RICORSO N. 26 DEL 20 FEBBRAIO 2019 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 20 febbraio 2019.

(GU n. 15 del 10.4.2019)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, codice fiscale n. 80224030587, fax 06/96514000 e PEC ags.rm@mailcertavvocaturastato.it presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;   Contro la Regione Sicilia, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, con sede in Palermo, Palazzo d'Orleans, piazza Indipendenza n. 21.

Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 2, comma 28 e 3, comma 9 della legge Regione Sicilia 16 dicembre 2018, n. 24, intitolata «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l'esercizio finanziario 2018 e per il biennio 2018/2020. Disposizioni varie», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia 18 dicembre 2018, n. 54, per violazione degli artt. 9, secondo comma, 117, primo comma, 117, secondo comma, lettera m), 117, secondo comma, lettera s), 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, e in riferimento agli articoli 134, 136, 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 - Codice dei beni culturali e del paesaggio - in materia di tutela dei centri storici e allo statuto Regione Siciliana R.D. legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed in particolare con l'art. 14.

E cio' a seguito ed in forza della delibera di impugnativa assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 14 febbraio 2019.

La legge Regione Sicilia n. 24, pubblicata nel B.U.R n. 54 del 18 dicembre 2018 recante: «Variazioni al bilancio di previsione della regione per l'esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020.

Disposizioni varie» presenta profili di illegittimita' costituzionale, con riferimento alle disposizioni contenute negli articoli 2, comma 28 e 3, comma 9.

L'art. 2 - intitolato «Rifinanziamento e riduzioni autorizzazioni di spesa» - comma 28, dispone un incremento dell'autorizzazione di spesa per le finalita' della legge regionale n. 20/98, art. 7 comma 1 (indennita' erogata a favore degli assistiti affetti da talassemia): con tale norma si dispone, infatti, che «l'autorizzazione di spesa di cui all'art. 31, allegato 1, della legge regionale n. 8/2018, per le finalita' della legge regionale 1° agosto 1990, n. 20, art. 7, comma 1, e' incrementata di 1.046 migliaia di euro per l'esercizio finanziario 2018 (missione 13, programma 7, capitolo 413706)».

L'art. 3, intitolato «Modifiche di norme», comma 9, della legge regionale in esame apporta due modifiche alla legge n. 13/2015, recante: «Norme per favorire il recupero del patrimonio edilizio di base dei centri storici».

Con tale articolo si dispone :   «Alla legge regionale 10 luglio 2015, n. 13 sono apportate le seguenti modifiche:   a) all'art. 1, comma 2, dopo le parole «normativa vigente» aggiungere le parole «salvo l'obbligo di adeguare le norme di attuazione dei suddetti strumenti urbanistici ai contenuti della presente legge, per le parti che dovessero risultare con essi contrastanti.»;   b) all'art. 3, dopo il comma 5 e' aggiunto il seguente:  «5-bis. Nel caso in cui l'amministrazione non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto dal comma 1, relativo all'intero centro storico, e' data facolta' al soggetto che intende effettuare interventi in conformita' ai contenuti della presente legge di proporre uno studio di dettaglio stralcio relativo ad un comparto territoriale, costituito da una o piu' unita' edilizie, con l'obbligo del comune di attivare il procedimento previsto dal medesimo comma 1.».

Le disposizioni della legge regionale summenzionate sono costituzionalmente illegittime e, giusta determinazione assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 14 febbraio 2019, sono impugnate per i seguenti

 

Motivi di diritto

 

Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 28, della legge Regione Sicilia n. 24 del 2018 per violazione degli artt. 117, primo comma, 117, secondo comma, lettera m), 117, terzo comma e 118 della Costituzione, anche con riferimento al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 - Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'art. 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.

L'art. 2, comma 28, come si e' detto, dispone un incremento dell'autorizzazione di spesa per le finalita' della legge regionale n. 20/98, art. 7, comma 1 (indennita' erogata a favore degli assistiti affetti da talassemia): infatti, con tale norma, si prevede «l'autorizzazione di spesa di cui all'art. 31, allegato 1, della legge regionale n. 8/2018, per le finalita' della legge regionale 1° agosto 1990, n. 20, art. 7, comma 1, e' incrementata di 1.046 migliaia di euro per l'esercizio finanziario 2018 (missione 13, programma 7, capitolo 413706)».

