RICORSO N. 57 DEL 31 AGOSTO 2018 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 31 agosto 2018.

(GU n. 41 del 17.10.2018)

 

Ricorso per la Presidenza del Consiglio dei ministri (C.F. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, rappresentata e difesa per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato dall'Avvocatura generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi 12 (fax 0696514000 - PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), ricorrente;   Contro la Regione Basilicata, in persona del Presidente della giunta regionale attualmente in carica, resistente;   Per l'impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 30, 36, 38, comma 1, 42, 43, 44, 45, 47, comma 2 e 74, comma 2, della legge regionale 29 giugno 2018 n. 11, avente ad oggetto «Collegato alla legge di stabilita' regionale 2018», pubblicata nel BUR n. 26 del 29 giugno 2018.

Il consiglio regionale della Basilicata ha approvato in data 29 giugno 2018 la legge n. 11 («Collegato alla legge di stabilita' regionale 2018») contenente, divisi in tre Capi, ben 78 articoli.

Si tratta di un complesso normativo che provvede a modificare numerose disposizioni regionali nelle materie piu' varie (sanita', sicurezza, industria ed energia, ambiente e paesaggio, turismo, risorse idriche, agricoltura, edilizia, traposto pubblico locale), ma che - in alcune della materie trattate - ad avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri presenta evidenti vizi di costituzionalita'.

Per tale ragione, la Presidenza del Consiglio dei ministri deve impugnare la legge regionale in questione, deducendo i seguenti vizi di illegittimita' costituzionale:

1) Illegittimita' dell'art. 30 della legge regionale 29 giugno 2018 n. 11 per violazione dell'art. 81, comma 3, della Costituzione.

L'art. 15, comma 1, della legge regionale Basilicata 8 gennaio 2016 n. 1 prevedeva che per gli anni 2016 e 2017 alla copertura degli oneri relativi al contributo regionale per il funzionamento dell'ente di Governo per i rifiuti e le risorse idriche della Basilicata - stimati in un milione di euro per esercizio - si provvedesse mediante corrispondente variazione in diminuzione della voce di bilancio «Missione 20».

L'art. 30 della legge regionale qui censurato ha esteso di un ulteriore anno il periodo di copertura degli oneri in questione, prevedendo che essa funzioni anche per l'anno 2018 e quindi comportando nuovi oneri finanziari per il l'esercizio 2018 del bilancio regionale.

Sennonche' la Presidenza del Consiglio ha accertato che la previsione difetta della necessaria copertura finanziaria, e quindi essa contrasta con il terzo comma dell'art. 81 della Costituzione che quella copertura impone a tutte le leggi.

2) Illegittimita' dell'art. 36 della legge regionale 29 giugno 2018 n. 11 per violazione dell'art. 81, comma 3, della Costituzione.

L'art. 28 della legge regionale n. 1/2004 disciplina l'aggiudicazione degli appalti regionali mediante il criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa previsto dall'allora vigente Codice dei contratti di cui al decreto legislativo n. 163/2006. In questo sistema di scelta del contraente la valutazione dell'offerta e' demandata ad una commissione giudicatrice, i cui componenti - qualora dipendenti della regione o degli enti del sistema regionale - sono retribuiti con un'indennita' determinata ai sensi del comma 3 dell'articolo stesso.

La norma regionale qui censurata introduce il comma 3-bis, in base al quale ai componenti la commissione giudicatrice nelle gare gestite dalla SUA-RB sono riconosciute in aggiunta le spese di viaggio, vitto ed alloggio nella misura spettante secondo le norme che regolano il trattamento di missione nelle rispettive amministrazioni di appartenenza.

Anche questa norma, che comporta oneri aggiuntivi, e' ad avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri priva della necessaria copertura finanziaria, ed e' quindi lesiva del principio sancito dall'art. 81, comma 3, della Costituzione.

3) Illegittimita' dell'art. 38 della legge regionale 29 giugno 2018 n. 11 per violazione dell'art. 117, comma 1 e comma 2, lettere e) e s), della Costituzione.

La norma in questione proroga al 31 dicembre 2018 il termine del 30 giugno 2018 gia' previsto dall'art. 14, comma 2, della legge regionale n. 39/2017 (il riferimento e' letteralmente alla legge n. 38/2017 ma e' frutto di errore materiale) in tema di concessioni per lo sfruttamento di acque minerali e termali.

