RICORSO N. 41 DELL'8 MARZO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'8 marzo 2019.

(GU n. 22 del 29.5.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587) rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato c.f. 80224030587, fax 06/96514000 e PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;   nei confronti della Regione Liguria in persona del presidente della giunta pro tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 2, commi 1, 2, 9, 10 e 11; 30; 35, commi 1 e 2, e 36 della legge regionale Liguria n. 29 del 27 dicembre 2018 recante «Disposizioni collegate alla legge di stabilita' per l'anno 2019», pubblicata nel BUR Liguria 31 dicembre 2018, n. 20, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 27 febbraio 2019.

La legge Regione Liguria n. 29 del 27 dicembre 2018, pubblicata sul BUR n. 20 del 31 dicembre 2018, che consta di 49 articoli, ha dettato le «Disposizioni collegate alla legge di stabilita' per l'anno 2019».

E' avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe, gli articoli 2, commi 1, 2, 9, 10 e 11; 30; 35, commi 1 e 2, e 36 della legge della Regione Liguria n. 29/2018 citata, la Regione Liguria abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale, come si confida di dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti

 

Motivi

 

1. L'art. 2, comma 1, della legge regionale Liguria 27 febbraio 2018, n. 29 citata viola gli articoli 51, comma 1, 97, comma 4, e 117, comma 2, lettera l), della Costituzione in relazione all'art. 70 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e all'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487.

L'art. 2, comma 1, citato sostituisce l'art. 6 della legge regionale n. 15/1996 (Norme sull'assunzione agli impieghi regionali), disponendo che «1. Il diario delle prove e' pubblicato nel sito internet istituzionale dell'Ente, con valenza di notifica ai candidati a tutti gli effetti, non meno di quindici giorni prima dell'inizio delle prove scritte e non meno di venti giorni prima dell'inizio della prova orale. Qualora il ridotto numero dei candidati lo consenta, la convocazione alle suddette prove puo' essere effettuata con comunicazione scritta tramite posta elettronica certificata o raccomandata con avviso di ricevimento, nel rispetto dei predetti termini di preavviso. La comunicazione del diario delle prove scritte puo' essere gia' contenuta nel bando di concorso. 2. Le procedure concorsuali per il personale da inquadrare nelle categorie C e D prevedono lo svolgimento di almeno due fra le seguenti prove:   a) prova scritta con contenuto teorico, predisposta anche in forma di test, quesiti o elaborazioni grafiche, da espletare anche mediante utilizzo di computer;   b) prova pratico attitudinale;   c) prova orale o colloquio.

3. Le procedure concorsuali possono prevedere anche eventuali forme di preselezione che possono essere predisposte anche da soggetti specializzati in selezione del personale».

La norma contrasta con la normativa statale di cui al decreto legislativo n. 165/2001 citato che, all'art. 70, comma 13, dispone che «In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli articoli 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti».

L'art. 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 487/1994 citato prevede, inoltre, che «Il diario delle prove scritte deve essere comunicato ai singoli candidati almeno quindici giorni prima dell'inizio delle prove medesime. Tale comunicazione puo' essere sostituita dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica - 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami».

L'art. 2 della legge regionale n. 29/2018 citato, in violazione delle richiamate disposizioni della legislazione statale con riferimento alle prove scritte, contempla, in alternativa alla comunicazione personale, la pubblicazione del diario delle predette prove nella Gazzetta Ufficiale. In tema di pubblicita' delle procedure e', inoltre, consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa in base al quale le forme di pubblicita' previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994 citato, che rappresentano una diretta attuazione degli articoli 51 e 97 della Costituzione, non risultano in alcun modo sostituite dalle forme di «adeguata pubblicita'» della selezione e modalita' di svolgimento previste dall'art. 35, comma 3, lettera a), del decreto legislativo n. 165 del 2001 citato (Cons. Stato, sez. V, 8 giugno 2015, n. 2801; Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2016, n. 227; Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2018, n. 5298).

Alla luce delle precedenti considerazioni l'art. 2, comma 1, citato viola la competenza dello Stato in materia dell'ordinamento civile ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione e degli articoli 51, comma 1, e 97, comma 4, della Costituzione.

