RICORSO N. 40 DELL'8 MARZO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'8 marzo 2019.

(GU n. 21 del 22.5.2019)

 

Ricorso ex art. 127 della Costituzione per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi, 12;   contro la Regione Lazio, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli:   4, comma 8,   4, comma 25;   4, comma 53;   9;   19;   21, comma 1;   21, comma 15;   21, comma 21,  della legge regionale del Lazio 28 dicembre 2018, n. 13, recante «Legge di stabilita' regionale 2019».

Sul B.U.R. n. 105 del 29 dicembre 2018, e' stata pubblicata la legge regionale Lazio 28 dicembre 2018, n. 13, recante «Legge di stabilita' regionale 2019».

Tale legge regionale presenta diversi profili di illegittimita' costituzionale.

Il Presidente del Consiglio propone, pertanto, questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma 1 Cost. per i seguenti

 

Motivi

 

1) Violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione.

L'art. 4, comma 8, di tale legge regionale contiene una disposizione in tema di contributi alle associazioni animaliste di volontariato per interventi in materia di controllo del randagismo.

Cosi' dispone l'art. 4, comma 8:   «Dopo il comma 3 dell'art. 26 della legge regionale 21 ottobre 1997, n. 34 (Tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo), e' aggiunto il seguente:   "3-bis. Agli oneri derivanti dall'art. 8, comma 7-ter, si provvede mediante la voce di spesa denominata: "Contributi alle associazioni animaliste di volontariato per interventi in materia di controllo del randagismo", da istituirsi nel programma 08 "Cooperazione e associazionismo" della missione 12 "Diritti sociali, politiche sociali e famiglia", alla cui autorizzazione di spesa, pari ad euro 50.000,00 per ciascuna annualita' 2019, 2020 e 2021, si provvede attraverso la corrispondente riduzione delle risorse iscritte a legislazione vigente, a valere sulle medesime annualita', nel fondo speciale di parte corrente di cui al programma 03 "Altri fondi" della missione 20 "Fondi e accantonamenti"».

Come si vede, la disposizione aggiunge un comma all'art. 26 della legge regionale 21 ottobre 1997, n. 34 (Tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo), il cui testo attuale cosi' recita (in grassetto la parte aggiunta dalla legge regionale impugnata):   «1. Per l'attuazione della presente legge, e' istituito il capitolo di bilancio n. 41148 con la seguente denominazione: «Spesa per l'attuazione delle norme per il controllo del randagismo».

2. Lo stanziamento per l'anno 1997 e' determinato in lire cento milioni e la relativa copertura e' assicurata mediante utilizzazione, di pari importo, della somma iscritta al capitolo n. 41145 del bilancio 1997.

3. I fondi nazionali di cui all'art. 8 della legge n. 281 del 1991 confluiscono sul capitolo n. 01346 delle entrate previste dalla Regione e sono gestiti sul corrispondente capitolo n. 41146 (17).

3-bis. Agli oneri derivanti dall'art. 8, comma 7-ter, si provvede mediante la voce di spesa denominata: "Contributi alle associazioni animaliste di volontariato per interventi in materia di controllo del randagismo", da istituirsi nel programma 08 "Cooperazione e associazionismo" della missione 12 "Diritti sociali, politiche sociali e famiglia", alla cui autorizzazione di spesa, pari ad euro 50.000,00 per ciascuna annualita' 2019, 2020 e 2021, si provvede attraverso la corrispondente riduzione delle risorse iscritte a legislazione vigente, a valere sulle medesime annualita', nel fondo speciale di parte corrente di cui al programma 03 "Altri fondi" della missione 20 "Fondi e accantonamenti"».

L'art. 4, comma 8, si pone in contrasto con l'art. 5, lettera e) del Codice del terzo settore, decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, a norma dell'art. 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106.

L'art. 5, lettera e) del Codice del terzo settore prevede infatti che:   «1. Gli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali incluse le cooperative sociali, esercitano in via esclusiva o principale una o piu' attivita' di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalita' civiche, solidaristiche e di utilita' sociale. Si considerano di interesse generale, se svolte in conformita' alle norme particolari che ne disciplinano l'esercizio, le attivita' aventi ad oggetto:   ...e) interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell'ambiente e all'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, con esclusione dell'attivita', esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi»;   Ebbene, come si e' evidenziato, con la disposizione impugnata (art. 4, comma 8, legge regionale n. 13/2018) la denominazione del capitolo inserito al comma 3-bis della legge regionale n. 34/1997, in materia di tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo, fa riferimento a contributi destinati «alle associazioni animaliste di volontariato per interventi in materia di controllo del randagismo».

In proposito si rappresenta che la normativa nazionale non limita la possibilita' di operare a tutela degli animali alle sole associazioni di volontariato: il menzionato art. 5, lettera e) del Codice del terzo settore inserisce tale materia tra quelle relative a tutti gli enti del terzo settore.

D'altro canto, anche la legge n. 281/1991 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo) fa riferimento alle associazioni animaliste, in particolare all'art. 3, a mente del quale: «Le regioni adottano, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le associazioni animaliste, protezioniste e venatorie, che operano in ambito regionale, un programma di prevenzione del randagismo».

Ferma, quindi, restando la necessita' eventuale di una riconduzione alla normativa nazionale delle previsioni di cui alla legge regionale, la mera denominazione del capitolo prevista dalla legge regionale configura di per se' una violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione, in quanto implica una discriminazione nei confronti di associazioni animaliste iscritte nei registri del terzo settore diverse da quelle delle organizzazioni di volontariato.

