RICORSO N. 10 DELL'1 FEBBRAIO 2019 (DELLA REGIONE UMBRIA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 1° febbraio 2019.

(GU n. 10 del 13.3.2019)

 

Ricorso per la Regione Umbria, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore dott.ssa Catiuscia Marini, con sede in Perugia, corso Vannucci, n. 96, codice fiscale n. 80000130544, giusta procura speciale alle liti in calce al presente atto e in forza della delibera della Giunta regionale della Regione Umbria n. 86 del 28 gennaio 2019 rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Massimo Luciani del Foro di Roma (codice fiscale LCNMSM52L23H501G, fax 06.90236029, posta elettronica certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org) e Paola Manuali dell'Ufficio legale della Regione Umbria (codice fiscale: MNLPLA53H68G478; fax 0755043625; posta elettronica certificata: paola.manuali@avvocatiperugiapec.it), con domicilio eletto presso lo studio del primo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9;   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, nella cui sede in 00186 Roma, via dei Portoghesi, n. 12, e' domiciliato ex lege, per la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; dell'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); dell'art. 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231, come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281.

  Fatto     1.- Con decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231), conv., con modif., in legge 1° dicembre 2018, n. 132 (pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281), sono state adottate «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata».

Le disposizioni di maggiore rilievo del decreto-legge n. 113 del 2018, per quanto qui interessa, sono quelle che seguono.

i) L'art. 1, che ha sostituito il generale istituto del permesso di soggiorno «per motivi umanitari» di cui all'art. 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (recante il «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), con una pluralita' di fattispecie tipizzate e, sulla scorta di tale scelta di fondo, nelle disposizioni qui impugnate, ha adottato la consequenziale disciplina di dettaglio, di coordinamento e di attuazione.

ii) L'art. 12 («Disposizioni in materia di accoglienza dei richiedenti asilo»), che e' intervenuto sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), con disposizioni tutte lesive, a eccezione di quelle escluse dalla presente impugnazione.

iii) L'art. 13, qui interamente gravato, a eccezione del comma 1, lettera a), n. 1, il quale, in particolare, alla lettera a), n. 2), ha novellato l'art. 4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 («Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale»), inserendovi un comma 1-bis, a tenor del quale «il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Lo stesso art. 13, al comma 1, lettera b), n. 1, ha poi sostituito il comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 142 del 2015, disponendo che «l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2».

iv) L'art. 28, comma 1, che ha novellato l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (recante il «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali», hinc inde anche TUEL), inserendovi un comma 7-bis, a tenor del quale «Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione del prefetto emergano, riguardo ad uno o piu' settori amministrativi, situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell'accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalita' l'attivita' amministrativa dell'ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all'ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci».

Gli articoli 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231, come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281, sono lesivi degli interessi e delle attribuzioni costituzionali della Regione Umbria, che ne chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di     Diritto     Premessa. Quanto all'incidenza, delle norme impugnate nelle attribuzioni costituzionali della Regione Umbria. Come risulta dal suo stesso titolo, riportato in epigrafe, il decreto-legge n. 113 del 2018 disciplina una varia pluralita' di oggetti, che, come vedremo al quinto motivo di ricorso, non sono caratterizzati dal tratto dell'omogeneita' e la cui regolazione, pei profili che qui interessano, non e' assistita dalla straordinaria necessita' e urgenza che, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, deve caratterizzare questa categoria di atti. Le norme del decreto-legge, inoltre, nelle parti qui censurate, sono gravemente lesive di plurimi parametri costituzionali ulteriori.

Prima di illustrare i singoli motivi di doglianza, pero', conta ora mettere in luce, in via del tutto preliminare e con riferimento a tutte le previsioni censurate, che i vizi di legittimita' costituzionale di cui appresso si fara' illustrazione sono tutti contestabili in sede di giudizio di legittimita' costituzionale in via d'azione, a causa della loro evidente interferenza con le attribuzioni regionali, cui arrecano un grave pregiudizio.

In primo luogo, l'art. 28 concerne attribuzioni di diretta spettanza regionale, poiche' l'ordinamento egli enti locali e' materia di competenza regionale residuale.

In secondo luogo, come e' noto, l'art. 117, comma 2, lettera b) e h), della Costituzione, ricomprende la materia «immigrazione» e la materia «ordine pubblico e sicurezza» tra quelle assegnate alla competenza esclusiva dello Stato. Nondimeno, la stessa Costituzione, all'art. 118, comma 3, riconosce esplicitamente l'esistenza di un profondo legame fra questa materia e quelle di competenza concorrente, affidate (anche) alla cura delle Regioni. Stabilire che «La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'art. 117 [...]», infatti, equivale a dare atto dell'intreccio competenziale fra tali due materie e le molte altre di competenza regionale, come, in particolare e a tacer d'altro, «tutela e sicurezza del lavoro; istruzione [...]; tutela della salute [...]; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

Codesta Ecc.ma Corte, peraltro, con specifico riferimento alla materia «immigrazione» ha gia' chiarito, nella sentenza n. 299 del 2010, che «deve essere riconosciuta la possibilita' di interventi legislativi delle Regioni con riguardo al fenomeno dell'immigrazione, per come previsto dall'art. 1, comma 4, del decreto legislativo n.

286 del 1998, fermo restando che «tale potesta' legislativa non puo' riguardare aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale, ma altri ambiti, come il diritto allo studio o all'assistenza sociale, attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle Regioni» (sentenza n. 134 del 2010)».

E difatti «l'intervento pubblico concernente gli stranieri non puo' [...] limitarsi al controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla salute all'abitazione - che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato, altre alle Regioni (sentenze n. 156 del 2006, n. 300 del 2005)».

Ebbene: le norme censurate con l'odierno ricorso coinvolgono, come si vedra', non solo competenze statali, ma anche regionali, sia concorrenti che residuali. Competenze che, in fatto, la Regione Umbria ha puntualmente esercitato.

A tal proposito, prendendo le mosse dalle materie di competenza residuale, sia sufficiente osservare che, in materia di edilizia residenziale sociale, l'art. 20, comma 1, della legge regionale Umbria, 28 novembre 2003, n. 23 - recante per l'appunto «Norme di riordino in materia di edilizia residenziale sociale» - annovera tra i beneficiari dei relativi interventi anche gli «stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» o «stranieri in possesso dei requisiti di cui all'art. 40, comma 6 dello stesso decreto legislativo n. 286/1998».

Ancora, con riferimento alla materia dell'assistenza e dei servizi sociali - anch'essa oggetto di competenza regionale residuale (cfr., ex multis, Corte costituzionale, sentenza n. 10 del 2010) - la legge regionale Umbria 9 aprile 2015, n. 11 - «Testo unico in materia di Sanita' e servizi sociali» - all'art. 264, comma 1, annovera tra i destinatari delle prestazioni sociali ivi disciplinate «tutte le persone residenti o domiciliate o aventi stabile dimora nel territorio regionale e le loro famiglie».

Per quanto concerne le competenze concorrenti, l'intreccio e' confermato anche da un rapido esame «a campione» della legislazione vigente in Umbria e anche in altre regioni nelle materie incise, per i profili che qui interessano, dal decreto-legge n. 113 del 2018.

Senza alcuna pretesa d'esaustivita' basti considerare che:   i) quanto alla materia «tutela e sicurezza del lavoro»:   l'art. 33 della legge regionale Umbria 14 febbraio 2018, n.

1 (recante «Sistema integrato per il mercato del lavoro, l'apprendimento permanente e la promozione dell'occupazione.

Istituzione dell'Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro») demanda alla Giunta la disciplina dell'applicazione delle misure di inclusione attiva «a favore di specifiche categorie di soggetti, quali i lavoratori stranieri, i disabili di cui all'art. 1, comma 1 della legge n. 68/1999, i richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale [...]»;   gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia partecipano, nella Regione Umbria, anche alle azioni previste nell'ambito del Programma operativo regionale (POR) del Fondo europeo di sviluppo regionale (FSE), che guida l'impiego dei fondi provenienti dall'Unione europea destinati a realizzare interventi per favorire il lavoro, anche tramite la formazione professionale e altri azioni;   ii) quanto alla materia «istruzione», l'art. 3, comma 1, della legge regionale Basilicata 13 agosto 2015, n. 30, recante «Sistema integrato per l'apprendimento permanente ed il sostegno alle transizioni nella vita attiva», prevede che «le azioni del sistema regionale integrato per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita sono rivolte ai cittadini dell'Unione europea (UE), nonche' agli stranieri ed agli apolidi muniti di regolare permesso di soggiorno»;   iii) quanto alla materia «tutela della salute», l'art. 13 della legge regionale Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 5, garantisce «ai cittadini stranieri immigrati, che siano nelle condizioni previste agli articoli 34 e 35, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, [...] gli interventi riguardanti le attivita' sanitarie previste dai livelli essenziali di assistenza, nei termini e nelle modalita' disciplinati dalle suddette norme nazionali» (comma 1) e «assicura nei confronti dei cittadini stranieri immigrati, non in regola con il permesso di soggiorno, in particolare, le prestazioni sanitarie di cura ambulatoriali ed ospedaliere, urgenti o comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia ed infortunio» (comma 3);   iv) quanto alla materia «previdenza complementare e integrativa» (incisa perche' i migranti regolari sono anche contribuenti previdenziali), l'art. 3, comma 1, della legge regionale Veneto 18 maggio 2007, n. 10, stabilisce che «la Giunta regionale e' autorizzata, nei limiti dello stanziamento di bilancio, a concedere a favore di lavoratrici e lavoratori residenti nel Veneto, iscritti ai fondi pensione di natura collettiva, contributi diretti ad assicurare per limitati periodi di tempo la copertura contributiva», prevedendo, quale condizione per il godimento del beneficio, solo la residenza nel territorio regionale e l'iscrizione a fondi pensione e non, ovviamente, la cittadinanza;   v) quanto alla materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», e' superfluo ricordare che gli obblighi tributari regionali gravano anche sugli stranieri; per l'effetto, laddove la legge regionale Umbria 24 dicembre 2007, n. 36, recante «Disposizioni in materia tributaria e di altre entrate della Regione Umbria», fa riferimento alla figura del «contribuente regionale», comprende in tale categoria anche lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio della Regione.

In via ancor piu' generale, si deve osservare che i migranti, oltre che un onere per le Regioni (a causa dei servizi che esse devono erogare), sono per esse anche una risorsa, perche' il loro apporto lavorativo e' necessario per il buon funzionamento dei programmi di sviluppo regionali. Sottrarre queste risorse senza alcun coinvolgimento delle Regioni e' dunque in se' violativo della loro sfera di autonomia.

Tanto considerato, la legittimazione della ricorrente alla contestazione delle disposizioni in epigrafe non puo' ritenersi dubbia, sicche' si puo' passare alla formulazione delle singole censure.

1.- Quanto all'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 2, 3, 10, commi 2 e 3, 11, 117, comma 1, della Costituzione (anche con riferimento agli articoli 15, lettera c), e 18, della direttiva 2011/95/UE, 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto Internazionale di New York sui diritti civili e politici e 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali). Violazione degli articoli 117, commi 2, 3 e 4; 118 e 119 della Costituzione. Come gia' riportato in narrativa, l'art. 1 del decreto-legge n. 113 del 2018 ha apportato significative modifiche sia al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), sia al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (emanato in «Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»).

Prima dell'emanazione del decreto impugnato, l'art. 5 del decreto legislativo n. 286 del 1998 - che disciplina in via generale l'istituto del permesso di soggiorno - prevedeva, al comma 6, che «Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresi' adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari e' rilasciato dal questore secondo le modalita' previste nel regolamento di attuazione».

Sul testo appena menzionato e' intervenuto l'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2018, il quale, alla lettera b), n. 2), ha soppresso l'inciso del primo periodo contenente la menzionata clausola di salvaguardia («salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano») e l'intero secondo periodo, che contemplava la possibilita' del rilascio del permesso di soggiorno «per motivi umanitari».

In secondo luogo, l'art. 32, comma 3, del decreto legislativo n.

25 del 2008, nella versione antecedente l'emanazione del decreto impugnato, disponeva che «Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Anche tale disposizione e' stata modificata dal decreto-legge n.

113 del 2018 (e, segnatamente, dall'art. 1, comma 2).

Conseguentemente, si prevede ora che «Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n, 286, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno annuale che reca la dicitura «protezione speciale», salvo che possa disporsi l'allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga. Il permesso di soggiorno di cui al presente comma e' rinnovabile, previo parere della Commissione territoriale, e consente di svolgere attivita' lavorativa ma non puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro».

Piu' in generale, l'istituto del permesso di soggiorno per «gravi motivi di carattere umanitario» e' stato sostituito da fattispecie direttamente tipizzate dai novellati decreto legislativo n. 286 del 1998 e decreto legislativo n. 25 del 2008, i quali, in particolare, ne consentono il rilascio:   i) quando lo straniero «possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione» (art. 19, comma 1, decreto legislativo n. 286 del 1998);   ii) quando vi siano «fondati motivi» ch'egli possa «essere sottopost[o] a tortura» (art. 19, comma 1.1, decreto legislativo n.

286 del 1998);   iii) per «cure mediche», con riferimento agli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravita'» (art. 19, comma 2, lettera d-bis), decreto legislativo n. 286 del 1998;   iii) per «calamita'» (art. 20-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998);   iv) per «atti di particolare valore civile» (art. 42-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998);   v) per «protezione speciale» (art. 32, comma 3, decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25).

In terzo luogo, l'art. 1, comma 8, del decreto-legge n. 113 del 2018, stabilisce che «Fermo restando i casi di conversione, ai titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari gia' riconosciuto ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, in corso di validita' alla data di entrata in vigore del presente decreto, e' rilasciato, alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Ne consegue che, in sede di rinnovo, la nuova disciplina di cui al menzionato comma 8 dovra' retroattivamente applicarsi anche agli stranieri cui e' stato rilasciato un regolare permesso di soggiorno per «motivi umanitari» ai sensi della normativa previgente.

1.1.- Dalle disposizioni teste' menzionate emerge, in sostanza, che:   gli stranieri che prima avrebbero potuto godere del permesso di soggiorno per «motivi umanitari» diventano irregolari, qualora essi non si trovino nelle condizioni di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1 del novellato decreto legislativo n. 286 del 1998 o in quelle ulteriori per le quali il medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998 o il decreto legislativo n. 25 del 2008 prevedono il rilascio del permesso;   detta irregolarita' non colpisce solamente coloro che presentano richiesta per il menzionato permesso o ai quali esso viene rilasciato successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge n.

113 del 2018, ma si estende anche a chi gia' ne sia in possesso, con conseguente revoca o diniego del rinnovo rispettivamente ai sensi dei commi 1 e 8 dell'art. 1 del decreto impugnato.

1.2.- Tanto premesso, non v'e' dubbio che la nuova disciplina presenti plurimi profili d'illegittimita' costituzionale, come appresso si vedra'.

E' opportuno anzitutto ribadire che il complessivo riordino della normativa relativa al permesso di soggiorno comporta un diretto coinvolgimento delle regioni. A tal proposito, al di la' di quanto gia' osservato in via generale nella Premessa del presente gravame, basti pensare, a titolo esemplificativo:   alla nuova ipotesi di permesso di soggiorno per cure mediche per gli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravita'» di cui all'art. 19, comma 2, lettera d-bis), decreto legislativo n. 286 del 1998, fattispecie indubbiamente connessa alla materia «tutela della salute»;   alla nuova ipotesi di permesso di soggiorno speciale per stranieri vittime di violenza domestica di cui all'art. 18-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale «ha la durata di un anno e consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico [...] o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'» e interseca inevitabilmente le materie «istruzione» e «tutela del lavoro».

Vero quanto precede, le norme censurate incidono illegittimamente non solo nelle attribuzioni attinenti alla funzione legislativa ex art. 117, comma 3, della Costituzione, ma anche in quelle relative alle funzioni amministrative ai sensi dell'art. 118, comma 1, della Costituzione. La Regione, infatti, e' costretta a rimodulare tali funzioni - tanto con riferimento alla loro disciplina, quanto al loro concreto esercizio - escludendo dalla platea dei destinatari gli stranieri che, in virtu' della nuova legislazione statale in materia di permesso di soggiorno, non potranno piu' ottenerne il rilascio o il rinnovo e potranno subirne la revoca. Quanto alle specifiche disposizioni gravate, infine, sono comprese tutte quelle che dettano le scelte di fondo della riduzione della protezione umanitaria, o a tale scelta danno svolgimento. Sono invece escluse quelle che a tale scelta non si collegano.

1.3.- Violato, in secondo luogo, e' l'art. 3 della Costituzione, e con esso il legittimo affidamento dei privati. La lesione - si badi - e' bidirezionale: da una parte, infatti, e' leso l'affidamento dei titolari di un permesso di soggiorno ottenuto in virtu' del precedente assetto normativo; dall'altra, quello di coloro che - sempre alla luce della disciplina previgente - confidavano nel rilascio del citato permesso.

In entrambi i casi siamo di fronte a esempi di retroattivita' «impropria» (c.d. «unechte Rückwirkung»), ancorche' con due distinte gradazioni.

La lesione dell'affidamento e' particolarmente grave per la prima categoria di destinatari, gia' da tempo residenti in Italia e che nutrivano progetti di vita radicalmente condizionati dall'aspettativa del rinnovo del permesso, in costanza delle condizioni per il suo rilascio.

Anche l'altra categoria, pero', e' seriamente colpita, perche' pure in questo caso un progetto di vita, inizialmente attuato con un accesso al territorio nazionale confidante nel possesso dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno, e' stato cancellato dalla disciplina qui censurata.

E' vero che affidamento non vuol dire pretesa all'immutabilita' della disciplina legislativa, ma non e' meno vero che la costante giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, ma anche quella della Corte di giustizia UE e della Corte europea dei diritti dell'uomo, ammette l'incidenza in situazioni soggettive pregresse (nei c.d. «diritti quesiti») solo a condizione che l'intervento legislativo sia: a) necessario; b) proporzionato; c) motivato dal riferimento a interessi costituzionalmente meritevoli di protezione.

Nella specie, nessuna di queste condizioni ricorre, perche' la cancellazione dell'istituto del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non persegue alcun interesse meritevole di tutela e anzi - come subito vedremo al sottoparagrafo che segue - confligge con numerosi strumenti internazionali, qualificabili come fonti interposte in forza dell'art. 117, comma 1, della Costituzione.

1.4.- In terzo luogo, sono violati gli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione. Viene infatti irragionevolmente operata una distinzione tra coloro che, a parita' di condizioni di rilascio, dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 113 del 2018 non potranno piu' godere del permesso di soggiorno e coloro i quali, invece,, potranno egualmente mantenerlo alla luce delle sopravvenienze normative.

L'irragionevolezza di tale distinzione, poi, e' tanto piu' grave, in quanto si ripercuote anche sul godimento delle prestazioni pubbliche e, in generale, sulle situazioni giuridiche soggettive direttamente connesse alla titolarita' del permesso di soggiorno.

La disparita' di trattamento si rileva anche per un diverso profilo. Secondo la giurisprudenza civile e amministrativa, i requisiti per concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari concernono le speciali esigenze relative alla «tutela della famiglia e dei minori, ricongiungimento familiare, [...] persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche» (Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4317), nonche' al «rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti» (Cass. civ., Sez. VI, ordinanza 24 marzo 2011, n. 6879).

Ebbene: poiche' le fattispecie non coincidono integralmente, distinguere coloro che versano in tali condizioni da coloro che presentano i requisiti per i «casi speciali» introdotti dalle disposizioni qui impugnate e' irragionevole e violativo del principio di eguaglianza, in quanto entrambi i gruppi comprendono le persone c.d. «vulnerabili» secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, per le quali lo Stato deve necessariamente apprestare misure volte a evitare che siano soggetti a trattamenti inumani e degradanti (cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentt. 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Grecia e Belgio, e 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera). Conseguentemente, e' violato l'art. 117, comma 1, della Costituzione, atteso che la giurisprudenza ora citata fa leva sull'art. 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.

1.5.- E' poi violato l'art. 10, comma 3, della Costituzione, che riconosce il diritto d'asilo nel territorio nazionale allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche. Significative in proposito sono le statuizioni del giudice della nomofilachia, il quale ha costantemente affermato che «la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell'asilo costituzionale [...], unitamente al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle liberta' democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tuttora oggetto di ampio dibattito» (sentenza Cassazione civ., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ebbene: non e' chi non veda che la formula relativa ai «motivi umanitari» a fondamento del rilascio del permesso di soggiorno rispondeva perfettamente alla necessita', imposta dall'art. 10, comma 3, della Costituzione, di approntare ai richiedenti asilo una tutela elastica, in quanto consustanziale alla «configurazione ampia del diritto d'asilo». Venuta meno quella formula, e' venuta meno anche la pienezza della relativa tutela, relegata a singole fattispecie tipizzate, per cio' solo inidonee (come precisato dalla citata giurisprudenza di legittimita') a realizzare le prescrizioni costituzionali.

1.6.- Non basta. Le disposizioni censurate si pongono anche in contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione (in relazione agli articoli 15, lettera c), e 18 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, recante «norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta»).

Per quanto qui interessa, la Direttiva in esame stabilisce che:   «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria» e' qualsiasi «cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all'art. 15, e al quale non si applica l'art. 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non puo' o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese» (art. 2, lettera g));   ai fini del possesso dei requisiti per la protezione sussidiaria, e' considerata «danno grave» la «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale» (art. 15, lettera c));   gli Stati membri dell'Unione europea «riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese terzo o a un apolide aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria in conformita' dei capi II e V» (art. 18).

Ebbene: la disciplina censurata e' gravemente lesiva dei parametri eurounitari poc'anzi richiamati. Essa, infatti, esclude dal regime di protezione sussidiaria proprio le persone che, ove rientrassero nel Paese di origine, verrebbero esposte alla «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

1.7.- Le norme impugnate, inoltre, sono senz'altro violative degli articoli 2, 10, comma 2, e 117, comma 1, della Costituzione, in riferimento agli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (hinc inde: CEDU) e agli articoli 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881 (hinc inde: Patto).

A tal proposito, e' agevole osservare che il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui agli articoli 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 17, 23 e 24 del Patto sarebbe irrimediabilmente compromesso per i soggetti esclusi dal regime di protezione in ragione dell'allontanamento dal territorio italiano. Essi, poi, a causa della poverta' del Paese di provenienza, vedrebbero messe a repentaglio la propria vita e sicurezza alimentare, con conseguente lesione degli articoli 2 e 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 6 e 10, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Ne discende l'ulteriore violazione, sotto diverso profilo rispetto a quanto gia' osservato (v. par. 1.4), dell'art. 2 della Costituzione, perche' in tal modo sono compromessi i diritti inviolabili degli interessati.

1.8.- Da ultimo, va osservato che le norme censurate intersecano sicuramente gli ambiti di autonomia finanziaria riservati alle Regioni ai sensi dell'art. 119 della Costituzione.

A tal proposito, e' sufficiente menzionare l'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale individua «le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia ed infortunio» e i «programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva» in ogni caso garantiti «ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno».

Ai sensi dell'Accordo Stato-Regioni n. 255 del 20 dicembre 2012, poi, le regioni sono tenute a rimborsare le ASL territorialmente competenti degli oneri per le prestazioni sanitarie erogate ai sensi dell'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

Ebbene:   in forza delle norme impugnate, il numero degli «stranieri presenti sul territorio nazionale» e «non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno» e' destinato ad aumentare;   di conseguenza, poiche' l'assistenza sanitaria di base dovrebbe comunque essere assicurata, la spesa sostenuta dalle Regioni per l'erogazione delle prestazioni sanitarie a loro carico ai sensi del citato art. 35, comma 3, decreto legislativo n. 286 del 1998 non diminuirebbe, mentre diminuirebbe la partecipazione degli stranieri, tramite il versamento delle imposte e dei contributi.

Ne consegue, all'evidenza, un ulteriore (e illegittimo) pregiudizio per l'autonomia finanziaria della Regione ricorrente.

1.9.- Una censura specifica e uno specifico svolgimento dei motivi di ricorso merita l'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 113 del 2018. Esso regola l'ambito dei servizi di accoglienza per i titolari dei c.d. permessi di soggiorno per «casi speciali», novellando l'art. 18-bis del d. decreto legislativo n. 286 del 1998 con l'inserimento del comma 1-bis. Detto comma 1-bis prevede che «Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo reca la dicitura «casi speciali», ha la durata di un anno e consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico previsto dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'. Alla scadenza, il permesso di soggiorno di cui al presente articolo puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo, secondo le modalita' stabilite per tale permesso di soggiorno ovvero in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi.»".

Tale disposizione e' illegittima nella parte in cui non consente ai titolari di permesso di soggiorno «speciali» l'accesso ai servizi sociali diversi da quelli esplicitamente menzionati, ovverosia «servizi assistenziali» e «studio».

In questo modo il legislatore statale ha manifestamente e illegittimamente compresso le attribuzioni regionali quantomeno nelle materie di competenza concorrente «formazione professionale», «promozione e organizzazione di attivita' culturali», nonche' nell'ambito di competenza regionale residuale delle «politiche abitative».

Ne deriva la violazione non solo dell'art 117, comma 4, ma anche dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate sono sia autoapplicative che «di dettaglio» e non lasciano nelle materie di competenza concorrente alcun margine di discrezionale determinazione alle regioni.

