di citi all'art. 26, comma 6, della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 sono da intendersi relative a procedure di reclutamento straordinario volte al superamento del precariato storico, che prescindono dalle procedure rivolte all'esterno e sono interamente riservate ai soggetti richiamati nel medesimo art. 26», attua un'interpretazione ed applicazione delle previsioni de quibus del tutto incompatibile sia con la disciplina contenuta nell'art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017, sia con il principio dell'adeguato accesso dall'esterno, che costituisce un precipitato della previsione di cui all'art. 97, quarto comma, della Costituzione, secondo cui «agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

Cio' in quanto si prevede che il reclutamento straordinario finalizzato all'eliminazione del precariato storico prescinde da quello ordinario, con la conseguenza, in assenza di una specificazione in tal senso, che esso ben puo' riguardare la totalita' degli spazi assunzionali disponibili.

L'art. 22, terzo comma, della legge regionale in oggetto prevede che le procedure seguite per l'assunzione del personale precario costituiscono requisito utile all'applicazione del primo comma, lettera b) dell'art. 20 del decreto legislativo n. 75/2017.

In altri termini, la diposizione in esame qualifica come procedure concorsuali quelle seguite per il reclutamento del personale a tempo determinato.

Sul punto, appare necessario ribadire che la procedura selettiva di tipo concorsuale rimane la regola per l'accesso al pubblico impiego, nonostante il carattere speciale riconosciuto alle norme in materia di stabilizzazione.

Del resto, il requisito di cui alla lettera b) dell'art. 20, comma 1, del decreto legislativo n. 75 del 2017 e' predicabile esclusivamente con riguardo ai c.d. precari che, in quanto gia' scelti all'esito di un precedente pubblico concorso, garantiscono comunque un'elevata professionalita' all'Amministrazione presso la quale prestano servizio.

Il successivo art. 23 modifica il comma 18 dell'art. 3 della legge regionale 29 dicembre 2016, n. 27, nei seguenti termini: «I soggetti titolari di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato che prestano servizio presso gli enti in dissesto, gli enti deficitari con piano di riequilibrio gia' approvato dall'organo consiliare, i liberi Consorzi comunali e le Citta' metropolitane alla data del 31 dicembre 2018, inseriti nell'elenco di cui all'art. 30, comma 1, della legge regionale n. 5/2014 e successive modifiche ed integrazioni, che ne facciano richiesta entro il 30 giugno 2019 all'Amministrazione in cui prestano servizio e ai competenti dipartimenti regionali delle autonomie locali o del lavoro, dell'impiego, dell'orientamento, dei servizi e delle attivita' formative che ne attestano rispettivamente i costi relativi al trattamento economico fondamentale complessivo e agli oneri riflessi e l'inserimento nell'elenco di cui all'art. 30, comma 1, della legge regionale n. 5/2014 al 31 dicembre 2015, transitano in apposita area speciale transitoria ad esaurimento istituita presso la Resais S.p.A.

(..). 3. Le procedure di transito speciale di cui al presente articolo sono regolate con contratto di lavoro a tempo indeterminato previa espletamento delle procedure di ari al comma 6 dell'art. 26 della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8, anche parziale, che, per singola unita' lavorativa, in termini di costo complessivo annuo e di giornate lavorative nonche' per gli aspetti connessi all'inquadramento giuridico ed economico, e' uguale a quello relativo al contratto a tempo determinato in essere al 31 dicembre 2015. Il personale assunto ai sensi del presente comma e' utilizzato prioritariamente presso gli enti di originaria provenienza e conserva il diritto alla riserva di cui all'art. 4, comma 6, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 e successive modifiche e integrazioni, nell'ipotesi di avvio delle procedure di stabilizzazione da parte degli enti di originaria assegnazione ai sensi della medesima disciplina».

Orbene, tutte le disposizioni richiamate presentano analoghi profili di incostituzionalita'.

Per orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale, il principio del pubblico concorso per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, quando l'intento e' di valorizzare esperienze professionali maturate all'interno dell'amministrazione, puo' andare incontro a deroghe ed eccezioni, attraverso la previsione di trasformazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato, gia' ricoperte da personale precario dipendente. Ma, affinche' «sia assicurata la generalita' della regola del concorso pubblico disposta dall'art. 97 Cost.», e' necessario che «l'area delle eccezioni» alla regola sancita dal suo primo comma sia «delimitata in modo rigoroso» (sentenze n. 363 del 2006, n. 215 del 2009 e n. 9 del 2010). In particolare, e' indispensabile che le eccezioni al principio del pubblico concorso siano numericamente contenute in percentuali limitate, rispetto alla globalita' delle assunzioni poste in essere dall'amministrazione; che l'assunzione corrisponda a una specifica necessita' funzionale dell'amministrazione stessa; e, soprattutto, che siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare comunque che il personale assunto abbia la professionalita' necessaria allo svolgimento dell'incarico (sentenza n. 215 del 2009).