2) Violazione degli articoli 81 e 120 della Costituzione.

L'art. 4 comma 25 prevede che:   «Al fine di migliorare ed ottimizzare i servizi di assistenza sanitaria nei confronti della popolazione, con particolare riguardo alla situazione emergenziale che insiste nell'area del Comune di Anagni, e' disposta l'autorizzazione di spesa pari a 100.000,00 euro per l'anno 2019 e a 200.000,00 euro per ciascuna delle annualita' 2020 e 2021, nell'ambito della voce di spesa denominata "Spese per la realizzazione di hub per la gestione di situazioni di emergenza sanitaria", da iscriversi nel Programma 05 "Servizio sanitario regionale - investimenti sanitari" della Missione 13 "Tutela della salute", alla cui copertura si provvede mediante la corrispondente riduzione delle risorse iscritte a legislazione vigente, a valere sulle medesime annualita', nel fondo speciale in conto capitale di cui al Programma 03 della Missione 20. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano in quanto compatibili con le previsioni del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione e con quelle dei programmi operativi di cui all'art. 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2010) e successive modifiche e con le funzioni attribuite al commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro dal disavanzo sanitario».

La disposizione in questione prevede un investimento sul territorio di Anagni per la costruzione di un hub per l'emergenza sanitaria.

In tali termini, la norma si pone in contrasto con le competenze del Commissario ad acta per il Piano di rientro che, peraltro, adotta la rete ospedaliera anche ai sensi del decreto ministeriale n. 70/2015.

Pertanto, la norma viola il principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120 della Costituzione.

Si rilevano anche profili di contrasto con l'art. 81 della Costituzione, atteso che la disposizione determina minori entrate sul bilancio regionale sanitario, prive di copertura finanziaria.

3) Violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione.

L'art. 4, comma 53, prevede che:   «La Regione, nel rispetto del principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118 della Costituzione, concede contributi ai comuni per sostenere e valorizzare le iniziative dei cittadini attivi, delle associazioni e dei comitati di quartiere presenti sul territorio, volte alla cura ed alla rigenerazione dei beni comuni urbani, materiali, immateriali e digitali, che i cittadini e l'amministrazione riconoscono essere funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali della persona, al benessere individuale e collettivo».

La disposizione prevede dunque la concessione di contributi ai comuni per sostenere iniziative di cittadini attivi, associazioni e comitati di quartiere volti alla tutela dei beni comuni.

Il comma 54 dell'art. 4 prevede che i comuni stessi stipulino «patti di collaborazione con i soggetti di cui al comma 53».

In proposito manca ogni riferimento all'iscrizione di tali soggetti nei registri del terzo settore.

La legge n. 106/2016 prevede l'iscrizione nel registro unico del terzo settore (nelle more della sua operativita' l'art. 101 del codice del terzo settore individua i registri per i quali l'iscrizione dispiega gli stessi effetti), per gli enti del terzo settore che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi acquisiti tramite pubbliche sottoscrizioni o che esercitano attivita' in regime di convenzione o accreditamento con enti pubblici.

Ferma, quindi, restando anche in questo caso, la necessita' eventuale di una riconduzione alla normativa nazionale delle previsioni di cui alla legge regionale, la mancanza di riferimento all'iscrizione dei soggetti indicati al comma 53 nei registri del terzo settore configura di per se' una violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione, in quanto implica una discriminazione nei confronti di associazioni animaliste iscritte nei registri del terzo settore dai soggetti indicati dalla disposizione regionale.

4) Violazione dell'art. 120 della Costituzione.

L'art. 9, commi da 2 a 5, prevede che:   «2. Allo scopo di agevolare la definizione del contenzioso pendente in materia di controlli esterni in ambito sanitario di cui all'art. 8-octies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e successive modifiche, per prestazioni rese nel periodo antecedente all'entrata in vigore del decreto del Commissario ad acta 8 giugno 2017, n. 218, ovvero per prevenirne l'attivazione e consentire la stabilizzazione degli effetti economici, la struttura sanitaria interessata puo' richiedere all'amministrazione regionale di essere ammessa al pagamento della sanzione amministrativa in misura pari a un terzo, fermo il pagamento integrale della differente remunerazione sul singolo ricovero. La richiesta e' formulata nel termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione per i controlli la cui valorizzazione e' stata gia' comunicata, ovvero entro sessanta giorni dalla comunicazione della valorizzazione degli stessi.

3. La misura e' accordata dall'amministrazione esclusivamente in caso di compresenza delle seguenti condizioni:   a) riconducibilita' delle sanzioni agli abbattimenti applicati per i controlli non concordati, anche in parte;   b) effettuazione del pagamento integrale del debito nei termini previsti al comma 4;   c) rinuncia da parte della struttura al procedimento amministrativo di risoluzione delle discordanze e all'azione giudiziaria pendente o futura.

4. La struttura deve provvedere al pagamento integrale del debito entro i sessanta giorni successivi all'accoglimento dell'istanza, ovvero entro il termine massimo di venti mesi in caso di richiesta di rateizzazione, con corresponsione degli interessi legali, pena la decadenza dal beneficio.

5. Dalle disposizioni di cui al presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale».

L'art. 9 consente alle strutture sanitarie che ne facciano richiesta, di accedere alla riduzione di un terzo della sanzione amministrativa prevista per le prestazioni oggetto di controlli esterni in ambito sanitario in data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto del Commissario ad acta 8 giugno 2017, n. 218.

