RICORSO N. 17 DEL 6 FEBBRAIO 2019 (DELLA REGIONE TOSCANA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 6 febbraio 2019.

(GU n. 13 del 27.3.2019)

 

Ricorso della Regione Toscana (P.IVA 01386030488), in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, dott. Enrico Rossi, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 91 del 28 gennaio 2019, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall'Avv. Lucia Bora (c.f. BROLCU57M59B157V pec: lucia.bora@postacert.toscana.it) dell'Avvocatura regionale e dal prof. Avv. Marcello Cecchetti (C.F. CCCMCL65E02H501Q), presso il cui studio e' elettivamente domiciliato, in Roma, Piazza Barberini n. 12 (fax 06.4871847; PEC marcello.cecchetti@firenze.pecavvocati.it);   contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, lettera b) ed ottavo comma, dell'art. 1, primo comma, lettera f), dell'art. 13, primo comma, lettera a) n. 2, dell'art. 21, primo comma, lettera a) del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132 recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», per violazione degli articoli 2, 3, 10, 32, 97, 117 primo, terzo, quarto comma e 118 Cost.

In data 3 dicembre 2018 e' stata pubblicata, nella Gazzetta Ufficiale n. 281 la legge n. 132 del 2018, la quale ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge n. 113 del 2018.

L'art. 1, primo comma, lettera b) ed ottavo comma del menzionato decreto-legge interviene sui permessi di soggiorno per generali ragioni umanitarie e sulla disciplina, alla loro scadenza, di quelli gia' rilasciati; l'art. 1, primo comma, lettera f) interviene sul permesso di soggiorno per gli stranieri vittime di violenza; l'art. 13, primo comma, lettera a) n. 2 stabilisce che il permesso di soggiorno concesso ai richiedenti asilo non consente l'iscrizione anagrafica e l'art. 21, primo comma, lettera a) estende il c.d. DASPO urbano anche ai presidi ospedalieri.

I suddetti articoli incidono su molteplici attribuzioni costituzionali della Regione Toscana; inoltre numerosi comuni toscani hanno chiesto alla Regione di far valere con il presente ricorso anche la lesione delle attribuzioni degli enti locali (doc. 1 - doc. 2), richiesta che l'odierna ricorrente ha ritenuto di accogliere, sussistendone i presupposti, per la stretta connessione - in particolare nelle materie dell'assistenza sociale, dell'istruzione e dell'edilizia residenziale pubblica - tra le attribuzioni costituzionali regionali e quelle delle autonomie locali, la quale «consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (Corte cost. sentenza n. 196/2004, n. 417/2005, n. 95/2007).

Tanto premesso, le impugnate disposizioni del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, sono lesive delle competenze regionali e degli enti locali per i seguenti motivi di

 

Diritto

 

1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, lettera b) ed ottavo comma del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, per violazione degli articoli 2, 3, 10, 32, 117 primo comma Cost., che determina una lesione indiretta delle attribuzioni legislative e amministrative regionali di cui agli articoli 117, terzo e quarto comma e dell'art. 118 Cost. in materia di tutela della salute, istruzione, politiche attive del lavoro, assistenza sociale, servizi sociali e formazione professionale.

1.1) Prima dell'intervento normativo operato con le disposizioni indicate, l'art. 5, comma 6, del Testo unico in materia di immigrazione, approvato con decreto legislativo n. 286 del 1998, cosi' disponeva:   «6. Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresi' adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari e' rilasciato dal questore secondo le modalita' previste nel regolamento di attuazione».

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari si affiancava al permesso di soggiorno rilasciato ai titolari dello status di rifugiato e ai titolari dello status di protezione sussidiaria, che compongono la protezione internazionale.

Il testo unico sull'immigrazione prevedeva, oltre al generale permesso di soggiorno umanitario, casi speciali di rilascio del permesso di soggiorno: «per motivi di protezione sociale» (art. 18), «per le vittime di violenza domestica» (art. 18-bis) e per «ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo» (art. 22, comma 12-quater): si trattava dunque di casi tipici, che si aggiungevano alla previsione generale dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

La disposizione contenuta nell'art. 1, primo comma, lettera b) del decreto-legge n. 113 del 2018 ha eliminato il riferimento al permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dall'art. 5 del TU sull'immigrazione ed ha aggiunto nello stesso testo unico altri tre casi di speciali permessi di soggiorno: quello «per cure mediche» [art: 19, comma 2, lettera d-bis)] quello «per calamita'» (art. 20-bis) e quello «per atti di particolare valore civile» (art. 42-bis).

Quindi e' venuto meno il generale permesso di soggiorno per motivi umanitari, restando esclusivamente quello delle ipotesi tipiche e tassative per cure mediche, nonche' per motivi di protezione sociale, per le vittime di violenza domestica, per calamita', per particolare sfruttamento lavorativo, per atti di particolare valore civile, per protezione speciale (ai sensi dell'art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25 del 2008).

La norma transitoria contenuta nel comma ottavo dell'art. 1 del decreto-legge n. 113 del 2018 regola la disciplina applicabile ai permessi umanitari gia' riconosciuti ai sensi della previgente normativa, stabilendo che gli stessi restino validi sino alla scadenza; a quel momento potra' essere rilasciato un permesso di soggiorno speciale annuale rinnovabile che permette di lavorare, ma che non puo' essere convertito in permesso per motivi di lavoro.

Le impugnate disposizioni, eliminando l'istituto del generale permesso di soggiorno umanitario - sia attuativo del diritto di asilo, sia collegato ai «seri motivi» e quindi ad una situazione di pregiudizio dei diritti fondamentali della persona - determinano la conseguenza che un significativo numero di individui che oggi sono regolarmente presenti nel territorio regionale, in forza di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, diventera' irregolare.

Infatti, come accennato, in base al comma ottavo, oggetto di impugnativa, i permessi umanitari in corso di validita' alla data di entrata in vigore della disciplina in esame, alla loro scadenza non saranno rinnovati secondo le regole previgenti - pur avendo i destinatari acquisito un diritto di soggiornare regolarmente sul territorio - ma avranno solo un permesso speciale annuale che non puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, al termine del quale, quindi, non potranno che risultare - in assoluta prevalenza e salvo rare eccezioni in cui ricorrano i presupposti molto limitati dei permessi speciali tipizzati - irregolari. A quel punto, nelle dichiarate intenzioni del legislatore, dovrebbe divenire automatica l'espulsione, ma la nuova normativa non disciplina in alcun modo e dunque non garantisce affatto che cio' avvenga (in quanto, com'e' noto, attualmente l'Italia non ha accordi per il rimpatrio con i principali Paesi di provenienza dei soggetti immigrati e senza tali accordi diventa impossibile l'espulsione), ne' prevede una tempistica per detta finalita' e neppure specifica quale sia la sorte di queste persone una volta divenute irregolari.

1.2) Tutto cio' determina senz'altro una forte incidenza sulle competenze della Regione e degli enti locali.