Tale principio non e' destinato a subire limitazioni neppure nel caso in cui il personale da stabilizzare abbia fatto ingresso, in forma precaria, nell'amministrazione con procedure di evidenza pubblica, e neppure laddove la selezione a suo tempo svolta sia avvenuta con pubblico concorso, dato che la necessita' del concorso per le assunzioni a tempo indeterminato discende non solo dal rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., ma anche dalla necessita' di consentire a tutti i cittadini l'accesso alle funzioni pubbliche, in base all'art. 51 Cost.

Invero, «la natura comparativa e aperta della procedura e' [...] elemento essenziale del concorso pubblico», sicche' deve escludersi la legittimita' costituzionale di procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilita' di accesso dall'esterno», violando il carattere pubblico del concorso (in tal senso, sentenze n. 293 del 2009 e n. 100 del 2010).

D'altra parte, come pure e' stato esplicitamente affermato nelle citate decisioni di codesta Corte, «il previa superamento di una qualsiasi «selezione pubblica», presso qualsiasi «ente pubblico», e' requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso», perche' esso «non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato e' chiamato a svolgere» (Corte costituzionale, 24 giugno 2010, n. 225).

Deve quindi ritenersi non conforme al quadro normativo delineato la possibilita', per chiunque ed anche per i precari assunti a tempo determinato con modalita' alternative al pubblico concorso, di accedere, senza previo espletamento di una procedura concorsuale, ai benefici della stabilizzazione ogniqualvolta per quelle specifiche mansioni sia possibile un'assunzione nei ruoli del pubblico impiego (non potendosi ritenere che l'attingere alle graduatorie di cui alla legge regionale n. 85 del 1995 e alla legge regionale n. 21 del 2003 possa essere assimilato all'espletamento di prove selettive concorsuali).

Per venire a quanto disposto dall'art. 23, oltra a quanto sopra rilevato, occorre aggiungere che la necessita' del concorso pubblico e' stata ribadita con specifico riferimento a disposizioni legislative che prevedevano il passaggio automatico all'amministrazione pubblica di personale di societa' in house, ovvero di societa' o associazioni private; e' stato altresi' specificato che il trasferimento da una societa' partecipata dalla Regione alla Regione stessa o ad altro soggetto pubblico regionale si risolve in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo, in violazione dell'art. 97, quarto comma, della Costituzione (sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del 2014, n. 227 del 2013, n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011, n. 267 del 2010, n. 363 e n. 205 del 2006).

La previsione di cui all'art. 23 - passaggio dei dipendenti a tempo determinato anche degli enti territoriali alla societa' regionale Resais S.p.a. e trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato - risulta quindi incompatibile con il dettato costituzionale.

Infatti, l'art. 23 consente, da un lato, il transito di detto personale previo esperimento di procedure integralmente riservate espletata ai sensi del comma 6 dell'art. 26 della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 (che, in base all'interpretazione contenuta nel comma 2 dell'art. 22 della legge regionale in oggetto sono procedure «che prescindono dalle procedure rivolte all'esterno») e, dall'altro, prevede la costituzione di un'area transitoria ad esaurimento all'interno della societa' regionale Resais S.p.a. a prescindere da qualsivoglia valutazione in ordine all'effettivo fabbisogno di detto personale.

Orbene, e' noto che, con specifico riguardo alle c.d. societa' pubbliche, la Corte di cassazione ha ripetutamente evidenziato (Cass. Sez. Lav. n. 4897/2018) che:   «Corte costituzionale gia' a partire dalla sentenza n. 466/1993 [...] ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell'ente non e' sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche "connotati sostanziali, tali da determinare l'uscita delle societa' derivate dalla sfera della finanza pubblica".

La giurisprudenza costituzionale distingue, dunque, la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte Cost. nn. 29/2006, 209 / 2015, 55 I 2017) e sottolinea che in detta seconda ipotesi viene comunque in rilievo l'art. 97 Cost., del quale il decreto-legge n. 112 del 2008 costituisce attuazione, tanto da vincolare il legislatore regionale ex art. 117 Cost. (Corte Costituzionale n. 68/2011).