Cio' al fine di definire i contenziosi esistenti o di prevenire quelli futuri.

Tale previsione presenta profili di incostituzionalita' in quanto attinente ad una materia di competenza del Commissario ad acta per il Piano di rientro, che, in quanto tale, non potrebbe essere oggetto di legislazione regionale (cfr. ex multis Corte costituzionale, 5 maggio 2014, n. 110; 14 luglio 2017, n. 190). Tra i compiti del mandato commissariale rientra, infatti, anche il governo dei rapporti con i privati accreditati.

In tali termini la norma invade le competenze del Commissario ad acta. Inoltre, l'intervento in questione puo' comportare una ridefinizione degli effetti economici e finanziari derivanti dai controlli esterni che potrebbero ripercuotersi sui risultati di esercizio gia' validati dai tavoli tecnici.

La norma, dunque, si pone in contrasto con il principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120 della Costituzione.

5) Violazione degli articoli 3, 97 e 117, terzo comma della Costituzione.

L'art. 19 prevede che:   «La deroga di cui all'art. 3, comma 1, della legge regionale n. 21/2009 e successive modifiche, si interpreta nel senso che gli interventi di ampliamento previsti dal medesimo art. 3, comma 1, sono consentiti anche in deroga ai limiti di densita' edilizia di cui all'art. 7 del decreto del Ministero per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densita' edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765)».

La richiamata disposizione regionale, lungi dal dare una mera interpretazione della citata disposizione regionale, presenta aspetti del tutto innovativi rispetto alla norma che si pretende di interpretare, prevedendo che gli interventi edilizi consentiti dalla medesima disposizione possano essere realizzati «anche in deroga ai limiti di densita' edilizia di cui all'art. 7 del decreto del Ministero per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444».

Occorre ricordare, in proposito, che la legge regionale n. 21/2009 ha dettato norme di carattere straordinario con le quali sono stati consentiti interventi edilizi anche in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali vigenti o adottati.

La predetta disposizione regionale, dunque, ha una portata retroattiva di dubbia legittimita'.

Come al riguardo affermato dalla Corte (sentenza n. 73 del 2017), la deroga al principio della irretroattivita' delle norme trova il suo fondamento nel principio di ragionevolezza, atteso che «La erroneita' della auto-qualificazione delle norme impugnate come interpretative costituisce ... un primo indice ... della irragionevolezza del loro retroagire nel tempo, ulteriormente corroborato dalla constatazione che le stesse introducono innovazioni, destinate, per lo piu', ad ampliare facolta' in deroga ai relativi strumenti urbanistici, peraltro non necessariamente in termini di logica continuita' con il quadro generale di riferimento sul quale le stesse sono destinate ad incidere».

Invero, com'e' noto, la Corte ha individuato alcuni limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali tra i quali sono ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (cfr. sentenza n. 73 del 2017, nonche' le sentenze n. 170 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).

Atteso che la previsione regionale e' caratterizzata da un indubbio carattere innovativo, con efficacia retroattiva, essa rende legittime condotte, le quali, non considerate tali al momento della loro realizzazione (perche' non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento), lo divengono per effetto dell'intervento successivo del legislatore, con l'ulteriore conseguenza di consentire la regolarizzazione ex post di opere che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento, dando corpo, in definitiva, ad una surrettizia ipotesi di sanatoria straordinaria che esula dalle competenze regionali e risulta pertanto illegittima.

In proposito, e' appena il caso di ricordare che l'Intesa 1° aprile 2009, n. 21/CU «Intesa, ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra Stato, regioni e gli enti locali, sull'atto concernente misure per il rilancio dell'economia attraverso l'attivita' edilizia. (Repertorio atti n. 211CU del 1° aprile 2009)» aveva stabilito che gli interventi edilizi ivi previsti non potessero riferirsi ad edifici abusivi o nei centri storici o in aree di inedificabilita' assoluta.

Parimenti, l'art. 5 (Costruzioni private) del decreto-legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011, il quale, ai commi da 9 a 14, reca la disciplina di principio per la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e per la promozione e agevolazione della riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonche' di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare prevede, al comma 10, che:   «10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilita' assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria».

La richiamata disposizione della legge regionale in questione travalica, percio', i limiti individuati dalla giurisprudenza della Corte richiamata, violando l'art. 3 della Costituzione.

A cio' si aggiunga, quale ulteriore profilo di incostituzionalita' della disposizione in commento, che a motivo delle rilevanti modifiche via via apportate alla legge regionale n. 21 del 2009, le amministrazioni comunali potrebbero in realta' non trovarsi nelle condizioni di poter effettivamente verificare caso per caso e distinguere cio' che e' stato realizzato (o proseguito, o completato) nei periodi intercorrenti tra le modifiche medesime.

Cio', in contrasto con i principi di ragionevolezza e buon andamento, di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione.

