RICORSO N. 21 DEL 6 MARZO 2018 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 6 marzo 2018.

(GU n. 16 del 18.4.2018)

 

Ricorso proposto dalla Regione Veneto (c.f. 80007580279 - P.IVA 02392630279), in persona del Presidente della giunta regionale dott.

Luca Zaia (c.f. ZAILCU68C27C957O), autorizzato con delibera della giunta regionale n. 190 del 20 febbraio 2018 (all. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (c.f.

ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca Antonini (c.f. NTNLCU63E27D869I) del Foro di Treviso e Luigi Manzi (c.f. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org);   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;   per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge 27 dicembre 2017, n. 205, (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017 - Suppl. ordinario n. 62:   1. art. 1, comma 37;   2. art. 1, comma 70;   3. art. 1, comma 71;   4. art. 1, comma 499;   5. art. 1, commi 679, 682 e 683;   6. art. 1, comma 778;   7. art. 1, comma 1072;   8. art. 1, commi 1079 e 1080.

 

Motivi

 

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 37, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III comma e 119 della Costituzione.

L'art. 1, comma 37, proroga al 2018 la sospensione - gia' disposta per il 2016 dal comma 26 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e poi prorogata per il 2017 con l'art. 1, comma 42, lettera a) della legge 11 dicembre 2017, n. 232 - dell'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali, «nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015».

Si precisa che con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 17 del 2016 la Regione Veneto aveva gia' impugnato l'art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015. Nel frattempo e' intervenuta la sentenza n.

135 del 2017, con cui codesta ecc.ma Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 26, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, promossa, sempre dalla Regione Veneto, in riferimento agli articoli 3, 5, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, della Costituzione.

Successivamente, con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 19 del 2017 ha impugnato la proroga del medesimo blocco disposta con l'art.

1, comma 42, lettera a) della legge n. 232 del 2016; sul ricorso codesta ecc.ma Corte costituzionale non si e' ancora pronunciata.

La Regione Veneto, dal momento che nella suddetta sentenza n. 135 del 2017 codesta ecc.ma Corte costituzionale non e' entrata nel merito della questione, ma ha dichiarato inammissibile la questione proposta, ritiene pertanto opportuno tornare nuovamente a impugnare la disposizione che stabilisce la terza proroga consecutiva del blocco dei poteri impositivi regionali, strutturando in termini diversi dai precedenti le argomentazioni del proprio ricorso, nell'intento di superare cosi' le questioni che hanno indotto, nella precedente occasione, codesta ecc.ma Corte costituzionale a dichiarare inammissibile la questione.

1. Nello specifico la Regione ritiene che il blocco del potere impositivo regionale si ponga in violazione del corretto esercizio della funzione statale di coordinamento di cui all'art. 117, III comma, e dell'art. art. 119, II comma, laddove prevede, dopo aver affermato che comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni hanno risorse autonome, questi «[s]tabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

Infatti, il blocco del potere impositivo protratto per il terzo anno consecutivo determina una palese violazione delle suddette disposizioni, dal momento che il blocco del potere regionale di «stabilire e applicare» viene disposto dal censurato intervento statale di coordinamento con una motivazione, come si specifichera' di seguito, priva di proporzionalita', con violazione quindi anche dell'art. 3 della Costituzione, la cui lesione ridonda, per quanto detto, sulle competenze regionali relative all'autonomia impositiva regionale.

Al riguardo e' innanzitutto dirimente precisare che nelle precedenti occasioni (sentt. n. 381 del 2004, 284 e 298 del 2009) in cui codesta ecc.ma Corte ha legittimato, ritenendo infondate le questioni sollevate dalle regioni, il blocco dei tributi propri, questo era contestuale alla giustificazione, addotta dal legislatore statale, dell'imminenza di riforme fondamentali (patto di stabilita' e federalismo fiscale), e non riguardava quindi, come invece nel caso di specie, la proroga di un blocco (che tende quindi ad assumere un carattere permanente) gia' disposto senza un particolare motivo se non quello, meramente politico di «contenere il livello complessivo della pressione tributaria» (cosi' recita il comma 26 dell'art. 1 della legge di stabilita' 2016, prorogato con la disposizione qui impugnata).

Rispetto a tale scopo, che si pone in radicale contrasto con l'autonomia politica impositiva regionale, si pone la questione del rispetto del principio di proporzionalita' dell'intervento coordinatore dello Stato (cfr. sentt. n. 326 del 2010 e n. 236 del 2013 in cui la Corte ha messo in relazione con l'obiettivo prestabilito, la necessita' del rispetto del principio di proporzionalita': «la disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale della ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato»; ma si veda anche la sentenza n. 272 del 2015).