Al riguardo, e' opportuno premettere che gia' nel corso del 2016 erano stati mossi rilievi alla regione Sicilia, in sede di Comitato LEA (Livelli essenziali di assistenza), in ordine a quanto previsto dal summenzionato art. 7 della legge n. 20/1990, tenuto conto del fatto che la vigente normativa nazionale prevede (cfr. art. 52, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 a favore dei soggetti affetti da gravi forme di talassemia) esclusivamente il diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e che, quindi, l'erogazione di un vitalizio e di un rimborso chilometrico sembrava integrare un livello ulteriore di assistenza.

La regione aveva fornito rassicurazioni, qualificando l'indennita' in questione come intervento di carattere sociale e non sanitario.

Dall'esame della legge regionale in oggetto si evince, invece, che le risorse utilizzate per l'erogazione in esame gravano ancora su fondi di natura sanitaria (missione 13).

Analoghi rilievi erano stati mossi relativamente all'art. 41 della legge regionale n. 8/2018, di modifica dell'art. 7 della legge regionale n. 20/1990.

La Regione Sicilia in tale occasione aveva garantito che l'adeguamento Istat dell'indennita' per i talassemici, previsto dall'articolo censurato, sarebbe stato coperto con fondi regionali di natura sociale, non rientranti nel perimetro sanitario. Cio' posto, si ritiene che l'indennita' erogata ai talassemici ed ovviamente l'adeguamento Istat previsto dalla legge regionale in esame costituiscano un livello ulteriore di assistenza che non puo' essere garantito a meno che il relativo finanziamento non venga ricondotto a fondi di natura sociale.

La previsione contenuta nella norma regionale censurata, dunque, viola il principio del contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio generale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, integrando, di fatto, un livello ulteriore di assistenza che la regione, essendo in piano di rientro dal disavanzo sanitario, non puo' garantire.

Ed infatti, per le regioni impegnate in piani di rientro, vige il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell'art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; coerentemente a cio', la Corte costituzionale (sent. n. 104 del 2013) ha evidenziato che «l'autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario puo' incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa», specie «in un quadro di esplicita condivisione da parte delle regioni della assoluta necessita' di contenere i disavanzi del settore sanitario».

Secondo la costante giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell'esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche alle autonomie speciali (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2017, n. 40 del 2016, n. 82 e n. 46 del 2015), in quanto funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l'equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l'unita' economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (sentenza n. 175 del 2014).

I rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono regolati dal principio dell'accordo, inteso come vincolo di metodo (e non gia' di risultato) e declinato nella forma della leale collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012; da ultimo, sent. n. 103 del 2018).

Per le ragioni esposte si ritiene, altresi', che la disposizione regionale segnalata violi l'intesa raggiunta nella materia dei livelli essenziali di assistenza dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome nella seduta del 7 settembre 2016, propedeutica all'adozione del menzionato d.P.C.M.

LEA, e violi, quindi, il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione, peraltro in una materia di competenza esclusiva statale, quale quella della determinazione dei livelli essenziali di assistenza (art. 117, comma 2, lettera m).

Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 9, della legge Regione Sicilia n. 24 del 2018 per violazione degli artt. 9, secondo comma, 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, e in riferimento agli articoli 134, 136, 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 - Codice dei beni culturali e del paesaggio - in materia di tutela dei centri storici e allo statuto Regione Siciliana R.D.

legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed in particolare con l'art.14.

L'art. 3, comma 9, della legge regionale in questione apporta due modifiche alla legge n. 13/2015, recante: «Norme per favorire il recupero del patrimonio edilizio di base dei centri storici».

