RICORSO N. 49 DEL 25 MARZO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 25 marzo 2019.

(GU n. 24 del 12.6.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato codice fiscale n. 80224030587, fax 06/96514000 e Pec roma@mailcert.avvocaturastato.it presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, nei confronti della Regione autonoma della Sardegna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 4, comma 1, lettera a); 5, comma 1, lettera a); 7, comma 2, 13, 53, 59 e 61 della legge regionale della Sardegna 11 gennaio 2019, n. 1, recante «Legge di semplificazione 2018», pubblicata nel B.U.R. del 17 gennaio 2019, n. 4, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 7 marzo 2019.

La legge della Regione Sardegna n. 1 dell'11 gennaio 2019 citata, che consta di 64 articoli, detta disposizioni in tema di semplificazione.

E' avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe, la Regione autonoma della Sardegna abbia ecceduto dalla propria competenza statutaria, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, «Statuto speciale per la Sardegna», e successive integrazioni e modificazioni, in violazione della normativa costituzionale, come si confida di dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti motivi,

1. Gli articoli 4, comma 1, lettera a) e 5, comma 1, lettera a) della legge regionale n. 1 del 2019 citata violano gli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione all'art. 24 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.

1.1. L'art. 4, della legge regionale n. 1 del 2019 citata, rubricato «Modifiche alla legge regionale n. 20 del 2014 (Parco di Gutturu Mannu)», al comma 1, lettera a), modifica l'art. 3, comma 2, della legge regionale n. 20 del 2014, sostituendo la lettera c), che inseriva, tra gli organi dell'Ente, «il collegio dei revisori dei conti», prevedendo al suo posto un organo monocratico, il «revisore dei conti».

Analoga modifica viene apportata dall'art. 5, comma 1, lettera a), citato, rubricato «Modifiche alla legge regionale n. 21 del 2014 (Parco di Tempilora», che modifica l'art. 3, comma 2, lettera c), della legge regionale n. 21 del 2014, ove, in sostituzione del «collegio dei revisori dei conti», prevede un organo monocratico, il «revisore dei conti».

Le norme censurate in riferimento agli enti gestori delle aree protette attribuiscono, dunque, le funzioni di revisore dei conti a un organo monocratico in contrasto con quanto previsto dalla legge quadro sulle aree protette.

La legge 6 dicembre 1991, n. 394, infatti, all'art. 24, rubricato «Organizzazione amministrativa del parco naturale», ai commi e 2, prevede espressamente che «...1. in relazione alla peculiarita' di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale prevede, con apposito statuto, una differenziata firma organizzativa, indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione e i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica, le modalita' di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione delle comunita' del parco; 2. nel collegio dei revisori dei conti deve essere assicurata la presenza di un membro designato dal Ministro del tesoro.»   Il suddetto art. 24 della legge n. 394 del 1991, nel solco del disposto dell'art. 9, commi 2 e comma 10, della medesima legge, contempla, pertanto, tra gli organi del Parco regionale il collegio dei revisori dei conti, all'interno del quale deve essere ricompresa la presenza di un membro designato dal Ministro del tesoro (ora Ministero dell'economia e delle finanze).

Per quanto esposto le predette previsioni della legge regionale n. 1 del 2019, che si impugnano, incidono in maniera palese sull'assetto organizzativo interno dell'ente parco, come predeterminato dal parametro interposto statale costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del 1991, in mancanza di specifica facolta' normativamente riconosciuta, operando una illegittima variazione novativa organica con conseguenti riflessi sotto il profilo della regolarita' amministrativa dell'Ente parco stesso.

Le norme regionali censurate intervengono in una materia di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in tema di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» e non rispettano la normativa statale che fissa criteri generali di tutela validi per tutto il territorio nazionale, trasformando la struttura dell'organo di revisione da collegiale in monocratico, incidendo sulla sua funzionalita', in chiave di riduzione di tutela e, pertanto, violano anche l'art. 97 della Costituzione.