In altre parole, in assenza - a differenza delle situazioni oggetto dei precedenti giurisprudenziali - di una situazione di riforma riguardante la finanza regionale e locale, la questione e' inerente a quale valore costituzionale sia riconducibile quello indicato dal legislatore di «contenere il livello complessivo della pressione tributaria», al punto da giustificare il sacrificio dell'autonomia impositiva regionale.

Da questo punto di vista, appare difficile trovare un fondamento allo scopo perseguito dal legislatore statale, dal momento che la Costituzione si connota piuttosto per la rilevanza che essa assegna ai diritti sociali e al dovere tributario, qualificato come dovere inderogabile di solidarieta', che ne costituisce la principale fonte di finanziamento.

In questi termini, il prorogato blocco alla facolta' delle regioni, prevista dall'art. 119, II comma, di stabilire e applicare i tributi propri non trova adeguata giustificazione nello scopo perseguito dal legislatore statale.

2. Cio' soprattutto se si considera, inoltre, anche da ulteriori punti di vista, la ben differente situazione, rispetto ai precedenti giurisprudenziali citati, in cui tale misura si trova oggi a cadere.

Facendo infatti riferimento alla Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni della Corte dei conti, sez. autonomie del 13 giugno 2017 (Deliberazione n. 17/SEZAUT/2017/FRG, pagina 43) (1) emerge che le regioni hanno subito «nel quadriennio 2015-2018, ulteriori contributi a carico delle RSO (nella misura in cui questi sono da considerarsi aggiuntivi rispetto a quelli previsti fino al 2014), sia gli obiettivi di finanza pubblica a carico del Fondo per il Servizio sanitario nazionale, con relativa riduzione del finanziamento di oltre 10,5 miliardi rispetto ai livelli programmati» (enfasi ns.).

Tabella n. 9/SALDI - Effetto cumulato degli obiettivi di finanza pubblica 2015-2018 a carico delle RSO

Parte di provvedimento in formato grafico

Nello specifico, per la regione tali misure si sono tradotte, nell'esercizio finanziario 2017, nei termini descritti nella seguente tabella (2) :

Parte di provvedimento in formato grafico

Si tratta di dati che chiaramente confermano la mancanza di proporzionalita' in cui e' incorso il legislatore statale nell'intervento impugnato e che dimostrano la radicale differenza dell'attuale contesto normativo rispetto alle situazioni - nelle quali tagli al finanziamento regionale di questa portata non erano certo avvenuti - che sono state oggetto di valutazione nelle precedenti sentenze di codesta ecc.ma Corte costituzionale, le quali hanno ritenute (allora) infondate le censure sui blocchi del potere impositivo regionale.

Si tratta, peraltro, di una situazione normativa e finanziaria attuale che ha trovato attenta considerazione nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale proprio in funzione del valore, non certo di «contenere il livello complessivo della pressione tributaria», bensi' di quello di garantire adeguati livelli di servizi ai cittadini.

Nella attuale congiuntura, infatti, e' la stessa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale che ha rimarcato la necessita' che le regioni, nei confronti degli enti locali destinatari dei finanziamenti dalle stesse erogate, non alterino il quadro finanziario di questi ultimi: nella sentenza n. 275 del 2016, ad esempio, ha censurato una normativa regionale che stabiliva una discrezionale e incerta compartecipazione della regione ad un servizio afferente un diritto fondamentale della persona (quale quello erogato dalla provincia per il trasporto dei disabili); nella sentenza n. 10 del 2016, inoltre, ha censurato tagli regionali alle risorse provinciali perche' non consentivano di finanziare le funzioni conferite alle province stesse, al punto da influire negativamente sugli stessi cittadini, pregiudicando per gli stessi la continuita' nella fruizione dei diritti di rilevanza sociale (cfr.

anche la sentenza n. 188 del 2015).

Ritorna quindi, anche da questo punto di vista, la valutazione sulla proporzionalita' del disposto blocco del potere impositivo regionale, che stringe le regioni tra l'incudine e il martello: il martello di una giurisprudenza costituzionale che giustamente richiede loro di continuare a garantire i trasferimenti agli enti locali per i servizi e l'incudine di un pesante sistema di tagli, cui pero' le stesse non possono reagire aumentando la pressione fiscale regionale.

In questi termini si ritiene che la violazione del principio di proporzionalita' sia da valutare anche alla luce del principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., la cui violazione ridonda sull'autonomia costituzionalmente garantita alla regione dal momento che proprio la possibilita' di continuare a garantire adeguati servizi e' preclusa dall'impossibilita' di un autonomo sforzo fiscale aggiuntivo, con quindi una ricaduta evidente sull'autonomia finanziaria regionale.

Quanto il contesto in cui interviene la disposizione impugnata sia caratterizzato nei termini descritti risulta, peraltro, comprovato dai precisi e ripetuti moniti che codesta ecc. ma Corte costituzionale ha ritenuto di dover rivolgere al legislatore statale.