Con tale articolo, come si e' detto, si dispone:   «Alla legge regionale 10 luglio 2015, n. 13 sono apportate le seguenti modifiche:   a) all'art. 1, comma 2, dopo le parole «normativa vigente» aggiungere le parole «salvo l'obbligo di adeguare le norme di attuazione dei suddetti strumenti urbanistici ai contenuti della presente legge, per le parti che dovessero risultare con essi contrastanti.»;   b) all'art. 3, dopo il comma 5 e' aggiunto il seguente:  «5-bis. Nel caso in cui l'amministrazione non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto dal comma 1, relativo all'intero centro storico, e' data facolta' al soggetto che intende effettuare interventi in conformita' ai contenuti della presente legge di proporre uno studio di dettaglio stralcio relativo ad un comparto territoriale, costituito da una o piu' unita' edilizie, con l'obbligo del comune di attivare il procedimento previsto dal medesimo comma 1.».

Va premesso che la suddetta legge regionale n. 13 del 2015 contiene una (nuova) definizione delle tipologie edilizie dei centri storici (art. 2) e prevede che ciascuna amministrazione comunale provveda ad individuare (con effetti costitutivi) l'appartenenza delle singole unita' edilizie esistenti a ciascuna tipologia (definita dall'art. 2) mediante uno studio di dettaglio dell'intero centro storico promosso dall'ufficio tecnico comunale (art. 3).

L'integrazione, all'art. 1, comma 2, del periodo «salvo l'obbligo di adeguare le norme di attuazione dei suddetti strumenti urbanistici ai contenuti della presente legge, per le parti che dovessero risultare con essi contrastanti» dispone un completo superamento delle norme per le zone territoriali omogenee A - centro storico, ai sensi decreto ministeriale n. 1444 del 1968, che sono state invece fatte salve dalla legge del 2015, nel caso in cui contrastassero con i contenuti degli «studi di dettaglio», le cui procedure di individuazione sono previste dall'art. 3 della legge medesima.

Allo stesso art. 3 della legge n. 13 del 2015 e' poi aggiunto il comma 5-bis del seguente tenore: «Nel caso in cui l'amministrazione non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto dal comma 1, relativo all'intero centro storico, e' data facolta' al soggetto che intende effettuare interventi in conformita' ai contenuti della presente legge di proporre uno studio di dettaglio stralcio relativo ad un comparto territoriale, costituito da una o piu' unita' edilizie, con l'obbligo del comune di attivare il procedimento previsto dal medesimo comma 1.»   Tale comma consente la parcellizzazione in stralci dello studio di dettaglio, vanificando l'obiettivo di elaborare in forma organica per l'intero centro storico criteri omogenei per l'individuazione delle tipologie - e conseguentemente degli interventi possibili - , peraltro consentendo di far coincidere non solo con un comparto territoriale (ad esempio un isolato), ma addirittura con una sola unita' edilizia, il minimo stralcio possibile che il proponente di un intervento puo' sottoporre all'iter di approvazione.

La decisione sui piani o gli stralci presentati resta demandata alla conferenza dei servizi prevista al comma 1 dello stesso art. 3, nell'ambito della quale tuttavia, alla luce della nuova normativa in materia, il parere della Soprintendenza potrebbe risultare minoritario.

Inoltre, dal tenore del nuovo comma 5-bis, che fa riferimento anche agli «interventi», non e' chiaro se la conferenza - esclusivamente finalizzata nel preesistente comma 1 alla espressione di parere in merito all'appartenenza delle singole unita' edilizie alle categorie dell'art. 2 - autorizzi anche questi ultimi.

In ogni caso viene affidata all'iniziativa del privato la proposta di attribuzione di tipologie edilizie che in alcuni casi, per esempio in quello dell'edilizia che venisse classificata come «non qualificata» o «parzialmente qualificata» potrebbero comportare categorie di interventi molto impattanti, fino alla demolizione, senza che sia prevista l'autorizzazione da parte della Soprintendenza (cfr. art. 4, comma 1, lettera f), e, in virtu' della modifica sopra esposta del comma 2 dell'art. 1, anche in deroga alle norme precedentemente in vigore per le zone A.