1.1.2. La disciplina delle aree protette rientra, infatti, nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), ed e' contenuta nella citata legge n. 394 del 1991 che detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale e' chiamata ad adeguarsi (sentenze n. 315 e n. 193 del 2010, n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011, n. 14 del 2012, n. 212 del 2014 e n. 36 del 17 febbraio 2017), quale norma interposta, (sentenze n. 44 del 2011 n. 315 e n. 20 del 2010), espressione, per l'appunto, dell'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Le regioni, pertanto, nell'ambito di aree protette, possono soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale.

In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come «il territorio dei parchi siano essi nazionali o regionali ben (possa) essere oggetto di regolamentazione da parte della regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost., purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le regioni». (sentenze n. 232 del 2008, punto 5 del Considerato in diritto; e n. 44 del 2011 citata).

Nell'ambito, quindi, delle materie di loro competenza le regioni trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale.

Questi, tuttavia, non impediscono al legislatore regionale di adottare discipline normative che prescrivano livelli di tutela dell'ambiente piu' elevati (sentenze n. 149 del 2015; n. 267 del 2016; n. 74 del 2017; e n. 66 del 2018), i quali «implicano logicamente il rispetto degli standard adeguati e uniformi fissati nelle leggi statali» (sentenza n. 315 del 2010).

La legge quadro n. 394 del 1991 citata e' stata costantemente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e n. 36 del 2017), da cio' derivandone, dunque, che le regioni sono tenute ad adeguarsi ai principi fondamentali da essa dettati, pena l'invasione di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale.

La stessa giurisprudenza costituzionale ha affermato che lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si estrinseca nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette «di strumenti organizzativi, programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attivita' svolte nei parchi alle esigenze di protezione» dell'ambiente e dell'ecosistema». (sentenza n. 171 del 2012; nello stesso senso, le sentenze n. 387 del 2008; n. 263 e n. 44 del 2011 citata; e n. 74 del 2017 citata).

La predetta legge quadro n. 394 del 1991 non si limita, dunque, a dettare standard minimi uniformi atti a tutelare soltanto i parchi e le riserve naturali nazionali e regionali - istituiti ai sensi dell'art. 8 della legge quadro (rispettivamente, con decreto del Presidente della Repubblica e con decreto del Ministro dell'ambiente) - ma impone anche un nucleo minimo di tutela del patrimonio ambientale rappresentato dai parchi e dalle riserve naturali regionali, che vincola il legislatore regionale nell'ambito delle proprie competenze.

Anche in relazione alle aree protette regionali, invero, il legislatore statale ha predisposto un modello fondato sull'individuazione del loro soggetto gestore, ad opera della legge regionale istitutiva (art. 23), sull'adozione, «secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformita' ai principi di cui all'art. 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22, comma 1, lettera d), peraltro significativamente ed espressamente ricompreso tra i «principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali»), nonche' su un modello organizzativo tramite il quale siano attivate le finalita' del parco naturale regionale (art. 24).

Il legislatore statale ha previsto, per le aree naturali protette regionali, un quadro normativa meno dettagliato di quello predisposto per le aree naturali protette nazionali, tale che le regioni abbiano un qualche margine di discrezionalita' tanto in relazione alla disciplina delle stesse aree protette regionali quanto sul contemperamento tra la protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela da parte dello stesso legislatore regionale.

Deve essere, comunque, garantita la conforme corrispondenza ai canoni previsionali inderogabili imposti dalla normativa nazionale, quale manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore statale ha individuato nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» e che, come detto, le regioni possono prevedere con un surplus di tutela, ma non derogare in peius come nel caso di specie, ove in aperto contrasto con la norma primaria statale, la complessa e delicata funzione di riscontro contabile sugli atti dell'ente parco e' stata di fatto trasferita da un organo a collegiale costituito per garantire il rispetto del principio di buon andamento della Costituzione anche in relazione all'art. 97 della Costituzione (il collegio dei revisori dei conti, al cui interno trova, altresi', collocazione specifico rappresentante dell'Amministrazione centrale finanziaria) a un organo monocratico.