Basti ricordare il lungo elenco di pronunce che va dalla sentenza n. 65 del 2016, che non si esime «dall'avvertire che interventi statali, i quali modifichino repentinamente l'equilibrio del rapporto tra autocoordinamento regionale e supplenza statale nel delicato settore dei contributi regionali alla finanza pubblica, restano ovviamente soggetti allo stretto scrutinio di questa Corte, se e in quanto investita del relativo giudizio», fino alla sentenza n. 169 del 2017, dove si afferma «nondimeno deve essere rinnovato al legislatore l'invito a corredare le iniziative legislative incidenti sull'erogazione delle prestazioni sociali di rango primario con un'appropriata istruttoria finanziaria. Cio' soprattutto al fine di definire in modo appropriato, anche tenendo conto delle scansioni temporali dei cicli di bilancio e piu' in generale della situazione economica del Paese, il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, evitando la sostanziale estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre che potrebbe sottrarre al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici di queste ultime in un periodo piu' lungo (sentenza n. 154 del 2017)».

A ulteriore conforto di quanto detto va anche considerato che e' rimasto del tutto inascoltato anche il monito che, da un altro punto di vista, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha rivolto al legislatore statale con sentenza n. 205 del 2016, quando in relazione all'art. 1, comma 418 della legge n. 190/2014, ha affermato che disponendo tale norma che le risorse tagliate alle province «affluiscano ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, si deve ritenere - e in questi termini la disposizione va correttamente interpretata - che tale allocazione sia destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area vasta connesse al riordino delle funzioni non fondamentali, a una successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b, della legge n. 56 del 2014)». Questo in quanto «[l]a previsione del versamento al bilancio statale di risorse frutto della riduzione della spesa da parte degli enti di area vasta va dunque inquadrata nel percorso della complessiva riforma in itinere. E, cosi' intesa, essa si risolve in uno specifico passaggio della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato».

La sentenza ha quindi concluso che «[i] commi 418, 419 e 451, dunque, non violano l'art. 119, primo, secondo e terzo comma, Cost.

nei termini lamentati dalla ricorrente, perche' le disposizioni in essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse ad apposito capitolo del bilancio statale (cosi' come l'eventuale recupero delle somme a valere sui tributi di cui al comma 419) e' specificamente destinato al finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti».

Nello specifico, quindi, codesta ecc.ma Corte ha evidentemente ritenuto di poter evitare la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme impugnate solo sul presupposto che le risorse prelevate sul territorio in favore dello Stato dovessero essere destinate a una successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni.

Dalla sentenza, quindi, derivava un vincolo a carico dello Stato, a finanziare le regioni con riguardo alle funzioni prima provinciali di cui si sono fatte carico, che pero' non e' stato minimante considerato dal legislatore statale.

3. Si tratta quindi, nell'insieme, di una situazione concretamente dimostrata proprio dalle prese di posizione di codesta ecc.ma Corte costituzionale (e che in quanto tali rendono superflua ogni ulteriore dimostrazione), che valgono, in tale specifica fattispecie, a porre la denunciata violazione degli articoli 3, 97 e 119 Cost. su un piano che prescinde dall'allegazione da parte della Regione della dimostrazione (che assumerebbe il carattere di una vera e propria probatio diabolica nella misura in cui fosse, peraltro, pretesa nei ristretti tempi in cui nel termine di sessanta giorni previsto dalla legge n. 87 del 1953) di un vulnus tale da rendere impossibile lo svolgimento delle proprie funzioni.

Quello che la regione e' invece in grado di documentare e' il gettito potenziale che avrebbe potuto ricavare in assenza del blocco dei tributi disposto dalla norma impugnata, che e' pari a 1.155 ml di euro (3) .

Parte di provvedimento in formato grafico

4. Nello specifico, occorre inoltre considerare, a ulteriore dimostrazione della violazione dell'art. 119 Cost., che in forza dell'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011 - di attuazione della legge delega n. 42 del 2009 - titolato «Ulteriori tributi regionali», a decorrere dal 1° gennaio 2013, sono stati trasformati in tributi propri regionali: la tassa per l'abilitazione all'esercizio professionale, l'imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, l'imposta regionale sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio indisponibile, la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali, le tasse sulle concessioni regionali, l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili.

Al riguardo, codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 102 del 2008 ha riconosciuto in relazione ai tributi propri autonomi, tra i quali rientrano ora quelli identificati dall'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 2011, alle regioni una «potesta' legislativa esclusiva».

Dal momento che la norma impugnata pretende di estendersi, data la sua formulazione, anche ai tributi propri autonomi di cui al suddetto art. 8, essa, anche sotto questo profilo, si pone chiaramente in violazione del disposto di cui all'art. 119 Cost. che invece prevede che siano le regioni, in piena autonomia una volta che il coordinamento statale li abbia identificati come tributi propri autonomi, a stabilirli e applicarli.