1.2.a) Finora i soggetti titolari del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998, e quindi regolarmente presenti nel territorio toscano, sono stati iscritti al servizio sanitario, beneficiando cosi' della assistenza sanitaria, dell'assistenza domiciliare e non quindi della sola assistenza emergenziale che l'art. 35 del decreto legislativo n. 286/1998 prevede per gli irregolari. Sono stati programmati ed offerti a tali soggetti i servizi previsti nel piano socio - sanitario regionale, in attuazione di quanto stabilito dalla legge regionale n. 40 del 2005 che ha introdotto la disciplina del servizio sanitario regionale basata sul principio dell'universalita' e parita' di accesso ai servizi sanitari per tutti gli assistiti; sulla garanzia per tutti gli assistiti di livelli uniformi ed essenziali di assistenza (art. 3); sulla partecipazione degli enti locali sia alla programmazione sanitaria e sociale integrata regionale sia al governo dei servizi sanitari territoriali in forma integrata con i servizi sociali (art. 6).

Questo sistema ha garantito un fondamentale diritto (la tutela della salute) ai soggetti titolari del permesso umanitario generale e, al tempo stesso, ha permesso alla Regione (e per essa alle Aziende sanitarie) di avere esatta conoscenza dei soggetti presenti sul territorio, potendo cosi' programmare ed attuare campagne di profilassi, diagnosi e cura di malattie infettive, non possibili a fronte di soggetti irregolari e quindi non conosciuti, neanche nella loro consistenza numerica. Inoltre l'accesso alla tutela sanitaria ordinaria ha evitato «ingolfamento» del pronto soccorso ospedaliero, altrimenti inevitabile nei casi di tutela emergenziale, con evidenti ricadute sull'organizzazione del Servizio sanitario regionale.

1.2.b) Similmente, i soggetti gia' titolari del permesso di soggiorno umanitario sono stati destinatari degli strumenti di inclusione ed integrazione sociale, previsti dagli atti di programmazione regionale, in base alle norme contenute nell'art. 5 della legge regionale n. 41 del 2005, essenziali per l'inserimento nel tessuto sociale, per superare le discriminazioni e quindi per contenere rischi di aumento della criminalita'; cio' in conformita' con il carattere di universalita' del sistema integrato di interventi e servizi sociali sancito all'art. 2 comma 1 della stessa legge regionale n. 41 del 2005.

In particolare i titolari del permesso di soggiorno umanitario sono stati destinatari dei servizi sociali previsti nel piano integrato socia - sanitario approvato dal Consiglio regionale con la deliberazione 5 novembre 2014, n. 91, con riferimento ai servizi di scuola materna, asilo nido e servizi, in genere, per la prima infanzia; alle misure di sostegno per le situazioni di disagio personale e familiare, anche in relazione ai soggetti non autosufficienti e disabili; agli interventi sociali ed educativi realizzati nell'ambito delle politiche giovanili, alle forma di sostegno per contenere le difficolta' abitative.

1.2.c) Anche gli interventi di formazione professionale sono stati cospicui ed erogati ai titolari dei permessi umanitari: essi sono particolarmente necessari per l'inserimento nel mondo del lavoro. In tale ambito si segnalano i corsi linguistici, i voucher formativi individuali destinati a soggetti disoccupati ed inoccupati, finanziati dalla Regione con le risorse del POR FSE ed i tirocini attivati in favore di persone straniere anche non residenti nella UE, disciplinati ai sensi dell'art. 17-quinquies della legge regionale n. 32 del 2002, («Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro»). Mediante tali tirocini la Regione ha inteso favorire le esperienze formative, orientative e professionalizzanti realizzate presso soggetti pubblici e privati nel territorio regionale: trattasi quindi di interventi particolarmente rilevanti per coloro che, titolari di permessi umanitari, cercano di integrarsi nel territorio toscano e nella diversa realta', anche sociale, in cui vengono a trovarsi.

1.2.d) I soggetti in esame sono stati destinatari anche delle politiche attive di lavoro, erogate dai centri per l'impiego in Toscana, sulla base delle previsioni del decreto legislativo n. 150 del 2015: essi hanno potuto sottoscrivere il Patto di servizio personalizzato che ha incluso i seguenti servizi: 1) orientamento; 2) riconoscimento ed eventuale validazione delle competenze; 3) incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro.

1.2.e) In sintesi, la legislazione e la programmazione regionale hanno disciplinato e previsto molteplici misure ed interventi per favorire l'integrazione e l'inclusione sociale dei titolari dei permessi di soggiorno umanitari; cio' nelle materie dell'assistenza sanitaria, dell'assistenza sociale, della formazione professionale, dell'istruzione, delle politiche attive del lavoro. Gli enti locali, per parte loro, hanno concretamente dato attuazione alle misure previste nei suddetti ambiti materiali dalle leggi e dai programmi regionali   Le disposizioni impugnate, abolendo il permesso di soggiorno per motivi umanitari di carattere generale e sostituendolo con i tassativi casi di permesso di soggiorno sopra richiamati, incidono fortemente sulle prestazioni sociali e sulla tutela sanitaria finora erogabile ai titolari di permesso umanitario in base alla legislazione vigente, costringendo il legislatore regionale ad adeguarsi alle nuove previsioni.

1.3) La rilevata incidenza sulle materie regionali non puo' ritenersi superata dalla previsione dei permessi di soggiorno tipizzati.

L'art. 41 del decreto legislativo n. 286/1998 subordina l'erogazione delle prestazioni di assistenza sociale alla titolarita' di un permesso di soggiorno di almeno un anno: cio', sino ad oggi, ha permesso alla Regione Toscana di prevedere la possibilita' di erogare dette prestazioni ai titolari della protezione umanitaria, che aveva durata biennale, per l'appunto a fronte di ragioni di carattere umanitario.

Alcuni dei nuovi permessi speciali hanno durata inferiore all'anno (permesso di soggiorno per calamita' e per protezione sociale) e quindi cio' costringe la Regione a ridisciplinare il sistema dell'erogazione delle prestazioni sociali eliminando tali categorie.

Parimenti, per effetto della durata ridotta ad un anno degli altri permessi di soggiorno speciali, i titolari dei nuovi permessi per cure mediche, per protezione speciale e per casi speciali non avranno piu' accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica che l'art. 40 del decreto legislativo n. 286 del 1998 garantisce ai titolari di permesso di soggiorno della durata di almeno due anni, come era il permesso per motivi umanitari.

Inoltre, alcuni dei nuovi permessi speciali di soggiorno (quello per calamita' di cui all'art. 20-bis del TU sull'immigrazione - introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera h) del decreto-legge n. 113 del 2018 - e quello per atti di particolare valore civile, di cui all'art. 42-bis del TU sull'immigrazione - introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera q del decreto-legge n. 113 del 2018 - in oggetto) non consentono piu' l'iscrizione al servizio sanitario nazionale.