Per le stesse ragioni e' violato anche l'art. 118 della Costituzione, in quanto alla Regione e' sottratto ogni spazio di esercizio delle sue attribuzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente o residuale sopra indicate.

Specificamente violato e' l'art. 118, comma 3, della Costituzione, in quanto la disciplina in esame non ha previsto l'obbligo dello Stato di concertare con le Regioni le modalita' di assistenza nei confronti dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale, nonche' nei confronti dei soggetti gia' riconosciuti in stato di «protezione umanitaria».

2.- Quanto all'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; del decreto-legge n.

113 del 2018. Violazione degli articoli 2, 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, anche in riferimento all'art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. L'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018 interviene sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Come e' noto, lo Sprar e' il servizio costituito dalla rete di centri di accoglienza gestiti dagli enti locali, che non si limitano ad accogliere i migranti, ma svolgono anche progetti e attivita' di istruzione, integrazione sociale, informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi individuali e/o collettivi di inserimento socio-economico.

Ne consegue che:   le funzioni dei centri SPRAR non sono in alcun modo sovrapponibili ne' riducibili a quelle degli altri centri che gestiscono il fenomeno migratorio e dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale (c.d. «hot spot», CARA o CAS);   nella prospettiva del riparto di competenze tra Stato e Regioni, l'attivita' svolta dallo SPRAR e' certamente riconducibile alle competenze regionali;   in particolare (e fermo restando quanto osservato in via generale nella Premessa del presente gravame), l'attivita' (e, dunque, la disciplina) dei centri SPRAR e' del tutto estranea alle «politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale», concernendo i diversi ambiti del «diritto allo studio o all'assistenza sociale», nonche' delle politiche abitative, ambiti «attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle regioni» (per riprendere le parole delle sentenze della Corte costituzionale, nn. 134 e 299 del 2010).

Il servizio di accoglienza SPRAR e' stato fortemente modificato dalle norme censurate, tanto che l'art. 12, comma 4, ne ha anche mutato il nome in «Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati».

In particolare, l'articolo in esame interviene sulla platea dei beneficiari dei servizi di accoglienza sul territorio che sono prestati dagli enti locali: i servizi di accoglienza sono stati riservati ai titolari delle vigenti forme di protezione internazionale, ivi compresi quelli «speciali» introdotti dallo stesso decreto-legge n. 113 del 2018 ai novellati articoli 18-bis, 19; comma 2, lettera d-bis), 22, comma 12-quater, 20-bis e 42-bis (permesso di soggiorno per vittime di violenza domestica, per soggetti in condizioni di salute di eccezionale gravita', per vittime di particolare sfruttamento lavorativo, per calamita', per soggetti che hanno compiuto atti di particolare valore civile), e ai minori stranieri non accompagnati. Sono stati invece esclusi dalla possibilita' di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la protezione internazionale, oltre che i possessori dei precedenti permessi «per motivi umanitari» oggi soppressi.

Ne consegue che, allo stato, molti soggetti accolti dagli Sprar dovranno lasciarli, nonostante abbiano gia' ottenuto il riconoscimento del diritto alla «protezione umanitaria».

2.1.- Cio' detto in via di premessa generale, e' necessario esaminare nel dettaglio il contenuto delle disposizioni impugnate (nei limiti di quanto qui d'interesse).

Il comma 1 modifica l'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416 del 1989.

La lettera a) ne ha riscritto il primo comma. La nuova formulazione esclude i «richiedenti asilo» dal novero dei soggetti che possono essere accolti dai servizi di accoglienza degli enti locali e include solo i soggetti gia' titolari dei permessi «speciali» di soggiorno introdotti dal decreto-legge n. 113 del 2018.

La lettera b) ne ha modificato il comma 4, circoscrivendo il meccanismo di «coordinamento» tra Ministero ed enti locali in materia di accoglienza alla sola tutela dei soggetti gia' titolari di protezione internazionale e dei minori non accompagnati, con esclusione dei richiedenti asilo, dei richiedenti protezione internazionale e dei soggetti titolari del soppresso permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

La lettera c) ne ha novellato il comma 5, lettera a), prevedendo che il servizio centrale del meccanismo di coordinamento sia competente a monitorare la presenza sul territorio dei soggetti gia' titolari di protezione internazionale e dei minori non accompagnati, con esclusione dei richiedenti asilo, dei richiedenti protezione internazionale e dei soggetti titolari del soppresso permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

La lettera d) ha riscritto la rubrica dell'art. 1-sexies, cosi' da non menzionare i soggetti esclusi dal servizio di accoglienza.

Il comma 2 reca varie modifiche al decreto legislativo n. 142 del 2015.

In particolare, le lettere da a) a e) intervengono sugli articoli 5, 8, 9, 11 e 12 del decreto legislativo n. 142 del 2015, nel senso di espungere tutti i riferimenti all'art. 14 del medesimo decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola il sistema di accoglienza territoriale per richiedenti asilo e rifugiati, cosi' da ridurre significativamente l'ambito di operativita' di tale sistema.

La lettera f) novella proprio il suddetto art. 14 del decreto legislativo n. 142 del 2015. In particolare:   il n. 1 novella il comma 1, cosi' da escludere il richiedente asilo e/o protezione internazionale dall'accesso al sistema Sprar;   il n. 2, abrogando il comma 2, sopprime il meccanismo di richiesta di contributo economico da parte degli enti locali per la realizzazione dei servizi di accoglienza Sprar;   il n. 3, novellando il comma 3, stabilisce che l'accesso del richiedente ai centri diversi dallo Sprar (CARA e CAS) e' limitato ai soggetti che si dichiarano privi di mezzi di sussistenza. In questo modo si «dirottano» i richiedenti verso i centri che non svolgono attivita' di integrazione socio-assistenziale;   il n. 4 modifica il comma 4, sopprimendo il riferimento al comma 1, per ragioni di coordinamento formale del testo novellato;   il n. 5 novella la rubrica dell'art. 14, espungendo il riferimento al «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati».

La lettera g) modifica l'art. 15 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola le modalita' di accesso al sistema di protezione.

Il n. 1 abroga i commi 1 e 2, che regolavano il procedimento di esame della domanda di accesso allo Sprar da parte della Prefettura UTG competente e la sua evasione mediante collocazione nelle strutture disponibili all'interno del sistema.

Il n. 2 novella la rubrica dell'articolo (prima «Modalita' di accesso al sistema di accoglienza territoriale - Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati», ora «Individuazione della struttura di accoglienza»).

La lettera h) modifica l'art. 17 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola l'accoglienza delle persone portatrici delle c.d. «esigenze particolari».

Il n. 1 abroga il comma 4, che istituiva i «servizi speciali» degli Sprar per le persone portatrici di «esigenze particolari».

Il n. 2 modifica il comma 6, espungendo il richiamo al precedente comma 4, ora abrogato.

La lettera i) modifica l'art. 20 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola l'attivita' di monitoraggio e controllo, espungendo il riferimento all'attivita' di monitoraggio del servizio di coordinamento tra Ministero e enti locali di cui all'art.

1-sexies, comma 4, del decreto-legge n. 416 del 1989 (disposizione novellati dal comma 1 dell'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018, come sopra indicato), nonche' sopprimendo l'attivita' di monitoraggio sui centri Sprar.

La lettera l) abroga l'art. 22, comma 3, del decreto legislativo n. 142 del 2015, che consentiva ai soggetti accolti nei centri Sprar di «frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dal programma dell'ente locale dedicato all'accoglienza del richiedente».

La lettera m) modifica l'art. 22-bis, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 142 del 2015, stabilendo che la partecipazione alle attivita' di utilita' sociale non e' consentita ai richiedenti protezione internazionale, ma solo ai soggetti gia' titolari dei permessi di protezione internazionale.

La lettera n) modifica l'art. 23 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola la revoca delle condizioni di accoglienza, escludendo il riferimento all'art. 14, che disciplina il servizio degli Sprar.

Il comma 3 modifica il decreto legislativo n. 25 del 2008.

La lettera a) modifica l'art. 4, comma 5, del decreto legislativo n. 25 del 2008, cancellando dai criteri che definiscono la competenza per territorio delle Commissioni territoriali che esaminano domanda di protezione internazionale dei richiedenti quello della collocazione nel centro Sprar, mentre la lettera b) inserisce disposizioni di coordinamento sui portatori di esigenze speciali.

Il comma 4 dispone che «Le definizioni di «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati» ovvero di «Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati» di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 [...], ovunque presenti, in disposizioni di legge o di regolamento, si intendono sostituite dalla seguente: «Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati» di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 [...], e successive modificazioni».

Il comma 5 stabilisce che «I richiedenti asilo presenti nel Sistema di protezione di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, alla data di entrata in vigore del presente decreto, rimangono in accoglienza fino alla scadenza del progetto in corso, gia' finanziato».

Il comma 5-bis dispone che «I minori non accompagnati richiedenti asilo al compimento della maggiore eta' rimangono nel Sistema di protezione di cui al comma 4 fino alla definizione della domanda di protezione internazionale».

Il comma 6 stabilisce che «I titolari di protezione umanitaria presenti nel Sistema di protezione di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, alla data di entrata in vigore del presente decreto, rimangono in accoglienza fino alla scadenza del periodo temporale previsto dalle disposizioni di attuazione sul funzionamento del medesimo Sistema di protezione e comunque non oltre la scadenza del progetto di accoglienza».

2.2.- Come si evince pianamente gia' dalla sintetica illustrazione di cui sopra, gli effetti prodotti dalle disposizioni dell'art. 12 qui in esame (restando non censurati i commi 1, lettera a-bis) e a-ter); 2, lettera d), n. 1-bis; 7) sono i seguenti:   i servizi socio-assistenziali, formativi e di integrazione sono riservati ai minori non accompagnati e ai titolari di protezione internazionale, con esclusione dei titolari del «vecchio» permesso per motivi umanitari;   i richiedenti protezione internazionale sono esclusi da tali servizi, essendo la loro accoglienza affidata ai centri CARA e CAS, che si limitano al loro sostentamento;   al termine dei progetti gia' finanziati, i soggetti gia' inseriti negli Sprar saranno di fatto espulsi da quei centri;   i richiedenti protezione saranno ri-allocati presso i CARA e CAS, mentre i titolari del «vecchio» permesso per protezione umanitaria, ancorche' non ancora in grado di sostentarsi, non avranno alcun ricollocamento;   questi ultimi, ovviamente, andranno a gravare sui servizi di integrazione e socio-assistenziali «comuni» (ovverosia dedicati alla generalita' della popolazione residente), predisposti e finanziati dagli enti locali e dalle regioni.

2.3.- L'illegittimita' costituzionale delle disposizioni qui in esame e la contestuale lesione delle competenze legislative e amministrative della Regione ricorrente e' evidente.

Il legislatore statale, infatti, attraverso la riforma del centri di accoglienza Sprar, la soppressione dei servizi socio-assistenziali e formativi ai richiedenti protezione internazionale e - circostanza che merita una specifica menzione - ai minori accompagnati e il loro contestuale inserimento nei CARA o CAS, impedisce alla Regione di esercitare le sue attribuzioni nelle materie di competenza concorrente «istruzione», «formazione professionale», «promozione e organizzazione di attivita' culturali», nonche' nelle materie di competenza regionale residuale «servizi sociali», «assistenza sociale», «diritto allo studio», «politiche abitative».

Si badi: le regioni non solo devono scontare il totale «disimpegno» organizzativo e finanziario dello Stato dai programmi di integrazione per i richiedenti protezione internazionale e i minori accompagnati (circostanza gia' di per se' idonea a violare le segnalate competenze regionali), ma sono anche di fatto e di diritto impossibilitate a svolgere quelle attivita', in quanto nei CARA e nei CAS (che sono centri gestiti dall'Amministrazione statale) non e' previsto lo svolgimento di alcuna attivita' socio-assistenziale. Tale circostanza rende evidente che le disposizioni in esame cancellano integralmente le competenze legislative regionali sopra indicate.

Ne deriva la violazione non solo dell'art. 117, comma 4, ma anche dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate sono sia autoapplicative che «di dettaglio» e non lasciano nelle materie di competenza concorrente alcun margine di discrezionale determinazione alle regioni.

Per le stesse ragioni e' violato anche l'art. 118 della Costituzione, in quanto alla Regione e' sottratto ogni spazio di esercizio delle sue attribuzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente o residuale sopra indicate.

Specificamente violato e' l'art. 118, comma 3, della Costituzione, in quanto la disciplina in esame non ha previsto l'obbligo dello Stato di concertare con le regioni le modalita' di assistenza nei confronti dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale, nonche' nei confronti dei soggetti gia' riconosciuti in stato di «protezione umanitaria».

Gli articoli 117, commi 3 e 4, e 118, della Costituzione sono violati anche in riferimento al principio di tutela dei diritti inviolabili ex art. 2 della Costituzione, al principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, al principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 della Costituzione, al dovere di adempiere gli obblighi derivanti dai trattati internazionali ex art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 3 della Convezione EDU. In particolare:   l'espulsione del titolare del «vecchio» permesso di soggiorno per protezione umanitaria dal sistema di accoglienza senza alcuna verifica della sua capacita' di auto-sostentarsi e' al di sotto dello standard minimo di protezione dei diritti inviolabili dell'uomo (in quanto compromette il minimo di sostegno sociale dovuto a qualunque essere umano); e' del tutto irragionevole (perche' tratta allo stesso modo situazioni personali anche assai differenziate), e' violativa del principio del legittimo affidamento e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto vanifica gli sforzi (anche finanziari) sostenuti dagli enti coinvolti nel sistema Sprar per l'integrazione socio-assistenziale del migrante e scarica il costo economico-sociale del migrante sugli ordinari servizi socio-assistenziali approntati e finanziati dalle Regioni e dagli enti locali, di bel nuovo con illegittima compressione dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria regionale (visto che anche gli oneri finanziari di simili attivita' gravano sulle regioni);   secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (per tutte v. le sentenze 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Grecia e Belgio, e 4 novembre 2014, Tarakhel e. Svizzera) costituisce trattamento degradante violativo dell'art. 3 della Convezione EDU la cessazione dei servizi di accoglienza gia' avviati nei confronti di soggetti definiti «vulnerabili», quali sono, nella specie, sia i richiedenti asilo sia, a piu' forte ragione, coloro che hanno ottenuto il «vecchio» permesso di soggiorno per protezione umanitaria. La compressione dell'autonomia regionale per questi soggetti, dunque, risulta ancor piu' ingiustificata e illegittima.

2.4.- Da ultimo, anche per tuziorismo, prevenendo la stessa ipotesi di un'eccezione d'inammissibilita' della censura per oscurita' del petitum, si specifica di seguito l'intervento richiesto a codesta Ecc.ma Corte:   quanto al comma 1, lettera a), si chiede di dichiararne l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui prevede che il comma 1 dell'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416 sia «sostituito» dal testo di cui al n. 1 della medesima lettera a), anziche' «integrato» da quel testo, affinche' il servizio Sprar sia accessibile alla platea dei soggetti eleggibili in ragione sia della previgente che della nuova disciplina dei permessi di soggiorno;   quanto al comma 1, lettera b), c) e d), se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente espansione delle competenze del meccanismo di coordinamento all'intera platea dei soggetti ammissibili al servizio Sprar e con ripristino della precedente rubrica dell'art. 1-sexies;   quanto al comma 2, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente espansione delle competenze del servizio Sprar;   quanto al comma 3, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente ripristino del criterio di competenza delle Commissioni territoriali di evasione delle domande di richiesta di protezione in connessione con l'attivita' del servizio Sprar;   quanto al comma 4, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente ripristino della denominazione del servizio Sprar;   parimenti, si chiede la semplice ablazione dei commi 5, 5-bis e 6, che prevedono il limite temporale di accoglienza dei soggetti gia' inseriti nei centri Sprar e che il decreto-legge n. 113 del 2018 qualifica come non piu' accoglibili.

3.- Quanto all'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c), del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 e 119 della Costituzione.

Violazione degli articoli 2, 3, 10, comma 3, 117, comma 1, della Costituzione, anche con riferimento all'art. 2, comma 1, del Protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale sui. diritti civili e politici.

Come segnalato in narrativa, l'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - rubricato «Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica» -, nella parte che qui interessa, restando non censurato il comma 1, lettera a), n. 1, ha modificato gli articoli 4 e 5 e abrogato l'art.

5-bis del decreto legislativo n. 142 del 2015 («Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale»).

Piu' specificamente, e per quanto qui rileva, l'art. 4 del citato decreto legislativo n. 142 del 2015, al comma 1, prevede che al richiedente sia rilasciato «un permesso di soggiorno per richiesta asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui e' autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell'art.

35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25».

A tale previsione l'art. 13, comma 1, lettera a), n. 1, del decreto-legge n. 113 del 2018 ha aggiunto la seguente: «Il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445».

Subito dopo e' stato inserito - a opera dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2 - il comma 1-bis, a tenor del quale «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.»".

Lo stesso art. 13, al comma 1, lettera b), n. 1, ha poi sostituito il comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 142 del 2015, disponendo che «l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2».

3.1.- Orbene: dal combinato disposto degli enunciati richiamati discende che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo costituisce un documento di riconoscimento ai fini del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, ma non un titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

Per l'effetto, il titolare di permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma 1, del citato decreto legislativo n. 142 del 2015, non potra' essere iscritto all'anagrafe dei residenti.

Nondimeno, in virtu' dell'art. 5, comma 3, del medesimo decreto legislativo - per come novellato dall'art. 13 del decreto-legge n.

113 del 2018 - il richiedente continuera' ad avere accesso ai «servizi» previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e a quelli «comunque erogati sul territorio» nel luogo di domicilio.

Non sfuggira', pero', che la gran parte dei servizi previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e' erogata attraverso il diretto coinvolgimento di regioni ed enti locali e interseca una pluralita' di materie di competenza concorrente.

A mero titolo esemplificativo basti considerare che tra i servizi previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2005, comunque garantiti ai richiedenti, rientrano:   l'«accesso all'assistenza sanitaria secondo quanto previsto dall'art. 34 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, fermo restando l'applicazione dell'art. 35 del medesimo decreto legislativo nelle more dell'iscrizione al servizio sanitario nazionale» (cosi' l'art. 21, comma 1), con ovvia incidenza nella materia «tutela della salute»;   la soggezione «all'obbligo scolastico, ai sensi dell'art. 38 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» per i minori richiedenti protezione internazionale o i minori figli di richiedenti protezione internazionale, nonche' l'accesso «ai corsi e alle iniziative per l'apprendimento della lingua italiana di cui al comma 2 del medesimo articolo» (cosi' l'art. 21, comma 2), con evidente intreccio con la materia «istruzione»;   la possibilita' «di svolgere attivita' lavorativa» (art. 22, comma 1), che involge inevitabilmente la materia della «tutela e sicurezza del lavoro»;   la partecipazione ad «attivita' di utilita' sociale» (art.

22-bis).

Per tali ragioni (e per quelle gia' indicate, in via generale, nella Premessa del presente gravame) le censure di illegittimita' costituzionale che nel prosieguo si articoleranno sono - oltre che fondate - certamente ammissibili.

3.2.- Muovendo dalla prospettiva delle prerogative regionali menomate, l'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - a eccezione del suo comma 1, lettera a), n. 1 - e' anzitutto violativo degli articoli 2, 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 e 119 della Costituzione.

Come accennato supra, infatti, la norma censurata formalmente proclama che i richiedenti asilo mantengono l'accesso ai servizi «comunque garantiti» sul territorio in cui sono domiciliati, ma al contempo preclude loro l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, iscrizione che costituisce il necessario presupposto per il godimento di numerose prestazioni erogate dalle regioni e/o dagli enti locali.

Il punto e' ribadito anche nella Relazione di presentazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 113 del 2018, ove si sottolinea che «L'esclusione dall'iscrizione all'anagrafe non pregiudica l'accesso ai servizi riconosciuti dalla legislazione vigente ai richiedenti asilo (iscrizione al servizio sanitario, accesso al lavoro, iscrizione scolastica dei figli, misure di accoglienza) che si fondano sulla titolarita' del permesso di soggiorno» e che «l'esclusione dall'iscrizione anagrafica si giustifica per la precarieta' del permesso per richiesta asilo e risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente».

In disparte la patente contraddittorieta' della norma - di cui appresso si dira' - occorre segnalare che la disposizione in esame impone alle Regioni, alternativamente, di:   escludere dall'erogazione di servizi e prestazioni i richiedenti asilo, in violazione dei principi dettati dallo stesso legislatore statale nel decreto legislativo n. 142 del 2015;   modificare la corrispondente normativa regionale in modo da' garantire - a spese delle Regioni medesime, s'intende - determinati servizi e prestazioni anche ai non iscritti all'anagrafe dei residenti.

L'esito e', in entrambi i casi, paradossale e violativo delle prerogative regionali costituzionalmente garantite all'art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione.

Non puo' non segnalarsi, peraltro, che tali violazioni ridondano anche in lesione dell'autonomia finanziaria regionale, di cui all'art. 119 della Costituzione, e risultano in contrasto col principio di economicita' dell'azione amministrativa, imposto dall'art. 97 della Costituzione, e al quale soggiacciono anche le regioni.

Non sfugge infatti che, da un lato, la Regione e' tenuta a garantire anche ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo i servizi erogati sul proprio territorio, ma, dall'altro, non puo' - stante l'impossibilita' della loro iscrizione all'anagrafe - considerare costoro partecipi a pieno titolo, anche sotto il profilo dei doveri tributari, contributivi, etc., della sua comunita' di residenti.

Parimenti violato dalle norme qui censurate e' l'art. 118 della Costituzione, atteso che il suddetto divieto di iscrizione anagrafica impedisce ai comuni anche di erogare ai richiedenti asilo i servizi e le prestazioni che richiedano, quale presupposto, l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, incidendo in tal modo nell'esercizio delle funzioni amministrative loro spettanti nelle materie di competenza regionale sopra menzionate e qui rilevanti.

3.3.- Non basta. L'illegittimita' costituzionale dell'art. 13 dev'essere rilevata anche sotto un altro profilo. La norma e' infatti certamente violativa anche degli articoli 3 e 10, comma 3, della Costituzione.

Impedendo l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, infatti, il legislatore ha riservato un trattamento diverso - e deteriore - a una particolare categoria di stranieri, creando una discriminazione del tutto irragionevole in quanto fondata esclusivamente sul diverso tipo di permesso di soggiorno posseduto. Dato, questo, che certamente non puo' giustificare la limitazione in parola, tanto piu' se, come nel caso di specie, e' direttamente la Costituzione all'art. 10, comma 3, a prevedere che «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Codesta Ecc.ma Corte ha peraltro ormai chiarito che «Il principio di eguaglianza comporta che a una categoria di persone, definita secondo caratteristiche identiche o ragionevolmente omogenee in relazione al fine obiettivo cui e' indirizzata la disciplina normativa considerata, deve essere imputato un trattamento giuridico identico od omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali in ragione delle quali e' stata definita quella determinata categoria di persone» Viceversa, «ove i soggetti considerati da una certa norma, diretta a disciplinare una determinata fattispecie, diano luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest'ultimo sara' conforme al principio di eguaglianza soltanto nel caso che risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone che quella classe compongono» (sent. n. 163 del 1993).

Orbene, nel caso di specie e' di piana evidenza che la previsione di un trattamento diverso per la sola categoria dei richiedenti asilo non trova una giustificazione ragionevole nella sussistenza di eventuali profili di differenziazione dai titolari di altri tipi di permesso di soggiorno (ivi compresi quelli introdotti dal decreto-legge n. 113 del 2018).

Priva di pregio e' l'affermazione - che si legge nella Relazione che accompagna il d.d.l. di conversione - che l'esclusione dall'iscrizione anagrafica si giustificherebbe «per la precarieta' del permesso per richiesta asilo». E' vero, infatti, che quest'ultimo ha durata semestrale (ex art. 4, comma l, del decreto legislativo n.

142 del 2015), ma e' parimenti vero che la medesima durata semestrale hanno anche - per citarne solo alcuni - il permesso «per calamita'» (di cui all'art. 20-bis del testo unico Immigrazione) o il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (di cui all'art. 18 del medesimo T.U.).

Solo il primo, pero', preclude l'iscrizione all'anagrafe dei residenti.

3.4.- La norma impugnata e' certamente violativa, dal ultimo, anche degli articoli 2, 3 e 117, comma 1, della Costituzione in riferimento sia all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, a tenor del quale «chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente la propria residenza», sia all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881, laddove dispone che «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio».

L'irragionevole preclusione dell'iscrizione dei richiedenti asilo all'anagrafe dei residenti mina irrimediabilmente anche le garanzie previste dalle fonti sovranazionali richiamate, gravemente compromettendo il diritto (garantito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione) al riconoscimento pubblico del reale rapporto fra persona e territorio dello Stato (e dei suoi Comuni), essendo consustanziale alla dignita' dell'uomo la titolarita' dello status pubblicisticamente rilevante che corrisponde alle condizioni di fatto in cui ci si trova.

4.- Quanto all'art. 28, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 3, 5, 23, 25, 27, 97, 114, 117, comma 1, della Costituzione, in riferimento agli articoli 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 117, commi 2 e 3; 118, commi 1 e 2; 119 e 120, comma 2, della Costituzione. L'art. 28, comma l, del decreto-legge n. 113 del 2018 novella l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.