La norma modificata prevedeva una prossima legge regionale volta ad adeguare alle regole della concorrenza le procedure regionali in materia di ricerca e coltivazione delle acque minerali, termali e di sorgente e nelle more dell'entrata in vigore della nuova disciplina e dei conseguenti nuovi affidamenti concedeva proroga alle concessioni in essere.

L'art. 38 della legge regionale qui censurato determina un differimento per ulteriori sei mesi della scadenza delle concessioni in corso, e quindi determina un prolungamento del tempo di non operativita' dei principi comunitari e nazionali che garantiscono la tutela della concorrenza.

In primo luogo viene violato il primo comma dell'art. 117 della Costituzione che, come noto impone (anche) alle regioni nell'esercizio della potesta' legislativa il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.

In secondo luogo viene invasa la sfera riservata dall'art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza.

In terzo luogo viene invasa la potesta' legislativa esclusiva statale in tema di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, attribuita dall'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, laddove ulteriori proroghe al vigente assetto concessorio finiscono per cristallizzare gli oneri imposti al concessionario per un tempo maggiore di quello originariamente previsto, pregiudicando quel doveroso aggiornamento degli strumenti di tutela ambientale posti a presidio della risorsa che il carattere temporaneo della concessione necessariamente implica.

Con la norma in esame la Regione Basilicata ha leso i principi gia' affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di proroga delle concessioni (nel caso di specie, per lo sfruttamento termominerale), laddove si e' censurata la proroga automatica delle concessioni stesse in quanto contrarie alla regola del necessario rispetto delle procedure ad evidenza pubblica imposte dalla normativa comunitaria e nazionale di attuazione (Corte Cost. n. 117/2015).

4) Illegittimita' degli articoli 42, 43 e 44 della legge regionale 29 giugno 2018 n. 11 per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

L'art. 42 della legge regionale qui impugnata interviene nella materia della coltivazione delle cave, delle torbiere e degli inerti degli alvei dei corsi d'acqua, aggiungendo due commi (1-bis e 1-ter) al comma 1 della precedente legge regionale n. 12/1979 nei quali commi e' previsto - tra l'altro - che il recupero delle cave abbandonate o dismesse sia eseguito da imprese del settore estrattivo previa presentazione di un progetto di recupero ambientale e coltivazione validato e autorizzato dalla (sola) Regione Basilicata.

Nessun richiamo e' dalla norma effettuato, ai fini di questa autorizzazione, alla legislazione statale vigente nella materia, considerando che la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

Come noto, la coltivazione delle cave e' attivita' che presenta forti riflessi di natura ambientale (e il «recupero ambientale» e' infatti uno degli obiettivi del progetto previsto dalla norma regionale), tanto da rendere non eludibile la necessita' dell'osservanza delle normative preposte alla tutela dell'ambiente, e alla verifica della compatibilita' ambientale degli interventi da progettare. La validazione del progetto presentato dall'operatore privato e la sua autorizzazione a cura della sola regione esaurisce il procedimento, secondo la norma in esame, in ambito esclusivamente regionale, senza alcun richiamo alla normativa statale che tutela l'ambiente.

E questa previsione e' costituzionalmente illegittima.

Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l'assoggettamento alla disciplina statale in materia di V.I.A. deve essere espresso, e addirittura fungere da presupposto condizionante il provvedimento regionale (Corte Cost. 26 febbraio 2010 n. 67, si trattava di norma della Regione Campania in tema di prosecuzione di attivita' estrattive).

Il successivo art. 43 riguarda il rispristino dell'officiosita' degli alvei fluviali regionali, prevedendo - fra l'altro - che l'estrazione dei materiali litoidi nel corsi d'acqua e nel demanio fluviale ricadenti nel territorio regionale debba essere autorizzata dalla Regione Basilicata.

Anche in questo caso va censurata la mancata previsione della necessaria osservanza della legislazione statale in una competenza autorizzatoria che si esaurisce solo in ambito regionale.

Oltre alla normativa posta a tutela dell'ambiente, gli alvei dei corsi d'acqua sono sottoposti alla tutela specifica di cui all'art. 142, lettera c), del decreto legislativo n. 42/2004 e seguono, ove applicabili in ragione dell'entita' paesaggistica dell'intervento, le procedure semplificate previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 33/2017.