Peraltro, va anche considerato che da questo punto di vista, non rilevano le argomentazioni espresse nella pregressa giurisprudenza (che in ogni caso, come si e' visto, per i motivi sopra esposti, non e' immediatamente pertinente alla fattispecie de quo e alla specifica struttura sull'impugnativa, incentrata sul difetto di proporzionalita' dell'intervento statale di coordinamento) di codesta ecc.ma Corte costituzionale, quando nei precedenti pronunciamenti sul blocco della autonomia impositiva regionale ha ritenuto infondate le censure regionali affermando che «lo Stato puo' disporre in merito ai tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito sia di spettanza regionale»: tali affermazioni erano, infatti, riferite ai tributi propri derivati e non a quelli autonomi, rispetto ai quali esse non sono pertinenti.

5. Le censure esposte in termini di difetto di proporzionalita', peraltro, si confermano anche in considerazione della tecnica legislativa utilizzata, ovvero quella della modifica a ripetizione del termine del blocco, rispetto alla quale non sembra inutile, ricordare che codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 154 del 2017 ha stigmatizzato l'utilizzo di tale tecnica (nel caso deciso atteneva al diverso versante delle misure di taglio dei trasferimenti e di contenimento della spesa) richiamando il legislatore a desistere da queste forme di «transitorieta' permanente», che incidono sulla autonomia delle regioni e rinnovato, per la seconda volta, «l'invito al legislatore ad evitare iniziative le quali, anziche' "ridefinire e rinnovare complessivamente, secondo le ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio, il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, alla luce di mutamenti sopravvenuti nella situazione economica del Paese", si limitino ad estendere, di volta in volta, l'ambito temporale di precedenti manovre, sottraendo di fatto al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi di queste ultime».

6. Occorre poi considerare che non sono rilevanti, ai fini di escludere la lesivita' della disposizione impugnata, le deroghe al «blocco» disposte dall'art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015.

In particolare, occorre precisare che l'art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e' applicabile a regioni che versino in una ben precisa situazione: quella di un disavanzo di gestione a fronte del quale non siano stati adottati, ovvero non siano sufficienti, i provvedimenti necessari a ripianarlo. In merito ai suddetti provvedimenti, il dato normativo dispone che «con la procedura di cui all'art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n.

131, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida la regione a provvedervi entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento». Quindi «[q] ualora la regione non adempia, entro i successivi trenta giorni il presidente della regione, in qualita' di commissario ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del Servizio sanitario regionale al fine di determinare il disavanzo di gestione e adotta i necessari provvedimenti per il suo ripianamento, ivi inclusi gli aumenti dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e le maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive entro le misure stabilite dalla normativa vigente». La deroga al blocco, pertanto, e' possibile solo in una situazione di disavanzo di gestione nel settore sanitario ed e' funzionale al suo ripianamento.

E' dunque evidente come la derogatoria possibilita' d'intervento sui tributi da parte delle regioni, cosi' come e' strutturata, non si presenti come una via percorribile dalla Regione Veneto, che non presenta un disavanzo di gestione nel settore sanitario.

Ne', peraltro, la considerazione di tale deroga incide sulla esposta censura inerente il difetto di proporzionalita', che si evidenzia non solo quando una regione versi in una situazione patologica, ma anche quando, proprio per non incorrere in un disavanzo, sia costretta - non potendo utilizzare l'autonomo sforzo fiscale - a ridimensionare la spesa per i servizi erogati.

Quanto poi alla disposizione di cui all'art. 2 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, va rilevato che anch'essa si applica a fattispecie ben precise. La norma si riferisce, infatti, a Regioni «che non possono far fronte ai pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine [...]».

La possibilita' stabilita dall'art. l, comma 26, di effettuare manovre fiscali incrementative ai fini dell'accesso alle anticipazioni di liquidita' previste nella disposizione appena citata si riferisce quindi solo a regioni con evidenti problemi di liquidita' a fronte di debiti certi, liquidi ed esigibili. Nuovamente quindi, si deve evidenziare che si tratta di una possibilita' non ravvisabile per la Regione Veneto che non si trova nella suddetta situazione. In ogni caso, va aggiunto che, come le deroghe precedentemente considerate, essa vale solo per il settore della sanita' e in relazione ai debiti pregressi, con esclusione quindi di tutti gli altri settori in relazione ai quali la Regione potrebbe invece ritenere utile procedere a incrementi della propria spesa, come ad esempio quello della spesa di investimento relativa alla realizzazione di opere pubbliche e infrastrutture.