2. L'art. 2, commi 2, 9, 10 e 11 della legge regionale 27 dicembre 2018, n. 29 citata viola gli articoli 2, 3, 51, 97 e 117, comma 2, lettera l) della Costituzione in relazione all'art. 37 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

2.1. L'art. 2 della legge regionale n. 29/2018 citato sostituisce l'art. 16 della legge regionale n. 15 del 1996, disciplinando nel dettaglio la selezione pubblica per assunzioni di personale a tempo determinato.

La norma come novellata presenta profili di illegittimita' costituzionale. Sotto un primo profilo, il comma 9 del cosi' novellato art. 16 prevede come facoltativo l'accertamento della conoscenza da parte dei candidati dell'uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche piu' diffuse.

L'art. 37, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001 citato dispone, invece, che, a decorrere dal 1° gennaio 2000, i bandi di concorso per l'accesso alle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, devono prevedere quali requisiti di ammissione che i candidati abbiano conoscenza dell'uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche piu' diffuse e di almeno una lingua straniera.

La norma statale e' finalizzata a garantire una uniforme e adeguata selezione adeguata dei candidati.

L'art. 2 citato, nel rendere meramente facoltativo l'accertamento del requisito di conoscenza delle apparecchiature e applicazioni informatiche, discostandosi dalle chiare e univoche prescrizioni della legislazione statale richiamate viola gli articoli 3, 51, 97 e 117, comma 2, lettera l), della Costituzione.

2.2. Sotto un secondo profilo, il comma 10 del novellato art. 16 prevede che le assunzioni che avvengono per chiamata dei candidati nel rispetto dell'ordine di avviamento o graduatoria e che, per l'ipotesi che sia necessario assumere piu' dipendenti con uguale decorrenza, ma per periodi di diversa durata, l'assunzione per il periodo piu' lungo avviene nei confronti dei candidati risultati idonei seguendo l'ordine della graduatoria o dell'elenco.

La legislazione statale prevede che, in base all'art. 1, comma 361, della legge n. 145 della 2018, «le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2 del medesimo decreto legislativo sono utilizzate esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso».

La previsione della legge regionale impugnata nel disciplinare differentemente la fattispecie in modo difforme dalla normativa statale e' costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 3, 51, 97 e 117, comma 2, lettera l), della Costituzione.

2.3. Sotto un terzo profilo, il comma 11 del novellato art. 16 stabilendo che «i candidati che si trovino nel periodo corrispondente all'interdizione anticipata dal lavoro e all'astensione obbligatoria per maternita' hanno titolo a permanere in graduatoria e ad essere richiamati in caso di ulteriore utilizzo della graduatoria stessa da parte dell'Amministrazione al termine del predetto periodo», viola gli articoli 2, 3, 31 e 51 della Costituzione.

La norma impugnata, infatti, nel dettare regole peculiari in relazione alla fattispecie del personale in aspettativa per maternita', introduce una discriminazione in ragione dello stato di gravidanza, espressamente vietata dall'art. 3 del decreto legislativo n. 151 del 2001 citato, in violazione degli articoli 2, 3, 31 e 51 della Costituzione.

La norma regionale, infatti, consente all'Amministrazione di derogare per le candidate in astensione per maternita' dalla graduatoria/ordine di merito, di non procedere al reclutamento secondo l'ordine di merito, per il solo fatto che la candidata sia in stato di gravidanza e di non utilizzare la stessa graduatoria, una volta trascorso il periodo di interdizione anticipata o di astensione obbligatoria dal lavoro, sostanzialmente negando cosi' il diritto alla assunzione in servizio.

Nel dettare tale disciplina particolare per i candidati in astensione obbligatoria dal lavoro per maternita' la norma regionale impugnata introduce una palese discriminazione che viola gli articoli 2, 3, 51 della Costituzione.

3. L'art. 30 della legge regionale 27 dicembre 2018, n. 29 viola gli articoli 3 e 117, comma 2, lettera l), della Costituzione.