Inoltre, la norma in questione prevede che l'autorizzazione regionale debba essere resa in coerenza con il piano stralcio di assetto idrogeologico della Basilicata e con il piano di bacino. Ma cosi' disponendo, comporta un'evidente diminuzione degli standard uniformi di tutela ambientale dettati dal legislatore statale: non e' contemplato infatti il Piano di gestione delle acque adottato dall'Autorita' di distretto ex art. 11, comma 1, del decreto legislativo n. 152/2006, con il quale le autorita' di bacino predispongono il programma di gestione dei sedimenti a livello di bacino idrografico in ottemperanza agli obiettivi fissati dalle Direttive 2000/60/CE e 2007/60/CE.

Ancora, la norma regionale prevede che, in assenza dei piani cui dovrebbe uniformarsi l'autorizzazione all'attivita' estrattiva, possono essere prese a base semplici «valutazioni preventive e studi di impatto». Ma cio' si pone in conflitto con l'art. 5, comma 2, della legge statale n. 37/1994 che, pur consentendo l'autorizzazione regionale in assenza dei piani di bacino, la subordina a ben piu' stringenti presupposti.

E' infatti necessario, secondo la legge statale, che le valutazioni preventive e gli studi di impatto siano redatti sotto la responsabilita' dell'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione, che il rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni sia subordinato al rispetto preminente del buon regime delle acque, alla tutela dell'equilibrio geostatico e geomorfologico dei terreni interessati, alla tutela degli aspetti naturalistici e ambientali coinvolti dagli interventi progettati.

Il secondo comma dell'art. 43 prevede poi che non costituiscono attivita' estrattive le estrazioni in ambito fluviale da realizzare nell'ambito di interventi di manutenzione idraulica specificamente finalizzati al ripristino del buon regime idraulico, alla riduzione dei fenomeni di sovralluvionamento dell'alveo o necessari a seguito di calamita' naturali ovvero per prevenire situazioni di pericolo.

Questa disposizione ha l'effetto di sottrarre un gran numero di interventi alla disciplina delle attivita' estrattive, sganciandole quindi dalle misure di tutela per esse previste, a partire dalla valutazione della conformita' delle autorizzazioni agli atti di pianificazione e di programmazione rilevanti.

Il che si traduce, in definitiva, in una violazione degli standard uniformi di tutela ambientale previsti dal legislatore statale.

Infine l'art. 44 della legge qui censurata, riguardante gli interventi di manutenzione urgenti per il ripristino dell'officiosita' dei corsi d'acqua, prevede che gli interventi stessi siano eseguiti previa presentazione di un progetto di manutenzione dell'asta fluviale, da validarsi ed autorizzarsi dal (solo) ufficio regionale competente.

Anche in questo caso, la totale mancanza di richiamo alla disciplina legislativa statale costituisce motivo di illegittimita', richiamandosi le ragioni di censura dedotte contro il precedente art. 43, comma 1, e ricordando che i corsi d'acqua sono sottoposti alla specifica tutela di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e al rispetto degli strumenti di programmazione previsti dalle norme statali che una previsione di validazione ed autorizzazione meramente regionale non puo' ignorare.

Per queste ragioni, tutte le norme denunziate in rubrica sono costituzionalmente illegittime perche' invadono, discostandosi dalle norme statali che regolano la materia, la sfera di potesta' legislativa esclusiva dello Stato garantita dall'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

5) Illegittimita' dell'art. 47 della legge regionale 29 giugno 2018 n. 11 per violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione.

La norma regionale qui censurata sostituisce l'art. 5 della legge regionale 24 luglio 2017 n. 19, peraltro gia' oggetto di impugnativa avanti alla Corte costituzionale (udienza pubblica fissata per il 4 dicembre 2018).

Essa dispone che il completamento funzionale delle opere edilizie realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo vengono autorizzate dai comuni, attraverso i responsabili dei propri uffici tecnici, anche nel caso di immobili ed aree tutelate paesaggisticamente.

La disposizione, esattamente come quella sostituita, si pone in contrasto con gli articoli 31, 33, 34 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»), in base ai quali e' sempre prevista la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi in caso di interventi eseguiti in assenza o difformita' del permesso di costruire.

La sostituzione di tali sanzioni ripristinatorie con una sanzione pecuniaria e' prevista nei soli casi di cui all'art. 33, comma 2, mentre la sanatoria e' consentita (art. 36) solo «se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».