Anche altre norme, quali i commi 79, 80, 83 e 86 dell'art. 2 della legge n. 191 del 2009, si riferiscono a fattispecie specifiche non riferibili alla Regione Veneto.

Per quanto concerne il comma 79, esso prevede un aumento automatico dell'aliquota dell'IRAP e dell'addizionale regionale dell'IRPEF contestualmente alla nomina di un commissario ad acta in attuazione dell'art. 120 della Costituzione per la predisposizione e l'attuazione del Piano di rientro, a seguito della mancata presentazione del Piano o di parere negativo del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, del Piano presentato dalla Regione. I commi 80, 83 e 86, inoltre, si applicano solo alle Regioni sottoposte a Piano di rientro in ambito sanitario.

Alcuna delle fattispecie suddette e' sussumibile alla condizione della Regione Veneto.

7. In conclusione si deve ulteriormente considerare che la Regione Veneto si trova ad essere penalizzata dall'impugnato «blocco» della manovrabilita' dei tributi propri, soprattutto in quanto nel periodo 2010/2017 e' stata l'unica tra le regioni ordinarie a non aver disposto aumenti all'addizionale regionale all'Irpef.

Tale comportamento virtuoso rispetto allo scopo perseguito dal legislatore statale con la norma impugnata («contenere il livello complessivo della pressione tributaria») diviene ora paradossalmente fattore di penalizzazione, dal momento che in base alla struttura della norma, gli aumenti delle aliquote dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni deliberati prima del 2015 rimangono in vigore e le relative regioni continuano a disporre di un maggiore gettito che invece viene precluso alla ricorrente.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 70, per violazione degli articoli 38, III e IV comma, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119, Cost.

1. L'art. 1, comma 70, prevede: «Per l'esercizio delle funzioni di cui all'art. 1, comma 947, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e' attribuito un contributo di 75 milioni di euro per l'anno 2018 da ripartire con le modalita' ivi previste».

La norma rifinanzia, ma solo per il 2018, un contributo alle spese delle regioni relative alle funzioni di assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilita' fisiche o sensoriali.

Si tratta di funzioni che con il processo di riordino delle province sono state assegnate alle regioni con l'art. l, comma 947 della legge n. 208 del 2015, «a decorrere dal 1° gennaio 2016».

In forza di tale disposizione, infatti, «Ai fini del completamento del processo di riordino delle funzioni delle province, di cui all'art. 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014, n. 56, le funzioni relative all'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilita' fisiche o sensoriali, di cui all'art. 13, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e relative alle esigenze di cui all'art. 139, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono attribuite alle regioni a decorrere dal 1° gennaio 2016, fatte salve le disposizioni legislative regionali che alla predetta data gia' prevedono l'attribuzione delle predette funzioni alle province, alle citta' metropolitane o ai comuni, anche in forma associata. Per l'esercizio delle predette funzioni e' attribuito un contributo di 70 milioni di euro per l'anno 2016. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delegato per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede al riparto del contributo di cui al periodo precedente tra gli enti territoriali interessati, anche frazionandolo, per l'anno 2016, sulla base dell'anno scolastico di riferimento, in due erogazioni, tenendo conto dell'effettivo esercizio delle funzioni di cui al primo periodo».

Nello specifico, si tratta delle funzioni disciplinate dall'art.

13, comma 3 della legge n. 104 del 1992, dove si afferma che «[n]elle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l'obbligo per gli enti locali di fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attivita' di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati».

Tale funzione prevede, quindi un'assistenza specialistica ad personam che dev'essere fornita al singolo studente con disabilita' - in aggiunta all'assistente igienico-personale, all'insegnante di sostegno e agli insegnanti curricolari - per sopperire ai problemi di autonomia e/o comunicazione sussistenti nello studente.

La tradizionale applicazione di questo istituto ha avuto quali principali destinatari gli studenti con disabilita' di comunicazione (udito e parola). Ma una corretta lettura del dettato normativo ha consentito la giusta diffusione dell'assistente all'autonomia e alla comunicazione anche ad altre tipologie di disabilita', diretta a garantire l'assistenza specialistica ad personam a tutti gli studenti con disabilita' fisica, psichica o sensoriale, la cui gravita' o limitazione di autonomia, determini l'inevitabile necessita' di assistenza per un regolare apprendimento delle nozioni scolastiche.

Inoltre, la funzione che e' stata trasferita alle regioni, facendo riferimento anche all'art. 139, lettera c), del decreto legislativo n. 112 del 1998, concerne anche, in relazione all'istruzione secondaria superiore, il servizio di trasporto degli alunni con handicap o in situazione di svantaggio.

In base al suddetto art. 139, lettera c), infatti: «1. Salvo quanto previsto dall'art. 137 del presente decreto legislativo, ai sensi dell'art. 128 della Costituzione sono attribuiti alle province, in relazione all'istruzione secondaria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti:   ...

c) i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio».