In proposito e' opportuno rammentare che nella citata sentenza n. 73 del 2017, la Corte ha avuto modo di affermare che:   «Anche a voler ritenere che, nella specie, le disposizioni impugnate possano trovare una loro giustificazione nell'esigenza della Regione di assicurare una maggiore omogeneita' alle norme in oggetto per fare fronte al sovrapporsi delle modifiche intervenute nel tempo, siffatta finalita' deve ritenersi recessiva rispetto al valore della certezza del diritto, nel caso messo in discussione in una materia, quella urbanistica, rispetto alla quale assume una peculiare rilevanza l'affidamento che la collettivita' ripone nella sicurezza giuridica (sentenza n. 209 del 2010). Del resto, pur guardando alla potenziale incidenza delle norme impugnate sui rapporti interprivati, va osservato che le stesse, per quanto prevalentemente di favore rispetto agli interessi dei singoli destinatari, retroagendo nel tempo sacrificano, in linea di principio, le posizioni soggettive dei potenziali controinteressati che facevano affidamento sulla stabilita' dell'assetto normativo vigente all'epoca delle singole condotte».

In relazione a tale aspetto la disposizione regionale in commento risulta adottata in violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione nella materia «governo del territorio» in ragione del contrasto con la disposizione di principio contenuta nell'art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.

Sul tema, si richiama nuovamente l'art. 5 (Costruzioni private) del decreto-legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011, il quale al comma 11, secondo periodo, prevede che:   «Resta fermo il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attivita' edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, nonche' delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».

Infine, sempre a termini delle predette disposizioni dell'art. 5 del decreto-legge n. 70 del 2011, e' stato ammesso, per gli interventi ivi previsti, il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, ai sensi dell'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. commi 11 e 13, lettera a).

Ebbene, l'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, al comma 3, dispone che:   «3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, puo' riguardare esclusivamente i limiti di densita' edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonche', nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d'uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444».

La salvaguardia delle specifiche disposizioni del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 disposta dalla norma di principio ora richiamata, si riferisce, pertanto, non solo agli articoli 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 ma anche alla previsione di cui all'art. 7 del decreto medesimo e deve intendersi come valevole in relazione a qualunque titolo abilitativo in deroga previsto da norme statali e regionali.

Sotto tali aspetti, dunque, la disposizione regionale in commento, e' stata adottata in violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione in relazione alla materia «governo del territorio».

6) Violazione degli articoli 3, 51 primo comma e 97 della Costituzione.

L'art. 21, comma 1, prevede che:   «1. Al comma 20 dell'art. 1 della legge regionale 11 agosto 2009, n. 22 (Assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2009-2011 della Regione Lazio) le parole da: "Gli avvocati" fino a: "all'Avvocatura regionale" sono sostituite dalle seguenti: "In attesa di una specifica disciplina della contrattazione collettiva nazionale in merito alla valorizzazione della professionalita' degli avvocati degli uffici legali, gli avvocati gia' in servizio presso la struttura di cui all'art. 553-bis del Reg. reg. 1/2002 all'atto della costituzione del ruolo professionale dell'Avvocatura regionale di cui all'art. 10-bis della legge regionale n. 6/2002, come modificata dalla presente legge, sono inquadrati, a domanda, nel ruolo professionale e sono assegnati all'Avvocatura regionale, previa apposita selezione tecnico-pratica svolta secondo criteri e modalita' da disciplinare nell'ambito del citato Reg. reg. 1/2002, mantenendo la categoria in possesso al momento della selezione».

L'art. 21, comma 1, della legge regionale 28 dicembre 2018, n. 13, modifica l'art. 1, comma 20, della legge regionale n. 22 del 2009.

Si ricorda che l'art. 553-bis del regolamento regionale di organizzazione degli uffici n. 1/2002 sotto la rubrica «Funzioni dell'Avvocatura regionale» stabilisce che:   «1. L'Avvocatura regionale e' costituita alle dirette dipendenze del Presidente della Regione, rappresenta e difende la Regione dinanzi alle giurisdizioni di ogni ordine e grado, secondo le regole del proprio ordinamento, e svolge attivita' di consulenza giuridico-legale a favore della Regione.

2. Al fine dell'espletamento delle attivita' di cui al comma 1, le direzioni e strutture regionali trasmettono all'Avvocatura regionale dettagliata e documentata relazione informativa sui presupposti fattuali e giuridici delle vertenze, in tempo utile per la efficace difesa giudiziale.

3. L'Avvocatura regionale provvede inoltre al coordinamento delle avvocature e degli incarichi di rappresentanza e difesa legale delle agenzie, degli enti pubblici regionali di cui agli articoli 54 e 55 dello Statuto, degli enti di cui all'art. 56 dello Statuto e delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale, anche assumendone gratuitamente il patrocinio. Le modalita' di attuazione di tale coordinamento sono definite, sulla base delle direttive del Presidente della Regione, tramite appositi atti convenzionali tra l'Avvocatura regionale e le predette agenzie, aziende ed enti».

Il medesimo regolamento di organizzazione, al successivo art. 553-quater («Avvocati dell'Avvocatura regionale») prevede che:   «1. Gli avvocati assegnati all'Avvocatura regionale svolgono la propria attivita' secondo i criteri di liberta', autonomia ed indipendenza propri della professione forense, e sono iscritti all'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati previsto dall'ordinamento della professione forense. Nello svolgimento dell'attivita' legale, gli avvocati non sono ordinati gerarchicamente».

In sintesi, in base alle disposizioni sopra menzionate, gli avvocati in servizio presso la struttura regionale dell'avvocatura regionale possono ottenere, previo espletamento di una apposita selezione tecnico-pratica, l'inquadramento nel distinto ruolo professionale dell'Avvocatura regionale.