267 (recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali»: hinc inde anche TUEL), inserendovi un comma 7-bis, a tenor del quale «Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione del prefetto emergano, riguardo ad uno o piu' settori amministrativi, situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell'accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalita' l'attivita' amministrativa dell'ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all'ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci». Si tratta di previsione gravemente lesiva dell'autonomia degli enti locali e - pertanto - delle competenze regionali in materia di ordinamento degli stessi.

4.1.- Occorre preliminarmente osservare che l'art. 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, riserva allo Stato solo la determinazione delle «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». Tutto quanto non attiene a tali «funzioni fondamentali» rientra invece nella competenza residuale regionale, ai sensi dell'art. 117, comma 4. E' proprio in forza di tali previsioni costituzionali che la giurisprudenza dell'Ecc.ma Corte ha costantemente ritenuto che le regioni siano legittimate a tutelare, in sede di contenzioso costituzionale, l'autonomia degli enti locali.

Nella sentenza n. 298 del 2009, infatti, la Consulta ha ricordato che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale».

4.2.- La norma impugnata detta, anzitutto, una disciplina gravemente irragionevole; lesiva dei principi di legalita', buon andamento e imparzialita' della pubblica amministrazione; inosservante del principio autonomistico.

4.2.1.- Il potere (prima) di sostanziale sostituzione della volonta' del prefetto a quella degli enti locali e (poi) di commissariamento e' esercitabile «Nell'ipotesi di cui al comma 7 (dello stesso art. 143 del TUEL)», cioe' «Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l'adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5». Il comma 5 dell'art. 143 TUEL, a sua volta, dispone che «Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, e' adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalita' la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorita' competente».

Come si vede, i provvedimenti sinora consentiti dal TUEL erano: a) lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali (nelle gravissime ipotesi di cui agli articoli 141 e 143, comma 1); b) in alternativa, misure d'ordine organizzativo-sanzionatorio nei confronti dei dipendenti dell'ente locale. Ora, si introducono provvedimenti di sostituzione e di commissariamento la cui logica e' del tutto incomprensibile. Se, infatti, non si e' provveduto allo scioglimento, e' perche' sono emersi elementi significativi «con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale», non certo del «governo» dell'ente. Nonostante cio', pero', i poteri di commissariamento e di sostituzione colpiscono proprio quest'ultimo. L'irragionevolezza della costruzione, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, e' evidente (si colpiscono gli amministratori e l'ente in ragione di fatti imputabili ai dipendenti, indebitamente proiettando - appunto - su amministratori ed ente la responsabilita' di quelli).

Ne' basta. L'art. 28, comma 1-bis, del decreto-legge n. 113 del 2018, novellando l'art. 143, comma 11, TUEL, stabilisce che «Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonche' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilita' sia dichiarata con provvedimento definitivo». Come si vede, l'incandidabilita' degli amministratori e' collegata alla responsabilita' per atti che hanno condotto allo scioglimento dei consigli, non alla responsabilita' per atti che hanno condotto all'esercizio dei poteri prefettizi di sostituzione e commissariamento oggi «inventati» dal legislatore. Il che vuol dire, confessoriamente, che il commissariamento (cosi' come la sostituzione), che pur incide nell'autonomia dell'ente e dei suoi organi di Governo, e' disposto per fatto dei dipendenti, il che e' del tutto contraddittorio, irragionevole e privo di proporzionalita'.

Se, infatti, il legislatore stabilisce l'incandidabilita' degli amministratori solo nell'ipotesi di una loro diretta responsabilita', non si comprende perche' essi possano essere privati del potere di indirizzo e di gestione dell'ente per il fatto dei dipendenti, che lo stesso legislatore - evidentemente - considera come una fattispecie del tutto diversa.

4.2.2.- La rilevata irragionevolezza e' aggravata, infine, dall'estrema latitudine dei presupposti legittimanti l'esercizio dei poteri sostitutivi e di commissariamento da parte dei prefetti. Il generico riferimento a «condotte illecite»; alla semplice «alterazione delle procedure», al «buon andamento», al «regolare funzionamento dei servizi» apre un campo cosi' indefinito che l'autonomia degli enti locali della Regione finisce per essere abbandonata alle arbitrarie determinazioni del rappresentante dell'Esecutivo statale sul territorio regionale.

Non solo le regioni sono completamente pretermesse sia nella fase di accertamento dei presupposti che in quella di esercizio dei poteri di sostituzione e di commissariamento, ma - come gia' detto - la norma primaria qui censurata non contiene alcuna reale definizione dei paradigmi di esercizio del potere prefettizio, come sarebbe invece imposto dal principio di legalita' (desumibile anche dall'art.

23 della Costituzione), anche al fine di assicurare l'imparzialita' della pubblica amministrazione (nella specie: di quella prefettizia).

Anche il principio del buon andamento e' compromesso, perche' l'amministrazione degli enti locali puo' essere commissariata anche pel semplice fatto dei suoi dipendenti, laddove, in simile fattispecie, l'ordinamento prevede una pluralita' di ben piu' efficienti e meno invasivi strumenti remediali, di carattere privatistico (risoluzione del contratto) o pubblicistico (azione disciplinare), in capo agli organi di Governo degli enti interessati e perfettamente idonei alla soluzione del problema.

Che in questo modo sia gravemente compromesso anche il principio autonomistico e' evidente, atteso che l'autonomia degli enti locali, desumibile anzitutto dagli articoli 5 e 114 della Costituzione, e' sostanzialmente rimessa alla discrezione di un organo dello Stato (del prefetto).

4.3.- La nuova disciplina, pero', viola anche gli articoli 117, commi 2 e 3; 118, commi 1 e 2; 119 e 120 della Costituzione.

i) Essa, anzitutto, compromette l'autonomia degli enti territoriali della Regione (espropriati delle loro funzioni) e quella della Regione stessa, che si vede sottratte le sue attribuzioni in materia di enti locali (desumibili dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 117).

ii) Impedisce il funzionamento del principio di sussidiarieta' verticale fissato dall'art. 118, comma 1, della Costituzione (a tenor del quale «Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta' metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza») e dall'art. 120, comma 2, della Costituzione, attraendo le funzioni degli enti locali verso l'alto, oltretutto nella sede della decisione (non governativa, ma) prefettizia.

iii) Viola l'art. 118, comma 2, della Costituzione, a tenor del quale «I Comuni, le Province e le Citta' metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze», perche' quella della titolarita' delle funzioni non e' una garanzia meramente formale, ma si estende a tutte le forme di interferenza con il loro esercizio, quali sono - tipicamente - quelle della sostituzione e del commissariamento.

iv) Conseguentemente, viola l'art. 120, comma 2, della Costituzione a tenor del quale «Il Governo puo' sostituirsi a organi delle regioni, delle Citta' metropolitane, delle Province e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione». La sostituzione e il commissariamento, infatti, non sono disposti dal Governo, ma dal prefetto, per soprammercato totalmente al di fuori delle fattispecie previste dal paradigma costituzionale, con totale disinteresse per il principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione. L'ente locale, infatti, puo' sfuggire al commissariamento solo se resta prono a quanto il prefetto impone (addirittura stabilendo gli atti da adottare e il termine per la loro adozione), rinunciando completamente alla propria autonomia.

v) Compromette l'autonomia finanziaria degli enti locali della Regione, garantita dall'art. 119 della Costituzione, poiche' essi sono tenuti a sostenere le spese di qualsivoglia attivita' il prefetto ritenga opportuno imporre.

4.4.- Da ultimo, la norma censurata configura una forma di vera e propria responsabilita' oggettiva, che il nostro ordinamento rifiuta, salvi casi eccezionali (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 364 del 1988). Siamo di fronte a una misura di tipo sanzionatorio, che per la sua gravita' (in applicazione dei noti «Criteri Engel») deve ricevere un trattamento giuridico analogo a quello delle sanzioni penali. Nella specie, invece, il principio della personalita' della responsabilita' e' disatteso, con violazione degli articoli 25 e 27 della Costituzione e 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.

5.- Quanto all'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; all'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), j), g), h), i), l), in), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; all'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); all'art. 28, comma 1; del decreto-legge n. 113 del 2018.

Violazione dell'art. 77 della Costituzione. Violazione del principio di leale collaborazione. Le disposizioni censurate sono costituzionalmente illegittime anche perche' adottate in flagrante violazione dell'art. 77 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

5.1.- Difettavano, anzitutto, i presupposti per l'inserimento delle disposizioni censurate in un decreto-legge.

In via generale, puo' agevolmente constatarsi che la relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione, dalla quale le ragioni di (straordinaria) necessita' e urgenza dovrebbero emergere con chiarezza, non offre alcuna vera motivazione sul punto e - anzi - e' confessoria dell'assoluta carenza dei presupposti fissato dall'art. 77 della Costituzione. Infatti (e per quanto qui interessa):   a) ivi si afferma apoditticamente che l'intervento normativo assunto con il decreto-legge si sarebbe reso «necessario ed urgente nell'ambito di una complessa azione riorganizzativa» in materia di immigrazione, «finalizzata in ultima istanza a una piu' efficiente ed efficace gestione del fenomeno migratorio nonche' ad introdurre misure di contrasto al possibile ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale»;   b) si mettono in evidenza quelli che si affermano essere i «principali profili di criticita' dell'attuale sistema»;   c) si descrive, piu' in dettaglio e in molte pagine, il contenuto delle scelte normative compiute dal decreto-legge;   d) con riferimento all'art. 1 (qui censurato), si afferma che il ricorso alla tutela umanitaria si fonderebbe «principalmente su una definizione legislativa dell'istituto dai contorni incerti, che lascia ampi margini ad una interpretazione estensiva», e che sarebbe «pertanto necessario delimitare l'ambito di esercizio di tale discrezionalita' [...];   e) con riferimento all'art. 12 (qui censurato) ci si limita a una sorta di parafrasi del testo normativo;   f) con riferimento all'art. 13 (qui censurato) si afferma soltanto che esso «prevede che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non consente l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, fermo restando che esso costituisce documento di riconoscimento» e ci si sofferma sulle conseguenze della «esclusione dall'iscrizione all'anagrafe»:   g) anche con riferimento all'art. 28 (qui censurato) ci si limita a una sorta di parafrasi del testo normativo.

Nulla di piu'.

Ora, e' evidente che quelle sopra riportate non sono adeguate motivazioni del ricorrere dei presupposti di cui all'art. 77 della Costituzione. Non lo sono in generale e non lo sono per le singole disposizioni qui censurate. Anzi, esse sono addirittura confessorie della carenza di quei presupposti, laddove fanno ben intendere che gli interventi qui contestati sono ordinamentali e di sistema, dunque per definizione estranei all'ambito legittimamente regolabile con un decreto-legge (pensiamo all'esplicito riconoscimento, sopra ricordato, che il decreto-legge ha compiuto una «complessa azione riorganizzativa»). Piu' in dettaglio quanto alle singole disposizioni censurate, comunque, valgono anche le considerazioni che seguono.

Quanto all'art. 1, e' significativa gia' la premessa dell'atto.

Non sfuggira' ad alcuno che in essa si e' «Ritenuta la necessita' e urgenza di prevedere misure volte a individuare i casi in cui sono rilasciati speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonche' di garantire l'effettivita' dell'esecuzione dei provvedimenti di espulsione». Formula assai diversa da quella successiva, con la quale si e' «Considerata la straordinaria necessita' e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalita' organizzata di tipo mafioso [...]». Anche qui, il legislatore ha quasi confessoriamente esplicitato la natura meramente fittizia dell'invocazione delle esigenze di urgenza in ordine a questioni che non hanno nulla a che vedere con il fenomeno del contrasto all'immigrazione clandestina (pel quale dette esigenze sono state sovente evocate, piu' o meno a proposito, nel dibattito pubblico). Le disposizioni censurate riguardano, infatti, la materia del rilascio dei permessi di soggiorno, cioe' un profilo di tipo ordinamentale, in ordine al quale i presupposti della decretazione d'urgenza sono per definizione carenti. Per soprammercato, l'incongrua scelta del legislatore d'urgenza ha - come si e' accennato - determinato addirittura l'aggravamento del fenomeno della clandestinita', gettando in tale condizione un numero assai consistente di persone che prima soggiornavano regolarmente nel nostro Paese, avendo ottenuto permessi per ragioni umanitarie.

Quanto all'art. 12, esso interviene sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Come sopra osservato (par. 2.), lo Sprar e' il servizio costituito dalla rete di centri di accoglienza gestiti dagli enti locali, che non si limitano ad accogliere i migranti, ma svolgono anche progetti e attivita' di istruzione, integrazione sociale, informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi individuali e/o collettivi di inserimento socio-economico. Com'e' evidente, le funzioni cui gli Sprar sono istituzionalmente preposti sono assai articolate e, pertanto, non disciplinabili in via di interventi di (asserita) necessita' e urgenza. Le misure previste, poi, non hanno carattere di immediata applicabilita' e, addirittura, si prevede l'ultrattivita' della precedente disciplina per coloro tuttora collocati in quei centri.

Quanto all'art. 13, esso - come visto supra - ha introdotto nel nostro ordinamento il principio che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisce un titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.

223 del 1989 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

La previsione e' «di sistema», ovviamente, ne' e' dettata o giustificata da alcuna straordinaria necessita' o urgenza. La miglior prova di cio' e' fornita proprio dalla gia' citata Relazione di accompagnamento al d.d.l. di conversione del decreto-legge n. 113 del 2018, ove si afferma confessoriamente che l'esclusione dall'iscrizione anagrafica «risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente». E' di piana evidenza che tale «necessita'» (recte: ritenuta «opportunita'») non e' idonea a giustificare l'adozione di un decreto-legge.

Quanto all'art. 28, esso incide nei rapporti istituzionali fra le articolazioni territoriali dell'Amministrazione dello Stato e gli enti locali, introducendo misure ordinamentali che, una volta di piu', sono per definizione prive d'ogni carattere di necessita' e di urgenza.

5.2.- Difetta, poi, il requisito dell'omogeneita' (del decreto-legge e della sua legge di conversione). Come e' noto, la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 22 del 2012, ha stabilito che:   i) «ai sensi del secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, i presupposti per l'esercizio senza delega della potesta' legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo»;   ii) «la necessaria omogeneita' del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all'apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessita' e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione»;   iii) «il testo puo' anche essere emendato per esigenze meramente tecniche o formali [...]. Cio' che esorbita invece dalla sequenza tipica profilata dall'art. 77, secondo comma, della Costituzione, e' l'alterazione dell'omogeneita' di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica».

Se, ora, esaminiamo il contenuto del decreto-legge n. 113 del 2018 (convertito in legge n. 132 del 2018), ci avvediamo agevolmente ch'esso accosta e disciplina uno actu una serie nutritissima di oggetti e addirittura di materie.

A mero titolo esemplificativo, basti considerare che:   al Titolo I del decreto-legge in esame figurano nonne relative al rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei nonche' in materia di protezione internazionale e di immigrazione;   il Titolo II e' dedicato alle disposizioni «in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo, e alla criminalita' mafiosa», e vi convivono norme quali l'art.

21-quinquies, recante «Modifiche alla disciplina sull'accattonaggio», e l'art. 28, che interviene sull'art. 143 del decreto legislativo n.

267 del 2000, in materia di commissariamento degli enti locali (di cui s'e' detto supra al par. 4);   nel medesimo decreto-legge n. 113 del 2018, per come convertito in legge n. 132 del 2018, trovano spazio, al Titolo III, anche norme relative al funzionamento del Ministero dell'interno, quali l'art. 32-quater («Disposizioni in materia di tecnologia 5G»), l'art. 32-sexies («Istituzione del Centro alti studi del Ministero dell'interno»).

5.3.- Da ultimo, risulta violato il principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni. Come e' noto, tale principio, inizialmente inapplicabile all'esercizio della funzione legislativa, e' stato esteso anche ad essa, avendo codesta Ecc.ma Corte costituzionale statuito che «la' dove [...] il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa», che «si impone, dunque, quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 della Costituzione» (sentenza n. 251 del 2016).

A piu' forte ragione, dunque, tale principio deve valere nell'ipotesi in cui a incidere nelle prerogative regionali sia un provvedimento adottato ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, pur sempre imputabile al Governo. Nella specie, pero', le Regioni (e, per quanto qui specificamente interessa, in particolare la ricorrente) non sono state minimamente coinvolte nel procedimento di adozione del decreto-legge, nemmeno nella (ovviamente piu' distesa) fase della sua conversione in legge.

Ne' basta. Anche a ritenere che il principio di leale collaborazione non trovi applicazione in ordine all'esercizio della funzione legislativa, il vizio denunciato non verrebbe meno. Il coinvolgimento delle Regioni, infatti, non e' stato previsto nemmeno per gli atti di concreta amministrazione applicativi delle astratte previsioni del decreto-legge, sebbene - come (si confida) ampiamente dimostrato - siano direttamente incise competenze regionali costituzionalmente garantite.

  Ricorso per la Regione Umbria, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore dott.ssa Catiuscia Marini, con sede in Perugia, corso Vannucci, n. 96, codice fiscale n. 80000130544, giusta procura speciale alle liti in calce al presente atto e in forza della delibera della Giunta regionale della Regione Umbria n. 86 del 28 gennaio 2019 rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Massimo Luciani del Foro di Roma (codice fiscale LCNMSM52L23H501G, fax 06.90236029, posta elettronica certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org) e Paola Manuali dell'Ufficio legale della Regione Umbria (codice fiscale: MNLPLA53H68G478; fax 0755043625; posta elettronica certificata: paola.manuali@avvocatiperugiapec.it), con domicilio eletto presso lo studio del primo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9;   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, nella cui sede in 00186 Roma, via dei Portoghesi, n. 12, e' domiciliato ex lege, per la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; dell'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); dell'art. 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231, come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281.

  Fatto     1.- Con decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231), conv., con modif., in legge 1° dicembre 2018, n. 132 (pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281), sono state adottate «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata».

Le disposizioni di maggiore rilievo del decreto-legge n. 113 del 2018, per quanto qui interessa, sono quelle che seguono.

i) L'art. 1, che ha sostituito il generale istituto del permesso di soggiorno «per motivi umanitari» di cui all'art. 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (recante il «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), con una pluralita' di fattispecie tipizzate e, sulla scorta di tale scelta di fondo, nelle disposizioni qui impugnate, ha adottato la consequenziale disciplina di dettaglio, di coordinamento e di attuazione.

ii) L'art. 12 («Disposizioni in materia di accoglienza dei richiedenti asilo»), che e' intervenuto sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), con disposizioni tutte lesive, a eccezione di quelle escluse dalla presente impugnazione.

iii) L'art. 13, qui interamente gravato, a eccezione del comma 1, lettera a), n. 1, il quale, in particolare, alla lettera a), n. 2), ha novellato l'art. 4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 («Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale»), inserendovi un comma 1-bis, a tenor del quale «il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Lo stesso art. 13, al comma 1, lettera b), n. 1, ha poi sostituito il comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 142 del 2015, disponendo che «l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2».

iv) L'art. 28, comma 1, che ha novellato l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (recante il «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali», hinc inde anche TUEL), inserendovi un comma 7-bis, a tenor del quale «Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione del prefetto emergano, riguardo ad uno o piu' settori amministrativi, situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell'accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalita' l'attivita' amministrativa dell'ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all'ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci».

Gli articoli 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231, come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281, sono lesivi degli interessi e delle attribuzioni costituzionali della Regione Umbria, che ne chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di     Diritto     Premessa. Quanto all'incidenza, delle norme impugnate nelle attribuzioni costituzionali della Regione Umbria. Come risulta dal suo stesso titolo, riportato in epigrafe, il decreto-legge n. 113 del 2018 disciplina una varia pluralita' di oggetti, che, come vedremo al quinto motivo di ricorso, non sono caratterizzati dal tratto dell'omogeneita' e la cui regolazione, pei profili che qui interessano, non e' assistita dalla straordinaria necessita' e urgenza che, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, deve caratterizzare questa categoria di atti. Le norme del decreto-legge, inoltre, nelle parti qui censurate, sono gravemente lesive di plurimi parametri costituzionali ulteriori.

Prima di illustrare i singoli motivi di doglianza, pero', conta ora mettere in luce, in via del tutto preliminare e con riferimento a tutte le previsioni censurate, che i vizi di legittimita' costituzionale di cui appresso si fara' illustrazione sono tutti contestabili in sede di giudizio di legittimita' costituzionale in via d'azione, a causa della loro evidente interferenza con le attribuzioni regionali, cui arrecano un grave pregiudizio.

In primo luogo, l'art. 28 concerne attribuzioni di diretta spettanza regionale, poiche' l'ordinamento egli enti locali e' materia di competenza regionale residuale.

In secondo luogo, come e' noto, l'art. 117, comma 2, lettera b) e h), della Costituzione, ricomprende la materia «immigrazione» e la materia «ordine pubblico e sicurezza» tra quelle assegnate alla competenza esclusiva dello Stato. Nondimeno, la stessa Costituzione, all'art. 118, comma 3, riconosce esplicitamente l'esistenza di un profondo legame fra questa materia e quelle di competenza concorrente, affidate (anche) alla cura delle Regioni. Stabilire che «La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'art. 117 [...]», infatti, equivale a dare atto dell'intreccio competenziale fra tali due materie e le molte altre di competenza regionale, come, in particolare e a tacer d'altro, «tutela e sicurezza del lavoro; istruzione [...]; tutela della salute [...]; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

Codesta Ecc.ma Corte, peraltro, con specifico riferimento alla materia «immigrazione» ha gia' chiarito, nella sentenza n. 299 del 2010, che «deve essere riconosciuta la possibilita' di interventi legislativi delle Regioni con riguardo al fenomeno dell'immigrazione, per come previsto dall'art. 1, comma 4, del decreto legislativo n.

286 del 1998, fermo restando che «tale potesta' legislativa non puo' riguardare aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale, ma altri ambiti, come il diritto allo studio o all'assistenza sociale, attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle Regioni» (sentenza n. 134 del 2010)».

E difatti «l'intervento pubblico concernente gli stranieri non puo' [...] limitarsi al controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla salute all'abitazione - che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato, altre alle Regioni (sentenze n. 156 del 2006, n. 300 del 2005)».

Ebbene: le norme censurate con l'odierno ricorso coinvolgono, come si vedra', non solo competenze statali, ma anche regionali, sia concorrenti che residuali. Competenze che, in fatto, la Regione Umbria ha puntualmente esercitato.

A tal proposito, prendendo le mosse dalle materie di competenza residuale, sia sufficiente osservare che, in materia di edilizia residenziale sociale, l'art. 20, comma 1, della legge regionale Umbria, 28 novembre 2003, n. 23 - recante per l'appunto «Norme di riordino in materia di edilizia residenziale sociale» - annovera tra i beneficiari dei relativi interventi anche gli «stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» o «stranieri in possesso dei requisiti di cui all'art. 40, comma 6 dello stesso decreto legislativo n. 286/1998».

Ancora, con riferimento alla materia dell'assistenza e dei servizi sociali - anch'essa oggetto di competenza regionale residuale (cfr., ex multis, Corte costituzionale, sentenza n. 10 del 2010) - la legge regionale Umbria 9 aprile 2015, n. 11 - «Testo unico in materia di Sanita' e servizi sociali» - all'art. 264, comma 1, annovera tra i destinatari delle prestazioni sociali ivi disciplinate «tutte le persone residenti o domiciliate o aventi stabile dimora nel territorio regionale e le loro famiglie».

Per quanto concerne le competenze concorrenti, l'intreccio e' confermato anche da un rapido esame «a campione» della legislazione vigente in Umbria e anche in altre regioni nelle materie incise, per i profili che qui interessano, dal decreto-legge n. 113 del 2018.

Senza alcuna pretesa d'esaustivita' basti considerare che:   i) quanto alla materia «tutela e sicurezza del lavoro»:   l'art. 33 della legge regionale Umbria 14 febbraio 2018, n.

1 (recante «Sistema integrato per il mercato del lavoro, l'apprendimento permanente e la promozione dell'occupazione.

Istituzione dell'Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro») demanda alla Giunta la disciplina dell'applicazione delle misure di inclusione attiva «a favore di specifiche categorie di soggetti, quali i lavoratori stranieri, i disabili di cui all'art. 1, comma 1 della legge n. 68/1999, i richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale [...]»;   gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia partecipano, nella Regione Umbria, anche alle azioni previste nell'ambito del Programma operativo regionale (POR) del Fondo europeo di sviluppo regionale (FSE), che guida l'impiego dei fondi provenienti dall'Unione europea destinati a realizzare interventi per favorire il lavoro, anche tramite la formazione professionale e altri azioni;   ii) quanto alla materia «istruzione», l'art. 3, comma 1, della legge regionale Basilicata 13 agosto 2015, n. 30, recante «Sistema integrato per l'apprendimento permanente ed il sostegno alle transizioni nella vita attiva», prevede che «le azioni del sistema regionale integrato per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita sono rivolte ai cittadini dell'Unione europea (UE), nonche' agli stranieri ed agli apolidi muniti di regolare permesso di soggiorno»;   iii) quanto alla materia «tutela della salute», l'art. 13 della legge regionale Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 5, garantisce «ai cittadini stranieri immigrati, che siano nelle condizioni previste agli articoli 34 e 35, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, [...] gli interventi riguardanti le attivita' sanitarie previste dai livelli essenziali di assistenza, nei termini e nelle modalita' disciplinati dalle suddette norme nazionali» (comma 1) e «assicura nei confronti dei cittadini stranieri immigrati, non in regola con il permesso di soggiorno, in particolare, le prestazioni sanitarie di cura ambulatoriali ed ospedaliere, urgenti o comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia ed infortunio» (comma 3);   iv) quanto alla materia «previdenza complementare e integrativa» (incisa perche' i migranti regolari sono anche contribuenti previdenziali), l'art. 3, comma 1, della legge regionale Veneto 18 maggio 2007, n. 10, stabilisce che «la Giunta regionale e' autorizzata, nei limiti dello stanziamento di bilancio, a concedere a favore di lavoratrici e lavoratori residenti nel Veneto, iscritti ai fondi pensione di natura collettiva, contributi diretti ad assicurare per limitati periodi di tempo la copertura contributiva», prevedendo, quale condizione per il godimento del beneficio, solo la residenza nel territorio regionale e l'iscrizione a fondi pensione e non, ovviamente, la cittadinanza;   v) quanto alla materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», e' superfluo ricordare che gli obblighi tributari regionali gravano anche sugli stranieri; per l'effetto, laddove la legge regionale Umbria 24 dicembre 2007, n. 36, recante «Disposizioni in materia tributaria e di altre entrate della Regione Umbria», fa riferimento alla figura del «contribuente regionale», comprende in tale categoria anche lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio della Regione.