Pertanto, sebbene la Regione autonoma della Sardegna goda di competenza legislativa di tipo primario in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della regione e stato giuridico ed economico del personale», ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera a), dello Statuto speciale, approvato con la citata legge costituzionale n. 3/1948, tale competenza, ai sensi della richiamata norma statutaria, deve attuarsi «in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».

Le norme impugnate, pertanto, incidono sull'assetto organizzativo dell'Ente Parco, come predeterminato dal parametro interposto statale costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del 1991, in violazione degli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, con riflessi sotto il profilo della regolarita' ed efficienza dell'attivita' dell'Ente stesso.

2. L'art. 7, comma 2, della legge regionale n. 1 del 2019 citata viola gli articoli 97 e 117, comma 2, lettera l), della Costituzione in relazione all'art. 36 del decreto legislativa 30 marzo 2001, n. 165.

L'art. 7, comma 2, della legge regionale n. 1/2019 citata prevede che l'Agenzia Forestas, nell'ambito dell'acquisizione dei terreni di cui al comma 1, «Al fine di garantire la continuita' gestionale dei terreni e delle strutture, e' autorizzata ad inquadrare, temporaneamente, nel proprio organico, il personale impegnato dagli affittuari fino alla data di risoluzione del contratto anche attraverso un percorso triennale di utilizzo, nell'ambito delle risorse disponibili nel proprio bilancio e nel rispetto delle vigenti facolta' assunzionali.»   La norma configura un inquadramento del personale assunto per contratto nei ruoli regionali dell'Agenzia Forestas in conseguenza del solo «utilizzo triennale», senza uno scrutinio o una valutazione delle esigenze dell'Ente e dell'attivita' svolta.

L'art. 36 del decreto legislativo n. 165/2001 citato, dispone che nel pubblico impiego le assunzioni a tempo determinato possono avvenire esclusivamente per rispondere a esigenze temporanee ed eccezionali che, peraltro, non sussistono nel caso di specie e, comunque, non possono essere individuate nel «fine di garantire la continuita' gestionale dei terreni e delle strutture», essendo tale finalita' non circoscritta espressamente nel tempo, ne' eccezionale.

Va osservato, inoltre, che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e' retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva.

In particolare, dalla norma fondamentale, principio della materia, l'art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, del decreto legislativo n. 165/2001 citato, significativamente intitolato «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni», discende che il trattamento economico dei dipendenti pubblici e' affidato ai contratti collettivi, cosicche' la disciplina di detto trattamento e, piu' in generale, quella del rapporto di impiego pubblico rientra nella materia «ordinamento civile» riservata alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 160 del 2017; n. 72 del 2017; n. 211 e n. 61 del 2014; n. 286 e 225 del 2013; n. 290 e n. 215 del 2012; n. 339 e n. 77 del 2011; n. 332 e n. 151 del 2010). Dal richiamato orientamento giurisprudenziale consegue che la materia «ordinamento civile», di cui all'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, e' materia trasversale, che esclude la concorrenza di competenze e, quindi, la rilevanza della residua competenza regionale in punto di organizzazione anche per le autonomie speciali, pur a fronte di esplicite statuizioni di livello costituzionale degli statuti regionali speciali sulla competenza legislativa primaria in tema di «stato giuridico ed economico» del personale (sentenze n. 61/2014; n. 77/2013; n. 290/2012). Pertanto, sebbene la Regione autonoma della Sardegna goda di competenza legislativa di tipo primario in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della regione e stato giuridico ed economico del personale», ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera a), dello Statuto speciale, approvato con la citata legge costituzionale n. 3/1948, tale competenza, ai sensi della richiamata norma statutaria, deve attuarsi «in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».

Conclusivamente, «l'inquadramento temporaneo», in assenza di una procedura selettiva, consente la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo determinato con la pubblica amministrazione regionale in violazione del principio di accesso al pubblico impiego per concorso di cui all'art. 97, comma 3, della Costituzione e contrasta con l'art. 117, lettera l), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolati dal codice civile (contratti collettivi).