Tale interpretazione e' stata confermata Consiglio di Stato, con il parere del 20 febbraio 2008, n. 213: «essendo stata trasferita alla provincia (v. art. 139 decreto legislativo n. 112/98) la competenza amministrativa gia' esercitata dallo Stato relativamente ai servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione secondaria superiore per gli alunni portatori di handicap e potendosi e dovendosi far rientrare nel concetto di "supporto organizzativo", in mancanza di diversa piu' specifica disciplina, anche il trasporto scolastico degli alunni di tali tipi di scuole, (come del resto rilevato dalla giurisprudenza) sara' la provincia a doversi far carico dell'esercizio di tale incombenza».

2. In relazione a questa complessa e delicata funzione, che e' stata attribuita stabilmente (l'art. l, comma 947 della legge n. 208 del 2015 stabilisce infatti, come detto, l'attribuzione della funzione «a decorrere dal 1° gennaio 2016») alle Regioni in forza dell'attuazione dell'art. 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014, n.

56, la disposizione impugnata prevede un mero finanziamento una tantum, limitato esclusivamente all'anno 2018.

E' evidente, allora, la contraddizione tra l'attribuzione di una assegnazione «a decorrere dal 2016» e un finanziamento limitato ad un sola annualita'.

In questi termini la disposizione impugnata non consente alle regioni la possibilita' di una programmazione stabile del servizio a favore degli alunni con disabilita', nella misura in cui non dispone una forma di finanziamento disposta «a decorrere dall'anno 2018».

E' di tutta evidenza che un servizio di tale portata non puo' essere organizzato dalle regioni senza una certezza sulla proiezione pluriennale del relativo finanziamento, dal momento che esso implica sia una spesa in formazione degli insegnanti (assistenti all'autonomia e alla comunicazione), sia una spesa di investimento in relazione ai mezzi di trasporto.

E' palese, infatti, che un finanziamento individuato nella forma del contributo una tantum, senza alcun impegno per gli anni successivi, impedisce un'adeguata strutturazione del servizio in un ambito tanto delicato, all'interno del quale sono coinvolti valori costituzionali ai quali questa ecc.ma Corte ha dedicato precisa e attenta considerazione.

Da ultimo, infatti, nella sentenza n. 275 del 2016, questa ecc.ma Corte ha evidenziato: «in attuazione dell'art. 38, terzo comma, Cost., il diritto all'istruzione dei disabili e l'integrazione scolastica degli stessi sono previsti, in particolare, dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate)», la quale «attribuisce al disabile il diritto soggettivo all'educazione ed all'istruzione a partire dalla scuola materna fino all'universita'»; e che «la partecipazione del disabile "al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce [...] un rilevante fattore di socializzazione e puo' contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialita' dello svantaggiato (sentenza n. 215 del 1987)" (sentenza n. 80 del 2010)».

Ha quindi precisato che «Il diritto all'istruzione del disabile e' consacrato nell'art. 38 Cost., e spetta al legislatore predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione di esso, affinche' la sua affermazione non si traduca in una mera previsione programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale.

La natura fondamentale del diritto, che e' tutelato anche a livello internazionale dall'art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita', adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18, impone alla discrezionalita' del legislatore un limite invalicabile nel "rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati" (sentenza n. 80 del 2010), tra le quali rientra il servizio di trasporto scolastico e di assistenza poiche', per lo studente disabile, esso costituisce una componente essenziale ad assicurare l'effettivita' del medesimo diritto».

Ha quindi censurato quelle disposizioni legislative che lascino «incerta nell'an e nel quantum la misura della contribuzione» rendendola «aleatoria, traducendosi negativamente sulla possibilita' di programmare il servizio e di garantirne l'effettivita', in base alle esigenze presenti sul territorio», al punto di ritenere viziata da incostituzionalita', per violazione dell'art. 38, terzo e quarto comma, Cost., una norma regionale che non garantiva «la certezza delle disponibilita' finanziarie per il soddisfacimento del medesimo diritto».

Tale certezza, sul piano necessariamente pluriennale nel quale solo puo' essere efficacemente organizzato il servizio, viene meno con la norma impugnata, che si limita a prevedere un contributo solo per l'annualita' 2018, lasciando del tutto aleatoria la questione inerente agli anni successivi.

Risulta quindi violato l'art. 119 Cost., e in particolare il comma IV dello stesso, nella parte in cui afferma il principio del finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite agli enti territoriali.

E' evidente che il senso di tale disposizione e' quello di assicurare una autonomia finanziaria fondata sul principio della certezza delle risorse disponibili.

