RICORSO N. 51 DEL 17 AGOSTO 2018 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 17 agosto 2018.

(GU n. 38 del 26.9.2018)

 

Ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri (codice fiscale 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, rappresentata e difesa per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ricorrente, Contro la Regione autonoma Sardegna, in persona del presidente attualmente in carica resistente,   Per l'impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 2 e 6 della legge regionale 18 giugno 2018, n. 21, avente ad oggetto «Misure urgenti per il reclutamento del personale nel sistema regione. Modifiche alla legge regionale n. 31 del 1998, alla legge regionale n. 13 del 2006, alla legge regionale n. 36 del 2013 e alla legge regionale n. 37 del 2016», pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna n. 82 del 21 giugno 2018.

Il consiglio regionale della Regione autonoma della Sardegna ha approvato ed emanato in data 18 giugno 2018 la legge n. 21 che, modificando ed integrando una serie di leggi regionali precedenti (la legge n. 31/1998, la legge n. 13/2006, la legge n. 36/2013 e la legge n. 37/2016) ha introdotto una serie di disposizioni in materia di reclutamento del personale nel sistema regione.

Interessano qui in particolare le norme relative al reclutamento di personale con qualifica dirigenziale, ai bandi di concorso, alla nomina del direttore generale, alla proroga dei contratti, agli uffici di protezione civile e all'integrazione del fondo per la contrattazione collettiva.

Dette norme, secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri, eccedono la competenza legislativa esclusiva regionale, come attribuita dagli articoli 3 e 5 dello statuto speciale, e pertanto ledono i principi di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione.

Da qui la necessita' della presente impugnazione, affidata ai seguenti

 

Motivi

 

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge regionale 18 giugno 2016, n. 21, per contrasto con gli articoli 3 e 5 dello statuto speciale della Regione Sardegna (legge costituzionale n. 3/1948), nonche' con l'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione, in riferimento all'art. 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e alle altre norme del titolo III dello stesso decreto.

L'art. 26, comma 3, della legge regionale n. 31/1998 riconosceva al personale preposto al coordinamento delle unita' di progetto per il conseguimento di obiettivi specifici (previste dal comma 1 del medesimo articolo) una retribuzione collegata al conseguimento degli obiettivi stessi, secondo quanto disposto dalla contrattazione collettiva regionale per l'area dirigenziale.

L'art. 2 della legge regionale in rubrica ha sostituito il comma 3 dell'art. 26 con un testo del seguente tenore:   «Al personale non dirigente preposto al coordinamento delle unita' di cui al comma 1 e' riconosciuta un'indennita' aggiuntiva equiparata alla retribuzione di posizione spettante al direttore di servizio a alla relativa retribuzione di risultato commisurata al raggiungimento degli obiettivi».

Ora, come noto, lo statuto speciale della Regione Sardegna all'art. 3, comma 1, lettera a), attribuisce alla potesta' legislativa esclusiva regionale la disciplina dell'ordinamento degli uffici amministrativi regionale e dello stato giuridico ed economico del relativo personale, ma con il rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica.

Sennonche', l'art. 45, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001 prevede che il trattamento economico fondamentale ed accessorio e' definito dalla contrattazione collettiva, e deve seguire le procedure proprie in contraddittorio con le rappresentanze sindacali.

Questa norma, e in definitiva tutto il sistema disciplinato dall'intero decreto legislativo, si inserisce nel quadro della riforma del lavoro pubblico a suo tempo introdotta dal decreto legislativo n. 29/1993 ed ispirata alla finalita' di accrescere l'efficienza delle amministrazioni in coerenza con gli standard degli altri Paesi della Comunita' europea, di razionalizzare il costo del lavoro pubblico contenendone la spesa complessiva entro i vincoli della finanza pubblica, e di integrare progressivamente la disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato.

Si tratta in sostanza di un complesso normativo, cui appartiene la disposizione di cui all'art. 45 qui invocata a limite, che ha profondamente innovato la disciplina precedente sul pubblico impiego, ricostruendo l'intera materia intorno ai nuovi principi della privatizzazione e della contrattualizzazione collettiva e individuale.

In sostanza, il principio base e' quello per cui la regolazione mediante contratti collettivi e individuali costituisce il metodo di disciplina dei rapporti di lavoro nel settore pubblico.

Inutile dire, perche' ovvio, che tale disciplina si applica a tutto il personale dipendente pubblico, e quindi anche a quello regionale.

In sostanza, nel riservare alla contrattazione collettiva l'intera definizione del trattamento economico nell'ottica di una visione privatistica del rapporto di pubblico impiego, il legislatore ha attuato una fondamentale riforma economica e sociale della Repubblica (come peraltro espressamente detto dall'art. 1 del decreto legislativo n. 165/2001) e le norme che traducono questa riforma costituiscono limite invalicabile alla potesta' legislativa - anche esclusiva - delle regioni.

La legge regionale previgente, infatti, lasciava alla contrattazione collettiva regionale per l'area dirigenziale l'individuazione delle retribuzione per il personale preposto al coordinamento delle unita' di progetto.

La norma qui censurata invece, nel sostituirsi a quella, del tutto tralascia la fonte contrattuale e fissa autonomamente sia l'attribuzione che la misura della voce retributiva spettante al personale preposto al coordinamento delle predette unita'. In cio' si pone in contrasto con la norma statale che esige la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio del personale pubblico mediante contrattazione collettiva, e viola il limite del rispetto delle norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica.