Il comma 20 dell'art. 1 della legge regionale 11 agosto 2009, n. 22 («Assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2009-2011 della Regione Lazio»), nella sua formulazione originaria, prevedeva che:   «Fino all'adeguamento del r.r. 1/2002 ai sensi del comma 19 e alla costituzione del ruolo professionale e dell'Avvocatura regionale ai sensi degli articoli 10-bis e 11-bis della l.r. 6/2002, come modificata dalla presente legge, la struttura di cui all'art. 553-bis del medesimo regolamento continua a svolgere le funzioni ivi previste. Gli avvocati gia' in servizio presso la struttura di cui all'art. 553-bis del r.r. 1/2002, all'atto della costituzione del ruolo professionale dell'Avvocatura regionale di cui all'art. 10-bis della l.r. 6/2002, come modificata dalla presente legge, sono inquadrati, a domanda, nel ruolo professionale e sono assegnati all'Avvocatura regionale».

L'art. 21, comma 1, della legge regionale in oggetto ha modificato il comma 20 dell'articolo 1 sopra richiamato, prevedendo che:   a) l'attuazione del nuovo inquadramento «in attesa di una specifica disciplina della contrattazione collettiva nazionale in merito alla valorizzazione della professionalita' degli avvocati degli uffici legali»;   b) il nuovo inquadramento avvenga non solo a domanda da parte degli interessi, ma anche «previa apposita selezione tecnico pratica svolta secondo criteri e modalita' da disciplinare nell'ambito del citato r.r. 1/2002, mantenendo la categoria in possesso al momento della selezione».

Ancorche' la modifica apportata con la legge regionale n. 13 del 2018 persegua il condivisibile obiettivo di tentare di omogeneizzare le modalita' di reclutamento (interno ed esterno) del personale destinato ad alimentare il ruolo dell'Avvocatura regionale, non puo' non rilevarsi come detto risultato sarebbe stato effettivamente raggiunto prevedendo l'obbligo, anche per il personale gia' in servizio presso l'Avvocatura regionale, di poter transitare nel nuovo ruolo previo superamento di una procedura concorsuale pubblica avente le stesse caratteristiche ed il medesimo contenuto di quelle previste per il c.d. accesso dall'esterno, connotata (se del caso) dalla previsione di una riserva di posti e di un'adeguata valorizzazione dell'esperienza maturata nello svolgimento dell'attivita' de qua.

Nel caso di specie, invece, non solo si prevede una mera prova di idoneita', ma la stessa alimentazione del neoistituito ruolo dell'Avvocatura regionale viene, di fatto, operata attraverso il solo personale gia' in servizio.

Di talche', la disposizione in parola sembra contemplare una sorta di «concorso interamente riservato» al personale in servizio presso l'Avvocatura regionale, del tutto incompatibile con le previsioni di cui agli articoli 3, 51, primo comma e 97 Costituzione.

All'uopo, si ricorda che la Corte costituzionale ha da sempre affermato che la regola del pubblico concorso aperto alla piu' ampia platea ammette eccezioni «rigorose e limitate» (cfr. sentenza n. 293/2009, che subordina la legittimita' della deroga alla regola del pubblico concorso solo in ipotesi di una «specifica necessita' funzionale» dell'amministrazione, ovvero a «peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico».

In proposito, e' stato chiarito che non integrano valide ragioni di interesse pubblico ne' l'esigenza di consolidare il precariato, ne' quella di venire incontro a personali aspettative degli aspiranti (cosi' Corte costituzionale 3 marzo 2006 n. 81), ne' tantomeno esigenze strumentali di gestione del personale da parte dell'amministrazione (come affermato in Corte costituzionale 4 giugno 2010 n. 195).

Un concorso riservato puo' essere giustificato solo quando si tratti di esigenze desumibili dalle funzioni svolte dall'amministrazione (cosi' sempre la sentenza n. 195/2010), e in particolare quando si tratti di consolidare specifiche professionalita' che non si potrebbero acquisire all'esterno dell'amministrazione, e quindi giustificano che ci si rivolga solo a chi e' gia' dipendente in una data posizione (sentenza n. 293/2009).

Nella fattispecie non pare sostenibile che le professionalita' in discorso non siano rinvenibili all'esterno.

Tanto piu' che lo stesso legislatore regionale prevede che il reclutamento avvenga mediante uno specifico concorso pubblico per titoli ed esami.

Ne consegue che l'art. 21, comma 1, della legge regionale in oggetto appare contrario alla disciplina legale del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (desunta principalmente dall'art. 97 Cost., secondo la lettura che ne ha dato ripetutamente la Corte costituzionale, del quale sono attuazione il decreto legislativo n. 165/2001, articoli 35 e 52), che non consente inquadramenti automatici del personale (neppure in base al profilo professionale posseduto o alle mansioni svolte) e che, viceversa, impone che l'assunzione avvenga tramite procedure selettive, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno.

Da ultimo, non puo' non sottolinearsi come il pericolo che il nuovo ruolo dell'Avvocatura regionale finisca per essere alimentato esclusivamente dal personale gia' in servizio, con conseguente vanificazione della previsione di cui all'art. 10-bis, comma 1, della legge regionale n. 6 del 2002, risulta, vieppiu', evidente in considerazione della disomogeneita' emergenti:   1) tra i requisiti e le prove di concorso sostenute per l'accesso nei ruoli della Regione ed i requisiti e le prove di concorso previste per il reclutamento del personale da inquadrare nella nuova struttura («concorso per titoli ed esami, ai sensi della normativa vigente in materia di accesso all'impiego pubblico e di esercizio della professione forense presso le amministrazioni pubbliche»);   2) dalle modalita' di selezione del personale esterno (concorso pubblico) e del personale gia' in servizio (procedura interna con selezione tecnico - pratica svolta secondo criteri e modalita' ancora da definire), con confermata ritenuta incostituzionalita' della disposizione in esame ai sensi dell'art. 97 Cost.