Infatti l'art. 34, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 286 del 1998 e' stato modificato dall'art. 1, comma 1, lettera o) del decreto-legge in esame, con la limitazione della possibile iscrizione al servizio sanitario di stranieri regolarmente soggiornanti, o che abbiano chiesto il rinnovo del titolo di soggiorno, solo per lavoro subordinato, per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo, per protezione sussidiaria, per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto della cittadinanza; gli articoli specifici (ossia citati articoli 20-bis e 42-bis) non contemplano la possibile erogazione dei servizi di assistenza sanitaria ai titolari dei corrispondenti permessi speciali.

Cio' relega questi stranieri al solo accesso alle cure mediche urgenti ed essenziali ambulatoriali o ospedaliere previste dall'art. 35 decreto legislativo n. 286/1998 e comporta manifeste illegittimita' costituzionali per l'irragionevole restrizione rispetto all'attuazione piena dell'accesso alle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute previsto dall'art. 32 Cost., nonche' l'incidenza sulle competenze regionali in materia di organizzazione ed erogazione delle prestazioni sanitarie, prima invece erogate a tutti i titolari dei permessi umanitari.

1.4) Come accennato, vengono quindi in considerazione materie di sicura competenza regionale, costituzionalmente attribuite alla potesta' legislativa concorrente (come la tutela della salute, l'istruzione e le politiche attive del lavoro) e alla potesta' legislativa residuale (l'assistenza sociale, i servizi sociali e la formazione professionale) delle regioni, ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma Cost.

Cio', d'altra parte, e' gia' stato riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale: questa ecc.ma Corte, infatti, ha precisato che «l'intervento pubblico concernente gli stranieri non puo' (...) limitarsi al controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla salute all'abitazione, materie che intersecano ex Costituzione, competenze dello Stato con altre regionali, in forma esclusiva o concorrente». (cfr. sentenze n. 156 del 2006, n. 300 del 2005, n. 299 del 2010).

Nello stesso senso rilevano anche le ulteriori pronunce di questa Corte numeri 269/2010, 299/2010 e 61/2011 ove e' stato sottolineato l'intreccio tra le competenze statali in tema di immigrazione e le competenze regionali (assistenza sociale, istruzione, salute, abitazione). In particolare, nella sentenza n. 61/2011, le disposizioni legislative regionali impugnate dal Governo sono state giustificate dalle finalita' perseguite dal legislatore regionale, «in un contesto di competenze concorrenti o residuali», di predispone «sistemi di tutela e promozione, volti ad assicurare l'opportunita' per le persone straniere presenti in Campania di accedere a diritti quali quello allo studio ed alla formazione professionale, all'assistenza sociale, al lavoro, all'abitazione, alla salute».

La Regione Toscana, come sopra evidenziato, ha fatto ampio uso di tali competenze, disciplinando specifici interventi di inclusione e integrazione sociale, nel pieno rispetto di quanto stabilito da questa Corte, la quale ha sottolineato la necessita' che i beneficiari delle azioni in tale ambito previsti dal legislatore regionale siano individuati in modo ragionevole, non arbitrario e quindi nel rispetto dell'art. 3 Cost. (sentenze n. 432/2005; n. 166/2018).

E' quindi indubbio che le disposizioni qui contestate vanificano la legislazione regionale e gli interventi che, sulla base di questa, sono stati programmati ed erogati ai soggetti titolari di permesso di soggiorno umanitario, con conseguente lesione delle attribuzioni costituzionali nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma Cost., nonche' delle relative funzioni amministrative spettanti agli enti locali e alla Regione, ai sensi dell'art. 118 Cost., costringendo quest'ultima a rimodulare tali funzioni con l'esclusione, dai destinatari delle azioni sinora erogate, dei soggetti in esame, fino a ieri pienamente regolari e fruitori di politiche regionali volte a favorirne l'inclusione sociale, i quali sono divenuti o sono destinati a divenire inesorabilmente irregolari.

Per gli stessi motivi e per la violazione degli stessi parametri costituzionali, anche il comma ottavo dell'art. 1 del decreto-legge n. 113 del 2018 risulta costituzionalmente illegittimo, giacche' non permette al titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in corso di validita' alla data di entrata in vigore della nuova disciplina, il rinnovo a condizioni di rilascio invariate, il che incide sui percorsi di integrazione gia' avviati dalla Regione alla luce delle competenze sopra evidenziate.

1.5) Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilasciabile a fronte di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano», ai sensi dell'art. 5, comma 6 del decreto legislativo n. 286 del 1998, trova fondamento negli articoli 2, 3 e 10 Cost.

Cio' perche' questo permesso e' uno strumento che permette di riconoscere a tutte le persone i diritti inviolabili dell'uomo, nel rispetto del dovere di solidarieta' economica e sociale secondo l'art. 2 Cost. nonche' di evitare discriminazioni arbitrarie e non ragionevoli, nel rispetto dell'art. 3 Cost.

Questa ecc.ma Corte infatti, in merito ai «seri motivi umanitari», si e' cosi' espressa : «Non sembra dubbio che i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alle fattispecie previste dalle Convenzioni universali che impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione e garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia nella Costituzione, non solo per il valore di diritti inviolabili in forza dell'art. 2, ma anche perche' al di la' della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano completandosi reciprocamente nell'interpretazione» (cosi' la sentenza n. 381 del 1999).

Tale permesso umanitario e' poi lo strumento per attuare il diritto di asilo costituzionalmente garantito dall'art. 10, terzo comma Cost.

La Corte di cassazione civile, sez. I, con la sentenza n. 4455/2018 ha affermato: «La protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell'asilo costituzionale (art. 10 Cost., comma 3), secondo il costante orientamento di questa Corte (Cass. n. 10686 del 2012; n. 16362 del 2016), unitamente al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle liberta' democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tutt'ora oggetto di ampio dibattito».

In effetti, le situazioni che impediscono - nel Paese di provenienza dello straniero - «l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana» non sono solo quelle che precludono l'esercizio dei diritti che piu' direttamente attengono alla democrazia (liberta' di espressione, di associazione etc.), ma tutte quelle che incidono sui diritti fondamentali e sulle condizioni minime di una vita sicura e dignitosa. Come noto, infatti, i diritti alla vita, alla salute, all'istruzione etc. sono il presupposto per l'esercizio delle liberta' (piu' strettamente) «democratiche». L'art. 10, terzo comma, Cost. va dunque letto in collegamento con gli articoli 2 e 3 Cost.

Poiche' i presupposti della protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria) sono ben definiti e tipizzati ai sensi del decreto legislativo n. 251 del 2007, tutte le altre situazioni in cui lo straniero era privato, nel proprio Paese, di uno o piu' diritti fondamentali, non esistendo le condizioni minime di una vita sicura e dignitosa, trovavano tutela tramite il permesso umanitario.

Cosi', essendo attuativo del diritto di asilo, il permesso umanitario «generale» si ricollegava in particolare alla seconda parte dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 286 del 1998, cioe' a quella che menzionava gli obblighi costituzionali («seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»).