Nello specifico, la norma in questione, pur essendo relativa a una funzione «attribuita» stabilmente alle regioni, la finanzia solo per il 2018, lasciando del tutto aleatoria la questione del finanziamento per gli anni successivi, violando in questi termini il principio sostanziale implicato nell'art. 119, IV comma, Cost., che e' appunto funzionale a garantire stabilita' alle risorse necessarie per lo svolgimento delle funzioni attribuite.

Dal momento che l'ambito cui si riferisce il finanziamento e' quello dei servizi ai disabili, viene violato anche l'art. 38, terzo e quarto comma, Cost., poiche' in assenza di certezza di risorse, non e' possibile una programmazione pluriennale del servizio, determinandosi altresi' una violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost.

Tale violazioni ridondano con tutta evidenza sulla competenza legislativa regionale in materia di assistenza sociale di cui all'art. 117, III e IV comma, dal momento che la legislazione regionale, in assenza di una stabilita' del contributo, non e' in grado di disciplinare adeguatamente la materia, e su quella amministrativa di cui all'art. 118 Cost., poiche', a cascata, la funzione amministrativa regionale non puo' essere efficacemente organizzata.

3. Ma vi e' di piu'.

Le stesse risorse stanziate per il 2018 non solo impediscono, come detto, una proiezione stabile del finanziamento sugli esercizi successivi, ma altresi' coprono a malapena la meta' del fabbisogno riscontrato a livello nazionale dal Governo, che e' pari a 112 milioni (doc. 2: Conferenza delle regioni e delle province autonome, posizione sul disegno di legge bilancio di previsione dello stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, 9 novembre 2017, pag. 7).

In questi termini, la disposizione impugnata si pone in contrasto anche con quanto affermato da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 205 del 2016, pronunciata a seguito della impugnazione della Regione Veneto dell'art. 1, commi 418, 419 e 451, della legge n. 190 del 2014, che denunciava come, nella misura in cui il passaggio di risorse dal bilancio provinciale (e delle Citta' Metropolitane) veniva disposto senza alcuna parallela prescrizione circa la destinazione che lo Stato avrebbe dovuto imprimere a tali risorse, salvo l'unico riferimento al vincolo a versare l'importo ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, si realizzasse un vulnus all'autonomia finanziaria di spesa e il capovolgimento dei meccanismi di compartecipazione e di trasferimento di risorse dallo Stato alla periferia di cui all'art. 119, I, II e III comma Cost.

In tale pronuncia codesta ecc.ma Corte ha dichiarato non fondata la questione, ma solo sul presupposto che, «disponendo il comma 418 che le risorse affluiscano ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, si deve ritenere - e in questi termini la disposizione va correttamente interpretata - che tale allocazione sia destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area vasta connesse al riordino delle funzioni non fondamentali, a una successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b, della legge n. 56 del 2014)». Questo in quanto « [l]a previsione del versamento al bilancio statale di risorse frutto della riduzione della spesa da parte degli enti di area vasta va dunque inquadrata nel percorso della complessiva riforma in itinere. E, cosi' intesa, essa si risolve in uno specifico passaggio della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato».

La sentenza ha quindi concluso che «[i] commi 418, 419 e 451, dunque, non violano l'art. 119, primo, secondo e terzo comma, Cost.

nei termini lamentati dalla ricorrente, perche' le disposizioni in essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse ad apposito capitolo del bilancio statale (cosi' come l'eventuale recupero delle somme a valere sui tributi di cui al comma 419) e' specificamente destinato al finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti».

Nello specifico, quindi, codesta ecc.ma Corte ha evidentemente ritenuto di poter evitare la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme impugnate solo sul presupposto che le risorse prelevate sul territorio in favore dello Stato dovessero essere destinate a una successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni.

Dalla sentenza, quindi, derivava un vincolo a carico dello Stato, che pero' non e' stato minimante considerato, neppure in occasione del finanziamento della delicatissima funzione assegnata - lo si ribadisce - «a decorrere dal 2016» e che invece viene finanziata solo per l'anno 2018.

L'omessa attuazione del disposto della sentenza n. 205 del 2016 ha quindi prodotto nel caso di specie quella violazione dell'art. 119 Cost. che codesta ecc.ma Corte aveva escluso sul solo presupposto che il legislatore statale ottemperasse a un vincolo a suo carico concernente tale riassegnazione.

In cio' si conferma ulteriormente la violazione dell'art. 119 della Costituzione, dal momento che la disposizione impugnata, cosi' come e' strutturata, vanifica l'obbligo che codesta ecc.ma Corte costituzionale, con la sentenza n. 205 del 2016, ha imposto al legislatore, per cui le risorse stabilmente tagliate alle province e alle citta' metropolitane per le loro funzioni e incamerate dallo Stato avrebbero dovuto essere stabilmente riassegnate agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni.