3. L'art. 13 della legge regionale n. 1/2019 citata viola l'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione in relazione all'art. 2-bis decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

L'art. 13 citato, rubricato «Modifiche all'art. 7-bis della legge regionale n. 23 del 1985 (tolleranze edilizie)», dispone che «1. Dopo il comma 1 dell'art. 7-bis della legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative), e' aggiunto il seguente: «1-bis. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nei casi in cui le previsioni legislative o regolamentari, comprese le disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari, individuano misure minime».

L'art. 7-bis citato, al comma 1, prevede che «Sono considerate tolleranze edilizie, con conseguente inapplicabilita' delle disposizioni in materia di parziale difformita', le violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unita' immobiliare il 2% delle misure progettuali.»   La complessiva lettura dell'art. 7-bis della legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23 citata comporta che le c.d. «tolleranze edilizie» trovino applicazione «anche nelle ipotesi di disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari che individuano misure minime».

Ne deriva una lesione della competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione.

Il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, contenente il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», all'art. 2-bis, rubricato «Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati», dispone che «Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprieta' e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attivita' collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».

Il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, richiamato dalla predetta norma statale, e' stato emesso ai sensi dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, recante la «Legge urbanistica» (introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), che, quanto alla regolamentazione delle distanze, introduce norme cogenti e inderogabili (sentenza n. 114 del 2012).

L'art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942 citato ha, infatti, previsto per i Comuni l'osservanza dei «limiti inderogabili» di densita' edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati (al comma 8), disponendo che «I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'Interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici». (al comma 9).

E', del resto, principio affermato dalla giurisprudenza costituzionale, con riferimento alla portata applicativa dell'art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 citato, che la legislazione regionale, che interviene sulle distanze, interferendo con l'ordinamento civile, e' legittima solo in quanto persegua chiaramente finalita' di carattere urbanistico, demandando l'operativita' dei suoi precetti a strumenti urbanistici funzionali a un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (sentenze n. 232 del 2005 e n. 176 del 2016).

Le norme regionali che, invece, disciplinano le distanze tra edifici per altre finalita' risultano invasive della materia «ordinamento civile» riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n. 134 del 2014).

In materia di distanze fra costruzioni, il riparto di competenze tra Stato e regione, trova il «punto di equilibrio» tra gli ambiti di competenza, rispettivamente, «esclusiva» dello Stato (in ragione dell'attinenza di detta disciplina alla materia ordinamento civile") e «concorrente» della regione, nella materia «governo del territorio» (per il profilo della insistenza dei fabbricati su territori che possono avere, rispetto ad altri, specifiche caratteristiche anche naturali o storiche)   L'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 citato e' dotato di efficacia precettiva e inderogabile (sentenze n. l 14 del 2012 e n. 232 del 2005 citate; ordinanza n. 173 del 2011).

Come statuito dalla giurisprudenza costituzionale, «in tale ambito, questa Corte ha in piu' occasioni precisato che le norme in materia di distanze fra edifici costituiscono principio inderogabile che integra la disciplina privatistica delle distanze. In particolare, data la connessione e le interferenze tra interessi privati e interessi pubblici in tema di distanze tra costruzioni, l'assetto costituzionale delle competenze in materia di governo del territorio interferisce con la competenza esclusiva dello Stato a fissare le distanze minime, sicche' le regioni devono esercitare le loro funzioni nel rispetto dei principi della legislazione statale, potendo, nei limiti della ragionevolezza, fissare limiti maggiori. Le deroghe alle distanze minime, poi, devono essere inserite in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, poiche' la loro legittimita' e' strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati (sentenza n. 232 del 2005).» (sentenza n. 114 del 2012 citata, punto 8.3. del Considerato in diritto).

Pertanto, l'art. 13 citato, nell'estendere il campo di applicazione dell'art. 7-bis, della legge n. 23 del 1985 citato «anche nei casi in cui le previsioni legislative o regolamentari, comprese le disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico sanitari, individuano misure minime», non rispetta la competenza dello Stato in materia di «ordinamento civile», in violazione dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione.

4. L'art. 53 della legge regionale n. 1 del 2019 citata viola l'art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione.