....valgono le considerazioni gia' espresse da questa Corte in merito al rapporto fra procedura concorsuale decreto legislativo n. 165 del 2001, ex art. 35 e contratto di lavoro, in relazione al quale si e' osservato che "sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica, poiche' la prima costituisce l'atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validita', posto che sia la assenza sia la illegittimita' delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal decreto legislativo n. 165 del 2001, art. 35 attuativo del principio costituzionale affermato dall'art. 97, compra 4, della Carta fondamentale." (Cass. n. 13884/2016).

Va, quindi, esclusa la portata innovativa del decreto legislativo n. 175 del 2016, art. 19, comma 4, che, nel prevedere espressamente la nullita' dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza gia' desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullita' virtuali.

In merito e' utile evidenziare che sugli effetti del mancato rispetto degli obblighi imposti del decreto-legge n. 112 del 2008, art. 18 la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti opposti, sicche' la nuova normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina previgente (sulla possibilita' che la norma sopravvenuta, seppure non di interpretazione autentica, possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cassazione S.U. n. 18353/2014 e Cassazione n. 20327/2016.

Una volta affermato che per le societa' a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validita' del contratto di lavoro, non puo' che operare il principio richiamato al punto 2 secondo cui anche peri soggetti esclusi dall'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 165 del 2001, art. 36 la regola della concorsualita' imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine metto da nullita'. Diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che, come gia' evidenziato, tiene conto della particolare natura delle societa' partecipate e della necessita', avvertita dalla Corte costituzionale, di non limitare l'attuazione dei precetti dettati dall'art. 97 Cost. ai soli soggetti formalmente pubblici, bensi' di estendente l'applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale» (cosi', Corte di cassazione, sezione lavoro, 1° marzo 2018, n. 4897).

Ne deriva che, anche con riguardo alle societa' pubbliche, le modalita' di reclutamento devono avvenire secondo modalita' compatibili con le previsioni di cui all'art. 97, quarto comma, della Costituzione e, per quanto qui rileva, con il principio dell'adeguato accesso dall'esterno.

Conclusivamente tutte le disposizioni richiamate sono censurabili per violazione degli articoli 51, 97, quarto comma, 117, secondo comma, lettera 1) e 117, terzo comma, della Costituzione e del decreto legislativo n. 75/2017.

A cio' aggiungasi che la costituzione di un ruolo speciale ad esaurimento (art. 23), che prescinde del tutto dal piano dei fabbisogni, appare difficilmente compatibile con la previsione di cui all'art. 19 del decreto legislativo n. 175 del 2016 che, ai commi 5 e 6, impone alle amministrazioni pubbliche socie di fissare, con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle societa' controllate, «anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale», e alle societa' partecipate di perseguire concretamente gli obiettivi assegnati.

In questo senso la previsione di cui all'art. 23 della legge regionale n. 1 del 2019 non e' quindi compatibile con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione che riserva allo Stato la disciplina dei principi generali in materia di coordinamento della finanza pubblica, nonche' con l'art. 117, lettera l) della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile.

L'art. 26, comma 2 prevede l'abrogazione dell'art. 13 della legge regionale 17 marzo 2016, n. 3, il quale stabiliva che il Fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica dirigenziale della Regione siciliana, come determinato ai sensi dell'art. 49, comma 27, della legge regionale n. 9/2015, era ridotto, a decorrere dall'esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843 migliaia di euro e, a decorrere dall'esercizio finanziario 2017, dell'ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro.

Al riguardo, si evidenzia che l'abrogazione di tale norma tende la materia priva di riferimenti e di vincoli, in considerazione del mancato richiamo della norma recata dall'art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017.

Tale disposizione rappresenta una cornice cui tutte le pubbliche amministrazioni devono fare riferimento e definisce un limite alla contrattazione integrativa che la Regione, pur nella sua autonomia, non e' legittimata a superare.

Pertanto, la norma in esame si pone in conflitto con l'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi) e comunque con il principio generalissimo di cui all'art. 81 della Costituzione, che comportano nuovi e significativi oneri.

Art. 31.

La norma in esame reca disposizioni in materia di stabilizzazione del personale della sanita' penitenziaria.

Al comma 1 viene disposto che, fermo restando quanto previsto dall'art. 75 della legge regionale n. 8/2018, tutto il personale di sanita' penitenziaria trasferito ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo n. 222/2015 ed ancora in servizio alla data del 31 dicembre 2018 viene inquadrato secondo specifiche modalita' stabilite con decreto dell'Assessore regionale per la salute, con l'istituzione di un ruolo ad esaurimento fino ai raggiunti limiti di eta' previsti dalla legge n. 740/1970 in atto vigenti.