Cio' trova conferma nella citata pronuncia della Corte di cassazione n. 4455/2018, ove si afferma che il permesso di soggiorno umanitario fronteggia situazioni di vulnerabilita' personale che meritano di essere tutelate attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso, nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello del paese di origine, idoneo a costituire «significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili».

Il parametro di riferimento rispetto alla violazione dei diritti umani, in un contesto in cui emerga anche la presenza di un effettivo radicamento sociale, diventano gli articoli 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, i quali, nell'interpretazione accolta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sent. 20 marzo 1991, Cruz Varas e altri contro Svezia; 30 ottobre 1991, Vilvarajah e altri contro Regno Unito; 28 febbraio 2008, Saadi contro Italia) impongono agli Stati di offrire protezione agli stranieri che, se rimandati nei paesi d'origine, potrebbero essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti, senza possibilita' di bilanciare il diritto dello straniero con altri interessi, eventualmente confliggenti, e quindi senza che sia possibile che tale obbligo subisca deroghe.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, dunque, permette di attuare una uguaglianza sostanziale tra soggetti presenti nel territorio, creando una parita' tra i cittadini degli Stati membri e questi stranieri che con il permesso suddetto sono regolarmente soggiornanti; il medesimo da' dunque piena attuazione a norme costituzionali, internazionali convenzionali ed europee e, pertanto, i vincoli previsti nell'art. 10, secondo e terzo comma e nell'art. 117, primo comma Cost. impediscono al legislatore nazionale di abrogare tale istituto sostituendolo con altri che non garantiscano piu' un'attuazione completa ed esaustiva a tali obblighi. In altri termini, il legislatore non ha la possibilita' di ridurre l'ampiezza di tutele che sono gia' previste dalla legge, qualora queste tutele siano imposte dall'esigenza di dare intera attuazione ad obblighi costituzionali o sovranazionali. Trattasi di leggi costituzionalmente obbligatorie, che possono dunque essere modificate o sostituite, ma sempre a condizione che la nuova disciplina dia comunque attuazione ai medesimi obblighi ai quali dava attuazione quella abrogata, senza arretramenti delle tutele.

Ne consegue che le impugnate disposizioni, eliminando la previsione del permesso di soggiorno per motivi umanitari di carattere generale e non permettendone il successivo rinnovo alla scadenza, violano gli articoli 2, 3 e 10 Cost., di cui quell'istituto costituiva attuazione, l'art. 117, primo comma, oltre che l'art. 32 della Cost. per le restrizioni all'iscrizione al Servizio sanitario regionale conseguente alla soppressione del permesso umanitario generale, sostituito con permessi tipizzati, i quali non tutti permettono l'assistenza sanitaria ordinaria, con inevitabile restrizione della tutela della salute dei relativi soggetti interessati (come evidenziato al precedente punto 1.3).

1.6) La violazione degli articoli 2, 3 e 10 Cost. e' assai accentuata anche considerando il particolare impatto che le norme impugnate producono sui minori.

L'impugnata disposizione infatti impatta su:   i Minori stranieri non accompagnati (MSNA) che si apprestano a diventare maggiorenni (c.d. neomaggiorenni);   i nuclei familiari di origine straniera in cui sono presenti minori di eta' (minori accompagnati).

L'abolizione della protezione umanitaria determina conseguenze sul livello di protezione dei minori, in particolare dei neomaggiorenni, in termini di rischi di interruzione dei percorsi di inclusione sociale predisposti dai servizi sociali territoriali e dal Tribunale per i minorenni al compimento dei 18 anni. La nuova normativa non prevede, infatti, alcuna misura di sostegno/accompagnamento rivolta ai giovani neomaggiorenni ne', in particolare, norme specifiche che possano garantire un'effettiva accoglienza a coloro che risultano essere - in eta' minorile - in affidamento ai servizi sociali secondo i provvedimenti disposti dal Tribunale per i minorenni, in ottemperanza all'art. 13 della legge n. 47 del 2017. Per tali situazioni, fino ad oggi, e' stato concessa una protezione umanitaria con un permesso di soggiorno di due anni rinnovabile e convertibile, in linea con il principio internazionale di non respingimento (ribadito anche nel decreto legislativo n. 286 del 1998 e nella legge n. 47 del 2017).

Ma anche il percorso del minore non accompagnato non richiedente protezione internazionale appare oggi esposto a nuove difficolta' al momento del raggiungimento della maggiore eta': secondo l'art. 32 del decreto legislativo n. 286 del 1998 i MSNA con permesso di soggiorno per minore eta' possono richiedere la conversione dello stesso al compimento dei 18 anni in permesso per lavoro, attesa occupazione o studio. Tuttavia, uno dei requisiti per la conversione e' il possesso del passaporto. Considerate le difficolta' a cui gran parte dei MSNA va incontro nell'ottenimento del passaporto da parte delle Ambasciate e/o dalla non volonta' di accedervi per timore di ripercussioni, molti di loro hanno difficolta' nella conversione del permesso di soggiorno.

In definitiva, per quanto concerne i minori, l'abolizione della protezione umanitaria:   ha reso i MSNA ancora piu' vulnerabili, soprattutto in relazione alla delicatissima fase di transizione dalla minore alla maggiore eta' (anche nell'ottica di dare senso e coerenza agli sforzi/investimenti, in termini di risorse, compiuti dai servizi socio-sanitari nel periodo minorile);   appare in contrasto con la politica regionale tesa a promuovere percorsi di autonomia dei neo-maggiorenni, anche attraverso soluzioni residenziali ad essi dedicati (ai sensi dell'art. 21, comma 2 del Regolamento 9 gennaio 2018, n. 2/R).

1.7) La violazione delle richiamate norme costituzionali puo' senz'altro essere fatta valere dalla Regione odierna ricorrente.

La giurisprudenza costituzionale, infatti, e' costante (da ultimo, sentenze n. 79 del 2018, n. 13 del 2017, n. 287, n. 251 e n. 244 del 2016) nell'affermare che le regioni possono evocare parametri costituzionali diversi da quelli che riguardano la ripartizione di competenze tra Stato e regioni, a due condizioni: quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite (sentenze n. 8 del 2013 e n. 199 del 2012) e quando le regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza della lamentata illegittimita' costituzionale sul riparto di competenze, indicando la specifica competenza che risulterebbe offesa e argomentando adeguatamente in proposito (sentenze n. 65 e n. 29 del 2016, n. 251, n. 189, n. 153, n. 140, n. 89 e n. 13 del 2015).

Tali condizioni ricorrono evidentemente nel caso in oggetto.

Le impugnate disposizioni del decreto-legge n. 113 del 2018, per le argomentazioni di cui ai precedenti punti 1.2, 1.3 e 1.4, incidono sulle materie della tutela della salute, dell'istruzione, delle politiche attive del lavoro, dell'assistenza sociale e servizi sociali, della formazione professionale e dunque sulle attribuzioni costituzionalmente garantite alle regioni ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma Cost., nonche' sulle relative funzioni amministrative spettanti agli enti regionali e locali, ai sensi dell'art. 118 Cost.