L'art. 53, rubricato «Durata delle attestazioni o certificazioni di malattie croniche», al comma 3, dispone che «La Giunta regionale, su proposta dell'Assessore competente in materia di sanita', individua le malattie e le condizioni di salute di cui al comma 1, inserendole in un apposito elenco da pubblicarsi nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (BURAS)».

La norma censurata va letta in correlazione con il precedente comma 1, secondo cui «Le attestazioni o le certificazioni di malattie croniche o di condizioni di salute necessarie al fine di ottenere prestazioni sanitarie, socio-sanitarie o sociali nel territorio regionale producono effetti sino all'eventuale regressione della malattia o della condizione di salute ad un livello non piu' compatibile con l'ottenimento della prestazione».

La previsione normativa contenuta nel comma 3, del citato art. 53, e' lacunosa e generica e interferisce nella materia di competenza statale con riferimento ai «livelli essenziali delle prestazioni», art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, nella misura in cui, in maniera molto generica, e, peraltro, senza fare alcun richiamo alle previsioni di cui al decreto legislativo 28 aprile 1998, n. 124, recante «Ridefinizione del sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni, a norma dell'art. 59, comma 50, della legge 27 dicembre 1997, n. 449», ne' tantomeno ai regolamenti attuativi, di cui ai decreti ministeriali Sanita' 28 maggio 1999, n. 329 (nella Gazzetta Ufficiale n. 226 del 25 maggio 1999) e 18 maggio 2001, n. 279 (nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12 luglio 2001), si pone l'obiettivo di individuare, da parte della Giunta regionale, «le malattie e le condizioni di salute di cui al comma 1, inserendole in un apposito elenco da pubblicarsi nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna».

E' principio affermato dalla giurisprudenza che il confine fra terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, e' determinazione che investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia, collocandosi «all'incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell'arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrita' fisica e psichica (sentenza n. 282 del 2002), diritti la cui tutela non puo' non darsi in condizioni di fondamentale eguaglianza su tutto il territorio nazionale». (sentenza n. 338 del 2003, punto 5.1. del Considerato in diritto).

Nella predetta sentenza e' stata sottolineata la potenzialita' lesiva di alcuni interventi normativi regionali posti in essere, nell'esercizio di una competenza legislativa concorrente, precisando al riguardo che «interventi legislativi regionali, posti in essere nell'esercizio di una competenza legislativa concorrente, come quella di cui le regioni godono in materia di tutela della salute (art 117, terzo comma, Cost.), sono costituzionalmente illegittimi ove pretendano di incidere direttamente sul merito delle scelte terapeutiche in assenza - o in difformita' da - determinazioni assunte a livello nazionale, e quindi introducendo una disciplina differenziata, su questo punto, per una singola regione». (sentenza n. 338 del 2003, punto 5.1. del Considerato in diritto).

Riguardo poi ai commi 1 e 2 del medesimo art. 53, relativi alle modalita' individuate per dare attuazione alla norma, dal dettato normativo stesso non appare chiaro in che modo il sanitario curante, istituzionalmente deputato ad attestare lo stato di malattia dell'assistito e, quindi, ad approntare diagnosi e prognosi, dovrebbe procedere all'individuazione delle amministrazioni destinatarie della comunicazione in questione.

Non sono, inoltre, specificate le modalita' attraverso le quali il medesimo sanitario curante dovrebbe provvedere alla comunicazione alle stesse amministrazioni interessate.

Inoltre il decreto ministeriale Salute 23 novembre 2012, (nella Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2013), recante «Definizione del periodo minimo di validita' dell'attestato di esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie» indica, all'allegato 1, il periodo minimo di validita' dell'attestato di esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie in relazione alle diverse malattie croniche e invalidanti e alla possibilita' di miglioramento delle condizioni di salute dell'assistito, valutata in base alle evidenze scientifiche (cfr. art. 4, comma 4-bis, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», convertito con modificazioni con la legge 4 aprile 2012, n. 35).

Tale indicazione, tuttavia, e' finalizzata esclusivamente a determinare la durata minima dell'attestato di esenzione per patologia.