In via ancor piu' generale, si deve osservare che i migranti, oltre che un onere per le Regioni (a causa dei servizi che esse devono erogare), sono per esse anche una risorsa, perche' il loro apporto lavorativo e' necessario per il buon funzionamento dei programmi di sviluppo regionali. Sottrarre queste risorse senza alcun coinvolgimento delle Regioni e' dunque in se' violativo della loro sfera di autonomia.

Tanto considerato, la legittimazione della ricorrente alla contestazione delle disposizioni in epigrafe non puo' ritenersi dubbia, sicche' si puo' passare alla formulazione delle singole censure.

1.- Quanto all'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 2, 3, 10, commi 2 e 3, 11, 117, comma 1, della Costituzione (anche con riferimento agli articoli 15, lettera c), e 18, della direttiva 2011/95/UE, 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto Internazionale di New York sui diritti civili e politici e 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali). Violazione degli articoli 117, commi 2, 3 e 4; 118 e 119 della Costituzione. Come gia' riportato in narrativa, l'art. 1 del decreto-legge n. 113 del 2018 ha apportato significative modifiche sia al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), sia al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (emanato in «Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»).

Prima dell'emanazione del decreto impugnato, l'art. 5 del decreto legislativo n. 286 del 1998 - che disciplina in via generale l'istituto del permesso di soggiorno - prevedeva, al comma 6, che «Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresi' adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari e' rilasciato dal questore secondo le modalita' previste nel regolamento di attuazione».

Sul testo appena menzionato e' intervenuto l'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2018, il quale, alla lettera b), n. 2), ha soppresso l'inciso del primo periodo contenente la menzionata clausola di salvaguardia («salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano») e l'intero secondo periodo, che contemplava la possibilita' del rilascio del permesso di soggiorno «per motivi umanitari».

In secondo luogo, l'art. 32, comma 3, del decreto legislativo n.

25 del 2008, nella versione antecedente l'emanazione del decreto impugnato, disponeva che «Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Anche tale disposizione e' stata modificata dal decreto-legge n.

113 del 2018 (e, segnatamente, dall'art. 1, comma 2).

Conseguentemente, si prevede ora che «Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n, 286, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno annuale che reca la dicitura «protezione speciale», salvo che possa disporsi l'allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga. Il permesso di soggiorno di cui al presente comma e' rinnovabile, previo parere della Commissione territoriale, e consente di svolgere attivita' lavorativa ma non puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro».

Piu' in generale, l'istituto del permesso di soggiorno per «gravi motivi di carattere umanitario» e' stato sostituito da fattispecie direttamente tipizzate dai novellati decreto legislativo n. 286 del 1998 e decreto legislativo n. 25 del 2008, i quali, in particolare, ne consentono il rilascio:   i) quando lo straniero «possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione» (art. 19, comma 1, decreto legislativo n. 286 del 1998);   ii) quando vi siano «fondati motivi» ch'egli possa «essere sottopost[o] a tortura» (art. 19, comma 1.1, decreto legislativo n.

286 del 1998);   iii) per «cure mediche», con riferimento agli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravita'» (art. 19, comma 2, lettera d-bis), decreto legislativo n. 286 del 1998;   iii) per «calamita'» (art. 20-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998);   iv) per «atti di particolare valore civile» (art. 42-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998);   v) per «protezione speciale» (art. 32, comma 3, decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25).

In terzo luogo, l'art. 1, comma 8, del decreto-legge n. 113 del 2018, stabilisce che «Fermo restando i casi di conversione, ai titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari gia' riconosciuto ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, in corso di validita' alla data di entrata in vigore del presente decreto, e' rilasciato, alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Ne consegue che, in sede di rinnovo, la nuova disciplina di cui al menzionato comma 8 dovra' retroattivamente applicarsi anche agli stranieri cui e' stato rilasciato un regolare permesso di soggiorno per «motivi umanitari» ai sensi della normativa previgente.

1.1.- Dalle disposizioni teste' menzionate emerge, in sostanza, che:   gli stranieri che prima avrebbero potuto godere del permesso di soggiorno per «motivi umanitari» diventano irregolari, qualora essi non si trovino nelle condizioni di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1 del novellato decreto legislativo n. 286 del 1998 o in quelle ulteriori per le quali il medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998 o il decreto legislativo n. 25 del 2008 prevedono il rilascio del permesso;   detta irregolarita' non colpisce solamente coloro che presentano richiesta per il menzionato permesso o ai quali esso viene rilasciato successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge n.

113 del 2018, ma si estende anche a chi gia' ne sia in possesso, con conseguente revoca o diniego del rinnovo rispettivamente ai sensi dei commi 1 e 8 dell'art. 1 del decreto impugnato.

1.2.- Tanto premesso, non v'e' dubbio che la nuova disciplina presenti plurimi profili d'illegittimita' costituzionale, come appresso si vedra'.

E' opportuno anzitutto ribadire che il complessivo riordino della normativa relativa al permesso di soggiorno comporta un diretto coinvolgimento delle regioni. A tal proposito, al di la' di quanto gia' osservato in via generale nella Premessa del presente gravame, basti pensare, a titolo esemplificativo:   alla nuova ipotesi di permesso di soggiorno per cure mediche per gli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravita'» di cui all'art. 19, comma 2, lettera d-bis), decreto legislativo n. 286 del 1998, fattispecie indubbiamente connessa alla materia «tutela della salute»;   alla nuova ipotesi di permesso di soggiorno speciale per stranieri vittime di violenza domestica di cui all'art. 18-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale «ha la durata di un anno e consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico [...] o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'» e interseca inevitabilmente le materie «istruzione» e «tutela del lavoro».

Vero quanto precede, le norme censurate incidono illegittimamente non solo nelle attribuzioni attinenti alla funzione legislativa ex art. 117, comma 3, della Costituzione, ma anche in quelle relative alle funzioni amministrative ai sensi dell'art. 118, comma 1, della Costituzione. La Regione, infatti, e' costretta a rimodulare tali funzioni - tanto con riferimento alla loro disciplina, quanto al loro concreto esercizio - escludendo dalla platea dei destinatari gli stranieri che, in virtu' della nuova legislazione statale in materia di permesso di soggiorno, non potranno piu' ottenerne il rilascio o il rinnovo e potranno subirne la revoca. Quanto alle specifiche disposizioni gravate, infine, sono comprese tutte quelle che dettano le scelte di fondo della riduzione della protezione umanitaria, o a tale scelta danno svolgimento. Sono invece escluse quelle che a tale scelta non si collegano.

1.3.- Violato, in secondo luogo, e' l'art. 3 della Costituzione, e con esso il legittimo affidamento dei privati. La lesione - si badi - e' bidirezionale: da una parte, infatti, e' leso l'affidamento dei titolari di un permesso di soggiorno ottenuto in virtu' del precedente assetto normativo; dall'altra, quello di coloro che - sempre alla luce della disciplina previgente - confidavano nel rilascio del citato permesso.

In entrambi i casi siamo di fronte a esempi di retroattivita' «impropria» (c.d. «unechte Rückwirkung»), ancorche' con due distinte gradazioni.

La lesione dell'affidamento e' particolarmente grave per la prima categoria di destinatari, gia' da tempo residenti in Italia e che nutrivano progetti di vita radicalmente condizionati dall'aspettativa del rinnovo del permesso, in costanza delle condizioni per il suo rilascio.

Anche l'altra categoria, pero', e' seriamente colpita, perche' pure in questo caso un progetto di vita, inizialmente attuato con un accesso al territorio nazionale confidante nel possesso dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno, e' stato cancellato dalla disciplina qui censurata.

E' vero che affidamento non vuol dire pretesa all'immutabilita' della disciplina legislativa, ma non e' meno vero che la costante giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, ma anche quella della Corte di giustizia UE e della Corte europea dei diritti dell'uomo, ammette l'incidenza in situazioni soggettive pregresse (nei c.d. «diritti quesiti») solo a condizione che l'intervento legislativo sia: a) necessario; b) proporzionato; c) motivato dal riferimento a interessi costituzionalmente meritevoli di protezione.

Nella specie, nessuna di queste condizioni ricorre, perche' la cancellazione dell'istituto del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non persegue alcun interesse meritevole di tutela e anzi - come subito vedremo al sottoparagrafo che segue - confligge con numerosi strumenti internazionali, qualificabili come fonti interposte in forza dell'art. 117, comma 1, della Costituzione.

1.4.- In terzo luogo, sono violati gli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione. Viene infatti irragionevolmente operata una distinzione tra coloro che, a parita' di condizioni di rilascio, dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 113 del 2018 non potranno piu' godere del permesso di soggiorno e coloro i quali, invece,, potranno egualmente mantenerlo alla luce delle sopravvenienze normative.

L'irragionevolezza di tale distinzione, poi, e' tanto piu' grave, in quanto si ripercuote anche sul godimento delle prestazioni pubbliche e, in generale, sulle situazioni giuridiche soggettive direttamente connesse alla titolarita' del permesso di soggiorno.

La disparita' di trattamento si rileva anche per un diverso profilo. Secondo la giurisprudenza civile e amministrativa, i requisiti per concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari concernono le speciali esigenze relative alla «tutela della famiglia e dei minori, ricongiungimento familiare, [...] persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche» (Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4317), nonche' al «rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti» (Cass. civ., Sez. VI, ordinanza 24 marzo 2011, n. 6879).

Ebbene: poiche' le fattispecie non coincidono integralmente, distinguere coloro che versano in tali condizioni da coloro che presentano i requisiti per i «casi speciali» introdotti dalle disposizioni qui impugnate e' irragionevole e violativo del principio di eguaglianza, in quanto entrambi i gruppi comprendono le persone c.d. «vulnerabili» secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, per le quali lo Stato deve necessariamente apprestare misure volte a evitare che siano soggetti a trattamenti inumani e degradanti (cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentt. 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Grecia e Belgio, e 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera). Conseguentemente, e' violato l'art. 117, comma 1, della Costituzione, atteso che la giurisprudenza ora citata fa leva sull'art. 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.

1.5.- E' poi violato l'art. 10, comma 3, della Costituzione, che riconosce il diritto d'asilo nel territorio nazionale allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche. Significative in proposito sono le statuizioni del giudice della nomofilachia, il quale ha costantemente affermato che «la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell'asilo costituzionale [...], unitamente al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle liberta' democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tuttora oggetto di ampio dibattito» (sentenza Cassazione civ., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ebbene: non e' chi non veda che la formula relativa ai «motivi umanitari» a fondamento del rilascio del permesso di soggiorno rispondeva perfettamente alla necessita', imposta dall'art. 10, comma 3, della Costituzione, di approntare ai richiedenti asilo una tutela elastica, in quanto consustanziale alla «configurazione ampia del diritto d'asilo». Venuta meno quella formula, e' venuta meno anche la pienezza della relativa tutela, relegata a singole fattispecie tipizzate, per cio' solo inidonee (come precisato dalla citata giurisprudenza di legittimita') a realizzare le prescrizioni costituzionali.

1.6.- Non basta. Le disposizioni censurate si pongono anche in contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione (in relazione agli articoli 15, lettera c), e 18 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, recante «norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta»).

Per quanto qui interessa, la Direttiva in esame stabilisce che:   «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria» e' qualsiasi «cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all'art. 15, e al quale non si applica l'art. 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non puo' o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese» (art. 2, lettera g));   ai fini del possesso dei requisiti per la protezione sussidiaria, e' considerata «danno grave» la «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale» (art. 15, lettera c));   gli Stati membri dell'Unione europea «riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese terzo o a un apolide aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria in conformita' dei capi II e V» (art. 18).

Ebbene: la disciplina censurata e' gravemente lesiva dei parametri eurounitari poc'anzi richiamati. Essa, infatti, esclude dal regime di protezione sussidiaria proprio le persone che, ove rientrassero nel Paese di origine, verrebbero esposte alla «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

1.7.- Le norme impugnate, inoltre, sono senz'altro violative degli articoli 2, 10, comma 2, e 117, comma 1, della Costituzione, in riferimento agli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (hinc inde: CEDU) e agli articoli 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881 (hinc inde: Patto).

A tal proposito, e' agevole osservare che il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui agli articoli 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 17, 23 e 24 del Patto sarebbe irrimediabilmente compromesso per i soggetti esclusi dal regime di protezione in ragione dell'allontanamento dal territorio italiano. Essi, poi, a causa della poverta' del Paese di provenienza, vedrebbero messe a repentaglio la propria vita e sicurezza alimentare, con conseguente lesione degli articoli 2 e 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 6 e 10, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Ne discende l'ulteriore violazione, sotto diverso profilo rispetto a quanto gia' osservato (v. par. 1.4), dell'art. 2 della Costituzione, perche' in tal modo sono compromessi i diritti inviolabili degli interessati.

1.8.- Da ultimo, va osservato che le norme censurate intersecano sicuramente gli ambiti di autonomia finanziaria riservati alle Regioni ai sensi dell'art. 119 della Costituzione.

A tal proposito, e' sufficiente menzionare l'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale individua «le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia ed infortunio» e i «programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva» in ogni caso garantiti «ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno».

Ai sensi dell'Accordo Stato-Regioni n. 255 del 20 dicembre 2012, poi, le regioni sono tenute a rimborsare le ASL territorialmente competenti degli oneri per le prestazioni sanitarie erogate ai sensi dell'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

Ebbene:   in forza delle norme impugnate, il numero degli «stranieri presenti sul territorio nazionale» e «non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno» e' destinato ad aumentare;   di conseguenza, poiche' l'assistenza sanitaria di base dovrebbe comunque essere assicurata, la spesa sostenuta dalle Regioni per l'erogazione delle prestazioni sanitarie a loro carico ai sensi del citato art. 35, comma 3, decreto legislativo n. 286 del 1998 non diminuirebbe, mentre diminuirebbe la partecipazione degli stranieri, tramite il versamento delle imposte e dei contributi.

Ne consegue, all'evidenza, un ulteriore (e illegittimo) pregiudizio per l'autonomia finanziaria della Regione ricorrente.

1.9.- Una censura specifica e uno specifico svolgimento dei motivi di ricorso merita l'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 113 del 2018. Esso regola l'ambito dei servizi di accoglienza per i titolari dei c.d. permessi di soggiorno per «casi speciali», novellando l'art. 18-bis del d. decreto legislativo n. 286 del 1998 con l'inserimento del comma 1-bis. Detto comma 1-bis prevede che «Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo reca la dicitura «casi speciali», ha la durata di un anno e consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico previsto dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'. Alla scadenza, il permesso di soggiorno di cui al presente articolo puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo, secondo le modalita' stabilite per tale permesso di soggiorno ovvero in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi.»".

Tale disposizione e' illegittima nella parte in cui non consente ai titolari di permesso di soggiorno «speciali» l'accesso ai servizi sociali diversi da quelli esplicitamente menzionati, ovverosia «servizi assistenziali» e «studio».

In questo modo il legislatore statale ha manifestamente e illegittimamente compresso le attribuzioni regionali quantomeno nelle materie di competenza concorrente «formazione professionale», «promozione e organizzazione di attivita' culturali», nonche' nell'ambito di competenza regionale residuale delle «politiche abitative».

Ne deriva la violazione non solo dell'art 117, comma 4, ma anche dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate sono sia autoapplicative che «di dettaglio» e non lasciano nelle materie di competenza concorrente alcun margine di discrezionale determinazione alle regioni.

Per le stesse ragioni e' violato anche l'art. 118 della Costituzione, in quanto alla Regione e' sottratto ogni spazio di esercizio delle sue attribuzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente o residuale sopra indicate.

Specificamente violato e' l'art. 118, comma 3, della Costituzione, in quanto la disciplina in esame non ha previsto l'obbligo dello Stato di concertare con le Regioni le modalita' di assistenza nei confronti dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale, nonche' nei confronti dei soggetti gia' riconosciuti in stato di «protezione umanitaria».

2.- Quanto all'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; del decreto-legge n.

113 del 2018. Violazione degli articoli 2, 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, anche in riferimento all'art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. L'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018 interviene sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Come e' noto, lo Sprar e' il servizio costituito dalla rete di centri di accoglienza gestiti dagli enti locali, che non si limitano ad accogliere i migranti, ma svolgono anche progetti e attivita' di istruzione, integrazione sociale, informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi individuali e/o collettivi di inserimento socio-economico.

Ne consegue che:   le funzioni dei centri SPRAR non sono in alcun modo sovrapponibili ne' riducibili a quelle degli altri centri che gestiscono il fenomeno migratorio e dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale (c.d. «hot spot», CARA o CAS);   nella prospettiva del riparto di competenze tra Stato e Regioni, l'attivita' svolta dallo SPRAR e' certamente riconducibile alle competenze regionali;   in particolare (e fermo restando quanto osservato in via generale nella Premessa del presente gravame), l'attivita' (e, dunque, la disciplina) dei centri SPRAR e' del tutto estranea alle «politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale», concernendo i diversi ambiti del «diritto allo studio o all'assistenza sociale», nonche' delle politiche abitative, ambiti «attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle regioni» (per riprendere le parole delle sentenze della Corte costituzionale, nn. 134 e 299 del 2010).

Il servizio di accoglienza SPRAR e' stato fortemente modificato dalle norme censurate, tanto che l'art. 12, comma 4, ne ha anche mutato il nome in «Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati».

In particolare, l'articolo in esame interviene sulla platea dei beneficiari dei servizi di accoglienza sul territorio che sono prestati dagli enti locali: i servizi di accoglienza sono stati riservati ai titolari delle vigenti forme di protezione internazionale, ivi compresi quelli «speciali» introdotti dallo stesso decreto-legge n. 113 del 2018 ai novellati articoli 18-bis, 19; comma 2, lettera d-bis), 22, comma 12-quater, 20-bis e 42-bis (permesso di soggiorno per vittime di violenza domestica, per soggetti in condizioni di salute di eccezionale gravita', per vittime di particolare sfruttamento lavorativo, per calamita', per soggetti che hanno compiuto atti di particolare valore civile), e ai minori stranieri non accompagnati. Sono stati invece esclusi dalla possibilita' di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la protezione internazionale, oltre che i possessori dei precedenti permessi «per motivi umanitari» oggi soppressi.

Ne consegue che, allo stato, molti soggetti accolti dagli Sprar dovranno lasciarli, nonostante abbiano gia' ottenuto il riconoscimento del diritto alla «protezione umanitaria».

2.1.- Cio' detto in via di premessa generale, e' necessario esaminare nel dettaglio il contenuto delle disposizioni impugnate (nei limiti di quanto qui d'interesse).

Il comma 1 modifica l'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416 del 1989.

La lettera a) ne ha riscritto il primo comma. La nuova formulazione esclude i «richiedenti asilo» dal novero dei soggetti che possono essere accolti dai servizi di accoglienza degli enti locali e include solo i soggetti gia' titolari dei permessi «speciali» di soggiorno introdotti dal decreto-legge n. 113 del 2018.

La lettera b) ne ha modificato il comma 4, circoscrivendo il meccanismo di «coordinamento» tra Ministero ed enti locali in materia di accoglienza alla sola tutela dei soggetti gia' titolari di protezione internazionale e dei minori non accompagnati, con esclusione dei richiedenti asilo, dei richiedenti protezione internazionale e dei soggetti titolari del soppresso permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

La lettera c) ne ha novellato il comma 5, lettera a), prevedendo che il servizio centrale del meccanismo di coordinamento sia competente a monitorare la presenza sul territorio dei soggetti gia' titolari di protezione internazionale e dei minori non accompagnati, con esclusione dei richiedenti asilo, dei richiedenti protezione internazionale e dei soggetti titolari del soppresso permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

La lettera d) ha riscritto la rubrica dell'art. 1-sexies, cosi' da non menzionare i soggetti esclusi dal servizio di accoglienza.

Il comma 2 reca varie modifiche al decreto legislativo n. 142 del 2015.

In particolare, le lettere da a) a e) intervengono sugli articoli 5, 8, 9, 11 e 12 del decreto legislativo n. 142 del 2015, nel senso di espungere tutti i riferimenti all'art. 14 del medesimo decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola il sistema di accoglienza territoriale per richiedenti asilo e rifugiati, cosi' da ridurre significativamente l'ambito di operativita' di tale sistema.

La lettera f) novella proprio il suddetto art. 14 del decreto legislativo n. 142 del 2015. In particolare:   il n. 1 novella il comma 1, cosi' da escludere il richiedente asilo e/o protezione internazionale dall'accesso al sistema Sprar;   il n. 2, abrogando il comma 2, sopprime il meccanismo di richiesta di contributo economico da parte degli enti locali per la realizzazione dei servizi di accoglienza Sprar;   il n. 3, novellando il comma 3, stabilisce che l'accesso del richiedente ai centri diversi dallo Sprar (CARA e CAS) e' limitato ai soggetti che si dichiarano privi di mezzi di sussistenza. In questo modo si «dirottano» i richiedenti verso i centri che non svolgono attivita' di integrazione socio-assistenziale;   il n. 4 modifica il comma 4, sopprimendo il riferimento al comma 1, per ragioni di coordinamento formale del testo novellato;   il n. 5 novella la rubrica dell'art. 14, espungendo il riferimento al «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati».

La lettera g) modifica l'art. 15 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola le modalita' di accesso al sistema di protezione.

Il n. 1 abroga i commi 1 e 2, che regolavano il procedimento di esame della domanda di accesso allo Sprar da parte della Prefettura UTG competente e la sua evasione mediante collocazione nelle strutture disponibili all'interno del sistema.

Il n. 2 novella la rubrica dell'articolo (prima «Modalita' di accesso al sistema di accoglienza territoriale - Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati», ora «Individuazione della struttura di accoglienza»).

La lettera h) modifica l'art. 17 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola l'accoglienza delle persone portatrici delle c.d. «esigenze particolari».

Il n. 1 abroga il comma 4, che istituiva i «servizi speciali» degli Sprar per le persone portatrici di «esigenze particolari».

Il n. 2 modifica il comma 6, espungendo il richiamo al precedente comma 4, ora abrogato.

La lettera i) modifica l'art. 20 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola l'attivita' di monitoraggio e controllo, espungendo il riferimento all'attivita' di monitoraggio del servizio di coordinamento tra Ministero e enti locali di cui all'art.

1-sexies, comma 4, del decreto-legge n. 416 del 1989 (disposizione novellati dal comma 1 dell'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018, come sopra indicato), nonche' sopprimendo l'attivita' di monitoraggio sui centri Sprar.

La lettera l) abroga l'art. 22, comma 3, del decreto legislativo n. 142 del 2015, che consentiva ai soggetti accolti nei centri Sprar di «frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dal programma dell'ente locale dedicato all'accoglienza del richiedente».

La lettera m) modifica l'art. 22-bis, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 142 del 2015, stabilendo che la partecipazione alle attivita' di utilita' sociale non e' consentita ai richiedenti protezione internazionale, ma solo ai soggetti gia' titolari dei permessi di protezione internazionale.

La lettera n) modifica l'art. 23 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola la revoca delle condizioni di accoglienza, escludendo il riferimento all'art. 14, che disciplina il servizio degli Sprar.

Il comma 3 modifica il decreto legislativo n. 25 del 2008.

La lettera a) modifica l'art. 4, comma 5, del decreto legislativo n. 25 del 2008, cancellando dai criteri che definiscono la competenza per territorio delle Commissioni territoriali che esaminano domanda di protezione internazionale dei richiedenti quello della collocazione nel centro Sprar, mentre la lettera b) inserisce disposizioni di coordinamento sui portatori di esigenze speciali.

Il comma 4 dispone che «Le definizioni di «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati» ovvero di «Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati» di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 [...], ovunque presenti, in disposizioni di legge o di regolamento, si intendono sostituite dalla seguente: «Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati» di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 [...], e successive modificazioni».

Il comma 5 stabilisce che «I richiedenti asilo presenti nel Sistema di protezione di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, alla data di entrata in vigore del presente decreto, rimangono in accoglienza fino alla scadenza del progetto in corso, gia' finanziato».

Il comma 5-bis dispone che «I minori non accompagnati richiedenti asilo al compimento della maggiore eta' rimangono nel Sistema di protezione di cui al comma 4 fino alla definizione della domanda di protezione internazionale».

Il comma 6 stabilisce che «I titolari di protezione umanitaria presenti nel Sistema di protezione di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, alla data di entrata in vigore del presente decreto, rimangono in accoglienza fino alla scadenza del periodo temporale previsto dalle disposizioni di attuazione sul funzionamento del medesimo Sistema di protezione e comunque non oltre la scadenza del progetto di accoglienza».