7) Violazione degli articoli 97 e 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione.

L'art. 21, comma 15, prevede che:   «Dopo l'art. 6 della legge regionale 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti) e successive modifiche, e' inserito il seguente:   "Art. 6-bis (Stabilizzazione della filiera dei veicoli fuori uso e trattamento dei rifiuti metallici). - 1. Al fine di garantire la stabilizzazione della filiera dei veicoli fuori uso ed evitare l'interruzione delle attivita' di trattamento dei veicoli fuori uso e/o di trattamento dei rifiuti metallici ferrosi e non ferrosi, trova applicazione l'art. 15, comma 3, del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso) per gli impianti che abbiano operato in virtu' di autorizzazioni rilasciate dai soggetti attuatori previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 febbraio 1999 (Dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio della citta' di Roma e provincia in ordine alla situazione di crisi socio-ambientale e di protezione civile) e dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 2 settembre 2005, n. 3473 (Interventi urgenti per la delocalizzazione di tutti i centri di autodemolizione e rottamazione del Comune di Roma) e per i loro aventi causa e subentranti.

2. Ai sensi di quanto previsto dall'art. 15, comma 3, del decreto legislativo n. 209/2003 nonche' per gli impianti la cui localizzazione e' conforme, gli enti delegati ai sensi degli articoli 5 e 6 autorizzano la prosecuzione dell'attivita' secondo quanto stabilito dalle norme tecniche e dai requisiti dell'allegato 1 del medesimo decreto, indicando la tempistica di delocalizzazione e le specifiche prescrizioni nell'ambito dei singoli procedimenti, e comunque l'individuazione della delocalizzazione dovra' essere effettuata entro sei mesi e attuata entro un periodo massimo di ventiquattro mesi.

3. Entro trenta giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, gli enti competenti ai sensi della presente legge, per quanto di rispettiva competenza, provvedono a trasmettere alla Regione un quadro complessivo degli impianti esistenti, delle autorizzazioni rilasciate, delle attivita' di controllo degli impianti attuate e programmate nonche' l'elenco delle attivita' da delocalizzare e delle aree di destinazione individuate. Inoltre, dovranno essere segnalate eventuali attivita' esistenti e non rientranti in quelle di cui al comma 1 per le quali dovra' essere indicato un programma di ripristino delle aree».

La disposizione in parola contempla talune disposizioni costituzionalmente illegittime in quanto contrastanti con la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (art. 117, comma 2, lettera s), Cost.), materia «trasversale» e «prevalente», che si impone integralmente nei confronti delle regioni che non possono contraddirla, ed a cui fa capo la disciplina dei rifiuti, spettando allo Stato, per costante giurisprudenza costituzionale, la competenza a fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale.

Infatti, il carattere trasversale della materia della tutela dell'ambiente, se da un lato legittima le regioni a provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o concorrente in relazione a temi che hanno riflessi sulla materia ambientale, dall'altro non costituisce limite alla competenza esclusiva dello Stato a stabilire regole omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze che attengono alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia del territorio (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 249 del 2009).

L'art. 21, comma 15 della legge regionale in oggetto, nel modificare la legge regionale 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione del rifiuti), dopo l'art. 6, inserisce, come sopra riportato un art. 6-bis rubricato «Stabilizzazione della filiera dei veicoli fuori uso e trattamento dei rifiuti metallici».

La norma regionale anzidetta reca in se' profili di stretta connessione con l'art. 15 del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso), rubricata «Disposizioni transitorie e finali», il quale prevede espressamente:   «1. Il titolare del centro di raccolta o dell'impianto di' trattamento in esercizio alla data di entrata in vigore del presente decreto, entro sei mesi dalla stessa data, presenta alla regione competente per territorio domanda di autorizzazione corredata da un progetto di adeguamento dell'impianto alle disposizioni del presente decreto. Detto progetto comprende un piano per il ripristino ambientale dell'area utilizzata, da attuare alla chiusura dello stesso impianto.

2. La regione, entro i termini stabiliti dall'art. 27 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, conclude il procedimento e si pronuncia in merito al progetto di adeguamento. In caso di approvazione del progetto, la regione autorizza l'esercizio dei relativi lavori, stabilendone le modalita' di esecuzione ed il termine per la conclusione, che non puo' essere, in ogni caso, superiore a 18 mesi, a decorrere dalla data di approvazione del progetto.

3. Nel caso in cui, in sede di procedimento, emerge che non risultano rispettati i soli requisiti relativi alla localizzazione dell'impianto previsti dal presente decreto, la regione autorizza la prosecuzione dell'attivita', stabilendo le prescrizioni necessarie ad assicurare la tutela della salute e dell'ambiente, ovvero prescrive la rilocalizzazione dello stesso impianto in tempi definiti.

4. La provincia competente per territorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, procede all'ispezione degli impianti in esercizio alla stessa data che effettuano l'attivita' di recupero di rifiuti derivanti da veicoli fuori uso di cui all'art. 6, comma 5, al fine di verificare il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di esercizio previste dal presente decreto e, se necessario, stabilisce le modalita' ed i tempi per conformarsi a dette prescrizioni, consentendo, nelle more dell'adeguamento, la prosecuzione dell'attivita'. In caso di mancato adeguamento nei modi e nei termini stabiliti, l'attivita' e' interrotta».