L'art. 30 citato, recante «Disposizioni di interpretazione autentica», prevede che l'art. 29, comma 2, lettera d), della legge regionale n. 25 del 2006 («sino alla data di entrata in vigore dell'apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attivita' di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni al personale dell'Ufficio stampa di cui all'art. 15 si attribuiscono i profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti nonche' per equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili»), si interpreta «nel senso che l'accordo collettivo nazionale quadro e quello definito a seguito dell'apposita sequenza contrattuale di cui alla dichiarazione congiunta n. 8 al CCNL funzioni locali del 21 maggio 2018. Rimane comunque ferma applicazione dei profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonche' per equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili nei confronti del personale assunto con contralto a tempo determinato anteriormente alla data del 21 maggio 2018.».

Nella dichiarazione congiunta n. 8 al CCNL funzioni locali, richiamata dalla disposizione regionale impugnata, si legge: «Con riferimento all'art. 18-bis [Istituzione di nuovi profili per le attivita' di comunicazione e informazioni], le parti del presente contratto, con l'intervento della FNSI ai fini di quanto previsto dall'art. 9, comma 5, della legge 7 giugno 2000, n. 150 convengono sull'opportunita' di definire, in un'apposita sequenza contrattuale, una specifica regolazione di raccordo, anche ai sensi dell'art 2, comma 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che provveda a disciplinare l'applicazione della citata disposizione contrattuale nei confronti del personale al quale, in forza di specifiche, vigenti norme di legge regionale in materia, sia stata applicata una diversa disciplina contrattuale nazionale, seppure in via transitoria. In tale sede, saranno affrontate le questioni relative alla flessibilita' dell'orario di lavoro, all'autonomia professionale, alla previdenza complementare, all'adesione alle casse previdenziali e di assistenza dei giornalisti. Le parti si danno inoltre reciprocamente atto che, in sede di Commissione di cui all'art. 11, i profili di cui all'art. 18-bis saranno oggetto di ulteriore approfondimento finalizzato ad una eventuale revisione o specificazione del loro contenuto professionale».

Nonostante il rinvio alla sequenza contrattuale prevista dal CCNL, l'art. 30, nel precisare che «rimane comunque ferma l'applicazione dei profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonche' l'equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, per i relativi profili nei confronti del personale assunto con contratto a tempo determinato anteriormente alla data del 21 maggio 2018», non solo sembra innovare (e non gia' interpretare autenticamente) il contenuto del sopra menzionato art. 29, comma 2, lettera d, della legge regionale n. 25 del 2006, ma finisce finanche per cristallizzate il trattamento economico e giuridico applicabile al personale assunto in data anteriore al 21 maggio 2018.

A tale riguardo si ricorda che ai sensi dell'art. 9, comma 5, della legge regionale n. 150 del 2000 «negli uffici stampa l'individuazione e la regolamentazione dei profili professionali sono affidate alla contrattazione collettiva nell'ambito di una speciale area di contrattazione, con l'intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

La giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che «il rapporto di impiego alle dipendenze di regioni ed enti locali, essendo stato privatizzato» in virtu' dell'art. 2 della legge n. 421 del 1992, dell'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e dei decreti legislativi emanati in attuazione di quelle leggi delega, e' retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed e', percio', soggetto alle regole che garantiscono l'uniformita' di tale tipo di rapporti (sentenza n. 95 del 2007).

Conseguentemente, i principi fissati dalla legge statale in materia sono limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformita' nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle regioni a statuto speciale (sentenze n. 234 e n. 106 del 2005; n. 282 del 2004).

In particolare, poi, dalla legge n. 421 del 1992 puo' trarsi il principio (confermato anche dagli articoli 2, comma 3, terzo e quarto periodo, e 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001 citato) della regolazione mediante contratti collettivi del trattamento economico dei dipendenti pubblici (sentenze n. 308 del 2006 e n. 314 del 2003) che, per le ragioni sopra esposte, si pone quale limite anche della potesta' legislativa esclusiva che l'art. 14, lettera o), dello statuto di autonomia speciale attribuisce alla Regione Sicilia in materia di «regime degli enti locali» (sentenza 14 giugno 2007, n. 189).