Tale incidenza determina che - con l'eliminazione del permesso umanitario di carattere generale e l'impossibilita' del suo rinnovo alla scadenza - stranieri che oggi sono regolari sul territorio regionale e fruitori degli interventi e delle misure che la Regione Toscana ha attuato nelle citate materie (con le leggi indicate e con i conseguenti atti applicativi della stessa Regione e degli enti locali toscani) diventeranno irregolari, senza che sia reale e garantita dalla nuova disciplina qui contestata la possibilita' della loro espulsione. Da tale effetto, come rilevato, discendono alcuni sicuri obblighi conformativi sulle attribuzioni costituzionali della Regione sopra menzionate e, in particolare:   a) l'impossibilita' di continuare ad applicare un sistema di welfare basato sul principio di universalita', introdotto dal legislatore regionale sia per l'assistenza sanitaria (articoli 3 della legge regionale n. 40 del 2005) che per quella sociale (art. 2 della legge regionale n. 41 del 2005);   b) l'impossibilita' di continuare ad erogare a soggetti che oggi sono regolarmente presenti sul territorio regionale, le prestazioni disciplinate e previste dalle leggi regionali in materia di diritto alla salute, servizi sociali, istruzione, politiche attive del lavoro, formazione professionale, vanificando cosi' la legislazione regionale e gli strumenti in questi anni approntati con impegno e risorse finanziarie investite;   c) l'impossibilita' di conoscere e di identificare tali soggetti, una volta che saranno diventati irregolari, e di organizzare nei loro confronti efficaci misure di profilassi e cura di malattie infettive, con il rischio, quindi, del diffondersi di malattie anche per la popolazione toscana;   d) il rischio concreto di aumento della criminalita', posto che l'insussistenza di strumenti di espulsione determinera' l'emarginazione di tali soggetti e quindi il loro facile adescamento da parte della criminalita' organizzata, con conseguente lesione delle attribuzioni regionali e degli enti locali in merito alla sicurezza urbana. A tale proposito, si rammenta che questa ecc.ma Corte, nella sentenza n. 407/2002, ha sottolineato che per definire il concetto di «sicurezza pubblica» «e' sufficiente constatare che il contesto specifico della lettera h) del secondo comma dell'art. 117 [ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale], - che riproduce pressoche' integralmente l'art. 1, comma 3, lettera l) della legge n. 59 del 1997 - induce, in ragione della connessione testuale con "ordine pubblico" dell'esclusione esplicita della "polizia amministrativa locale", nonche' in base ai lavori preparatori, ad un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica". Questa infatti, secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, e' da configurare, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico» (seguono lo stesso orientamento anche le pronunce successive: cfr. sentenze n. 428/2004; n. 105/2006; n. 222/2006; n. 237/2006; n. 196/2009).

A fronte degli interventi ricadenti nell'ambito della nozione di «sicurezza pubblica», in quanto tali rimessi alla competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., si collocano dunque, con autonoma evidenza, gli interventi di polizia amministrativa locale che, in base al combinato disposto dei commi secondo, lettera h) e quarto dell'art. 117 Cost., rientrano nella sfera della potesta' legislativa residuale delle regioni.

Le iniziative legislative e amministrative assunte dalla odierna ricorrente e dai comuni toscani nelle materie di propria competenza, allo scopo di favorire l'inclusione sociale anche degli stranieri titolari del permesso di soggiorno umanitario hanno permesso il miglioramento delle condizioni di vivibilita' nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale. E' chiaro, pero', che in tale ambito, evidentemente indefinito, sono ricomprese anche le attivita' di prevenzione e lotta al degrado urbano, volte a favorire un ordinato sviluppo delle relazioni sociali ed economiche e un'ordinata e civile convivenza della comunita' regionale: anche tali azioni, espressione di competenze costituzionalmente riconosciute della Regione e degli enti locali, subiscono una menomazione con le norme impugnate, il cui effetto, si ripete, e' appunto quello di creare un numero elevato di clandestini che rimarranno nel territorio regionale per lungo periodo di tempo.

2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera f), per violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Lesione indiretta delle attribuzioni legislative e amministrative regionali di cui agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. in materia di «edilizia residenziale pubblica» e di «formazione professionale».

L'art. 1, comma 1, lettera f), n. 2, del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, introduce all'art. 18-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, dopo il comma 1 relativo alla disciplina del permesso di soggiorno speciale per stranieri vittime di violenza domestica, il comma 1-bis, ai sensi del quale «Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo reca la dicitura "casi speciali", ha la durata di un anno e consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico previsto dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'. Alla scadenza, il permesso di soggiorno di cui al presente articolo puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo, secondo le modalita' stabilite per tale permesso di soggiorno ovvero in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi».

2.1) Tale disposizione lascia fuori dal suo campo di operativita' almeno il diritto all'alloggio e il diritto alla formazione, cosi' incidendo sulla competenza legislativa regionale in materia di «formazione professionale» e di edilizia residenziale pubblica, la quale, per quel che concerne la «gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica», rientra nella competenza legislativa residuale regionale ex art. 117, quarto comma, Cost., e, quanto alla sua programmazione, rientra invece nella competenza concernente il «governo del territorio» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (cosi', da ultimo, la sentenza n. 273 del 2016), nonche' sulle relative funzioni amministrative di cui all'art. 118 Cost.

(Corte cost. n. 273 del 2016). Cio' significa che la Regione, nella programmazione e assegnazione di alloggi, cosi' come nella disciplina e nell'esercizio delle funzioni relative alla «formazione professionale», dovra' escludere dai relativi destinatari gli stranieri che non godono piu' del permesso di soggiorno «umanitario» di cui in precedenza, ancorche' siano vittime di violenza domestica.

2.2) La norma in esame e' incostituzionale poiche', escludendo il diritto all'alloggio e alla formazione per gli stranieri vittime di violenza domestica, discrimina la posizione di questi ultimi, comunque in possesso di un permesso di soggiorno speciale, rispetto a quella degli stranieri che sono titolari del permesso di soggiorno di cui all'art. 32, comma 3, decreto legislativo n. 25 del 2008 e, in generale, rispetto allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio: cosi' violando tanto l'art. 2, quanto l'art. 3 della Costituzione.

2.3) Tale illegittimita' si risolve, a sua volta, nella lesione indiretta delle attribuzioni legislative e amministrative regionali relative alle materie sulle quali incidono i diritti non contemplati - e, dunque, esclusi - dalla norma in esame, ovvero - come si e' detto - quelli attinenti alla «formazione professionale» e all'edilizia residenziale pubblica (la quale, per quel che concerne la «gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica» rientra nella competenza legislativa residuale regionale ex art. 117, quarto comma, Cost., mentre, quanto alla sua programmazione, rientra nella competenza concernente il «governo del territorio» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.).