Il citato parametro legislativo statale interposto - espressione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema ex art. 117, comma 2, lettera s), Cost., in attuazione della direttiva 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso - subordina lo svolgimento dell'attivita' di autodemolizione ad un complesso di prescrizioni (specificamente elencate nell'allegato 1, come richiamato dall'art. 6, commi 1 e 2) che attengono sia alla localizzazione degli impianti, sia alle modalita' di svolgimento di dette attivita'.

In siffatto quadro regolatorio, l'art. 15 del decreto legislativo n. 209 del 2003 detta una disciplina transitoria volta all'adeguamento delle attivita' in essere, ponendo anzitutto in capo al titolare del centro di raccolta o dell'impianto di' trattamento l'obbligo di presentare alla regione competente (recte: al Comune, che nella Regione Lazio esercita per delega la funzione de qua) domanda di autorizzazione corredata da un progetto di adeguamento dell'impianto e da un piano per il ripristino ambientale dell'area utilizzata, da attuare alla chiusura dello stesso impianto (comma 1); ulteriori previsioni riguardano poi termini e modalita' di conclusione del procedimento (comma 2).

Lo stesso l'art. 15, al comma 3, disciplina l'ipotesi di attivita' di autodemolizione sottoposte ad autorizzazione ordinaria (attualmente ex art. 208, del decreto legislativo n. 152 del 2006), prescrivendo che, qualora risultino non rispettati i soli requisiti relativi alla localizzazione dell'impianto, la regione (recte: il comune) autorizza la prosecuzione dell'attivita', con le prescrizioni necessarie ad assicurare la tutela della salute e dell'ambiente, ovvero dispone la rilocalizzazione dello stesso impianto in tempi definiti.

Il successivo comma 4 inerisce, infine, alle attivita' di autodemolizione sottoposte a procedure semplificate (attualmente ex articoli 214, 215 e 216, del decreto legislativo n. 152 del 2006), stabilendo che le province effettuano apposite ispezioni al fine di verificare il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di esercizio previste e, se necessario, stabilisce le modalita' ed i tempi per conformarsi a dette prescrizioni, consentendo, nelle more dell'adeguamento, la prosecuzione dell'attivita'. In caso di mancato adeguamento nei modi e nei termini stabiliti, l'attivita' e' interrotta.

Nel complesso, si ricava agevolmente che le richiamate disposizioni di cui ai commi 1, 3 e 4, pongono standard unitari di tutela ambientale.

Posto che le autorizzazioni cui si riferisce il nuovo art. 6-bis, comma 1, della legge regionale n. 27 del 1998, sono state rilasciate dal soggetto attuatore di una gestione commissariale, e' anzitutto evidente che, una volta esauritasi quest'ultima, le attivita' di autodemolizione interessate debbono essere sottoposte in pieno al regime giuridico del decreto legislativo n. 209 del 2003.

Cio' posto, si rileva che le disposizioni regionali qui contestate, nel fare riferimento al solo art. 15, comma 3, del predetto decreto legislativo, sembrano escludere l'applicazione delle ulteriori previsioni attinenti al complesso iter di adeguamento delle attivita' di autodemolizione in essere. Dunque, esse si pongono in contrasto con i livelli uniformi di tutela ambientale stabiliti dal legislatore statale nell'esercizio della competenza di cui all'art. 117, comma 2, lettera s), Cost. nella misura in cui:   a) pretermettono la fase iniziale del procedimento che si sostanzia, come in precedenza rilevato, nell'esercizio, da parte dei gestori, di una iniziativa qualificata dall'allegazione di appositi piani e progetti di adeguamento degli impianti e di ripristino ambientale;   b) estendono una previsione concepita dal legislatore statale per il caso in cui, in sede di procedimento autorizzatorio ordinario, non siano rispettati i soli requisiti di localizzazione (quella, appunto, di cui all'art. 15, comma 3, del decreto legislativo n. 209 del 2003) a fattispecie in relazione alle quali Io stesso legislatore statale pone una diversa disciplina che consente, in sostanza, di impedire o di interrompere le attivita'. Per l'esattezza si tratta delle ipotesi in cui:   in sede di procedimento autorizzatorio ordinario emergono difformita' non solo dai criteri localizzativi, ma anche dalle norme tecniche concernenti lo svolgimento delle attivita';   in sede di ispezione sulle attivita' autorizzate in via semplificata emergono difformita' dalle norme tecniche e dalle condizioni di esercizio previste.

Tali considerazioni risultano rafforzate dalla finalita' generale delle previsioni regionali qui in oggetto, che si pongono tout court l'obiettivo di evitare l'interruzione delle attivita' di trattamento dei veicoli fuori uso e/o di trattamento dei rifiuti metallici ferrosi e non ferrosi.

Risulta, dunque, evidente che la previsione di cui al comma 3 dello stesso art. 15 della norma primaria statale costituisce di per se' solo una fase e non anche procedimento autonomo da poter essere isolatamente considerato e decontestualizzato dal punto di vista sistematico.

In tale ottica, l'art. 6-bis della legge regionale in oggetto, attraverso un meccanismo di facilitazione istruttorio/procedimentale, reca, di fatto, la parziale applicazione dell'art. 15 del decreto legislativo n. 209 del 2003, limitandolo, testualmente, ai soli effetti di cui al relativo comma 3, il quale consente alla Regione di autorizzare la prosecuzione dell'attivita' nei casi in cui non risultano rispettati i requisiti relativi alla localizzazione dell'impianto ma nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di esercizio previste dal decreto legislativo n. 209 del 2003, e previa eventuale fissazione delle necessarie prescrizioni atte ad assicurare la tutela della salute e dell'ambiente.