Le modifiche normative proposte si pongono, dunque, in contrasto con quanto disposto dagli articoli 134, 136, 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di tutela dei centri storici, in quanto aree di notevole interesse pubblico il cui valore paesaggistico deve essere salvaguardato tramite le procedure autorizzatone previste dalla normativa vigente.

Il combinato disposto degli articoli 134, 136, 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio chiarisce, oltre ogni ragionevole dubbio, che i centri storici (intesi come unico organismo edilizio e non come sommatoria di edifici di diverso valore): sono beni paesaggistici in quanto aree di notevole interesse pubblico; non possono essere oggetto di interventi che rechino pregiudizio al valore tutelato; per questa ragione ogni intervento deve essere preventivamente autorizzato dall'amministrazione a cui compete in via esclusiva la verifica sulla sua compatibilita' e quindi in Sicilia la competente Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali.

Le modifiche introdotte dalla normativa regionale rendono possibile intervenire su tali aree in modo difforme rispetto a quanto precedentemente pianificato e autorizzato dalla Soprintendenza.

Si prevede, infatti, che queste modifiche prevalgano pure sui piani gia' vigenti nei centri storici.

Quindi, ad oggi si potra' intervenire in modo difforme rispetto a quanto precedentemente pianificato dal comune e autorizzato dalla Soprintendenza in conformita' alle disposizioni nazionali ante legge regionale n. 13 del 2015.

Grave e pregiudizievole, per la corretta pianificazione e tutela del bene culturale «centro storico», e' che gli interventi di pianificazione attuativa per la realizzazione degli interventi di trasformazione possono essere redatti dai privati e per singole unita' abitative, facendo venir meno quel necessario approccio unitario (metodologico e valutativo) sul «bene culturale unitario centro storico» ed invertendo la gerarchia degli interessi e delle potesta' di governo del territorio.

Come noto, le norme citate del decreto legislativo n. 42 del 2004 - Codice dei beni culturali e del paesaggio - sono qualificabili come «norme di grande riforma economico-sociale», che si impongono anche alle regioni dotate di autonomia speciale.

E sull'assoluta centralita' della disciplina di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 - ed il risalto che, sul piano costituzionale, ad essa deve essere effettivamente riconosciuto -, si e' piu' volte espressa codesta Ecc.ma Corte affermando che con tale disciplina si e' inteso dare «attuazione al disposto del (citato) art. 9 della Costituzione, poiche' la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio e' quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali» (sent. n. 367 del 2007; 164 del 2009; 66 del 2012).

L'art. 3, comma 9, della legge regionale in esame si pone, altresi', in contrasto con gli stessi limiti dettati dallo statuto regionale R.D. legislativo 15 maggio 1946 n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed in particolare con l'art. 14; tale disposizione, infatti, pur contemplando alla lettera f) «l'urbanistica» ed alla lettera n) la «tutela del paesaggio» tra le materie di potesta' legislativa esclusiva della regione, precisa che dette attribuzioni sono esercitate «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato».

Le disposizioni regionali summenzionate, pertanto, violano l'art. 9, secondo comma, della Costituzione che sancisce la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, l'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dei beni culturali, gli articoli 134, 136, 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 - Codice dei beni culturali e del paesaggio- in materia di tutela dei centri storici e lo statuto regionale - R.D. legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed in particolare l'art. 14.

 

P. Q. M.

 

Per le considerazioni esposte, il Presidente del Consiglio dei ministri, come sopra rappresentato e difeso, chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare la illegittimita' costituzionale degli articoli 2, comma 28 e 3, comma 9 della legge Regione Sicilia 16 dicembre 2018, n. 24, intitolata «Variazioni al bilancio di previsione della regione per l'esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020. Disposizioni varie», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia 18 dicembre 2018, n. 54, per violazione degli artt. 9, secondo comma, 117, primo comma, 117, secondo comma, lettera m), 117, secondo comma, lettera s), 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, e in riferimento agli articoli 134, 136, 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 - Codice dei beni culturali e del paesaggio - in materia di tutela dei centri storici e allo statuto Regione Siciliana R.D. legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 2, ed in particolare con l'art. 14.

Roma, 14 febbraio 2019

Avvocato dello Stato: Mangia