2.2.- Come si evince pianamente gia' dalla sintetica illustrazione di cui sopra, gli effetti prodotti dalle disposizioni dell'art. 12 qui in esame (restando non censurati i commi 1, lettera a-bis) e a-ter); 2, lettera d), n. 1-bis; 7) sono i seguenti:   i servizi socio-assistenziali, formativi e di integrazione sono riservati ai minori non accompagnati e ai titolari di protezione internazionale, con esclusione dei titolari del «vecchio» permesso per motivi umanitari;   i richiedenti protezione internazionale sono esclusi da tali servizi, essendo la loro accoglienza affidata ai centri CARA e CAS, che si limitano al loro sostentamento;   al termine dei progetti gia' finanziati, i soggetti gia' inseriti negli Sprar saranno di fatto espulsi da quei centri;   i richiedenti protezione saranno ri-allocati presso i CARA e CAS, mentre i titolari del «vecchio» permesso per protezione umanitaria, ancorche' non ancora in grado di sostentarsi, non avranno alcun ricollocamento;   questi ultimi, ovviamente, andranno a gravare sui servizi di integrazione e socio-assistenziali «comuni» (ovverosia dedicati alla generalita' della popolazione residente), predisposti e finanziati dagli enti locali e dalle regioni.

2.3.- L'illegittimita' costituzionale delle disposizioni qui in esame e la contestuale lesione delle competenze legislative e amministrative della Regione ricorrente e' evidente.

Il legislatore statale, infatti, attraverso la riforma del centri di accoglienza Sprar, la soppressione dei servizi socio-assistenziali e formativi ai richiedenti protezione internazionale e - circostanza che merita una specifica menzione - ai minori accompagnati e il loro contestuale inserimento nei CARA o CAS, impedisce alla Regione di esercitare le sue attribuzioni nelle materie di competenza concorrente «istruzione», «formazione professionale», «promozione e organizzazione di attivita' culturali», nonche' nelle materie di competenza regionale residuale «servizi sociali», «assistenza sociale», «diritto allo studio», «politiche abitative».

Si badi: le regioni non solo devono scontare il totale «disimpegno» organizzativo e finanziario dello Stato dai programmi di integrazione per i richiedenti protezione internazionale e i minori accompagnati (circostanza gia' di per se' idonea a violare le segnalate competenze regionali), ma sono anche di fatto e di diritto impossibilitate a svolgere quelle attivita', in quanto nei CARA e nei CAS (che sono centri gestiti dall'Amministrazione statale) non e' previsto lo svolgimento di alcuna attivita' socio-assistenziale. Tale circostanza rende evidente che le disposizioni in esame cancellano integralmente le competenze legislative regionali sopra indicate.

Ne deriva la violazione non solo dell'art. 117, comma 4, ma anche dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate sono sia autoapplicative che «di dettaglio» e non lasciano nelle materie di competenza concorrente alcun margine di discrezionale determinazione alle regioni.

Per le stesse ragioni e' violato anche l'art. 118 della Costituzione, in quanto alla Regione e' sottratto ogni spazio di esercizio delle sue attribuzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente o residuale sopra indicate.

Specificamente violato e' l'art. 118, comma 3, della Costituzione, in quanto la disciplina in esame non ha previsto l'obbligo dello Stato di concertare con le regioni le modalita' di assistenza nei confronti dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale, nonche' nei confronti dei soggetti gia' riconosciuti in stato di «protezione umanitaria».

Gli articoli 117, commi 3 e 4, e 118, della Costituzione sono violati anche in riferimento al principio di tutela dei diritti inviolabili ex art. 2 della Costituzione, al principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, al principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 della Costituzione, al dovere di adempiere gli obblighi derivanti dai trattati internazionali ex art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 3 della Convezione EDU. In particolare:   l'espulsione del titolare del «vecchio» permesso di soggiorno per protezione umanitaria dal sistema di accoglienza senza alcuna verifica della sua capacita' di auto-sostentarsi e' al di sotto dello standard minimo di protezione dei diritti inviolabili dell'uomo (in quanto compromette il minimo di sostegno sociale dovuto a qualunque essere umano); e' del tutto irragionevole (perche' tratta allo stesso modo situazioni personali anche assai differenziate), e' violativa del principio del legittimo affidamento e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto vanifica gli sforzi (anche finanziari) sostenuti dagli enti coinvolti nel sistema Sprar per l'integrazione socio-assistenziale del migrante e scarica il costo economico-sociale del migrante sugli ordinari servizi socio-assistenziali approntati e finanziati dalle Regioni e dagli enti locali, di bel nuovo con illegittima compressione dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria regionale (visto che anche gli oneri finanziari di simili attivita' gravano sulle regioni);   secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (per tutte v. le sentenze 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Grecia e Belgio, e 4 novembre 2014, Tarakhel e. Svizzera) costituisce trattamento degradante violativo dell'art. 3 della Convezione EDU la cessazione dei servizi di accoglienza gia' avviati nei confronti di soggetti definiti «vulnerabili», quali sono, nella specie, sia i richiedenti asilo sia, a piu' forte ragione, coloro che hanno ottenuto il «vecchio» permesso di soggiorno per protezione umanitaria. La compressione dell'autonomia regionale per questi soggetti, dunque, risulta ancor piu' ingiustificata e illegittima.

2.4.- Da ultimo, anche per tuziorismo, prevenendo la stessa ipotesi di un'eccezione d'inammissibilita' della censura per oscurita' del petitum, si specifica di seguito l'intervento richiesto a codesta Ecc.ma Corte:   quanto al comma 1, lettera a), si chiede di dichiararne l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui prevede che il comma 1 dell'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416 sia «sostituito» dal testo di cui al n. 1 della medesima lettera a), anziche' «integrato» da quel testo, affinche' il servizio Sprar sia accessibile alla platea dei soggetti eleggibili in ragione sia della previgente che della nuova disciplina dei permessi di soggiorno;   quanto al comma 1, lettera b), c) e d), se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente espansione delle competenze del meccanismo di coordinamento all'intera platea dei soggetti ammissibili al servizio Sprar e con ripristino della precedente rubrica dell'art. 1-sexies;   quanto al comma 2, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente espansione delle competenze del servizio Sprar;   quanto al comma 3, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente ripristino del criterio di competenza delle Commissioni territoriali di evasione delle domande di richiesta di protezione in connessione con l'attivita' del servizio Sprar;   quanto al comma 4, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente ripristino della denominazione del servizio Sprar;   parimenti, si chiede la semplice ablazione dei commi 5, 5-bis e 6, che prevedono il limite temporale di accoglienza dei soggetti gia' inseriti nei centri Sprar e che il decreto-legge n. 113 del 2018 qualifica come non piu' accoglibili.

3.- Quanto all'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c), del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 e 119 della Costituzione.

Violazione degli articoli 2, 3, 10, comma 3, 117, comma 1, della Costituzione, anche con riferimento all'art. 2, comma 1, del Protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale sui. diritti civili e politici.

Come segnalato in narrativa, l'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - rubricato «Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica» -, nella parte che qui interessa, restando non censurato il comma 1, lettera a), n. 1, ha modificato gli articoli 4 e 5 e abrogato l'art.

5-bis del decreto legislativo n. 142 del 2015 («Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale»).

Piu' specificamente, e per quanto qui rileva, l'art. 4 del citato decreto legislativo n. 142 del 2015, al comma 1, prevede che al richiedente sia rilasciato «un permesso di soggiorno per richiesta asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui e' autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell'art.

35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25».

A tale previsione l'art. 13, comma 1, lettera a), n. 1, del decreto-legge n. 113 del 2018 ha aggiunto la seguente: «Il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445».

Subito dopo e' stato inserito - a opera dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2 - il comma 1-bis, a tenor del quale «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.»".

Lo stesso art. 13, al comma 1, lettera b), n. 1, ha poi sostituito il comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 142 del 2015, disponendo che «l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2».

3.1.- Orbene: dal combinato disposto degli enunciati richiamati discende che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo costituisce un documento di riconoscimento ai fini del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, ma non un titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

Per l'effetto, il titolare di permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma 1, del citato decreto legislativo n. 142 del 2015, non potra' essere iscritto all'anagrafe dei residenti.

Nondimeno, in virtu' dell'art. 5, comma 3, del medesimo decreto legislativo - per come novellato dall'art. 13 del decreto-legge n.

113 del 2018 - il richiedente continuera' ad avere accesso ai «servizi» previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e a quelli «comunque erogati sul territorio» nel luogo di domicilio.

Non sfuggira', pero', che la gran parte dei servizi previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e' erogata attraverso il diretto coinvolgimento di regioni ed enti locali e interseca una pluralita' di materie di competenza concorrente.

A mero titolo esemplificativo basti considerare che tra i servizi previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2005, comunque garantiti ai richiedenti, rientrano:   l'«accesso all'assistenza sanitaria secondo quanto previsto dall'art. 34 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, fermo restando l'applicazione dell'art. 35 del medesimo decreto legislativo nelle more dell'iscrizione al servizio sanitario nazionale» (cosi' l'art. 21, comma 1), con ovvia incidenza nella materia «tutela della salute»;   la soggezione «all'obbligo scolastico, ai sensi dell'art. 38 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» per i minori richiedenti protezione internazionale o i minori figli di richiedenti protezione internazionale, nonche' l'accesso «ai corsi e alle iniziative per l'apprendimento della lingua italiana di cui al comma 2 del medesimo articolo» (cosi' l'art. 21, comma 2), con evidente intreccio con la materia «istruzione»;   la possibilita' «di svolgere attivita' lavorativa» (art. 22, comma 1), che involge inevitabilmente la materia della «tutela e sicurezza del lavoro»;   la partecipazione ad «attivita' di utilita' sociale» (art.

22-bis).

Per tali ragioni (e per quelle gia' indicate, in via generale, nella Premessa del presente gravame) le censure di illegittimita' costituzionale che nel prosieguo si articoleranno sono - oltre che fondate - certamente ammissibili.

3.2.- Muovendo dalla prospettiva delle prerogative regionali menomate, l'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - a eccezione del suo comma 1, lettera a), n. 1 - e' anzitutto violativo degli articoli 2, 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 e 119 della Costituzione.

Come accennato supra, infatti, la norma censurata formalmente proclama che i richiedenti asilo mantengono l'accesso ai servizi «comunque garantiti» sul territorio in cui sono domiciliati, ma al contempo preclude loro l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, iscrizione che costituisce il necessario presupposto per il godimento di numerose prestazioni erogate dalle regioni e/o dagli enti locali.

Il punto e' ribadito anche nella Relazione di presentazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 113 del 2018, ove si sottolinea che «L'esclusione dall'iscrizione all'anagrafe non pregiudica l'accesso ai servizi riconosciuti dalla legislazione vigente ai richiedenti asilo (iscrizione al servizio sanitario, accesso al lavoro, iscrizione scolastica dei figli, misure di accoglienza) che si fondano sulla titolarita' del permesso di soggiorno» e che «l'esclusione dall'iscrizione anagrafica si giustifica per la precarieta' del permesso per richiesta asilo e risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente».

In disparte la patente contraddittorieta' della norma - di cui appresso si dira' - occorre segnalare che la disposizione in esame impone alle Regioni, alternativamente, di:   escludere dall'erogazione di servizi e prestazioni i richiedenti asilo, in violazione dei principi dettati dallo stesso legislatore statale nel decreto legislativo n. 142 del 2015;   modificare la corrispondente normativa regionale in modo da' garantire - a spese delle Regioni medesime, s'intende - determinati servizi e prestazioni anche ai non iscritti all'anagrafe dei residenti.

L'esito e', in entrambi i casi, paradossale e violativo delle prerogative regionali costituzionalmente garantite all'art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione.

Non puo' non segnalarsi, peraltro, che tali violazioni ridondano anche in lesione dell'autonomia finanziaria regionale, di cui all'art. 119 della Costituzione, e risultano in contrasto col principio di economicita' dell'azione amministrativa, imposto dall'art. 97 della Costituzione, e al quale soggiacciono anche le regioni.

Non sfugge infatti che, da un lato, la Regione e' tenuta a garantire anche ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo i servizi erogati sul proprio territorio, ma, dall'altro, non puo' - stante l'impossibilita' della loro iscrizione all'anagrafe - considerare costoro partecipi a pieno titolo, anche sotto il profilo dei doveri tributari, contributivi, etc., della sua comunita' di residenti.

Parimenti violato dalle norme qui censurate e' l'art. 118 della Costituzione, atteso che il suddetto divieto di iscrizione anagrafica impedisce ai comuni anche di erogare ai richiedenti asilo i servizi e le prestazioni che richiedano, quale presupposto, l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, incidendo in tal modo nell'esercizio delle funzioni amministrative loro spettanti nelle materie di competenza regionale sopra menzionate e qui rilevanti.

3.3.- Non basta. L'illegittimita' costituzionale dell'art. 13 dev'essere rilevata anche sotto un altro profilo. La norma e' infatti certamente violativa anche degli articoli 3 e 10, comma 3, della Costituzione.

Impedendo l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, infatti, il legislatore ha riservato un trattamento diverso - e deteriore - a una particolare categoria di stranieri, creando una discriminazione del tutto irragionevole in quanto fondata esclusivamente sul diverso tipo di permesso di soggiorno posseduto. Dato, questo, che certamente non puo' giustificare la limitazione in parola, tanto piu' se, come nel caso di specie, e' direttamente la Costituzione all'art. 10, comma 3, a prevedere che «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Codesta Ecc.ma Corte ha peraltro ormai chiarito che «Il principio di eguaglianza comporta che a una categoria di persone, definita secondo caratteristiche identiche o ragionevolmente omogenee in relazione al fine obiettivo cui e' indirizzata la disciplina normativa considerata, deve essere imputato un trattamento giuridico identico od omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali in ragione delle quali e' stata definita quella determinata categoria di persone» Viceversa, «ove i soggetti considerati da una certa norma, diretta a disciplinare una determinata fattispecie, diano luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest'ultimo sara' conforme al principio di eguaglianza soltanto nel caso che risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone che quella classe compongono» (sent. n. 163 del 1993).

Orbene, nel caso di specie e' di piana evidenza che la previsione di un trattamento diverso per la sola categoria dei richiedenti asilo non trova una giustificazione ragionevole nella sussistenza di eventuali profili di differenziazione dai titolari di altri tipi di permesso di soggiorno (ivi compresi quelli introdotti dal decreto-legge n. 113 del 2018).

Priva di pregio e' l'affermazione - che si legge nella Relazione che accompagna il d.d.l. di conversione - che l'esclusione dall'iscrizione anagrafica si giustificherebbe «per la precarieta' del permesso per richiesta asilo». E' vero, infatti, che quest'ultimo ha durata semestrale (ex art. 4, comma l, del decreto legislativo n.

142 del 2015), ma e' parimenti vero che la medesima durata semestrale hanno anche - per citarne solo alcuni - il permesso «per calamita'» (di cui all'art. 20-bis del testo unico Immigrazione) o il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (di cui all'art. 18 del medesimo T.U.).

Solo il primo, pero', preclude l'iscrizione all'anagrafe dei residenti.

3.4.- La norma impugnata e' certamente violativa, dal ultimo, anche degli articoli 2, 3 e 117, comma 1, della Costituzione in riferimento sia all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, a tenor del quale «chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente la propria residenza», sia all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881, laddove dispone che «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio».

L'irragionevole preclusione dell'iscrizione dei richiedenti asilo all'anagrafe dei residenti mina irrimediabilmente anche le garanzie previste dalle fonti sovranazionali richiamate, gravemente compromettendo il diritto (garantito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione) al riconoscimento pubblico del reale rapporto fra persona e territorio dello Stato (e dei suoi Comuni), essendo consustanziale alla dignita' dell'uomo la titolarita' dello status pubblicisticamente rilevante che corrisponde alle condizioni di fatto in cui ci si trova.

4.- Quanto all'art. 28, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 3, 5, 23, 25, 27, 97, 114, 117, comma 1, della Costituzione, in riferimento agli articoli 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 117, commi 2 e 3; 118, commi 1 e 2; 119 e 120, comma 2, della Costituzione. L'art. 28, comma l, del decreto-legge n. 113 del 2018 novella l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.

267 (recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali»: hinc inde anche TUEL), inserendovi un comma 7-bis, a tenor del quale «Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione del prefetto emergano, riguardo ad uno o piu' settori amministrativi, situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell'accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalita' l'attivita' amministrativa dell'ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all'ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci». Si tratta di previsione gravemente lesiva dell'autonomia degli enti locali e - pertanto - delle competenze regionali in materia di ordinamento degli stessi.

4.1.- Occorre preliminarmente osservare che l'art. 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, riserva allo Stato solo la determinazione delle «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». Tutto quanto non attiene a tali «funzioni fondamentali» rientra invece nella competenza residuale regionale, ai sensi dell'art. 117, comma 4. E' proprio in forza di tali previsioni costituzionali che la giurisprudenza dell'Ecc.ma Corte ha costantemente ritenuto che le regioni siano legittimate a tutelare, in sede di contenzioso costituzionale, l'autonomia degli enti locali.

Nella sentenza n. 298 del 2009, infatti, la Consulta ha ricordato che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale».

4.2.- La norma impugnata detta, anzitutto, una disciplina gravemente irragionevole; lesiva dei principi di legalita', buon andamento e imparzialita' della pubblica amministrazione; inosservante del principio autonomistico.

4.2.1.- Il potere (prima) di sostanziale sostituzione della volonta' del prefetto a quella degli enti locali e (poi) di commissariamento e' esercitabile «Nell'ipotesi di cui al comma 7 (dello stesso art. 143 del TUEL)», cioe' «Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l'adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5». Il comma 5 dell'art. 143 TUEL, a sua volta, dispone che «Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, e' adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalita' la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorita' competente».

Come si vede, i provvedimenti sinora consentiti dal TUEL erano: a) lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali (nelle gravissime ipotesi di cui agli articoli 141 e 143, comma 1); b) in alternativa, misure d'ordine organizzativo-sanzionatorio nei confronti dei dipendenti dell'ente locale. Ora, si introducono provvedimenti di sostituzione e di commissariamento la cui logica e' del tutto incomprensibile. Se, infatti, non si e' provveduto allo scioglimento, e' perche' sono emersi elementi significativi «con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale», non certo del «governo» dell'ente. Nonostante cio', pero', i poteri di commissariamento e di sostituzione colpiscono proprio quest'ultimo. L'irragionevolezza della costruzione, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, e' evidente (si colpiscono gli amministratori e l'ente in ragione di fatti imputabili ai dipendenti, indebitamente proiettando - appunto - su amministratori ed ente la responsabilita' di quelli).

Ne' basta. L'art. 28, comma 1-bis, del decreto-legge n. 113 del 2018, novellando l'art. 143, comma 11, TUEL, stabilisce che «Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonche' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilita' sia dichiarata con provvedimento definitivo». Come si vede, l'incandidabilita' degli amministratori e' collegata alla responsabilita' per atti che hanno condotto allo scioglimento dei consigli, non alla responsabilita' per atti che hanno condotto all'esercizio dei poteri prefettizi di sostituzione e commissariamento oggi «inventati» dal legislatore. Il che vuol dire, confessoriamente, che il commissariamento (cosi' come la sostituzione), che pur incide nell'autonomia dell'ente e dei suoi organi di Governo, e' disposto per fatto dei dipendenti, il che e' del tutto contraddittorio, irragionevole e privo di proporzionalita'.

Se, infatti, il legislatore stabilisce l'incandidabilita' degli amministratori solo nell'ipotesi di una loro diretta responsabilita', non si comprende perche' essi possano essere privati del potere di indirizzo e di gestione dell'ente per il fatto dei dipendenti, che lo stesso legislatore - evidentemente - considera come una fattispecie del tutto diversa.

4.2.2.- La rilevata irragionevolezza e' aggravata, infine, dall'estrema latitudine dei presupposti legittimanti l'esercizio dei poteri sostitutivi e di commissariamento da parte dei prefetti. Il generico riferimento a «condotte illecite»; alla semplice «alterazione delle procedure», al «buon andamento», al «regolare funzionamento dei servizi» apre un campo cosi' indefinito che l'autonomia degli enti locali della Regione finisce per essere abbandonata alle arbitrarie determinazioni del rappresentante dell'Esecutivo statale sul territorio regionale.

Non solo le regioni sono completamente pretermesse sia nella fase di accertamento dei presupposti che in quella di esercizio dei poteri di sostituzione e di commissariamento, ma - come gia' detto - la norma primaria qui censurata non contiene alcuna reale definizione dei paradigmi di esercizio del potere prefettizio, come sarebbe invece imposto dal principio di legalita' (desumibile anche dall'art.

23 della Costituzione), anche al fine di assicurare l'imparzialita' della pubblica amministrazione (nella specie: di quella prefettizia).

Anche il principio del buon andamento e' compromesso, perche' l'amministrazione degli enti locali puo' essere commissariata anche pel semplice fatto dei suoi dipendenti, laddove, in simile fattispecie, l'ordinamento prevede una pluralita' di ben piu' efficienti e meno invasivi strumenti remediali, di carattere privatistico (risoluzione del contratto) o pubblicistico (azione disciplinare), in capo agli organi di Governo degli enti interessati e perfettamente idonei alla soluzione del problema.

Che in questo modo sia gravemente compromesso anche il principio autonomistico e' evidente, atteso che l'autonomia degli enti locali, desumibile anzitutto dagli articoli 5 e 114 della Costituzione, e' sostanzialmente rimessa alla discrezione di un organo dello Stato (del prefetto).

4.3.- La nuova disciplina, pero', viola anche gli articoli 117, commi 2 e 3; 118, commi 1 e 2; 119 e 120 della Costituzione.

i) Essa, anzitutto, compromette l'autonomia degli enti territoriali della Regione (espropriati delle loro funzioni) e quella della Regione stessa, che si vede sottratte le sue attribuzioni in materia di enti locali (desumibili dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 117).

ii) Impedisce il funzionamento del principio di sussidiarieta' verticale fissato dall'art. 118, comma 1, della Costituzione (a tenor del quale «Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta' metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza») e dall'art. 120, comma 2, della Costituzione, attraendo le funzioni degli enti locali verso l'alto, oltretutto nella sede della decisione (non governativa, ma) prefettizia.

iii) Viola l'art. 118, comma 2, della Costituzione, a tenor del quale «I Comuni, le Province e le Citta' metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze», perche' quella della titolarita' delle funzioni non e' una garanzia meramente formale, ma si estende a tutte le forme di interferenza con il loro esercizio, quali sono - tipicamente - quelle della sostituzione e del commissariamento.

iv) Conseguentemente, viola l'art. 120, comma 2, della Costituzione a tenor del quale «Il Governo puo' sostituirsi a organi delle regioni, delle Citta' metropolitane, delle Province e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione». La sostituzione e il commissariamento, infatti, non sono disposti dal Governo, ma dal prefetto, per soprammercato totalmente al di fuori delle fattispecie previste dal paradigma costituzionale, con totale disinteresse per il principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione. L'ente locale, infatti, puo' sfuggire al commissariamento solo se resta prono a quanto il prefetto impone (addirittura stabilendo gli atti da adottare e il termine per la loro adozione), rinunciando completamente alla propria autonomia.

v) Compromette l'autonomia finanziaria degli enti locali della Regione, garantita dall'art. 119 della Costituzione, poiche' essi sono tenuti a sostenere le spese di qualsivoglia attivita' il prefetto ritenga opportuno imporre.

4.4.- Da ultimo, la norma censurata configura una forma di vera e propria responsabilita' oggettiva, che il nostro ordinamento rifiuta, salvi casi eccezionali (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 364 del 1988). Siamo di fronte a una misura di tipo sanzionatorio, che per la sua gravita' (in applicazione dei noti «Criteri Engel») deve ricevere un trattamento giuridico analogo a quello delle sanzioni penali. Nella specie, invece, il principio della personalita' della responsabilita' e' disatteso, con violazione degli articoli 25 e 27 della Costituzione e 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.

5.- Quanto all'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; all'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), j), g), h), i), l), in), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; all'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); all'art. 28, comma 1; del decreto-legge n. 113 del 2018.

Violazione dell'art. 77 della Costituzione. Violazione del principio di leale collaborazione. Le disposizioni censurate sono costituzionalmente illegittime anche perche' adottate in flagrante violazione dell'art. 77 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

5.1.- Difettavano, anzitutto, i presupposti per l'inserimento delle disposizioni censurate in un decreto-legge.