3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2 del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, per violazione degli articoli 2, 3, 10, 97, 117 primo comma Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni legislative e amministrative regionali di cui agli articoli 117, terzo e quarto comma e 118 Cost. in materia di politiche attive del lavoro, assistenza sociale e servizi sociali, formazione professionale e istruzione.

L'art. 13, comma 1, lettera a) n. 2 del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, inserisce il comma 1-bis all'art. 4 del decreto legislativo n. 142 del 2015 e si riferisce ai richiedenti asilo i quali, sino a che non sia definita la procedura e siano quindi in attesa di una decisione della commissione territoriale (o dell'esito del ricorso promosso avverso la pronuncia sulla richiesta), sono titolari di un permesso di' soggiorno e vengono sistemati nelle strutture di prima accoglienza (CARA e CAS).

La norma stabilisce che questo permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica.

Va subito precisato che il procedimento per il permesso di soggiorno al richiedente asilo non e' breve, perche' le commissioni impiegano circa due anni per la relativa definizione, cui vanno sommati i tempi del contenzioso di altri due/tre anni.

Tanto premesso, la previsione incide in materie di competenza regionale e degli enti locali per plurimi motivi.

3.1) L'articolo impugnato modifica le disposizioni del decreto legislativo n. 142 del 2015 di diretta attuazione della direttiva europea 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Quest'ultima, all'art. 7, prevede la residenza e la libera circolazione dei richiedenti, norma recepita dall'art. 4 del decreto legislativo n. 142 del 2015, oggi modificato dalla contestata disposizione. Con tale modifica quindi si incide direttamente sui vincoli imposti dalla direttiva europea, in violazione dell'art. 117, primo comma Cost. Detto parametro costituzionale e' violato altresi' in riferimento sia all'art. 2, comma 1, del Protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, reso esecutivo in Italia con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1982, n. 217, sia all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881, i quali prevedono, rispettivamente, che «Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente la sua residenza» e che «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio». Alla luce delle citate norme internazionali, infatti, i richiedenti asilo, i quali sono titolari di un diritto all'ingresso nel territorio dello Stato, nonche' di quello ad accedere alla procedura di esame della domanda di asilo (cfr., tra le altre, Cassazione SS.UU., sentenza n. 4674 del 1997), e dunque si trovano legalmente nel territorio italiano, hanno il diritto di fissare all'interno di tale territorio la propria residenza: diritto violato dall'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018, nella parte in cui vieta l'iscrizione anagrafica e la conseguente fissazione della residenza per il richiedente asilo.

3.2) La disposizione impugnata non ha abrogato la norma contenuta nell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998, ai sensi del quale «Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani...» con la conseguenza che si crea una situazione di assoluta incertezza sulla normativa applicabile ai richiedenti asilo regolarmente presenti, a danno della efficienza dell'azione amministrativa delle amministrazioni regionali e locali, in violazione dell'art. 97 Cost.

3.3) L'iscrizione anagrafica e' il presupposto per l'accesso all'assistenza sociale, per la concessione di sussidi o agevolazioni previste dalla legislazione statale e regionale basate sulle condizioni di reddito verificate mediante l'indicatore della situazione economica equivalente - ISEE.

Piu' precisamente, per le prestazioni di natura sociale e sociosanitaria, in tutti i casi in cui i richiedenti possano fruire di condizioni agevolate, in base alla condizione economica (priorita' di accesso, tariffe inferiori a quelle massime, concessione di contributi a parziale o totale copertura delle rette, esenzione dalla contribuzione al costo dei servizi), l'accesso alle condizioni agevolate deve essere valutato utilizzando l'indicatore della situazione economica equivalente ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159; la determinazione e l'applicazione di tale indicatore ai fini dell'accesso alle prestazioni sociali agevolate costituiscono livello essenziale delle prestazioni. Presupposto per poter ottenere l'ISEE, secondo quanto previsto dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, e' avere la residenza anagrafica.

Pertanto senza la residenza anagrafica non sara' possibile ai richiedenti asilo avere la determinazione ed applicazione dell'ISEE - che pure costituisce, come sopra rilevato, un livello essenziale delle prestazioni sociali - e quindi fruire delle prestazioni sociali agevolate erogabili in base all'ISEE stesso. Si tratta delle esenzioni e dei sostegni parziali o totali delle rette di asili nido, scuole dell'infanzia e centri diurni; dei contributi per garantire la permanenza a domicilio di persone anziane, disabili o con problemi di salute mentale; dell'erogazione di buoni per farmaci e per generi alimentari da comperare nei supermercati convenzionati; del pagamento totale o parziale delle bollette per le utenze domestiche di prima necessita', di sussidi per i canoni di locazione o per l'acquisto della prima casa. Inoltre, in base a quanto ad esempio prevede oggi alla legge regionale Toscana n. 2 del 2019, la residenza anagrafica e' richiesta per la partecipazione ai bandi di concorso per accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

3.4) Si consideri altresi' che chi entra in Italia come richiedente asilo e resta in tale condizione per tre o quattro anni (anche a causa della durata del contenzioso seguente alla decisione della Commissione territoriale) non puo' maturare nel frattempo i requisiti di durata della residenza necessari per l'accesso al reddito di inclusione (REI), ai sensi del decreto legislativo n. 147 del 2017, cosi' come a tutte le altre prestazioni statali, regionali e locali che spesso vengono condizionate alla durata della residenza sul territorio nazionale, regionale o locale.

3.5) La previsione impugnata incide anche sulle politiche attive del lavoro. La residenza e' infatti prevista per l'iscrizione allo stato di disoccupazione ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2015; l'assenza dello stato di disoccupazione preclude l'accesso a tutti i servizi di politica attiva del lavoro finanziati dal Fondo sociale europeo che sono quelli a maggior valore aggiunto e che possono risultare piu' efficaci per l'occupabilita' di queste persone. Cio' vale in riferimento a politiche attive come: l'avviso per l'erogazione di contributi ai soggetti ospitanti privati per i rimborsi forfettari erogati ai tirocinanti; i voucher formativi individuali; i corsi di formazione professionale finanziati; la sperimentazione regionale dell'assegno di ricollocazione; l'avviso per l'erogazione di contributi ai datori di lavoro privati a sostegno dell'occupazione; in tali casi lo status di disoccupato, certificato mediante regolare iscrizione, e' condizione necessaria.

3.6) Quindi, nella misura in cui si pone una regola che vieta l'iscrizione all'anagrafe per questi soggetti (tra l'altro regolarmente soggiornanti e maggiormente fragili, trattandosi di persone che hanno presentato richiesta di asilo), si preclude alle regioni e agli enti locali di programmare interventi a loro favore nelle materie dell'assistenza sociale, della formazione professionale, del lavoro, con interferenza sulle scelte legislative che, in tali ambiti, competono all'Amministrazione regionale, ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma Cost., nonche' sul concreto esercizio delle funzioni amministrative spettanti in base all'art. 118 Cost. perche' la Regione ed i comuni saranno costretti ad escludere, dai servizi nei citati ambiti, i richiedenti asilo.