E' facolta' delle singole regioni fissare periodi di validita' dell'attestato piu' lunghi di quelli indicati dal menzionato decreto ministeriale 23 novembre 2012 (art. 1, comma 2. Tuttavia, in base alla normativa statale vigente, solo una volta decorso il periodo di validita' dell'attestato, l'assistito viene sottoposto a una nuova visita finalizzata al rilascio della certificazione per il rinnovo, da parte delle aziende sanitarie, dell'attestato di esenzione (cfr. art. 1, comma 3, decreto ministeriale 23 novembre 2012 citato).

La norma censurata non coerente con la richiamata normativa perche' dalla lettera dell'art. 53 citato si delinea il potere/dovere del medico curante di valutare, prima della suddetta scadenza, lo stato di salute del paziente affetto da malattia cronica, riducendo, di fatto, in caso di regressione della malattia, il periodo di validita' dell'attestato di esenzione gia' rilasciato.

L'art. 53 citato, pertanto, appare lesivo dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie che compete allo Stato fissare ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione.

5. L'art. 59 della legge regionale n. 1 del 2019 citata viola gli articoli 3, 51, comma 1, e 97, ultimo comma, della Costituzione.

L'art. 59 citato, rubricato «Disposizioni in materia di formazione professionale», prevede che «.1. I soggetti ricompresi nell'elenco di cui alla determinazione n. 4578 prot. n. 43229 del 4 ottobre 2018 del direttore generale dell'Assessorato regionale del lavoro, formazione professionale , cooperazione e sicurezza sociale che, alla data del 15 dicembre 2018, abbiano fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale avverso la medesima determinazione, sono iscritti d'ufficio alla lista speciale ad esaurimento di cui all'art. 6, comma 1, lettera f) della legge regionale 5 marzo 2008, n. 3 (legge finanziaria 2008), degli aventi diritto ai sensi dell'art. 11, comma 4, della legge regionale 11 gennaio 2018, n. 1 (Legge di stabilita' 2018).»   La norma censurata consente l'iscrizione nell'elenco speciale di cui all'art. 6, comma 1, lettera f), della legge regionale 5 marzo 2008, n. 3 citata ai soggetti la cui domanda di iscrizione al suddetto elenco e' stata archiviata con determina del 4 ottobre 2018, n. 4578, in conseguenza della mera proposizione di un ricorso amministrativo. A seguito dell'iscrizione nell'elenco la regione subentra agli enti di provenienza nei rapporti giuridici ed economici.

Dispone, infatti, l'art. 6, comma 1, lettera f) della legge regionale 5 marzo 2008, n. 3 citato che "...il personale iscritto nella lista resta a disposizione dell'Amministrazione regionale per essere impiegato dai centri regionali di formazione professionale, per l'attuazione del piano di cui al comma 2 e per ogni altra attivita' inerente alla formazione professionale; l'Amministrazione regionale, con effetto dalla data di iscrizione nella lista subentra agli enti di provenienza nelle convenzioni con gli enti locali, nei rapporti giuridici ed economici col personale suddetto al quale continua ad applicarsi il contratto collettivo di lavoro di settore e la rispettiva disciplina previdenziale privatistica, con oneri a carico dell'Amministrazione.»   L'art. 59 citato sembra essere riconducibile nella categoria delle leggi provvedimento in considerazione della ratio della norma, finalizzata, come detto, alla instaurazione di un rapporto di impiego con la regione per una delimitata categoria di soggetti, attraendo alla sfera legislativa quanto e' normalmente affidato all'autorita' amministrativa (sentenze n. 114 del 2017 e n. 214 del 2016).

E' principio affermato dalla giurisprudenza (sentenza n. 275 del 2013, punto 7. del Considerato in diritto), che "Ascritta la disposizione censurata alla categoria delle leggi-provvedimento, occorre valutare se essa rispetti i limiti tracciati dalla giurisprudenza costituzionale e, in primo luogo, quello della ragionevolezza e non arbitrarieta' (sentenze n. 85 del 2013, n. 143 del 1989, n. 346 del 1991 e n. 429 del 1995). Si deve premettere, al riguardo, che queste leggi devono soggiacere ad un rigoroso scrutinio di legittimita' costituzionale per il pericolo di disparita' di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio (sentenze n. 85 del 2013; in senso conforme sentenze n. 20 del 2012 e n. 2 del 1997), con l'ulteriore precisazione che "tale sindacato deve essere tanto piu' rigoroso quanto piu' marcata sia [...] la natura provvedimentale dell'atto legislativo sottoposto a controllo (sentenza n. 153 del 1997)" (sentenza n. 137 del 2009, punto 2. del Considerato in diritto; in senso conforme sentenze n. 241 del 2008 e n. 267 del 2007).