Ma alla censura di incostituzionalita' della norma regionale qui denunciata si perviene anche per altra - non meno fondata - via.

Come piu' volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, se e' vero che alla potesta' legislativa regionale e' demandata la materia dell'organizzazione degli uffici, e' altrettanto vero che la disciplina del rapporto di lavoro non attiene ai profili organizzativi, ma appartiene alla sfera contrattuale e come tale rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, cui e' riservata la materia dell'ordinamento civile ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione.

L'impiego pubblico regionale deve ricondursi, per i profili privatizzati del rapporto, all'ordinamento civile (e quindi alla competenza legislativa statale esclusiva) e solo per i profili pubblicistico organizzativi all'ordinamento e organizzazione amministrativa regionale (Corte costituzionale n. 63/2012; Corte costituzionale n. 339/2011; Corte costituzionale n. 233/2006).

Il rapporto di impiego alle dipendenze di regioni ed enti locali, essendo privatizzato, e' retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro di tale tipo ed e' percio' soggetto alle regole statali che ne garantiscono l'uniformita'.

«Conseguentemente, i principi fissati dalla legge statale in materia costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformita' nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati e, come tali, si impongono anche alla regioni a statuto speciale» (Corte costituzionale 14 giugno 2007, n. 189).

Non v'e' dubbio che la norma qui censurata attenga alla disciplina del rapporto di lavoro e non alla mera organizzazione degli uffici, trattando del trattamento economico di una categoria del personale dipendente regionale, e quindi non puo' sottrarsi alla regola della necessaria fonte contrattuale collettiva come espressamente ed inderogabilmente sancito dalle norme dello Stato (v. da ultimo Corte costituzionale 11 luglio 2017, n. 160).

Concludendo per questi aspetti, la norma qui denunciata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima sia perche' contrasta con norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica (e quindi travalica i limiti posti alla competenza legislativa regionale), sia perche' indebitamente invade la sfera di potesta' legislativa esclusiva dello Stato.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge regionale 14 giugno 2018, n. 21, per contrasto con gli articoli 3 e 5 dello statuto speciale della Regione Sardegna (legge costituzionale n. 3/1948), nonche' con l'art. 97 della Costituzione, in riferimento all'art. 4 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

L'art. 6 della legge regionale n. 21/2018 sostituisce il secondo comma dell'art. 54 della legge regionale n. 31/1998 e dispone che:   «L'assessore competente in materia di personale, sulla base delle necessita' di personale definite dall'amministrazione e dagli enti del sistema regione ed alle quali non si possa far fronte mediante processi di mobilita', fissa il contingente dei posti da mettere a concorso, definito per specifiche professionalita' e sedi di destinazione».

Ad avviso della Presidenza del Consiglio questa norma, pur attenendo a profili organizzatori degli uffici regionali e quindi pur rientrando nella competenza legislativa esclusiva regionale, ugualmente si presta a censura di incostituzionalita' in quanto travalica i limiti di tale competenza.

Essa infatti, come recita lo statuto speciale, deve essere esercitata nel rispetto delle norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica, e tale vincolo nella fattispecie non e' rispettato ove si osservi che la funzione attribuita dalla norma regionale all'assessore al personale lede il principio della rigorosa separazione tra compiti di indirizzo politico e compiti gestionali.

L'art. 4 del decreto legislativo n. 165/2001 (le cui norme ai sensi dell'art. 1 del medesimo testo, come sopra ricordato, sono espressamente definite «fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica» ai sensi e per gli effetti dell'art. 117 della Costituzione) ribadisce che agli organi di governo spettano le funzioni di indirizzo politico amministrativo, attraverso la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare nonche' attraverso gli atti da adottare in quanto rientranti in quelle funzioni.

In materia di personale, la norma assegna al vertice politico la «individuazione delle risorse umane ... da destinare alle diverse finalita' e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale».

Altra cosa e' invece la funzione attribuita all'organo politico dalla norma regionale qui censurata, che si incentra invece sulla individuazione del fabbisogno assunzionale sia della regione che degli enti di sistema, distinto per specifiche professionalita' e sedi di destinazione.

Tali attivita' sembrano invece piu' propriamente attenere all'organizzazione delle risorse umane e strumentali, e quindi rientrare nelle competenze gestionali della dirigenza.

L'accertamento delle carenze di organico e l'apprezzamento del grado di sofferenza delle singole sedi in relazione a tali carenze, nonche' l'individuazione delle professionalita' necessarie allo svolgimento delle attivita' istituzionali sono infatti strumentali non tanto alla definizione degli obiettivi dell'ente, quanto piuttosto al modo con cui quegli obiettivi devono essere raggiunti.

Non riguardano dunque l'indirizzo politico, quanto piuttosto l'attivita' di gestione essendo noto che l'effettivo raggiungimento degli obiettivi e' il parametro su cui si fonda la produttivita' delle strutture amministrative e, in definitiva, il grado di efficienza della pubblica amministrazione.

 

P.Q.M.

 

La Presidenza del Consiglio dei ministri, come in epigrafe rappresentata e difesa conclude per l'accoglimento del presente ricorso e per la conseguente dichiarazione di incostituzionalita' delle norme della legge regionale in esso denunciate.

Roma, 9 agosto 2018

L'avvocato dello Stato: Corsini