Orbene, la disposizione impugnata si pone in contrasto con le citate disposizioni in quanto introduce nuove ipotesi in cui e' possibile sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, e introduce nuove ipotesi di sanatoria degli abusi edilizi, diversi da quelli previsti dall'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, indebitamente creando forme di condono edilizio, anche se solo ai fini del completamento, non consentite.

Ora, la giurisprudenza costituzionale ha gia' affermato che l'art. 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 costituisce principio fondamentale della disciplina di governo del territorio (Corte Cost. sentenza n. 140/2018; sentenza n. 277/2013; sentenza n. 233/2015), poiche' «l'aver previsto che, a fronte delle violazioni piu' gravi della normativa urbanistico-edilizia... si debba far luogo... alla demolizione dell'opera abusiva esprime una scelta fondamentale del legislatore statale. Quest'ultimo, in considerazione della gravita' del pregiudizio recato all'interesse pubblico dai menzionati abusi, ha inteso imporne la rimozione - e, con essa, il ripristino dell'ordinato assetto del territorio - in modo uniforme in tutte le regioni». Ogni deviazione regionale da questo principio, soprattutto sotto il profilo della previsione di misure alternative alle demolizioni, deve ritenersi interdetta per effetto della non eludibile vincolativita' del principio fissato dalla norma statale, che agisce come limite invalicabile alla potesta' legislativa regionale in tema di governo del territorio.

Il fatto che il mancato completamento di un'opera abusiva possa costituire pregiudizio alla qualita' urbana dell'area non puo' legittimare non solo l'opera non completata, ma addirittura la sua ultimazione. Ne' puo' esonerare dalla demolizione l'eventuale pregiudizio strutturale alle opere esistenti, posto che secondo la legge statale - e solo in caso di opera acquisita al patrimonio comunale - la demolizione e' evitata solo in presenza di rilevanti interessi pubblici e sempre che non ostino interessi ambientali o di rispetto dell'asseto idrogeologico (art. 31, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001).

Per questa ragione, la norma regionale qui censurata deve ritenersi costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.

6) Illegittimita' degli articoli 45 e 74, comma 2, della legge regionale 29 giugno 2018 n. 11 per violazione dell'art. 81 e dell'art. 117, comma 3, della Costituzione.

L'art. 45 della legge regionale prevede che la giunta regionale adotti gli atti amministrativi necessari affinche' le prestazioni di specialistica ambulatoriali erogate dalle strutture sanitarie regionali a cittadini non residenti in Basilicata non siano computabili nel tetto di spesa regionale al fine di regolare le necessarie compensazioni nell'ambito delle disponibilita' finanziarie del Servizio sanitario nazionale.

Il successivo art. 74 prevede al secondo comma che per le prestazioni erogate in eccedenza al tetto di spesa i relativi pagamenti saranno effettuati solo dopo la definizione degli accordi assunti in sede di conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano.

Secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri dette norme si pongono in contrasto con la legislazione nazionale in quanto, ai sensi dell'art. 1, comma 574, della legge n. 208/2015 le regioni possono programmare, in deroga ai tetti di spesa, solo l'acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialita', e di prestazioni erogate da parte di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico a favore di cittadini residenti in regioni diverse ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilita' regionale.

Ed in ogni caso, per garantire l'invarianza dell'effetto finanziario connesso a questa deroga, le regioni devono adottare misure alternative volte, in particolare, a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessita' erogate in regime ambulatoriale, di pronto soccorso, in ricovero ordinario e in riabilitazione e lungodegenza acquistate dagli erogatori privati accreditati, in misura tale da assicurare il rispetto degli obiettivi di riduzione di cui al DL n. 95/2012.

Le norme in esame, dunque, introducono una deroga al rispetto dei tetti di spesa non prevista dalle norme statali, suscettibile di determinare oneri non quantificabili e non coperti. Cio' in violazione dei principi di contenimento della spesa sanitaria, di coordinamento della finanza pubblica e della necessaria copertura finanziaria sanciti dagli articoli 81 e, in qualita' di limite alla legislazione regionale, dall'art. 117, comma 3, della Costituzione.

 

P.Q.M.

 

Per tutte le esposte ragioni, la Presidenza del Consiglio dei ministri, come sopra rappresentata e difesa, conclude affinche' la Corte costituzionale voglia accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle norme della legge regionale della Basilicata n. 11/2018 in epigrafe elencate e nel presente atto specificamente censurate.

Roma, 23 agosto 2018

L'Avvocato dello Stato: Corsini