Ne deriva che la disposizione regionale impugnata risulta in contrasto con gli articoli 3 e 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, dal momento che, relativamente al personale assunto entro il 21 maggio 2018, non si limita a rinviare alla contrattazione collettiva, ma specifica il trattamento economico che gli deve essere riconosciuto (e, quindi, per il personale in questione, la disciplina di questi fondamentali aspetti del rapporto di impiego e' il frutto, non del libero esplicarsi dell'autonomia negoziale collettiva, bensi' dell'intervento del legislatore); piu' in generale non dispone che il rapporto di lavoro di detto personale debba essere regolato dalla contrattazione collettiva, bensi' individua il trattamento che si deve applicare a quel personale (appunto, quello previsto dal contratto collettivo del lavoro giornalistico), «onde gli agenti negoziali rappresentativi delle categorie delle amministrazioni datrici di lavoro e dei dipendenti interessati non possono contrattare alcunche' in proposito» (sentenza n. 189/2007 citata).

4. L'art. 35, commi 1 e 2, della legge regionale n. 29 del 27 dicembre 2018 viola gli articoli 117, commi 1 e 2, lettera s), della Costituzione, in relazione al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, al decreto legislativo n. 230/2017 e ai Regolamenti comunitari n. 708/2007 e 92/43/CEE.

L'art. 35, recante «Modifiche alla legge regionale 1° aprile 2014, n. 8, contenente la "Disciplina della pesca nelle acque interne e norme per la tutela della relativa fauna ittica e dell'ecosistema acquatico"» dispone che «1. Il comma 1 dell'art. 16 della legge regionale n. 8/2014 e successive modificazioni e integrazioni, e' sostituito dal seguente: "1. E' vietata l'immissione di specie ittiche non autoctone". 2. Dopo il comma 1 dell'art. 16 della legge regionale n. 8/2014 e successive modificazioni e integrazioni, e' inserito il seguente: "1-bis. Ai fini dell'applicazione della presente legge, costituisce immissione di specie ittiche il rilascio in natura di esemplari attualmente o potenzialmente interfecondi idonei a costituire popolazioni naturali in grado di autoriprodursi.».

Il problema delle specie aliene invasive e' tra le priorita' di intervento europeo e nazionale in tema di gestione della fauna ittica.

Le norme comunitarie e nazionali sul tema della alloctonia mirano a proteggere l'habitat naturale e la fauna selvatica; la continuita' della immissione di materiale ittico non autoctono pone a rischio l'habitat naturale e le specie autoctone.

In tale contesto la direttiva 92/43/CEE, con la finalita' di tutela dell'ecosistema, rimette al legislatore nazionale la disciplina delle immissioni del materiale ittico; nel recepimento della direttiva il legislatore ha disposto che «sono vietate le reintroduzione, l'introduzione e il ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone» (art. 12, comma 3, D.P.R. n. 357/1993).

La norma regionale impugnata viola la richiamata normativa nazionale e comunitaria, perche' autorizza le immissioni di specie alloctone, senza il rispetto dell'intero sistema di verifiche preventive e di autorizzazioni, superando il divieto assoluto di introduzione, previsti dalla richiamata normativa statale di settore, attuativa di precise prescrizioni di diritto europeo - espresse dal regolamento (UE) n. 1143 del 2014 e dal regolamento CE n. 708 del 2007 - e, comunque, fondante standard uniformi di tutela dell'ambiente, non soggetti a differenti discipline tra le regioni.

L'art. 35, consentendo l'immissione di esemplari di specie non autoctone purche' sterili, contrasta con l'art. 12, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, costituente parametro interposto, che, invece, disciplinando «Introduzioni e reintroduzioni», al comma 3, prevede, come detto, che «sono vietate la reintroduzione, l'introduzione e il ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone»; il divieto ha carattere generale e non e' circoscritto ai soli esemplari fecondi.

Inoltre, il decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 230, recante «Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e gestire l'introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive», all'art. 6, comma 1, vieta il rilascio nell'ambiente di esemplari di specie esotiche invasive di rilevanza unionale, transnazionale o nazionale.

Il regolamento (CE) 708/2007, «relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti», prevede l'adozione di procedure e provvedimenti volti a garantire un'adeguata protezione degli habitat acquatici dai rischi derivanti dall'impiego di specie alloctone in acquacoltura.