In via generale, puo' agevolmente constatarsi che la relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione, dalla quale le ragioni di (straordinaria) necessita' e urgenza dovrebbero emergere con chiarezza, non offre alcuna vera motivazione sul punto e - anzi - e' confessoria dell'assoluta carenza dei presupposti fissato dall'art. 77 della Costituzione. Infatti (e per quanto qui interessa):   a) ivi si afferma apoditticamente che l'intervento normativo assunto con il decreto-legge si sarebbe reso «necessario ed urgente nell'ambito di una complessa azione riorganizzativa» in materia di immigrazione, «finalizzata in ultima istanza a una piu' efficiente ed efficace gestione del fenomeno migratorio nonche' ad introdurre misure di contrasto al possibile ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale»;   b) si mettono in evidenza quelli che si affermano essere i «principali profili di criticita' dell'attuale sistema»;   c) si descrive, piu' in dettaglio e in molte pagine, il contenuto delle scelte normative compiute dal decreto-legge;   d) con riferimento all'art. 1 (qui censurato), si afferma che il ricorso alla tutela umanitaria si fonderebbe «principalmente su una definizione legislativa dell'istituto dai contorni incerti, che lascia ampi margini ad una interpretazione estensiva», e che sarebbe «pertanto necessario delimitare l'ambito di esercizio di tale discrezionalita' [...];   e) con riferimento all'art. 12 (qui censurato) ci si limita a una sorta di parafrasi del testo normativo;   f) con riferimento all'art. 13 (qui censurato) si afferma soltanto che esso «prevede che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non consente l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, fermo restando che esso costituisce documento di riconoscimento» e ci si sofferma sulle conseguenze della «esclusione dall'iscrizione all'anagrafe»:   g) anche con riferimento all'art. 28 (qui censurato) ci si limita a una sorta di parafrasi del testo normativo.

Nulla di piu'.

Ora, e' evidente che quelle sopra riportate non sono adeguate motivazioni del ricorrere dei presupposti di cui all'art. 77 della Costituzione. Non lo sono in generale e non lo sono per le singole disposizioni qui censurate. Anzi, esse sono addirittura confessorie della carenza di quei presupposti, laddove fanno ben intendere che gli interventi qui contestati sono ordinamentali e di sistema, dunque per definizione estranei all'ambito legittimamente regolabile con un decreto-legge (pensiamo all'esplicito riconoscimento, sopra ricordato, che il decreto-legge ha compiuto una «complessa azione riorganizzativa»). Piu' in dettaglio quanto alle singole disposizioni censurate, comunque, valgono anche le considerazioni che seguono.

Quanto all'art. 1, e' significativa gia' la premessa dell'atto.

Non sfuggira' ad alcuno che in essa si e' «Ritenuta la necessita' e urgenza di prevedere misure volte a individuare i casi in cui sono rilasciati speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonche' di garantire l'effettivita' dell'esecuzione dei provvedimenti di espulsione». Formula assai diversa da quella successiva, con la quale si e' «Considerata la straordinaria necessita' e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalita' organizzata di tipo mafioso [...]». Anche qui, il legislatore ha quasi confessoriamente esplicitato la natura meramente fittizia dell'invocazione delle esigenze di urgenza in ordine a questioni che non hanno nulla a che vedere con il fenomeno del contrasto all'immigrazione clandestina (pel quale dette esigenze sono state sovente evocate, piu' o meno a proposito, nel dibattito pubblico). Le disposizioni censurate riguardano, infatti, la materia del rilascio dei permessi di soggiorno, cioe' un profilo di tipo ordinamentale, in ordine al quale i presupposti della decretazione d'urgenza sono per definizione carenti. Per soprammercato, l'incongrua scelta del legislatore d'urgenza ha - come si e' accennato - determinato addirittura l'aggravamento del fenomeno della clandestinita', gettando in tale condizione un numero assai consistente di persone che prima soggiornavano regolarmente nel nostro Paese, avendo ottenuto permessi per ragioni umanitarie.

Quanto all'art. 12, esso interviene sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Come sopra osservato (par. 2.), lo Sprar e' il servizio costituito dalla rete di centri di accoglienza gestiti dagli enti locali, che non si limitano ad accogliere i migranti, ma svolgono anche progetti e attivita' di istruzione, integrazione sociale, informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi individuali e/o collettivi di inserimento socio-economico. Com'e' evidente, le funzioni cui gli Sprar sono istituzionalmente preposti sono assai articolate e, pertanto, non disciplinabili in via di interventi di (asserita) necessita' e urgenza. Le misure previste, poi, non hanno carattere di immediata applicabilita' e, addirittura, si prevede l'ultrattivita' della precedente disciplina per coloro tuttora collocati in quei centri.

Quanto all'art. 13, esso - come visto supra - ha introdotto nel nostro ordinamento il principio che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisce un titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.

223 del 1989 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

La previsione e' «di sistema», ovviamente, ne' e' dettata o giustificata da alcuna straordinaria necessita' o urgenza. La miglior prova di cio' e' fornita proprio dalla gia' citata Relazione di accompagnamento al d.d.l. di conversione del decreto-legge n. 113 del 2018, ove si afferma confessoriamente che l'esclusione dall'iscrizione anagrafica «risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente». E' di piana evidenza che tale «necessita'» (recte: ritenuta «opportunita'») non e' idonea a giustificare l'adozione di un decreto-legge.

Quanto all'art. 28, esso incide nei rapporti istituzionali fra le articolazioni territoriali dell'Amministrazione dello Stato e gli enti locali, introducendo misure ordinamentali che, una volta di piu', sono per definizione prive d'ogni carattere di necessita' e di urgenza.

5.2.- Difetta, poi, il requisito dell'omogeneita' (del decreto-legge e della sua legge di conversione). Come e' noto, la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 22 del 2012, ha stabilito che:   i) «ai sensi del secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, i presupposti per l'esercizio senza delega della potesta' legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo»;   ii) «la necessaria omogeneita' del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all'apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessita' e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione»;   iii) «il testo puo' anche essere emendato per esigenze meramente tecniche o formali [...]. Cio' che esorbita invece dalla sequenza tipica profilata dall'art. 77, secondo comma, della Costituzione, e' l'alterazione dell'omogeneita' di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica».

Se, ora, esaminiamo il contenuto del decreto-legge n. 113 del 2018 (convertito in legge n. 132 del 2018), ci avvediamo agevolmente ch'esso accosta e disciplina uno actu una serie nutritissima di oggetti e addirittura di materie.

A mero titolo esemplificativo, basti considerare che:   al Titolo I del decreto-legge in esame figurano nonne relative al rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei nonche' in materia di protezione internazionale e di immigrazione;   il Titolo II e' dedicato alle disposizioni «in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo, e alla criminalita' mafiosa», e vi convivono norme quali l'art.

21-quinquies, recante «Modifiche alla disciplina sull'accattonaggio», e l'art. 28, che interviene sull'art. 143 del decreto legislativo n.

267 del 2000, in materia di commissariamento degli enti locali (di cui s'e' detto supra al par. 4);   nel medesimo decreto-legge n. 113 del 2018, per come convertito in legge n. 132 del 2018, trovano spazio, al Titolo III, anche norme relative al funzionamento del Ministero dell'interno, quali l'art. 32-quater («Disposizioni in materia di tecnologia 5G»), l'art. 32-sexies («Istituzione del Centro alti studi del Ministero dell'interno»).

5.3.- Da ultimo, risulta violato il principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni. Come e' noto, tale principio, inizialmente inapplicabile all'esercizio della funzione legislativa, e' stato esteso anche ad essa, avendo codesta Ecc.ma Corte costituzionale statuito che «la' dove [...] il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa», che «si impone, dunque, quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 della Costituzione» (sentenza n. 251 del 2016).

A piu' forte ragione, dunque, tale principio deve valere nell'ipotesi in cui a incidere nelle prerogative regionali sia un provvedimento adottato ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, pur sempre imputabile al Governo. Nella specie, pero', le Regioni (e, per quanto qui specificamente interessa, in particolare la ricorrente) non sono state minimamente coinvolte nel procedimento di adozione del decreto-legge, nemmeno nella (ovviamente piu' distesa) fase della sua conversione in legge.

Ne' basta. Anche a ritenere che il principio di leale collaborazione non trovi applicazione in ordine all'esercizio della funzione legislativa, il vizio denunciato non verrebbe meno. Il coinvolgimento delle Regioni, infatti, non e' stato previsto nemmeno per gli atti di concreta amministrazione applicativi delle astratte previsioni del decreto-legge, sebbene - come (si confida) ampiamente dimostrato - siano direttamente incise competenze regionali costituzionalmente garantite.

  Ricorso per la Regione Umbria, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore dott.ssa Catiuscia Marini, con sede in Perugia, corso Vannucci, n. 96, codice fiscale n. 80000130544, giusta procura speciale alle liti in calce al presente atto e in forza della delibera della Giunta regionale della Regione Umbria n. 86 del 28 gennaio 2019 rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Massimo Luciani del Foro di Roma (codice fiscale LCNMSM52L23H501G, fax 06.90236029, posta elettronica certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org) e Paola Manuali dell'Ufficio legale della Regione Umbria (codice fiscale: MNLPLA53H68G478; fax 0755043625; posta elettronica certificata: paola.manuali@avvocatiperugiapec.it), con domicilio eletto presso lo studio del primo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9;   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, nella cui sede in 00186 Roma, via dei Portoghesi, n. 12, e' domiciliato ex lege, per la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; dell'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); dell'art. 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231, come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281.

  Fatto     1.- Con decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231), conv., con modif., in legge 1° dicembre 2018, n. 132 (pubbl. nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281), sono state adottate «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata».

Le disposizioni di maggiore rilievo del decreto-legge n. 113 del 2018, per quanto qui interessa, sono quelle che seguono.

i) L'art. 1, che ha sostituito il generale istituto del permesso di soggiorno «per motivi umanitari» di cui all'art. 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (recante il «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), con una pluralita' di fattispecie tipizzate e, sulla scorta di tale scelta di fondo, nelle disposizioni qui impugnate, ha adottato la consequenziale disciplina di dettaglio, di coordinamento e di attuazione.

ii) L'art. 12 («Disposizioni in materia di accoglienza dei richiedenti asilo»), che e' intervenuto sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), con disposizioni tutte lesive, a eccezione di quelle escluse dalla presente impugnazione.

iii) L'art. 13, qui interamente gravato, a eccezione del comma 1, lettera a), n. 1, il quale, in particolare, alla lettera a), n. 2), ha novellato l'art. 4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 («Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale»), inserendovi un comma 1-bis, a tenor del quale «il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Lo stesso art. 13, al comma 1, lettera b), n. 1, ha poi sostituito il comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 142 del 2015, disponendo che «l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2».

iv) L'art. 28, comma 1, che ha novellato l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (recante il «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali», hinc inde anche TUEL), inserendovi un comma 7-bis, a tenor del quale «Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione del prefetto emergano, riguardo ad uno o piu' settori amministrativi, situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell'accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalita' l'attivita' amministrativa dell'ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all'ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci».

Gli articoli 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231, come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281, sono lesivi degli interessi e delle attribuzioni costituzionali della Regione Umbria, che ne chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di     Diritto     Premessa. Quanto all'incidenza, delle norme impugnate nelle attribuzioni costituzionali della Regione Umbria. Come risulta dal suo stesso titolo, riportato in epigrafe, il decreto-legge n. 113 del 2018 disciplina una varia pluralita' di oggetti, che, come vedremo al quinto motivo di ricorso, non sono caratterizzati dal tratto dell'omogeneita' e la cui regolazione, pei profili che qui interessano, non e' assistita dalla straordinaria necessita' e urgenza che, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, deve caratterizzare questa categoria di atti. Le norme del decreto-legge, inoltre, nelle parti qui censurate, sono gravemente lesive di plurimi parametri costituzionali ulteriori.

Prima di illustrare i singoli motivi di doglianza, pero', conta ora mettere in luce, in via del tutto preliminare e con riferimento a tutte le previsioni censurate, che i vizi di legittimita' costituzionale di cui appresso si fara' illustrazione sono tutti contestabili in sede di giudizio di legittimita' costituzionale in via d'azione, a causa della loro evidente interferenza con le attribuzioni regionali, cui arrecano un grave pregiudizio.

In primo luogo, l'art. 28 concerne attribuzioni di diretta spettanza regionale, poiche' l'ordinamento egli enti locali e' materia di competenza regionale residuale.

In secondo luogo, come e' noto, l'art. 117, comma 2, lettera b) e h), della Costituzione, ricomprende la materia «immigrazione» e la materia «ordine pubblico e sicurezza» tra quelle assegnate alla competenza esclusiva dello Stato. Nondimeno, la stessa Costituzione, all'art. 118, comma 3, riconosce esplicitamente l'esistenza di un profondo legame fra questa materia e quelle di competenza concorrente, affidate (anche) alla cura delle Regioni. Stabilire che «La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'art. 117 [...]», infatti, equivale a dare atto dell'intreccio competenziale fra tali due materie e le molte altre di competenza regionale, come, in particolare e a tacer d'altro, «tutela e sicurezza del lavoro; istruzione [...]; tutela della salute [...]; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

Codesta Ecc.ma Corte, peraltro, con specifico riferimento alla materia «immigrazione» ha gia' chiarito, nella sentenza n. 299 del 2010, che «deve essere riconosciuta la possibilita' di interventi legislativi delle Regioni con riguardo al fenomeno dell'immigrazione, per come previsto dall'art. 1, comma 4, del decreto legislativo n.

286 del 1998, fermo restando che «tale potesta' legislativa non puo' riguardare aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale, ma altri ambiti, come il diritto allo studio o all'assistenza sociale, attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle Regioni» (sentenza n. 134 del 2010)».

E difatti «l'intervento pubblico concernente gli stranieri non puo' [...] limitarsi al controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla salute all'abitazione - che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato, altre alle Regioni (sentenze n. 156 del 2006, n. 300 del 2005)».

Ebbene: le norme censurate con l'odierno ricorso coinvolgono, come si vedra', non solo competenze statali, ma anche regionali, sia concorrenti che residuali. Competenze che, in fatto, la Regione Umbria ha puntualmente esercitato.

A tal proposito, prendendo le mosse dalle materie di competenza residuale, sia sufficiente osservare che, in materia di edilizia residenziale sociale, l'art. 20, comma 1, della legge regionale Umbria, 28 novembre 2003, n. 23 - recante per l'appunto «Norme di riordino in materia di edilizia residenziale sociale» - annovera tra i beneficiari dei relativi interventi anche gli «stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» o «stranieri in possesso dei requisiti di cui all'art. 40, comma 6 dello stesso decreto legislativo n. 286/1998».

Ancora, con riferimento alla materia dell'assistenza e dei servizi sociali - anch'essa oggetto di competenza regionale residuale (cfr., ex multis, Corte costituzionale, sentenza n. 10 del 2010) - la legge regionale Umbria 9 aprile 2015, n. 11 - «Testo unico in materia di Sanita' e servizi sociali» - all'art. 264, comma 1, annovera tra i destinatari delle prestazioni sociali ivi disciplinate «tutte le persone residenti o domiciliate o aventi stabile dimora nel territorio regionale e le loro famiglie».

Per quanto concerne le competenze concorrenti, l'intreccio e' confermato anche da un rapido esame «a campione» della legislazione vigente in Umbria e anche in altre regioni nelle materie incise, per i profili che qui interessano, dal decreto-legge n. 113 del 2018.

Senza alcuna pretesa d'esaustivita' basti considerare che:   i) quanto alla materia «tutela e sicurezza del lavoro»:   l'art. 33 della legge regionale Umbria 14 febbraio 2018, n.

1 (recante «Sistema integrato per il mercato del lavoro, l'apprendimento permanente e la promozione dell'occupazione.

Istituzione dell'Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro») demanda alla Giunta la disciplina dell'applicazione delle misure di inclusione attiva «a favore di specifiche categorie di soggetti, quali i lavoratori stranieri, i disabili di cui all'art. 1, comma 1 della legge n. 68/1999, i richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale [...]»;   gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia partecipano, nella Regione Umbria, anche alle azioni previste nell'ambito del Programma operativo regionale (POR) del Fondo europeo di sviluppo regionale (FSE), che guida l'impiego dei fondi provenienti dall'Unione europea destinati a realizzare interventi per favorire il lavoro, anche tramite la formazione professionale e altri azioni;   ii) quanto alla materia «istruzione», l'art. 3, comma 1, della legge regionale Basilicata 13 agosto 2015, n. 30, recante «Sistema integrato per l'apprendimento permanente ed il sostegno alle transizioni nella vita attiva», prevede che «le azioni del sistema regionale integrato per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita sono rivolte ai cittadini dell'Unione europea (UE), nonche' agli stranieri ed agli apolidi muniti di regolare permesso di soggiorno»;   iii) quanto alla materia «tutela della salute», l'art. 13 della legge regionale Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 5, garantisce «ai cittadini stranieri immigrati, che siano nelle condizioni previste agli articoli 34 e 35, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, [...] gli interventi riguardanti le attivita' sanitarie previste dai livelli essenziali di assistenza, nei termini e nelle modalita' disciplinati dalle suddette norme nazionali» (comma 1) e «assicura nei confronti dei cittadini stranieri immigrati, non in regola con il permesso di soggiorno, in particolare, le prestazioni sanitarie di cura ambulatoriali ed ospedaliere, urgenti o comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia ed infortunio» (comma 3);   iv) quanto alla materia «previdenza complementare e integrativa» (incisa perche' i migranti regolari sono anche contribuenti previdenziali), l'art. 3, comma 1, della legge regionale Veneto 18 maggio 2007, n. 10, stabilisce che «la Giunta regionale e' autorizzata, nei limiti dello stanziamento di bilancio, a concedere a favore di lavoratrici e lavoratori residenti nel Veneto, iscritti ai fondi pensione di natura collettiva, contributi diretti ad assicurare per limitati periodi di tempo la copertura contributiva», prevedendo, quale condizione per il godimento del beneficio, solo la residenza nel territorio regionale e l'iscrizione a fondi pensione e non, ovviamente, la cittadinanza;   v) quanto alla materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», e' superfluo ricordare che gli obblighi tributari regionali gravano anche sugli stranieri; per l'effetto, laddove la legge regionale Umbria 24 dicembre 2007, n. 36, recante «Disposizioni in materia tributaria e di altre entrate della Regione Umbria», fa riferimento alla figura del «contribuente regionale», comprende in tale categoria anche lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio della Regione.

In via ancor piu' generale, si deve osservare che i migranti, oltre che un onere per le Regioni (a causa dei servizi che esse devono erogare), sono per esse anche una risorsa, perche' il loro apporto lavorativo e' necessario per il buon funzionamento dei programmi di sviluppo regionali. Sottrarre queste risorse senza alcun coinvolgimento delle Regioni e' dunque in se' violativo della loro sfera di autonomia.

Tanto considerato, la legittimazione della ricorrente alla contestazione delle disposizioni in epigrafe non puo' ritenersi dubbia, sicche' si puo' passare alla formulazione delle singole censure.

1.- Quanto all'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 2, 3, 10, commi 2 e 3, 11, 117, comma 1, della Costituzione (anche con riferimento agli articoli 15, lettera c), e 18, della direttiva 2011/95/UE, 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto Internazionale di New York sui diritti civili e politici e 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali). Violazione degli articoli 117, commi 2, 3 e 4; 118 e 119 della Costituzione. Come gia' riportato in narrativa, l'art. 1 del decreto-legge n. 113 del 2018 ha apportato significative modifiche sia al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), sia al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (emanato in «Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»).

Prima dell'emanazione del decreto impugnato, l'art. 5 del decreto legislativo n. 286 del 1998 - che disciplina in via generale l'istituto del permesso di soggiorno - prevedeva, al comma 6, che «Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresi' adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari e' rilasciato dal questore secondo le modalita' previste nel regolamento di attuazione».

Sul testo appena menzionato e' intervenuto l'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2018, il quale, alla lettera b), n. 2), ha soppresso l'inciso del primo periodo contenente la menzionata clausola di salvaguardia («salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano») e l'intero secondo periodo, che contemplava la possibilita' del rilascio del permesso di soggiorno «per motivi umanitari».

In secondo luogo, l'art. 32, comma 3, del decreto legislativo n.

25 del 2008, nella versione antecedente l'emanazione del decreto impugnato, disponeva che «Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Anche tale disposizione e' stata modificata dal decreto-legge n.

113 del 2018 (e, segnatamente, dall'art. 1, comma 2).

Conseguentemente, si prevede ora che «Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n, 286, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno annuale che reca la dicitura «protezione speciale», salvo che possa disporsi l'allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga. Il permesso di soggiorno di cui al presente comma e' rinnovabile, previo parere della Commissione territoriale, e consente di svolgere attivita' lavorativa ma non puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro».

Piu' in generale, l'istituto del permesso di soggiorno per «gravi motivi di carattere umanitario» e' stato sostituito da fattispecie direttamente tipizzate dai novellati decreto legislativo n. 286 del 1998 e decreto legislativo n. 25 del 2008, i quali, in particolare, ne consentono il rilascio:   i) quando lo straniero «possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione» (art. 19, comma 1, decreto legislativo n. 286 del 1998);   ii) quando vi siano «fondati motivi» ch'egli possa «essere sottopost[o] a tortura» (art. 19, comma 1.1, decreto legislativo n.

286 del 1998);   iii) per «cure mediche», con riferimento agli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravita'» (art. 19, comma 2, lettera d-bis), decreto legislativo n. 286 del 1998;   iii) per «calamita'» (art. 20-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998);   iv) per «atti di particolare valore civile» (art. 42-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998);   v) per «protezione speciale» (art. 32, comma 3, decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25).

In terzo luogo, l'art. 1, comma 8, del decreto-legge n. 113 del 2018, stabilisce che «Fermo restando i casi di conversione, ai titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari gia' riconosciuto ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, in corso di validita' alla data di entrata in vigore del presente decreto, e' rilasciato, alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Ne consegue che, in sede di rinnovo, la nuova disciplina di cui al menzionato comma 8 dovra' retroattivamente applicarsi anche agli stranieri cui e' stato rilasciato un regolare permesso di soggiorno per «motivi umanitari» ai sensi della normativa previgente.

1.1.- Dalle disposizioni teste' menzionate emerge, in sostanza, che:   gli stranieri che prima avrebbero potuto godere del permesso di soggiorno per «motivi umanitari» diventano irregolari, qualora essi non si trovino nelle condizioni di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1 del novellato decreto legislativo n. 286 del 1998 o in quelle ulteriori per le quali il medesimo decreto legislativo n. 286 del 1998 o il decreto legislativo n. 25 del 2008 prevedono il rilascio del permesso;   detta irregolarita' non colpisce solamente coloro che presentano richiesta per il menzionato permesso o ai quali esso viene rilasciato successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge n.

113 del 2018, ma si estende anche a chi gia' ne sia in possesso, con conseguente revoca o diniego del rinnovo rispettivamente ai sensi dei commi 1 e 8 dell'art. 1 del decreto impugnato.

1.2.- Tanto premesso, non v'e' dubbio che la nuova disciplina presenti plurimi profili d'illegittimita' costituzionale, come appresso si vedra'.

E' opportuno anzitutto ribadire che il complessivo riordino della normativa relativa al permesso di soggiorno comporta un diretto coinvolgimento delle regioni. A tal proposito, al di la' di quanto gia' osservato in via generale nella Premessa del presente gravame, basti pensare, a titolo esemplificativo:   alla nuova ipotesi di permesso di soggiorno per cure mediche per gli «stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravita'» di cui all'art. 19, comma 2, lettera d-bis), decreto legislativo n. 286 del 1998, fattispecie indubbiamente connessa alla materia «tutela della salute»;   alla nuova ipotesi di permesso di soggiorno speciale per stranieri vittime di violenza domestica di cui all'art. 18-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale «ha la durata di un anno e consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico [...] o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'» e interseca inevitabilmente le materie «istruzione» e «tutela del lavoro».

Vero quanto precede, le norme censurate incidono illegittimamente non solo nelle attribuzioni attinenti alla funzione legislativa ex art. 117, comma 3, della Costituzione, ma anche in quelle relative alle funzioni amministrative ai sensi dell'art. 118, comma 1, della Costituzione. La Regione, infatti, e' costretta a rimodulare tali funzioni - tanto con riferimento alla loro disciplina, quanto al loro concreto esercizio - escludendo dalla platea dei destinatari gli stranieri che, in virtu' della nuova legislazione statale in materia di permesso di soggiorno, non potranno piu' ottenerne il rilascio o il rinnovo e potranno subirne la revoca. Quanto alle specifiche disposizioni gravate, infine, sono comprese tutte quelle che dettano le scelte di fondo della riduzione della protezione umanitaria, o a tale scelta danno svolgimento. Sono invece escluse quelle che a tale scelta non si collegano.

1.3.- Violato, in secondo luogo, e' l'art. 3 della Costituzione, e con esso il legittimo affidamento dei privati. La lesione - si badi - e' bidirezionale: da una parte, infatti, e' leso l'affidamento dei titolari di un permesso di soggiorno ottenuto in virtu' del precedente assetto normativo; dall'altra, quello di coloro che - sempre alla luce della disciplina previgente - confidavano nel rilascio del citato permesso.

In entrambi i casi siamo di fronte a esempi di retroattivita' «impropria» (c.d. «unechte Rückwirkung»), ancorche' con due distinte gradazioni.

La lesione dell'affidamento e' particolarmente grave per la prima categoria di destinatari, gia' da tempo residenti in Italia e che nutrivano progetti di vita radicalmente condizionati dall'aspettativa del rinnovo del permesso, in costanza delle condizioni per il suo rilascio.

Anche l'altra categoria, pero', e' seriamente colpita, perche' pure in questo caso un progetto di vita, inizialmente attuato con un accesso al territorio nazionale confidante nel possesso dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno, e' stato cancellato dalla disciplina qui censurata.

E' vero che affidamento non vuol dire pretesa all'immutabilita' della disciplina legislativa, ma non e' meno vero che la costante giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, ma anche quella della Corte di giustizia UE e della Corte europea dei diritti dell'uomo, ammette l'incidenza in situazioni soggettive pregresse (nei c.d. «diritti quesiti») solo a condizione che l'intervento legislativo sia: a) necessario; b) proporzionato; c) motivato dal riferimento a interessi costituzionalmente meritevoli di protezione.