Cio' e' tanto piu' rilevante considerando che l'assistenza sociale e la formazione professionale sono materie di competenza legislativa residuale delle regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost. e che, anche per le materie di legislazione concorrente (come il lavoro e l'istruzione), le regioni devono rispettare solo i principi fondamentali che informano la materia stessa. La disposizione censurata non puo' ritenersi espressione di un principio fondamentale, in quanto non ha alcuna attinenza con le materie delle politiche attive del lavoro e dell'istruzione.

3.7) Peraltro l'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2 non puo' essere ritenuto espressivo di un principio fondamentale vincolante per le regioni nelle materie di loro attribuzione anche perche' contrasta evidentemente con rilevanti regole costituzionali.

La necessaria parita' di trattamento tra stranieri regolarmente soggiornanti (quali sono senz'altro i richiedenti asilo) e cittadini e' gia' considerata fondamentale da questa ecc.ma Corte, la quale ha avuto modo di affermare (sent. n. 306/2008) che «una volta che il diritto a soggiornare non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo nei loro confronti particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini».

La norma impugnata si pone dunque in contrasto con l'art. 3, primo comma Cost. perche' discrimina in modo irragionevole i richiedenti asilo sia rispetto ai cittadini, sia rispetto alle altre categorie di stranieri regolarmente presenti sul territorio, cui l'iscrizione anagrafica non e' preclusa.

Inoltre la giurisprudenza ha sempre rilevato che l'iscrizione anagrafica e' un diritto soggettivo (tra le tante: Corte di cassazione 14 marzo 1986, n. 1738), espressione dell'art. 2 Cost., violato dalla contestata disposizione; la sua negazione ai richiedenti asilo e' di dubbia costituzionalita' anche perche' in contrasto con l'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che vieta ogni discriminazione tra cittadini degli Stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti. Similmente, la Convenzione relativa ai rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 722 del 1954; stabilisce all'art. 26 che «Ciascuno Stato contraente concede ai rifugiati che soggiornano regolarmente sul territorio, il diritto di scegliervi il loro luogo di residenza»: emerge, percio', anche la violazione dell'art. 10, secondo comma e dell'art. 117, primo comma Cost., perche' la norma in esame non e' conforme alle norme e ai trattati internazionali per quanto attiene alla condizione giuridica dello straniero.

In conclusione quello all'iscrizione all'anagrafe e' un diritto elementare, essenziale: non si tratta di una graziosa concessione dello Stato; e' indice del fatto che una persona esiste ed e' stabilmente - ancorche' pro tempore - collegata a un determinato territorio.

La disciplina censurata, invece, mira ad escludere uomini e donne dai servizi di welfare che sono fondati sul principio di universalita'.

3.8) Anche nel caso in esame, la violazione degli articoli 2, 3, 10, 97 e 117 primo comma Cost. puo' senz'altro essere fatta valere dalla Regione ricorrente, in applicazione del principio della ridondanza richiamato nel precedente punto 1.7, ossia in ragione della lesione indiretta che si determina a carico delle competenze della Regione.

L'impugnata disposizione, per le argomentazioni sopra esposte, incide infatti sulle materie delle politiche attive del lavoro, dell'assistenza sociale e servizi sociali, della formazione professionale e dell'istruzione, e dunque sulle attribuzioni costituzionalmente garantite alle regioni ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma Cost., nonche' sulle relative funzioni amministrative spettanti agli enti regionali e agli enti locali ai sensi dell'art. 118 Cost.

Si consideri, in proposito, che la legge regionale n. 41 del 2005, che disciplina il sistema integrato di interventi e servizi sociali, e' organizzata, per l'appunto, sulla residenza anagrafica dei destinatari degli stessi, ai quali il comune di residenza assicura la definizione del percorso personalizzato assistenziale, ai sensi dell'art. 7 della stessa legge regionale.

L'abrogazione (incostituzionale per quanto si e' detto) del diritto all'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, oltre a rappresentare un sostanziale atto discriminatorio, impone al legislatore regionale la modifica della vigente legislazione, determinando altresi' per gli enti locali e per la Regione, ai fini delle funzioni di programmazione e organizzazione dei servizi socio-sanitari integrati di livello regionale; l'oggettiva impossibilita' di: avere contezza del numero effettivo delle persone regolarmente presenti sul territorio e quindi di poter programmare ed organizzare i servizi necessari. L'art. 2, comma 2 della legge regionale n. 41 del 2005 stabilisce che la programmazione e l'organizzazione del sistema integrato, in conformita' con i livelli essenziali delle prestazioni sociali definiti dallo Stato, competono alla Regione ed agli enti locali: e' evidente che il primo dato indispensabile per svolgere tale funzione e' conoscere il numero dei possibili soggetti bisognosi di assistenza;   poter fondare l'accesso al sistema di welfare su un titolo previsto come necessario.

Inoltre, sempre ai fini delle funzioni regionali inerenti alla programmazione e all'organizzazione dei servizi socio-sanitari integrati, l'impugnata disposizione normativa ha l'effetto di scorporare il sottoinsieme dei richiedenti asilo dall'insieme degli stranieri regolarmente presenti sul territorio quanto alla possibilita' di accedere al complesso dei servizi e degli interventi di cui all'art. 5, commi 1 e 2, della legge regionale n. 41 del 2005, confinandoli nei soli limiti degli interventi di prima assistenza di cui al comma 4 dello stesso articolo, in contrasto con il carattere di universalita' del sistema integrato di interventi e servizi sociali sancito all'art. 2, comma 1 della medesima legge regionale.

3.9) Ne' i suddetti profili di incostituzionalita' possono ritenersi superati dalla disposizione contenuta nello stesso art. 13 al comma 1, lettera b), n. 1 il quale, sostituendo il comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 142 del 2015, dispone che l'accesso ai servizi previsti dallo stesso decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio comunicato alla questura o corrispondente all'indirizzo del Centro presso cui il richiedente si trova.

Cio' per molteplici motivi:   a) in primo luogo spetta alle regioni definire le condizioni di accesso al sistema di assistenza sociale; come gia' rilevato, nel territorio della Regione Toscana, in base alla legge regionale n. 41 del 2005, il sistema integrato di interventi e servizi sociali, per offrire una assistenza piena, e' basato sulla residenza anagrafica e quindi la norma impugnata incide evidentemente su tale legge imponendone una modifica, con lesione indiretta delle competenze regionali di cui all'art. 117, terzo e quarto comma Cost.;   b) l'art. 43 codice civile configura in termini giuridici diversi la residenza e il domicilio: solo la residenza indica il luogo in cui abitualmente si vive, impone l'obbligo della registrazione anagrafica (che permette al Comune di conoscere le persone presenti sul territorio), ha carattere di stabilita' e quindi da' visibilita' alla persona.

Non vi e' equipollenza tra i due diversi istituti giuridici e la disposizione censurata e' del tutto generica, vaga e quindi inidonea a modificare le differenze civilistiche esistenti tra i due istituti.