L'art. 35, nel prevedere il rilascio di esemplari di specie non autoctone se sterili si pone in palese contrasto con la richiamata disciplina nazionale e comunitaria che, a tutela delle specie autoctone, vieta l'immissione delle specie non autoctone senza eccezioni.

La circostanza che le specie non autoctone siano infeconde, non esclude, invero, il rischio connesso alla compresenza di specie.

La norma regionale viola, pertanto, l'art. 117, comma 1, della Costituzione, per il contrasto con il principio di precauzione che trova relativa espressione nelle disposizioni della direttiva n. 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (direttiva Habitat), le quali consentono agli Stati membri, in funzione di conservazione dell'equilibrio ambientale, di vietare l'introduzione di specie alloctone, come previsto dalla legislazione statale.

L'introduzione, la reintroduzione e il ripascimento delle specie ittiche, sono regolate dall'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 citato, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 2003, in attuazione della c.d. Direttiva Habitat che richiede agli Stati membri di valutare l'opportunita' di reintrodurre specie autoctone, qualora questa misura possa contribuire alla loro conservazione, sia di regolamentare, ed eventualmente vietare, le introduzioni di specie alloctone che possano arrecare pregiudizio alla conservazione degli habitat o delle specie autoctone (art. 22, lettere a e b).

In attuazione della direttiva comunitaria, il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, come modificato nel 2003, consente, come detto, la reintroduzione delle specie autoctone, sulla base di linee guida del Ministero dell'ambiente, secondo le procedure stabilite dall'art. 12, comma 2, e vieta espressamente e in via generale la reintroduzione, l'introduzione e il ripopolamento in natura di specie non autoctone (art. 12, comma 3, citato).

Relativamente all'immissione di specie ittiche nei corpi idrici regionali, la disciplina dell'introduzione, della reintroduzione e del ripopolamento di specie animali rientra, pertanto, nella esclusiva competenza statale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, trattandosi di regole di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e non solo di discipline d'uso della risorsa ambientale-faunistica».

Nell'esercizio di tale sua competenza esclusiva, finalizzata ad una «tutela piena ed adeguata» dell'ambiente, lo Stato «puo' porre limiti invalicabili di tutela» (sentenza n. 30 del 2009; nello stesso senso, sentenza n. 288 del 2012).

A tali limiti le regioni devono adeguarsi nel dettare le normative d'uso dei beni ambientali, o, comunque, nell'esercizio di altre proprie competenze, rimanendo libere di definire, nell'esercizio della loro potesta' legislativa, «limiti di tutela dell'ambiente anche piu' elevati di quelli statali» (sentenza n. 30 del 2009; in senso conforme sentenza n. 151 del 2011).

Con riferimento alle specie alloctone, l'art. 12, comma 3, del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1993 vieta espressamente e in via generale la reintroduzione, l'introduzione e il ripopolamento in natura di «specie e popolazioni non autoctone» (sentenza n. 30 del 2009).

L'art. 35 impugnato si pone in contrasto con i principi sanciti dalla normativa statale ed eurounitaria citata, consentendo l'immissione di specie alloctone, seppure sterili, nei corpi idrici naturali, senza valutare gli effetti sul popolamento ittico originario e, piu' in generale, sull'ecosistema acquatico, consentendo una attivita' potenzialmente lesiva della fauna autoctona.

L'art. 35, commi 1 e 2, viola, pertanto, gli articoli 117, comma 1, e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

5. L'art. 36 della legge regionale 27 dicembre 2018, n. 29 viola gli articoli 97, 117, comma 1, e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 e alla direttiva comunitaria 92/43/CEE.

L'art. 36, recante «Modifica alla legge regionale 1° luglio 1994, n. 29, (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), sostituisce il comma 7 dell'art. 34 della legge regionale n. 29/1994, disponendo che «In attuazione dell'art. 18, comma 6, della legge n. 157/1992 e successive modificazioni e integrazioni, prevista l'integrazione di due giornate settimanali per l'esercizio venatorio da appostamento alla fauna selvatica migratoria nel periodo intercorrente tra il 1° ottobre e il 30 novembre. La giunta regionale, sentito l'ISPRA, ha la facolta' di modificare tale integrazione».