Nella specie, nessuna di queste condizioni ricorre, perche' la cancellazione dell'istituto del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non persegue alcun interesse meritevole di tutela e anzi - come subito vedremo al sottoparagrafo che segue - confligge con numerosi strumenti internazionali, qualificabili come fonti interposte in forza dell'art. 117, comma 1, della Costituzione.

1.4.- In terzo luogo, sono violati gli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione. Viene infatti irragionevolmente operata una distinzione tra coloro che, a parita' di condizioni di rilascio, dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 113 del 2018 non potranno piu' godere del permesso di soggiorno e coloro i quali, invece,, potranno egualmente mantenerlo alla luce delle sopravvenienze normative.

L'irragionevolezza di tale distinzione, poi, e' tanto piu' grave, in quanto si ripercuote anche sul godimento delle prestazioni pubbliche e, in generale, sulle situazioni giuridiche soggettive direttamente connesse alla titolarita' del permesso di soggiorno.

La disparita' di trattamento si rileva anche per un diverso profilo. Secondo la giurisprudenza civile e amministrativa, i requisiti per concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari concernono le speciali esigenze relative alla «tutela della famiglia e dei minori, ricongiungimento familiare, [...] persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche» (Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4317), nonche' al «rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti» (Cass. civ., Sez. VI, ordinanza 24 marzo 2011, n. 6879).

Ebbene: poiche' le fattispecie non coincidono integralmente, distinguere coloro che versano in tali condizioni da coloro che presentano i requisiti per i «casi speciali» introdotti dalle disposizioni qui impugnate e' irragionevole e violativo del principio di eguaglianza, in quanto entrambi i gruppi comprendono le persone c.d. «vulnerabili» secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, per le quali lo Stato deve necessariamente apprestare misure volte a evitare che siano soggetti a trattamenti inumani e degradanti (cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentt. 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Grecia e Belgio, e 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera). Conseguentemente, e' violato l'art. 117, comma 1, della Costituzione, atteso che la giurisprudenza ora citata fa leva sull'art. 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.

1.5.- E' poi violato l'art. 10, comma 3, della Costituzione, che riconosce il diritto d'asilo nel territorio nazionale allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche. Significative in proposito sono le statuizioni del giudice della nomofilachia, il quale ha costantemente affermato che «la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell'asilo costituzionale [...], unitamente al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle liberta' democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tuttora oggetto di ampio dibattito» (sentenza Cassazione civ., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ebbene: non e' chi non veda che la formula relativa ai «motivi umanitari» a fondamento del rilascio del permesso di soggiorno rispondeva perfettamente alla necessita', imposta dall'art. 10, comma 3, della Costituzione, di approntare ai richiedenti asilo una tutela elastica, in quanto consustanziale alla «configurazione ampia del diritto d'asilo». Venuta meno quella formula, e' venuta meno anche la pienezza della relativa tutela, relegata a singole fattispecie tipizzate, per cio' solo inidonee (come precisato dalla citata giurisprudenza di legittimita') a realizzare le prescrizioni costituzionali.

1.6.- Non basta. Le disposizioni censurate si pongono anche in contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione (in relazione agli articoli 15, lettera c), e 18 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, recante «norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta»).

Per quanto qui interessa, la Direttiva in esame stabilisce che:   «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria» e' qualsiasi «cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all'art. 15, e al quale non si applica l'art. 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non puo' o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese» (art. 2, lettera g));   ai fini del possesso dei requisiti per la protezione sussidiaria, e' considerata «danno grave» la «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale» (art. 15, lettera c));   gli Stati membri dell'Unione europea «riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese terzo o a un apolide aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria in conformita' dei capi II e V» (art. 18).

Ebbene: la disciplina censurata e' gravemente lesiva dei parametri eurounitari poc'anzi richiamati. Essa, infatti, esclude dal regime di protezione sussidiaria proprio le persone che, ove rientrassero nel Paese di origine, verrebbero esposte alla «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

1.7.- Le norme impugnate, inoltre, sono senz'altro violative degli articoli 2, 10, comma 2, e 117, comma 1, della Costituzione, in riferimento agli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (hinc inde: CEDU) e agli articoli 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881 (hinc inde: Patto).

A tal proposito, e' agevole osservare che il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui agli articoli 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 17, 23 e 24 del Patto sarebbe irrimediabilmente compromesso per i soggetti esclusi dal regime di protezione in ragione dell'allontanamento dal territorio italiano. Essi, poi, a causa della poverta' del Paese di provenienza, vedrebbero messe a repentaglio la propria vita e sicurezza alimentare, con conseguente lesione degli articoli 2 e 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 6 e 10, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Ne discende l'ulteriore violazione, sotto diverso profilo rispetto a quanto gia' osservato (v. par. 1.4), dell'art. 2 della Costituzione, perche' in tal modo sono compromessi i diritti inviolabili degli interessati.

1.8.- Da ultimo, va osservato che le norme censurate intersecano sicuramente gli ambiti di autonomia finanziaria riservati alle Regioni ai sensi dell'art. 119 della Costituzione.

A tal proposito, e' sufficiente menzionare l'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale individua «le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia ed infortunio» e i «programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva» in ogni caso garantiti «ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno».

Ai sensi dell'Accordo Stato-Regioni n. 255 del 20 dicembre 2012, poi, le regioni sono tenute a rimborsare le ASL territorialmente competenti degli oneri per le prestazioni sanitarie erogate ai sensi dell'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

Ebbene:   in forza delle norme impugnate, il numero degli «stranieri presenti sul territorio nazionale» e «non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno» e' destinato ad aumentare;   di conseguenza, poiche' l'assistenza sanitaria di base dovrebbe comunque essere assicurata, la spesa sostenuta dalle Regioni per l'erogazione delle prestazioni sanitarie a loro carico ai sensi del citato art. 35, comma 3, decreto legislativo n. 286 del 1998 non diminuirebbe, mentre diminuirebbe la partecipazione degli stranieri, tramite il versamento delle imposte e dei contributi.

Ne consegue, all'evidenza, un ulteriore (e illegittimo) pregiudizio per l'autonomia finanziaria della Regione ricorrente.

1.9.- Una censura specifica e uno specifico svolgimento dei motivi di ricorso merita l'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 113 del 2018. Esso regola l'ambito dei servizi di accoglienza per i titolari dei c.d. permessi di soggiorno per «casi speciali», novellando l'art. 18-bis del d. decreto legislativo n. 286 del 1998 con l'inserimento del comma 1-bis. Detto comma 1-bis prevede che «Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo reca la dicitura «casi speciali», ha la durata di un anno e consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonche' l'iscrizione nell'elenco anagrafico previsto dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, o lo svolgimento di lavoro subordinato e autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di eta'. Alla scadenza, il permesso di soggiorno di cui al presente articolo puo' essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo, secondo le modalita' stabilite per tale permesso di soggiorno ovvero in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi.»".

Tale disposizione e' illegittima nella parte in cui non consente ai titolari di permesso di soggiorno «speciali» l'accesso ai servizi sociali diversi da quelli esplicitamente menzionati, ovverosia «servizi assistenziali» e «studio».

In questo modo il legislatore statale ha manifestamente e illegittimamente compresso le attribuzioni regionali quantomeno nelle materie di competenza concorrente «formazione professionale», «promozione e organizzazione di attivita' culturali», nonche' nell'ambito di competenza regionale residuale delle «politiche abitative».

Ne deriva la violazione non solo dell'art 117, comma 4, ma anche dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate sono sia autoapplicative che «di dettaglio» e non lasciano nelle materie di competenza concorrente alcun margine di discrezionale determinazione alle regioni.

Per le stesse ragioni e' violato anche l'art. 118 della Costituzione, in quanto alla Regione e' sottratto ogni spazio di esercizio delle sue attribuzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente o residuale sopra indicate.

Specificamente violato e' l'art. 118, comma 3, della Costituzione, in quanto la disciplina in esame non ha previsto l'obbligo dello Stato di concertare con le Regioni le modalita' di assistenza nei confronti dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale, nonche' nei confronti dei soggetti gia' riconosciuti in stato di «protezione umanitaria».

2.- Quanto all'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; del decreto-legge n.

113 del 2018. Violazione degli articoli 2, 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, anche in riferimento all'art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. L'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018 interviene sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Come e' noto, lo Sprar e' il servizio costituito dalla rete di centri di accoglienza gestiti dagli enti locali, che non si limitano ad accogliere i migranti, ma svolgono anche progetti e attivita' di istruzione, integrazione sociale, informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi individuali e/o collettivi di inserimento socio-economico.

Ne consegue che:   le funzioni dei centri SPRAR non sono in alcun modo sovrapponibili ne' riducibili a quelle degli altri centri che gestiscono il fenomeno migratorio e dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale (c.d. «hot spot», CARA o CAS);   nella prospettiva del riparto di competenze tra Stato e Regioni, l'attivita' svolta dallo SPRAR e' certamente riconducibile alle competenze regionali;   in particolare (e fermo restando quanto osservato in via generale nella Premessa del presente gravame), l'attivita' (e, dunque, la disciplina) dei centri SPRAR e' del tutto estranea alle «politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale», concernendo i diversi ambiti del «diritto allo studio o all'assistenza sociale», nonche' delle politiche abitative, ambiti «attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle regioni» (per riprendere le parole delle sentenze della Corte costituzionale, nn. 134 e 299 del 2010).

Il servizio di accoglienza SPRAR e' stato fortemente modificato dalle norme censurate, tanto che l'art. 12, comma 4, ne ha anche mutato il nome in «Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati».

In particolare, l'articolo in esame interviene sulla platea dei beneficiari dei servizi di accoglienza sul territorio che sono prestati dagli enti locali: i servizi di accoglienza sono stati riservati ai titolari delle vigenti forme di protezione internazionale, ivi compresi quelli «speciali» introdotti dallo stesso decreto-legge n. 113 del 2018 ai novellati articoli 18-bis, 19; comma 2, lettera d-bis), 22, comma 12-quater, 20-bis e 42-bis (permesso di soggiorno per vittime di violenza domestica, per soggetti in condizioni di salute di eccezionale gravita', per vittime di particolare sfruttamento lavorativo, per calamita', per soggetti che hanno compiuto atti di particolare valore civile), e ai minori stranieri non accompagnati. Sono stati invece esclusi dalla possibilita' di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la protezione internazionale, oltre che i possessori dei precedenti permessi «per motivi umanitari» oggi soppressi.

Ne consegue che, allo stato, molti soggetti accolti dagli Sprar dovranno lasciarli, nonostante abbiano gia' ottenuto il riconoscimento del diritto alla «protezione umanitaria».

2.1.- Cio' detto in via di premessa generale, e' necessario esaminare nel dettaglio il contenuto delle disposizioni impugnate (nei limiti di quanto qui d'interesse).

Il comma 1 modifica l'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416 del 1989.

La lettera a) ne ha riscritto il primo comma. La nuova formulazione esclude i «richiedenti asilo» dal novero dei soggetti che possono essere accolti dai servizi di accoglienza degli enti locali e include solo i soggetti gia' titolari dei permessi «speciali» di soggiorno introdotti dal decreto-legge n. 113 del 2018.

La lettera b) ne ha modificato il comma 4, circoscrivendo il meccanismo di «coordinamento» tra Ministero ed enti locali in materia di accoglienza alla sola tutela dei soggetti gia' titolari di protezione internazionale e dei minori non accompagnati, con esclusione dei richiedenti asilo, dei richiedenti protezione internazionale e dei soggetti titolari del soppresso permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

La lettera c) ne ha novellato il comma 5, lettera a), prevedendo che il servizio centrale del meccanismo di coordinamento sia competente a monitorare la presenza sul territorio dei soggetti gia' titolari di protezione internazionale e dei minori non accompagnati, con esclusione dei richiedenti asilo, dei richiedenti protezione internazionale e dei soggetti titolari del soppresso permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

La lettera d) ha riscritto la rubrica dell'art. 1-sexies, cosi' da non menzionare i soggetti esclusi dal servizio di accoglienza.

Il comma 2 reca varie modifiche al decreto legislativo n. 142 del 2015.

In particolare, le lettere da a) a e) intervengono sugli articoli 5, 8, 9, 11 e 12 del decreto legislativo n. 142 del 2015, nel senso di espungere tutti i riferimenti all'art. 14 del medesimo decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola il sistema di accoglienza territoriale per richiedenti asilo e rifugiati, cosi' da ridurre significativamente l'ambito di operativita' di tale sistema.

La lettera f) novella proprio il suddetto art. 14 del decreto legislativo n. 142 del 2015. In particolare:   il n. 1 novella il comma 1, cosi' da escludere il richiedente asilo e/o protezione internazionale dall'accesso al sistema Sprar;   il n. 2, abrogando il comma 2, sopprime il meccanismo di richiesta di contributo economico da parte degli enti locali per la realizzazione dei servizi di accoglienza Sprar;   il n. 3, novellando il comma 3, stabilisce che l'accesso del richiedente ai centri diversi dallo Sprar (CARA e CAS) e' limitato ai soggetti che si dichiarano privi di mezzi di sussistenza. In questo modo si «dirottano» i richiedenti verso i centri che non svolgono attivita' di integrazione socio-assistenziale;   il n. 4 modifica il comma 4, sopprimendo il riferimento al comma 1, per ragioni di coordinamento formale del testo novellato;   il n. 5 novella la rubrica dell'art. 14, espungendo il riferimento al «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati».

La lettera g) modifica l'art. 15 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola le modalita' di accesso al sistema di protezione.

Il n. 1 abroga i commi 1 e 2, che regolavano il procedimento di esame della domanda di accesso allo Sprar da parte della Prefettura UTG competente e la sua evasione mediante collocazione nelle strutture disponibili all'interno del sistema.

Il n. 2 novella la rubrica dell'articolo (prima «Modalita' di accesso al sistema di accoglienza territoriale - Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati», ora «Individuazione della struttura di accoglienza»).

La lettera h) modifica l'art. 17 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola l'accoglienza delle persone portatrici delle c.d. «esigenze particolari».

Il n. 1 abroga il comma 4, che istituiva i «servizi speciali» degli Sprar per le persone portatrici di «esigenze particolari».

Il n. 2 modifica il comma 6, espungendo il richiamo al precedente comma 4, ora abrogato.

La lettera i) modifica l'art. 20 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola l'attivita' di monitoraggio e controllo, espungendo il riferimento all'attivita' di monitoraggio del servizio di coordinamento tra Ministero e enti locali di cui all'art.

1-sexies, comma 4, del decreto-legge n. 416 del 1989 (disposizione novellati dal comma 1 dell'art. 12 del decreto-legge n. 113 del 2018, come sopra indicato), nonche' sopprimendo l'attivita' di monitoraggio sui centri Sprar.

La lettera l) abroga l'art. 22, comma 3, del decreto legislativo n. 142 del 2015, che consentiva ai soggetti accolti nei centri Sprar di «frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dal programma dell'ente locale dedicato all'accoglienza del richiedente».

La lettera m) modifica l'art. 22-bis, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 142 del 2015, stabilendo che la partecipazione alle attivita' di utilita' sociale non e' consentita ai richiedenti protezione internazionale, ma solo ai soggetti gia' titolari dei permessi di protezione internazionale.

La lettera n) modifica l'art. 23 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che regola la revoca delle condizioni di accoglienza, escludendo il riferimento all'art. 14, che disciplina il servizio degli Sprar.

Il comma 3 modifica il decreto legislativo n. 25 del 2008.

La lettera a) modifica l'art. 4, comma 5, del decreto legislativo n. 25 del 2008, cancellando dai criteri che definiscono la competenza per territorio delle Commissioni territoriali che esaminano domanda di protezione internazionale dei richiedenti quello della collocazione nel centro Sprar, mentre la lettera b) inserisce disposizioni di coordinamento sui portatori di esigenze speciali.

Il comma 4 dispone che «Le definizioni di «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati» ovvero di «Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati» di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 [...], ovunque presenti, in disposizioni di legge o di regolamento, si intendono sostituite dalla seguente: «Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati» di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 [...], e successive modificazioni».

Il comma 5 stabilisce che «I richiedenti asilo presenti nel Sistema di protezione di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, alla data di entrata in vigore del presente decreto, rimangono in accoglienza fino alla scadenza del progetto in corso, gia' finanziato».

Il comma 5-bis dispone che «I minori non accompagnati richiedenti asilo al compimento della maggiore eta' rimangono nel Sistema di protezione di cui al comma 4 fino alla definizione della domanda di protezione internazionale».

Il comma 6 stabilisce che «I titolari di protezione umanitaria presenti nel Sistema di protezione di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, alla data di entrata in vigore del presente decreto, rimangono in accoglienza fino alla scadenza del periodo temporale previsto dalle disposizioni di attuazione sul funzionamento del medesimo Sistema di protezione e comunque non oltre la scadenza del progetto di accoglienza».

2.2.- Come si evince pianamente gia' dalla sintetica illustrazione di cui sopra, gli effetti prodotti dalle disposizioni dell'art. 12 qui in esame (restando non censurati i commi 1, lettera a-bis) e a-ter); 2, lettera d), n. 1-bis; 7) sono i seguenti:   i servizi socio-assistenziali, formativi e di integrazione sono riservati ai minori non accompagnati e ai titolari di protezione internazionale, con esclusione dei titolari del «vecchio» permesso per motivi umanitari;   i richiedenti protezione internazionale sono esclusi da tali servizi, essendo la loro accoglienza affidata ai centri CARA e CAS, che si limitano al loro sostentamento;   al termine dei progetti gia' finanziati, i soggetti gia' inseriti negli Sprar saranno di fatto espulsi da quei centri;   i richiedenti protezione saranno ri-allocati presso i CARA e CAS, mentre i titolari del «vecchio» permesso per protezione umanitaria, ancorche' non ancora in grado di sostentarsi, non avranno alcun ricollocamento;   questi ultimi, ovviamente, andranno a gravare sui servizi di integrazione e socio-assistenziali «comuni» (ovverosia dedicati alla generalita' della popolazione residente), predisposti e finanziati dagli enti locali e dalle regioni.

2.3.- L'illegittimita' costituzionale delle disposizioni qui in esame e la contestuale lesione delle competenze legislative e amministrative della Regione ricorrente e' evidente.

Il legislatore statale, infatti, attraverso la riforma del centri di accoglienza Sprar, la soppressione dei servizi socio-assistenziali e formativi ai richiedenti protezione internazionale e - circostanza che merita una specifica menzione - ai minori accompagnati e il loro contestuale inserimento nei CARA o CAS, impedisce alla Regione di esercitare le sue attribuzioni nelle materie di competenza concorrente «istruzione», «formazione professionale», «promozione e organizzazione di attivita' culturali», nonche' nelle materie di competenza regionale residuale «servizi sociali», «assistenza sociale», «diritto allo studio», «politiche abitative».

Si badi: le regioni non solo devono scontare il totale «disimpegno» organizzativo e finanziario dello Stato dai programmi di integrazione per i richiedenti protezione internazionale e i minori accompagnati (circostanza gia' di per se' idonea a violare le segnalate competenze regionali), ma sono anche di fatto e di diritto impossibilitate a svolgere quelle attivita', in quanto nei CARA e nei CAS (che sono centri gestiti dall'Amministrazione statale) non e' previsto lo svolgimento di alcuna attivita' socio-assistenziale. Tale circostanza rende evidente che le disposizioni in esame cancellano integralmente le competenze legislative regionali sopra indicate.

Ne deriva la violazione non solo dell'art. 117, comma 4, ma anche dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate sono sia autoapplicative che «di dettaglio» e non lasciano nelle materie di competenza concorrente alcun margine di discrezionale determinazione alle regioni.

Per le stesse ragioni e' violato anche l'art. 118 della Costituzione, in quanto alla Regione e' sottratto ogni spazio di esercizio delle sue attribuzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente o residuale sopra indicate.

Specificamente violato e' l'art. 118, comma 3, della Costituzione, in quanto la disciplina in esame non ha previsto l'obbligo dello Stato di concertare con le regioni le modalita' di assistenza nei confronti dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale, nonche' nei confronti dei soggetti gia' riconosciuti in stato di «protezione umanitaria».

Gli articoli 117, commi 3 e 4, e 118, della Costituzione sono violati anche in riferimento al principio di tutela dei diritti inviolabili ex art. 2 della Costituzione, al principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, al principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 della Costituzione, al dovere di adempiere gli obblighi derivanti dai trattati internazionali ex art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 3 della Convezione EDU. In particolare:   l'espulsione del titolare del «vecchio» permesso di soggiorno per protezione umanitaria dal sistema di accoglienza senza alcuna verifica della sua capacita' di auto-sostentarsi e' al di sotto dello standard minimo di protezione dei diritti inviolabili dell'uomo (in quanto compromette il minimo di sostegno sociale dovuto a qualunque essere umano); e' del tutto irragionevole (perche' tratta allo stesso modo situazioni personali anche assai differenziate), e' violativa del principio del legittimo affidamento e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto vanifica gli sforzi (anche finanziari) sostenuti dagli enti coinvolti nel sistema Sprar per l'integrazione socio-assistenziale del migrante e scarica il costo economico-sociale del migrante sugli ordinari servizi socio-assistenziali approntati e finanziati dalle Regioni e dagli enti locali, di bel nuovo con illegittima compressione dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria regionale (visto che anche gli oneri finanziari di simili attivita' gravano sulle regioni);   secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (per tutte v. le sentenze 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Grecia e Belgio, e 4 novembre 2014, Tarakhel e. Svizzera) costituisce trattamento degradante violativo dell'art. 3 della Convezione EDU la cessazione dei servizi di accoglienza gia' avviati nei confronti di soggetti definiti «vulnerabili», quali sono, nella specie, sia i richiedenti asilo sia, a piu' forte ragione, coloro che hanno ottenuto il «vecchio» permesso di soggiorno per protezione umanitaria. La compressione dell'autonomia regionale per questi soggetti, dunque, risulta ancor piu' ingiustificata e illegittima.

2.4.- Da ultimo, anche per tuziorismo, prevenendo la stessa ipotesi di un'eccezione d'inammissibilita' della censura per oscurita' del petitum, si specifica di seguito l'intervento richiesto a codesta Ecc.ma Corte:   quanto al comma 1, lettera a), si chiede di dichiararne l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui prevede che il comma 1 dell'art. 1-sexies del decreto-legge n. 416 sia «sostituito» dal testo di cui al n. 1 della medesima lettera a), anziche' «integrato» da quel testo, affinche' il servizio Sprar sia accessibile alla platea dei soggetti eleggibili in ragione sia della previgente che della nuova disciplina dei permessi di soggiorno;   quanto al comma 1, lettera b), c) e d), se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente espansione delle competenze del meccanismo di coordinamento all'intera platea dei soggetti ammissibili al servizio Sprar e con ripristino della precedente rubrica dell'art. 1-sexies;   quanto al comma 2, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente espansione delle competenze del servizio Sprar;   quanto al comma 3, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente ripristino del criterio di competenza delle Commissioni territoriali di evasione delle domande di richiesta di protezione in connessione con l'attivita' del servizio Sprar;   quanto al comma 4, se ne chiede la caducazione con un semplice intervento ablativo, con conseguente ripristino della denominazione del servizio Sprar;   parimenti, si chiede la semplice ablazione dei commi 5, 5-bis e 6, che prevedono il limite temporale di accoglienza dei soggetti gia' inseriti nei centri Sprar e che il decreto-legge n. 113 del 2018 qualifica come non piu' accoglibili.

3.- Quanto all'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c), del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 e 119 della Costituzione.

Violazione degli articoli 2, 3, 10, comma 3, 117, comma 1, della Costituzione, anche con riferimento all'art. 2, comma 1, del Protocollo 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale sui. diritti civili e politici.

Come segnalato in narrativa, l'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - rubricato «Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica» -, nella parte che qui interessa, restando non censurato il comma 1, lettera a), n. 1, ha modificato gli articoli 4 e 5 e abrogato l'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142 del 2015 («Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale»).

Piu' specificamente, e per quanto qui rileva, l'art. 4 del citato decreto legislativo n. 142 del 2015, al comma 1, prevede che al richiedente sia rilasciato «un permesso di soggiorno per richiesta asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui e' autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell'art. 35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25».

A tale previsione l'art. 13, comma 1, lettera a), n. 1, del decreto-legge n. 113 del 2018 ha aggiunto la seguente: «Il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445».

Subito dopo e' stato inserito - a opera dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2 - il comma 1-bis, a tenor del quale «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.»".

Lo stesso art. 13, al comma 1, lettera b), n. 1, ha poi sostituito il comma 3 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 142 del 2015, disponendo che «l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2».

3.1.- Orbene: dal combinato disposto degli enunciati richiamati discende che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo costituisce un documento di riconoscimento ai fini del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, ma non un titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

Per l'effetto, il titolare di permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma 1, del citato decreto legislativo n. 142 del 2015, non potra' essere iscritto all'anagrafe dei residenti.

Nondimeno, in virtu' dell'art. 5, comma 3, del medesimo decreto legislativo - per come novellato dall'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - il richiedente continuera' ad avere accesso ai «servizi» previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e a quelli «comunque erogati sul territorio» nel luogo di domicilio.

Non sfuggira', pero', che la gran parte dei servizi previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e' erogata attraverso il diretto coinvolgimento di regioni ed enti locali e interseca una pluralita' di materie di competenza concorrente.