Al comma 2 si stabilisce che le aziende sanitarie provinciali sono autorizzate ad avviare selezioni pubbliche per l'immissione in ruolo del personale sanitario infermieristico di cui alla legge n. 740/1970, in essere alla data del 28 febbraio 2015 ed ancora esistenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto legislativo n. 222/2015 e trasferito a decorrere dalla medesima data di entrata in vigore dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della giustizia alle aziende sanitarie provinciali della Regione. Al riguardo, si osserva che la norma in parola sembra riprodurre i medesimi profili di illegittimita' sollevati con riguardo al suddetto art. 75 della legge regionale n. 8/2018, in ordine al quale il Consiglio dei Ministri del 6 luglio 2018 ha disposto l'impugnativa davanti alla Corte costituzionale.

Cio', dal momento che i rapporti di lavoro del personale sanitario instaurati ai sensi della richiamata legge n. 740 del 1970, come evidenziato in sede di esame della citata legge regionale n. 8/2018, continuano ad essere disciplinati dalla stessa legge fino alla relativa scadenza, e ove a tempo determinato, sono prorogati per la durata di dodici mesi. Decorso tale termine i rapporti devono ritenersi esauriti.

Pertanto, le previsioni di cui all'art. 31 in esame ampliano, sostanzialmente, il limite temporale stabilito al 31 dicembre 2017 dall'art. 3, comma 7, del decreto legislativo n. 222/2015 e dall'art 3, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2016, ricomprendendo nel processo di stabilizzazione anche i rapporti di lavoro gia' oggetto, come innanzi detto, di impugnativa.

In particolare, ampliando il limite temporale di durata dei predetti contratti cosi' come delineato dall'art. 3, comma 7, del citato decreto legislativo n. 222/2015, emanato ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 recante «Modalita' e criteri per il trasferimento al servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanita' penitenziaria», le disposizioni sono suscettibili di configurare una violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. Ed invero, il contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 - adottato ai sensi dell'art. 22 comma 283 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge di stabilita' 2008) - costituisce principio fondamentale della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, nell'ambito del trasferimento del personale sanitario penitenziario al Servizio sanitario regionale.

Non e' chiaro inoltre se le procedure selettive previste al comma 2 siano a valere su risorse riconducibili al limite di spesa di cui all'art. 9, comma 282 del decreto-legge n. 78/2010. Si rammenta, infatti, che il piano di reclutamento speciale previsto in via transitoria dal richiamato art. 20 del decreto legislativo n. 75/2017, consente di utilizzare, in deroga all'ordinario regime delle assunzioni e per finalita' volte esclusivamente al superamento del precariato, le risorse dell'art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78/2010, calcolate in misura corrispondente al loro ammontare medio nel triennio 2015-2017. Tali risorse, quindi, possono elevare gli ordinari limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dalle norme vigenti, purche' siano destinate per intero alle assunzioni a tempo indeterminato del personale in possesso dei requisiti previsti dall'art. 20 e nel rispetto delle relative procedure.

Le previsioni di cui ai suddetti commi 2, 3 e 4 sono suscettibili, dunque, di avere risvolti onerosi che potrebbero risultare non compatibili con la cornice economico-finanziaria programmata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario cui la Regione siciliana e' sottoposta, che peraltro prevede specifici interventi a riguardo, e, conseguentemente, di porsi in contrasto con l'art. 81 della Costituzione nonche' con il successivo art. 117, comma 3, atteso che le vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa di personale degli enti del SSN si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica.»   Per quanto precede, evidenti sono dunque i molteplici profili per i quali l'art. 31 viola altresi' gli articoli 3, 51, primo comma, 81 e 97 della Costituzione, del tutto prescindendo dal pubblico concorso.

Tanto premesso, la Presidenza del Consiglio dei ministri, come in epigrafe rappresentata, difesa e domiciliata, chiede l'accoglimento delle seguenti conclusioni.

 

P.Q.M.

 

Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 11, 14, 22, commi 2 e 3, 23, 24, 25, 26, comma 2, 31 e 33 della legge della Regione Sicilia n. 1 del 22 febbraio 2019, pubblicata nel B.U.R. n. 9 del 26 febbraio 2019, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019. Legge di stabilita' regionale».

Roma, 24 aprile 2019

L'Avvocato dello Stato: Nunziata