La norma introduce stabilmente due giornate di caccia a quelle gia' previste, ampliando cosi' la possibilita' venatoria della fauna selvatica e, per quanto qui rileva, modificando per legge il calendario venatorio. La possibilita' di ampliamento delle giornate di caccia e' prevista dalla normativa, ma e' subordinata a una valutazione discrezionale.

Il calendario venatorio e le modifiche allo stesso sono adottati all'esito di istruttoria, acquisito il parere ISPRA, con provvedimento amministrativo; il rispetto del procedimento risponde all'esigenza di garantire che eventuali repentini ed imprevedibili mutamenti delle circostanze di fatto possano pregiudicare il bene ambiente.

Si ricorda che e' principio fondante di derivazione comunitaria l'obbligo di adeguata istruttoria e motivazione che si impone al legislatore regionale nell'adottare norme anche se di maggior tutela dell'ambiente. In tale contesto la legge 11 febbraio 1992, n. 157, all'art. 18, comma 4, prescrive che il calendario venatorio, sia adottato con regolamento in relazione ad ogni singola stagione venatoria.

L'art. 36 impugnato non e' conforme ai principi enunciati e alla legge richiamata, prevedendo, come detto, la modifica con legge in via generale ed astratta del calendario venatorio della Regione.

Secondo i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza costituzionale la disciplina sulla caccia ha per oggetto la fauna selvatica, che rappresenta «un bene ambientale di notevole rilievo, la cui tutela rientra nella materia tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, che deve provvedervi assicurando un livello di tutela, «minimo», ma «adeguato e non riducibile» (sentenza n. 193 del 2010).

La normativa statale in tema di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, esprime, infatti, regole minime uniformi inderogabili dalle regioni se non innalzando i livelli di tutela (ex plurimis, sentenze n. 2 del 2015; n. 278 del 2012; n. 151 del 2011 e n. 315 del 2010) costituenti (come nel caso della legge 11 febbraio 1992, n. 157 citata, il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica e il cui rispetto deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale (sentenza n. 233/2010).

Le norme statali ed eurounitarie, la direttiva 92/43/CEE, art. 6, comma 3, del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche c.d. «Direttiva Habitat» e la direttiva n. 79/409/CEE c.d. «Direttiva Uccelli», disciplinano la materia dettando norme imperative che devono essere rispettate sull'intero territorio nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale.

L'art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992 citato, espressione della competenza di cui all'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, prevede la possibilita' per le regioni di modificare il calendario venatorio, con riferimento all'elenco delle specie tacciabili e al periodo in cui e' consentita la caccia, indicati dal precedente comma 1, attraverso un procedimento che prevede l'acquisizione del parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (nelle cui competenze oggi e' subentrato l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA).

Il comma 4 dello stesso art. 18 della legge n. 157 del 1992 citata, dispone che il calendario venatorio sia approvato con regolamento, modalita' prescelta da legislatore statale che attiene alle modalita' di protezione della fauna e si ricollega, per tale ragione, alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenza n. 536 del 2002; in seguito, con riferimento alla determinazione della stagione venatoria, sentenze n. 165 del 2009; n. 313 del 2006; n. 393 del 2005; n. 391 del 2005; n. 311 del 2003 e n. 226 del 2003).

La normativa statale richiamata costituisce parametro interposto come espressione della competenza esclusiva dello Stato a porre standard uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema non derogabili in peius dalle regioni in base all'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

La disciplina normativa in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio e', invero, dettata dalla legge quadro n. 157 del 1992, che costituisce ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica e il cui rispetto deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale (sentenza n. 233/2010).

E' principio affermato che «spetta allo Stato, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera s,), Cost., stabilire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, ponendo regole che possono essere modificate dalle regioni nell'esercizio della loro potesta' legislativa in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell'innalzamento del livello di tutela» (ex plurimis, sentenze n. 303 del 2103; n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012).

Il procedimento deve, pertanto, concludersi con l'adozione di un provvedimento amministrativo e non, come e' avvenuto nel caso di specie, con un intervento di natura normativa.

L'approvazione del calendario venatorio con provvedimento amministrativo e' imposta dalla necessita' di assicurare una flessibilita' della disciplina in materia, come costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 7 del 2019, punto 6.3. del Considerato in diritto; sentenza n. 20 e n. 105 del 2012).