La procedura delineata dalla norma regionale impugnata, consentendo l'iscrizione dei soggetti esclusi sulla base della mera proposizione di una domanda giudiziale e la conseguente instaurazione di rapporti di lavoro con l'ente regionale per effetto della proposizione di un ricorso amministrativo, viola il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, creando una disciplina particolare per alcuni soggetti; e consentendo la instaurazione di un rapporto di impiego con la regione senza il rispetto della procedura concorsuale, viola anche gli articoli 51, comma 1, e 97, ultimo comma, della Costituzione; violazioni ancora piu' evidenti alla luce della consolidata giurisprudenza costituzionale che afferma che la regola del pubblico concorso ammette eccezioni assolutamente rigorose e limitate (sentenza n. 293 del 2009), eccezioni non esistenti nel caso di specie.

6. L'art. 61 della legge regionale n. del 2019 citata viola gli articoli 3, 117, commi 1, e 2, lettera l), della Costituzione, in relazione al titolo terzo del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

L'art. 61 citato, recante «Progressioni professionali», dispone che «Al personale del comparto di contrattazione regionale che abbia maturato i requisiti per le progressioni professionali per l'anno 2018 e non sia transitato nel livello economico superiore, sono riconosciuti gli effetti giuridici della progressione con decorrenza dal 1° gennaio 2018. Tale decorrenza ha valore ai fini del calcolo della permanenza effettiva in servizio nel livello retributivo.»   La disposizione non precisa se si tratta di passaggi tra le aree, ovvero di passaggio economico all'interno dell'area.

Nel primo caso dovrebbe, comunque, essere garantita la procedura transitoria prevista dall'art. 22 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante le «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»; o quella ordinaria prevista dall'art. 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001 citato.

Se, invece, si trattasse di passaggio economico all'interno dell'area, la disposizione confliggerebbe con gli orientamenti consolidati espressi dall'Aran, dal Dipartimento della funzione pubblica e dalla Corte dei conti, che prevedono, come decorrenza, una data non anteriore a quella dell'approvazione della graduatoria o della presa delle funzioni.

La retrodatazione introdotta dalla norma censurata confligge con i principi di coordinamento della finanza pubblica e con la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione che attiene all'«ordinamento civile», di cui agli articoli 117, comma 3, e 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi).

Inoltre, il riconoscimento, con legge regionale, degli effetti giuridici delle progressioni al personale di cui si tratta, senza che siano rispettate le disposizioni contenute nel titolo III del decreto legislativo n. 165/2001 citato, relative alla contrattazione collettiva e rappresentativita' sindacale, che indicano le procedure da seguire in sede di contrattazione e l'obbligo del rispetto della normativa contrattuale, confligge, anche per questo aspetto, con l'art. 117, lettera l), della Costituzione.

Si pone, altresi', in contrasto con il principio di eguaglianza fra i cittadini di cui all'art. 3 della Costituzione, poiche' per il personale delle altre regioni, nella stessa situazione lavorativa, troverebbe applicazione un diverso trattamento contrattuale.

 

P. Q. M.

 

Per i suesposti motivi si conclude perche' gli articoli 4, comma 1, lettera a); 5, comma l, lettera a); 7, comma 2, 13, 53, 59 e 61 della legge regionale della Regione autonoma della Sardegna l l gennaio 2019, n. 1, recante la «Legge di semplificazione 2018», pubblicata nel B.U.R. del 17 gennaio 2019, n. 4, siano dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Si produce l'attestazione della deliberazione del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2019.

Roma, 18 marzo 2019

Il Vice Avvocato Generale dello Stato: Palmieri