La disposizione che qui si contesta non fornisce alcuna indicazione su come in concreto possa essere assicurata la piena ed effettiva equipollenza tra residenza e domicilio e pertanto essa non permette di superare i vizi denunciati;   c) in ogni caso l'eliminazione per i richiedenti asilo della residenza anagrafica e la sua sostituzione con il mero domicilio impone all'Amministrazione regionale e agli enti locali che erogano i servizi socio-sanitari l'organizzazione sulle piattaforme informatiche di due diverse procedure (anziche' di una sola), che complicheranno la gestione e faranno crescere i costi (sia in termine di modifica delle piattaforme oggi esistenti che dei relativi corsi di aggiornamento per gli operatori e gestione dei relativi tempi).

Oggi i sistemi per l'erogazione dei servizi sociali dialogano con l'anagrafe e la residenza anagrafica: dunque - pur ammettendo l'equipollenza tra residenza e domicilio per i fini in esame (il che si contesta per i motivi sopra richiamati) -, l'attuazione pratica della nuova previsione legislativa statale richiederebbe una totale riorganizzazione amministrativa, basata sulla duplicazione di strumenti, inefficiente, costosa e inutile;   d) si osservi, inoltre, che la presenza dei richiedenti asilo nell'anagrafe dei residenti rende senz'altro piu' agevole, da parte delle amministrazioni regionali e locali eroganti, il controllo di veridicita' delle autocertificazioni prodotte (certificato di residenza), perche' la residenza e' caratterizzata dall'abitualita' e permanenza, mentre il criterio del domicilio non garantisce altrettanta sicurezza. A tal fine deve ulteriormente notarsi come la residenza, mediante la iscrizione anagrafica, e' accertata una volta per tutte in modo ufficiale dal Comune, il che da' certezza a tutti; invece, il domicilio e' situazione oggettivamente piu' vaga, flessibile e incerta, che occorre di fatto provare volta per volta; il che diviene operazione piu' difficile proprio per chi sia appena arrivato nel paese e percio' abbia maggiori difficolta' di comprensione linguistica. Tale differenziazione costituisce ulteriore profilo di illegittimita' in quanto ingenera inefficienze contrarie al principio di buon andamento delle amministrazioni regionali e locali sancito dall'art. 97 della Costituzione;   e) infine si consideri che la variabilita' del domicilio rende piu' difficile organizzare i controlli sui soggetti presenti sul territorio e, quindi, programmare i servizi socio - sanitari necessari. La facilita' di modificazione del domicilio favorisce poi anche la possibilita' di abusi non governabili (un richiedente asilo potrebbe mutare il proprio domicilio nelle varie realta' territoriali per poter usufruire del maggior numero di servizi che ogni territorio e' in grado di offrire).

E' evidente, pertanto, l'incidenza della disposizione impugnata sulle competenze regionali garantite dagli articoli 117, terzo e quarto comma e 118 Cost. Per i profili evidenziati sussiste anche la violazione dell'art. 97 Cost., che determina anch'essa una lesione indiretta delle richiamate attribuzioni costituzionali della Regione.

4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, per violazione dell'art. 32 Cost. Lesione indiretta delle attribuzioni costituzionali della Regione in materia di «tutela della salute» riconosciute dall'art. 117, terzo comma Cost.

Il DASPO (acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) urbano e' stato introdotto dagli articoli 9 e 10 del decreto-legge n. 14 del 2017, convertito in legge dalla legge n. 48 del 2017: si tratta di una misura con cui il sindaco puo' applicare una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro a coloro che impediscono l'accessibilita' e la fruizione di infrastrutture di trasporto (strade, ferrovie, aeroporti) in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti e disporre l'allontanamento dal luogo in cui il fatto e' stato commesso.

I regolamenti comunali di polizia urbana individuano le aree urbane su cui insistono scuole, plessi scolastici e siti universitari; musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi di cultura o interessati da flussi turistici in cui si applica l'allontanamento suddetto; l'allontanamento e' disposto anche per chi in tali zone si trovi in stato di ubriachezza, compia atti contrari alla pubblica decenza, eserciti commercio abusivo su spazi pubblici e compia attivita' di parcheggiatore abusivo.

La disposizione qui contestata estende la possibilita', per i regolamenti di polizia urbana, di introdurre tale allontanamento, sempre per le stesse condotte sopra individuate, anche alle aree urbane in cui insistono presidi sanitari nonche' alle aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli, ovvero adibite a verde pubblico.

Ne deriva che oggi il Daspo urbano colpisce sempre le stesse condotte e cioe':   impedimento dell'accessibilita' e della fruizione di infrastrutture di trasporto ( strade, ferrovie, aeroporti) in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi;   stato di ubriachezza,   compimento di atti contrari alla pubblica decenza,   esercizio di commercio abusivo su spazi pubblici,   attivita' di parcheggiatore abusivo.

Tali condotte, per essere colpite con l'allontanamento, devono essere compiute nelle aree previste dai regolamenti comunali di polizia urbana su cui insistano:   presidi sanitari;   scuole e plessi scolastici e siti universitari;   musei, aree e parchi archeologici;   complessi monumentali o altri istituti e luoghi di cultura o interessati da flussi turistici;   aree destinate a svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli o adibite a verde pubblico.

Quindi i regolamenti comunali potranno estendere l'ambito applicativo del DASPO anche alle aree in cui insistono presidi sanitari.

Tale previsione e' costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 32 Cost., in quanto alla persona sottoposta a DASPO potra' essere vietata la possibilita' di accedere al luogo in relazione al quale il DASPO e' stato disposto.

Ne deriva che in caso di sopravvenuti problemi di salute (magari non conclamati da situazioni di assoluta urgenza o evidenza) della persona sottoposta a DASPO, si potranno ingenerare dubbi sul diritto della stessa ad accedere al presidio sanitario, con lesione conseguente del diritto alla salute costituzionalmente tutelato (art. 32 Cost.) e conseguente lesione indiretta delle attribuzioni regionali relative alla materia «tutela della salute» di cui all'art. 117, terzo comma Cost.

 

P.Q.M.

 

Si conclude affinche' piaccia all'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, lettera b) ed ottavo comma, dell'art. 1, primo comma, lettera f), dell'art. 13, primo comma, lettera a), n. 2, dell'art. 21, primo comma, lettera a) del decreto-legge n. 113 del 2018, come convertito in legge, per le ragioni e nei termini sopra esposti.

Si depositano:   1) nota del capo di Gabinetto del presidente del 28 gennaio 2019, con allegate le lettere inviate da comuni toscani al presidente della Regione;   2) nota integrativa del capo di Gabinetto del presidente con allegate le lettere di ulteriori cinque comuni toscani.

Si deposita altresi' la deliberazione della giunta regionale n. 91 del 28 gennaio 2019 di autorizzazione a stare in giudizio.

Firenze - Roma, 31 gennaio 2019

Prof. Avv. Cecchetti