L'espressione di cui all'art. 18, comma 4, per cui le regioni hanno l'obbligo di pubblicare «il calendario regionale ed il regolamento relativi all'intera annata venatoria», e' da intendersi, difatti, come riferita a un unico atto di natura regolamentare, contenente le specifiche norme applicabili nel territorio regionale durante il periodo venatorio preso in considerazione.

Anche per la sua efficacia temporale (annuale) il calendario venatorio deve essere approvato con provvedimento amministrativo e non anche con una legge, non essendo consentito al legislatore regionale sostituirsi all'amministrazione della Regione nel compimento di un'attivita' di regolamentazione che l'art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992 citato riserva alla sfera amministrativa.

In questa prospettiva, l'art. 18 della legge n. 157 del 1992 citato, predetermina gli esemplari abbattibili, specie per specie e nei periodi indicati, ma consente alla Regione l'introduzione di limitate deroghe motivate con riferimento al parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA (art. 18, commi 2 e 4, citati).

Il parere non e', invece previsto dalla norma impugnata.

La scelta del regolamento per l'approvazione del calendario venatorio non solo e' coerente con il peculiare contenuto che nel caso di specie l'atto andra' ad assumere, si inserisce armonicamente nel tessuto della legge n. 157 del 1992 citata, ma si riconnette altresi' a un regime di flessibilita' piu' marcato che nell'ipotesi in cui il contenuto del provvedimento sia cristallizzato nella forma della legge, a tutela del bene ambiente (in termini, la recente sentenza n. 7 del 2019 citata).

Tale assetto e' il solo idoneo a prevenire i danni che potrebbero conseguire a un repentino e imprevedibile mutamento delle circostanze di fatto in base alle quali il calendario venatorio e' stato approvato.

Sul punto si richiama quanto disposto all'art. 19, comma 1, della legge n. 157 del 1992 citata, che prevede il ricorso da parte della Regione a divieti imposti da «sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o per altre calamita'».

La legge, prescrivendo la pubblicazione del calendario venatorio e contestualmente del «regolamento» sull'attivita' venatoria e previa l'acquisizione obbligatoria del parere dell'ISPRA ed esplicitando la natura tecnica dell'intervento, ha descritto il procedimento di competenza della Regione.

La procedimentalizzazione della materia ha la finalita' di contemperare gli interessi ambientali in gioco, connotandosi, altresi', per una coerente motivazione che, nel rispetto del principio di buon andamento dell'amministrazione, deve tradursi in un provvedimento amministrativo espresso.

Sulla necessita' che, nell'ipotesi in cui la materia dell'intervento riguardi la tutela dell'ambiente, l'intervento regionale avvenga nel rispetto del modulo procedimentale e dei criteri fissati dalla legislazione statale, con specifico riferimento alla piu' corretta scelta dell'atto amministrativo rispetto a una legge-provvedimento, da ultimo la sentenza n. 28/2019, punto 2.3. del Considerato in diritto.

L'art. 36, nel prevedere stabilmente l'integrazione di due giornate settimanali per l'esercizio venatorio da appostamento alla fauna selvatica migratoria, viola le disposizioni della legge n. 157 del 1992 citata, ponendosi in contrasto con l'art. 97 della Costituzione per il mancato rispetto del principio di buon andamento dell'amministrazione. L'art. 36 viola l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, perche' riduce in peius il livello di tutela della fauna selvatica stabilito dalla legislazione nazionale e dalle direttive comunitarie in materia (art. 6, comma 3, direttiva 92/43/CEE c.d. «Direttiva habitat» e direttiva n. 79/409/CEE c.d. «Direttiva Uccelli») richiamate, invadendo illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

 

P.Q.M.

 

Si conclude perche' gli articoli 2, commi 1, 2, 9, 10 e 11; 30; 35, commi 1 e 2, e 36 della legge della Regione Liguria n. 29 del 27 dicembre 2018, recante «Disposizioni collegate alla legge di stabilita' per l'anno 2019», siano dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Roma, 1° marzo 2019

Il Vice Avvocato generale dello Stato: Palmieri

e per l'Avvocato dello Stato: Morici