Pertanto, attraverso la norma regionale de qua la disposizione contenuta nel citato comma 3 dell'art. 15 viene decontestualizzata dal quadro normativo statale in cui risulta coerentemente collocata, andando di fatto ad incidere, ampliandone la portata, sull'ivi contemplato meccanismo di deroga autorizzatoria invece limitato dal decreto legislativo n. 209 del 2003 al solo caso di non conformita' ai criteri di localizzazione dell'impianto a fattispecie predeterminate.

Ai sensi della disposizione regionale, la fase procedimentale di cui al comma 3 del piu' volte menzionato art. 15 viene, quindi, elevata a procedimento autonomo autorizzatorio legato alla sola e specifica osservanza delle norme tecniche e dai requisiti dell'allegato 1 del medesimo decreto, da cio' derivandone un palese indebolimento dei livelli di tutela previsti dal legislatore statale, attraverso anche e soprattutto l'affievolimento/abbattimento dei requisiti disciplinati ed imposti dalla norma primaria.

In aggiunta a quanto sopra, si rileva, inoltre, che il comma 1, del neointrodotto art. 6-bis della legge regionale 9 luglio 1998, n. 27, reca la dicitura «e per i loro aventi causa e subentranti».

Posto a tal riguardo che l'espressione utilizzata appare di dubbia interpretazione, e' da evidenziare che in materia di rifiuti, le modifiche/variazioni del soggetto titolare di un'autorizzazione alla gestione di un impianto di rifiuti assumono particolare rilevanza in quanto il rilascio di tale atto di assenso presuppone, tra l'altro, un scrutinio valutativo in ordine al possesso effettivo di predeterminati requisiti personali da parte di chi esercitera' l'attivita' autorizzata.

Dal «carattere personale» dell'autorizzazione ne discende che ad ogni variazione soggettiva del rapporto consegue la necessita' di operare una voltura del provvedimento autorizzatorio che comporta l'avvio di un procedimento diretto al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi in capo al subentrante.

La disposizione regionale in parola si pone, quindi, in contrasto col piu' volte menzionato parametro statale interposto costituito dall'art. 15 del decreto legislativo n. 209 del 2003 che non contempla siffatta estensione soggettiva, circoscrivendo al «titolare» gli effetti applicativi della norma, nonche' con il principio di buon andamento dell'amministrazione sancito dall'art. 97, Cost., in quanto elide un procedimento amministrativo finalizzato a verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per la voltura dell'autorizzazione.

Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo eurounitario e statale, la legge regionale in argomento, in aggiunta al citato art. 97 Cost., si pone in palese contrasto, con il parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost., in quanto essa interviene in una materia, quella della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», attribuita in via esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (ex multis, Corte costituzionale, sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), nella quale rientra la disciplina della gestione dei rifiuti (sentenza n. 249 del 2009), anche quando interferisca con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008).

Tale disciplina, in quanto appunto rientrante principalmente nella tutela dell'ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicita' dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasivita' rispetto anche alle attribuzioni regionali (cfr. sentenza n. 249 del 2009), con la conseguenza che, avendo riguardo alle diverse fasi e attivita' di gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze n. 58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).

Per i motivi esposti, si ritiene sussistere con riferimento al menzionato art. 21, comma 15, la violazione dell'art. 97 Cost. e dell'art. 117, secondo comma, lettera s) Cost., in riferimento ai parametri statali ed eurounitari interposti dianzi citati.

8) Violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione.

L'art. 21, comma 21 prevede che:   «Dopo il comma 7-bis dell'art. 8 della legge regionale 21 ottobre 1997, n. 34 (Tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo) e successive modifiche, sono aggiunti i seguenti:   "7-ter. La Regione concede, altresi', contributi alle associazioni animaliste di volontariato per specifici progetti realizzati dalle stesse anche in collaborazione con i comuni e/o con le scuole e/o con le ASL competenti.

7-quater. La Giunta regionale con propria deliberazione definisce i criteri e i modelli per la concessione dei contributi di cui al comma 7-ter».

La disposizione prevede dunque la concessione di contributi alle associazioni animaliste di volontariato per la realizzazione di specifici progetti in collaborazione con le scuole, i comuni e le ASL.

Anche in questo caso si evidenzia che la normativa nazionale non limita la possibilita' di operare a tutela degli animali alle sole associazioni di volontariato: l'art. 5, lettera e) del Codice del terzo settore inserisce tale materia tra quelle relative a tutti gli enti del terzo settore, mentre la legge n. 281/1991 riguardante la tutela degli animali e la prevenzione del randagismo fa riferimento alle associazioni animaliste.

Si ritiene pertanto, che la concessione di contributi alle sole associazioni di volontariato e non anche alle altre associazioni del terzo settore a carattere animalistico operanti attraverso l'apporto volontario degli associati (quali le associazioni di promozione sociale) configuri una violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione.

 

P.Q.M.

 

Si chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente annullare l'art. 3, comma 73, della legge regionale del Lazio 31 dicembre 2016, n. 17, recante «Legge di stabilita' regionale 2017», per i motivi illustrati nel presente ricorso.

Roma, 27 febbraio 2019

per De Bellis: L'Avvocato dello Stato Urbani Neri