A mero titolo esemplificativo basti considerare che tra i servizi previsti dal decreto legislativo n. 142 del 2005, comunque garantiti ai richiedenti, rientrano:   l'«accesso all'assistenza sanitaria secondo quanto previsto dall'art. 34 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, fermo restando l'applicazione dell'art. 35 del medesimo decreto legislativo nelle more dell'iscrizione al servizio sanitario nazionale» (cosi' l'art. 21, comma 1), con ovvia incidenza nella materia «tutela della salute»;   la soggezione «all'obbligo scolastico, ai sensi dell'art. 38 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» per i minori richiedenti protezione internazionale o i minori figli di richiedenti protezione internazionale, nonche' l'accesso «ai corsi e alle iniziative per l'apprendimento della lingua italiana di cui al comma 2 del medesimo articolo» (cosi' l'art. 21, comma 2), con evidente intreccio con la materia «istruzione»;   la possibilita' «di svolgere attivita' lavorativa» (art. 22, comma 1), che involge inevitabilmente la materia della «tutela e sicurezza del lavoro»;   la partecipazione ad «attivita' di utilita' sociale» (art. 22-bis).

Per tali ragioni (e per quelle gia' indicate, in via generale, nella Premessa del presente gravame) le censure di illegittimita' costituzionale che nel prosieguo si articoleranno sono - oltre che fondate - certamente ammissibili.

3.2.- Muovendo dalla prospettiva delle prerogative regionali menomate, l'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 2018 - a eccezione del suo comma 1, lettera a), n. 1 - e' anzitutto violativo degli articoli 2, 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 e 119 della Costituzione.

Come accennato supra, infatti, la norma censurata formalmente proclama che i richiedenti asilo mantengono l'accesso ai servizi «comunque garantiti» sul territorio in cui sono domiciliati, ma al contempo preclude loro l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, iscrizione che costituisce il necessario presupposto per il godimento di numerose prestazioni erogate dalle regioni e/o dagli enti locali.

Il punto e' ribadito anche nella Relazione di presentazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 113 del 2018, ove si sottolinea che «L'esclusione dall'iscrizione all'anagrafe non pregiudica l'accesso ai servizi riconosciuti dalla legislazione vigente ai richiedenti asilo (iscrizione al servizio sanitario, accesso al lavoro, iscrizione scolastica dei figli, misure di accoglienza) che si fondano sulla titolarita' del permesso di soggiorno» e che «l'esclusione dall'iscrizione anagrafica si giustifica per la precarieta' del permesso per richiesta asilo e risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente».

In disparte la patente contraddittorieta' della norma - di cui appresso si dira' - occorre segnalare che la disposizione in esame impone alle Regioni, alternativamente, di:   escludere dall'erogazione di servizi e prestazioni i richiedenti asilo, in violazione dei principi dettati dallo stesso legislatore statale nel decreto legislativo n. 142 del 2015;   modificare la corrispondente normativa regionale in modo da' garantire - a spese delle Regioni medesime, s'intende - determinati servizi e prestazioni anche ai non iscritti all'anagrafe dei residenti.

L'esito e', in entrambi i casi, paradossale e violativo delle prerogative regionali costituzionalmente garantite all'art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione.

Non puo' non segnalarsi, peraltro, che tali violazioni ridondano anche in lesione dell'autonomia finanziaria regionale, di cui all'art. 119 della Costituzione, e risultano in contrasto col principio di economicita' dell'azione amministrativa, imposto dall'art. 97 della Costituzione, e al quale soggiacciono anche le regioni.

Non sfugge infatti che, da un lato, la Regione e' tenuta a garantire anche ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo i servizi erogati sul proprio territorio, ma, dall'altro, non puo' - stante l'impossibilita' della loro iscrizione all'anagrafe - considerare costoro partecipi a pieno titolo, anche sotto il profilo dei doveri tributari, contributivi, etc., della sua comunita' di residenti.

Parimenti violato dalle norme qui censurate e' l'art. 118 della Costituzione, atteso che il suddetto divieto di iscrizione anagrafica impedisce ai comuni anche di erogare ai richiedenti asilo i servizi e le prestazioni che richiedano, quale presupposto, l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, incidendo in tal modo nell'esercizio delle funzioni amministrative loro spettanti nelle materie di competenza regionale sopra menzionate e qui rilevanti.

3.3.- Non basta. L'illegittimita' costituzionale dell'art. 13 dev'essere rilevata anche sotto un altro profilo. La norma e' infatti certamente violativa anche degli articoli 3 e 10, comma 3, della Costituzione.

Impedendo l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, infatti, il legislatore ha riservato un trattamento diverso - e deteriore - a una particolare categoria di stranieri, creando una discriminazione del tutto irragionevole in quanto fondata esclusivamente sul diverso tipo di permesso di soggiorno posseduto. Dato, questo, che certamente non puo' giustificare la limitazione in parola, tanto piu' se, come nel caso di specie, e' direttamente la Costituzione all'art. 10, comma 3, a prevedere che «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Codesta Ecc.ma Corte ha peraltro ormai chiarito che «Il principio di eguaglianza comporta che a una categoria di persone, definita secondo caratteristiche identiche o ragionevolmente omogenee in relazione al fine obiettivo cui e' indirizzata la disciplina normativa considerata, deve essere imputato un trattamento giuridico identico od omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali in ragione delle quali e' stata definita quella determinata categoria di persone» Viceversa, «ove i soggetti considerati da una certa norma, diretta a disciplinare una determinata fattispecie, diano luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest'ultimo sara' conforme al principio di eguaglianza soltanto nel caso che risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone che quella classe compongono» (sent. n. 163 del 1993).

Orbene, nel caso di specie e' di piana evidenza che la previsione di un trattamento diverso per la sola categoria dei richiedenti asilo non trova una giustificazione ragionevole nella sussistenza di eventuali profili di differenziazione dai titolari di altri tipi di permesso di soggiorno (ivi compresi quelli introdotti dal decreto-legge n. 113 del 2018).

Priva di pregio e' l'affermazione - che si legge nella Relazione che accompagna il d.d.l. di conversione - che l'esclusione dall'iscrizione anagrafica si giustificherebbe «per la precarieta' del permesso per richiesta asilo». E' vero, infatti, che quest'ultimo ha durata semestrale (ex art. 4, comma l, del decreto legislativo n. 142 del 2015), ma e' parimenti vero che la medesima durata semestrale hanno anche - per citarne solo alcuni - il permesso «per calamita'» (di cui all'art. 20-bis del testo unico Immigrazione) o il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (di cui all'art. 18 del medesimo T.U.).

Solo il primo, pero', preclude l'iscrizione all'anagrafe dei residenti.

3.4.- La norma impugnata e' certamente violativa, dal ultimo, anche degli articoli 2, 3 e 117, comma 1, della Costituzione in riferimento sia all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, a tenor del quale «chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente la propria residenza», sia all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881, laddove dispone che «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio».

L'irragionevole preclusione dell'iscrizione dei richiedenti asilo all'anagrafe dei residenti mina irrimediabilmente anche le garanzie previste dalle fonti sovranazionali richiamate, gravemente compromettendo il diritto (garantito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione) al riconoscimento pubblico del reale rapporto fra persona e territorio dello Stato (e dei suoi Comuni), essendo consustanziale alla dignita' dell'uomo la titolarita' dello status pubblicisticamente rilevante che corrisponde alle condizioni di fatto in cui ci si trova.

4.- Quanto all'art. 28, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2018. Violazione degli articoli 3, 5, 23, 25, 27, 97, 114, 117, comma 1, della Costituzione, in riferimento agli articoli 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 117, commi 2 e 3; 118, commi 1 e 2; 119 e 120, comma 2, della Costituzione. L'art. 28, comma l, del decreto-legge n. 113 del 2018 novella l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali»: hinc inde anche TUEL), inserendovi un comma 7-bis, a tenor del quale «Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione del prefetto emergano, riguardo ad uno o piu' settori amministrativi, situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell'accesso, al fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla normalita' l'attivita' amministrativa dell'ente, individua, fatti salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente il termine fissato, il prefetto assegna all'ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci». Si tratta di previsione gravemente lesiva dell'autonomia degli enti locali e - pertanto - delle competenze regionali in materia di ordinamento degli stessi.

4.1.- Occorre preliminarmente osservare che l'art. 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, riserva allo Stato solo la determinazione delle «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». Tutto quanto non attiene a tali «funzioni fondamentali» rientra invece nella competenza residuale regionale, ai sensi dell'art. 117, comma 4. E' proprio in forza di tali previsioni costituzionali che la giurisprudenza dell'Ecc.ma Corte ha costantemente ritenuto che le regioni siano legittimate a tutelare, in sede di contenzioso costituzionale, l'autonomia degli enti locali.

Nella sentenza n. 298 del 2009, infatti, la Consulta ha ricordato che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale».

4.2.- La norma impugnata detta, anzitutto, una disciplina gravemente irragionevole; lesiva dei principi di legalita', buon andamento e imparzialita' della pubblica amministrazione; inosservante del principio autonomistico.

4.2.1.- Il potere (prima) di sostanziale sostituzione della volonta' del prefetto a quella degli enti locali e (poi) di commissariamento e' esercitabile «Nell'ipotesi di cui al comma 7 (dello stesso art. 143 del TUEL)», cioe' «Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l'adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5». Il comma 5 dell'art. 143 TUEL, a sua volta, dispone che «Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, e' adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalita' la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorita' competente».

Come si vede, i provvedimenti sinora consentiti dal TUEL erano: a) lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali (nelle gravissime ipotesi di cui agli articoli 141 e 143, comma 1); b) in alternativa, misure d'ordine organizzativo-sanzionatorio nei confronti dei dipendenti dell'ente locale. Ora, si introducono provvedimenti di sostituzione e di commissariamento la cui logica e' del tutto incomprensibile. Se, infatti, non si e' provveduto allo scioglimento, e' perche' sono emersi elementi significativi «con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale», non certo del «governo» dell'ente. Nonostante cio', pero', i poteri di commissariamento e di sostituzione colpiscono proprio quest'ultimo. L'irragionevolezza della costruzione, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, e' evidente (si colpiscono gli amministratori e l'ente in ragione di fatti imputabili ai dipendenti, indebitamente proiettando - appunto - su amministratori ed ente la responsabilita' di quelli).

Ne' basta. L'art. 28, comma 1-bis, del decreto-legge n. 113 del 2018, novellando l'art. 143, comma 11, TUEL, stabilisce che «Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonche' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilita' sia dichiarata con provvedimento definitivo». Come si vede, l'incandidabilita' degli amministratori e' collegata alla responsabilita' per atti che hanno condotto allo scioglimento dei consigli, non alla responsabilita' per atti che hanno condotto all'esercizio dei poteri prefettizi di sostituzione e commissariamento oggi «inventati» dal legislatore. Il che vuol dire, confessoriamente, che il commissariamento (cosi' come la sostituzione), che pur incide nell'autonomia dell'ente e dei suoi organi di Governo, e' disposto per fatto dei dipendenti, il che e' del tutto contraddittorio, irragionevole e privo di proporzionalita'.

Se, infatti, il legislatore stabilisce l'incandidabilita' degli amministratori solo nell'ipotesi di una loro diretta responsabilita', non si comprende perche' essi possano essere privati del potere di indirizzo e di gestione dell'ente per il fatto dei dipendenti, che lo stesso legislatore - evidentemente - considera come una fattispecie del tutto diversa.

4.2.2.- La rilevata irragionevolezza e' aggravata, infine, dall'estrema latitudine dei presupposti legittimanti l'esercizio dei poteri sostitutivi e di commissariamento da parte dei prefetti. Il generico riferimento a «condotte illecite»; alla semplice «alterazione delle procedure», al «buon andamento», al «regolare funzionamento dei servizi» apre un campo cosi' indefinito che l'autonomia degli enti locali della Regione finisce per essere abbandonata alle arbitrarie determinazioni del rappresentante dell'Esecutivo statale sul territorio regionale.

Non solo le regioni sono completamente pretermesse sia nella fase di accertamento dei presupposti che in quella di esercizio dei poteri di sostituzione e di commissariamento, ma - come gia' detto - la norma primaria qui censurata non contiene alcuna reale definizione dei paradigmi di esercizio del potere prefettizio, come sarebbe invece imposto dal principio di legalita' (desumibile anche dall'art. 23 della Costituzione), anche al fine di assicurare l'imparzialita' della pubblica amministrazione (nella specie: di quella prefettizia).

Anche il principio del buon andamento e' compromesso, perche' l'amministrazione degli enti locali puo' essere commissariata anche pel semplice fatto dei suoi dipendenti, laddove, in simile fattispecie, l'ordinamento prevede una pluralita' di ben piu' efficienti e meno invasivi strumenti remediali, di carattere privatistico (risoluzione del contratto) o pubblicistico (azione disciplinare), in capo agli organi di Governo degli enti interessati e perfettamente idonei alla soluzione del problema.

Che in questo modo sia gravemente compromesso anche il principio autonomistico e' evidente, atteso che l'autonomia degli enti locali, desumibile anzitutto dagli articoli 5 e 114 della Costituzione, e' sostanzialmente rimessa alla discrezione di un organo dello Stato (del prefetto).

4.3.- La nuova disciplina, pero', viola anche gli articoli 117, commi 2 e 3; 118, commi 1 e 2; 119 e 120 della Costituzione.

i) Essa, anzitutto, compromette l'autonomia degli enti territoriali della Regione (espropriati delle loro funzioni) e quella della Regione stessa, che si vede sottratte le sue attribuzioni in materia di enti locali (desumibili dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 117).

ii) Impedisce il funzionamento del principio di sussidiarieta' verticale fissato dall'art. 118, comma 1, della Costituzione (a tenor del quale «Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta' metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza») e dall'art. 120, comma 2, della Costituzione, attraendo le funzioni degli enti locali verso l'alto, oltretutto nella sede della decisione (non governativa, ma) prefettizia.

iii) Viola l'art. 118, comma 2, della Costituzione, a tenor del quale «I Comuni, le Province e le Citta' metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze», perche' quella della titolarita' delle funzioni non e' una garanzia meramente formale, ma si estende a tutte le forme di interferenza con il loro esercizio, quali sono - tipicamente - quelle della sostituzione e del commissariamento.

iv) Conseguentemente, viola l'art. 120, comma 2, della Costituzione a tenor del quale «Il Governo puo' sostituirsi a organi delle regioni, delle Citta' metropolitane, delle Province e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione». La sostituzione e il commissariamento, infatti, non sono disposti dal Governo, ma dal prefetto, per soprammercato totalmente al di fuori delle fattispecie previste dal paradigma costituzionale, con totale disinteresse per il principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione. L'ente locale, infatti, puo' sfuggire al commissariamento solo se resta prono a quanto il prefetto impone (addirittura stabilendo gli atti da adottare e il termine per la loro adozione), rinunciando completamente alla propria autonomia.

v) Compromette l'autonomia finanziaria degli enti locali della Regione, garantita dall'art. 119 della Costituzione, poiche' essi sono tenuti a sostenere le spese di qualsivoglia attivita' il prefetto ritenga opportuno imporre.

4.4.- Da ultimo, la norma censurata configura una forma di vera e propria responsabilita' oggettiva, che il nostro ordinamento rifiuta, salvi casi eccezionali (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 364 del 1988). Siamo di fronte a una misura di tipo sanzionatorio, che per la sua gravita' (in applicazione dei noti «Criteri Engel») deve ricevere un trattamento giuridico analogo a quello delle sanzioni penali. Nella specie, invece, il principio della personalita' della responsabilita' e' disatteso, con violazione degli articoli 25 e 27 della Costituzione e 6 e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.

5.- Quanto all'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; all'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), j), g), h), i), l), in), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; all'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); all'art. 28, comma 1; del decreto-legge n. 113 del 2018.

Violazione dell'art. 77 della Costituzione. Violazione del principio di leale collaborazione. Le disposizioni censurate sono costituzionalmente illegittime anche perche' adottate in flagrante violazione dell'art. 77 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

5.1.- Difettavano, anzitutto, i presupposti per l'inserimento delle disposizioni censurate in un decreto-legge.

In via generale, puo' agevolmente constatarsi che la relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione, dalla quale le ragioni di (straordinaria) necessita' e urgenza dovrebbero emergere con chiarezza, non offre alcuna vera motivazione sul punto e - anzi - e' confessoria dell'assoluta carenza dei presupposti fissato dall'art. 77 della Costituzione. Infatti (e per quanto qui interessa):   a) ivi si afferma apoditticamente che l'intervento normativo assunto con il decreto-legge si sarebbe reso «necessario ed urgente nell'ambito di una complessa azione riorganizzativa» in materia di immigrazione, «finalizzata in ultima istanza a una piu' efficiente ed efficace gestione del fenomeno migratorio nonche' ad introdurre misure di contrasto al possibile ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale»;   b) si mettono in evidenza quelli che si affermano essere i «principali profili di criticita' dell'attuale sistema»;   c) si descrive, piu' in dettaglio e in molte pagine, il contenuto delle scelte normative compiute dal decreto-legge;   d) con riferimento all'art. 1 (qui censurato), si afferma che il ricorso alla tutela umanitaria si fonderebbe «principalmente su una definizione legislativa dell'istituto dai contorni incerti, che lascia ampi margini ad una interpretazione estensiva», e che sarebbe «pertanto necessario delimitare l'ambito di esercizio di tale discrezionalita' [...];   e) con riferimento all'art. 12 (qui censurato) ci si limita a una sorta di parafrasi del testo normativo;   f) con riferimento all'art. 13 (qui censurato) si afferma soltanto che esso «prevede che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non consente l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, fermo restando che esso costituisce documento di riconoscimento» e ci si sofferma sulle conseguenze della «esclusione dall'iscrizione all'anagrafe»:   g) anche con riferimento all'art. 28 (qui censurato) ci si limita a una sorta di parafrasi del testo normativo.

Nulla di piu'.

Ora, e' evidente che quelle sopra riportate non sono adeguate motivazioni del ricorrere dei presupposti di cui all'art. 77 della Costituzione. Non lo sono in generale e non lo sono per le singole disposizioni qui censurate. Anzi, esse sono addirittura confessorie della carenza di quei presupposti, laddove fanno ben intendere che gli interventi qui contestati sono ordinamentali e di sistema, dunque per definizione estranei all'ambito legittimamente regolabile con un decreto-legge (pensiamo all'esplicito riconoscimento, sopra ricordato, che il decreto-legge ha compiuto una «complessa azione riorganizzativa»). Piu' in dettaglio quanto alle singole disposizioni censurate, comunque, valgono anche le considerazioni che seguono.

Quanto all'art. 1, e' significativa gia' la premessa dell'atto.

Non sfuggira' ad alcuno che in essa si e' «Ritenuta la necessita' e urgenza di prevedere misure volte a individuare i casi in cui sono rilasciati speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonche' di garantire l'effettivita' dell'esecuzione dei provvedimenti di espulsione». Formula assai diversa da quella successiva, con la quale si e' «Considerata la straordinaria necessita' e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalita' organizzata di tipo mafioso [...]». Anche qui, il legislatore ha quasi confessoriamente esplicitato la natura meramente fittizia dell'invocazione delle esigenze di urgenza in ordine a questioni che non hanno nulla a che vedere con il fenomeno del contrasto all'immigrazione clandestina (pel quale dette esigenze sono state sovente evocate, piu' o meno a proposito, nel dibattito pubblico). Le disposizioni censurate riguardano, infatti, la materia del rilascio dei permessi di soggiorno, cioe' un profilo di tipo ordinamentale, in ordine al quale i presupposti della decretazione d'urgenza sono per definizione carenti. Per soprammercato, l'incongrua scelta del legislatore d'urgenza ha - come si e' accennato - determinato addirittura l'aggravamento del fenomeno della clandestinita', gettando in tale condizione un numero assai consistente di persone che prima soggiornavano regolarmente nel nostro Paese, avendo ottenuto permessi per ragioni umanitarie.

Quanto all'art. 12, esso interviene sulle vigenti disposizioni relative al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Come sopra osservato (par. 2.), lo Sprar e' il servizio costituito dalla rete di centri di accoglienza gestiti dagli enti locali, che non si limitano ad accogliere i migranti, ma svolgono anche progetti e attivita' di istruzione, integrazione sociale, informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi individuali e/o collettivi di inserimento socio-economico. Com'e' evidente, le funzioni cui gli Sprar sono istituzionalmente preposti sono assai articolate e, pertanto, non disciplinabili in via di interventi di (asserita) necessita' e urgenza. Le misure previste, poi, non hanno carattere di immediata applicabilita' e, addirittura, si prevede l'ultrattivita' della precedente disciplina per coloro tuttora collocati in quei centri.

Quanto all'art. 13, esso - come visto supra - ha introdotto nel nostro ordinamento il principio che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisce un titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998.

La previsione e' «di sistema», ovviamente, ne' e' dettata o giustificata da alcuna straordinaria necessita' o urgenza. La miglior prova di cio' e' fornita proprio dalla gia' citata Relazione di accompagnamento al d.d.l. di conversione del decreto-legge n. 113 del 2018, ove si afferma confessoriamente che l'esclusione dall'iscrizione anagrafica «risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente». E' di piana evidenza che tale «necessita'» (recte: ritenuta «opportunita'») non e' idonea a giustificare l'adozione di un decreto-legge.

Quanto all'art. 28, esso incide nei rapporti istituzionali fra le articolazioni territoriali dell'Amministrazione dello Stato e gli enti locali, introducendo misure ordinamentali che, una volta di piu', sono per definizione prive d'ogni carattere di necessita' e di urgenza.

5.2.- Difetta, poi, il requisito dell'omogeneita' (del decreto-legge e della sua legge di conversione). Come e' noto, la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 22 del 2012, ha stabilito che:   i) «ai sensi del secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, i presupposti per l'esercizio senza delega della potesta' legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo»;   ii) «la necessaria omogeneita' del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all'apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessita' e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione»;   iii) «il testo puo' anche essere emendato per esigenze meramente tecniche o formali [...]. Cio' che esorbita invece dalla sequenza tipica profilata dall'art. 77, secondo comma, della Costituzione, e' l'alterazione dell'omogeneita' di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica».

Se, ora, esaminiamo il contenuto del decreto-legge n. 113 del 2018 (convertito in legge n. 132 del 2018), ci avvediamo agevolmente ch'esso accosta e disciplina uno actu una serie nutritissima di oggetti e addirittura di materie.

A mero titolo esemplificativo, basti considerare che:   al Titolo I del decreto-legge in esame figurano nonne relative al rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei nonche' in materia di protezione internazionale e di immigrazione;   il Titolo II e' dedicato alle disposizioni «in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo, e alla criminalita' mafiosa», e vi convivono norme quali l'art. 21-quinquies, recante «Modifiche alla disciplina sull'accattonaggio», e l'art. 28, che interviene sull'art. 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000, in materia di commissariamento degli enti locali (di cui s'e' detto supra al par. 4);   nel medesimo decreto-legge n. 113 del 2018, per come convertito in legge n. 132 del 2018, trovano spazio, al Titolo III, anche norme relative al funzionamento del Ministero dell'interno, quali l'art. 32-quater («Disposizioni in materia di tecnologia 5G»), l'art. 32-sexies («Istituzione del Centro alti studi del Ministero dell'interno»).

5.3.- Da ultimo, risulta violato il principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni. Come e' noto, tale principio, inizialmente inapplicabile all'esercizio della funzione legislativa, e' stato esteso anche ad essa, avendo codesta Ecc.ma Corte costituzionale statuito che «la' dove [...] il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa», che «si impone, dunque, quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 della Costituzione» (sentenza n. 251 del 2016).

A piu' forte ragione, dunque, tale principio deve valere nell'ipotesi in cui a incidere nelle prerogative regionali sia un provvedimento adottato ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, pur sempre imputabile al Governo. Nella specie, pero', le Regioni (e, per quanto qui specificamente interessa, in particolare la ricorrente) non sono state minimamente coinvolte nel procedimento di adozione del decreto-legge, nemmeno nella (ovviamente piu' distesa) fase della sua conversione in legge.

Ne' basta. Anche a ritenere che il principio di leale collaborazione non trovi applicazione in ordine all'esercizio della funzione legislativa, il vizio denunciato non verrebbe meno. Il coinvolgimento delle Regioni, infatti, non e' stato previsto nemmeno per gli atti di concreta amministrazione applicativi delle astratte previsioni del decreto-legge, sebbene - come (si confida) ampiamente dimostrato - siano direttamente incise competenze regionali costituzionalmente garantite.

 

P.Q.M.

 

La Regione Umbria, come in epigrafe rappresentata e difesa, chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia: accogliere il presente ricorso;   per l'effetto, dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera a), b), c), d), e), f), i), l), m), n), n. 2, n-bis), o), p), q); comma 2; comma 3, lettera a), nn. 1 e 2; comma 6; comma 7; comma 8; comma 9; dell'art. 12, comma 1, lettera a), b), c), d); comma 2, lettera a), b), c), d), nn. 1 e 2, e), f), g), h), i), l), m), n); comma 3; comma 4; comma 5; comma 5-bis; comma 6; dell'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2, lettera b), lettera c); dell'art. 28, comma 1; del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 ottobre 2018, n. 231, per come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 1° dicembre 2018, n. 132, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281.

Si deposita copia autentica della delibera della Giunta regionale della Regione Umbria n. 86 del 28 gennaio 2019.

Perugia - Roma, 31 gennaio 2019

Avv.: Manuali - Avv. Prof.: Lucian