Ne deriva pertanto la illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 70, nella parte in cui prevede che il contributo sia assegnato solo «per l'anno 2018», anziche' «a decorrere dall'anno 2018», per violazione degli articoli 38, III e IV comma, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119, Cost.

3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 71, per violazione degli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

1. L'art. 1, comma 71, interviene sulla disciplina dell'utilizzo delle risorse del Fondo per il rinnovamento del parco mezzi del trasporto pubblico locale e regionale, prevedendo la possibilita' di destinare fino a 100 milioni di euro delle risorse gia' disponibili per ciascuno degli anni 2019-2033 ai progetti sperimentali e innovativi di mobilita' sostenibile finalizzati all'introduzione di mezzi su gomma ad alimentazione alternativa e relative infrastrutture di supporto, che siano presentati dai comuni e dalle citta' metropolitane. Alle stesse finalita' possono essere destinate anche le risorse gia' stanziate per la competitivita' delle imprese produttrici di beni e servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e dei sistemi intelligenti per il trasporto.

La norma, pertanto, specifica la destinazione di una parte delle somme che sono gia' stanziate sul Fondo per il rinnovamento del parco mezzi del trasporto pubblico locale e regionale, in base alla legge di bilancio 2017, e ne definisce le modalita' di utilizzo.

L'articolo si configura, infatti, come una novella all'art. 1, comma 613, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, che a sua volta e' intervenuto al fine di modificare la disciplina e la dotazione finanziaria del Fondo istituito dall'art. 1, comma 866, della legge n. 208/2015, la cui operativita' era stata differita al 1° gennaio 2017 dall'art. 7, comma 11-quater, del decreto-legge n. 210 del 2015.

La norma prevede, in dettaglio, la possibilita' che le risorse del Fondo per l'adeguamento del parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale, che e' finalizzato anche all'accessibilita' per persone a mobilita' ridotta, possano essere destinate al finanziamento di progetti sperimentali e innovativi di «mobilita' sostenibile» per un importo sino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2033.

La norma richiede che tali progetti siano: a) coerenti con i Piani Urbani di Mobilita' Sostenibile (PUMS) ove previsti dalla normativa vigente; b) finalizzati all'introduzione di mezzi su gomma ad alimentazione alternativa e relative infrastrutture di supporto; c) presentati dai comuni e dalle citta' metropolitane.

Al riguardo, e' opportuno ricordare che il Fondo finalizzato all'acquisto diretto, anche per il tramite di societa' specializzate, nonche' alla riqualificazione elettrica e al miglioramento dell'efficienza energetica o al noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, e' stato istituito, presso il MIT, dal ricordato art. 1, comma 866, della legge n. 208 del 2015, onde garantire il concorso dello Stato al raggiungimento degli standard europei del parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per l'accessibilita' per persone a mobilita' ridotta. Sul Fondo sono affluite, previa intesa con le regioni, le risorse disponibili di cui all'art. 1, comma 83, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successivi rifinanziamenti; tali risorse sono state finalizzate al rinnovo dei parchi automobilistici destinati al trasporto pubblico locale regionale e interregionale.

In attuazione del suddetto art. 1, comma 866, sono stati quindi emanati due decreti ministeriali di riparto dei fondi: il decreto ministeriale 10 giugno 2016, n. 209, poi annullato in seguito alla sentenza n. 211 del 2016 di codesta ecc.ma Corte costituzionale che ha imposto l'obbligo di conseguire l'Intesa con le regioni sul medesimo decreto, che quindi e' stato sostituito dal decreto ministeriale 28 ottobre 2016, n. 345.

L'art. 1, comma 613, della legge n. 232/2016 ha poi incrementato le risorse attribuite al Fondo, istituito dal citato comma 866, di altri 200 milioni di euro per il 2019 e di 250 milioni per ciascuno degli anni dal 2020 al 2033, nonche' ne ha esteso le finalita' e l'art. 1, comma 615, della medesima legge ha previsto la redazione del Piano strategico della mobilita' sostenibile (PUMS), destinato al rinnovo del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, alla promozione e al miglioramento della qualita' dell'aria con tecnologie innovative, in attuazione degli accordi internazionali nonche' degli orientamenti e della normativa comunitaria.

Al riguardo va precisato che la Regione Veneto ha impugnato, con il ricorso reg. ric. n. 19 del 2017, l'art. l comma 615, nella parte in cui prevede che il Piano strategico nazionale della mobilita' sostenibile sia adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze e dell'ambiente) senza alcuna forma di coinvolgimento delle regioni e in quella in cui conferma la medesima mancanza di coinvolgimento anche in relazione all'emanazione del decreto del Ministro dello sviluppo economico con cui sono disciplinati gli interventi.

2. La medesima mancanza di coinvolgimento si rinviene nella norma qui impugnata nella parte in cui rinvia, per la definizione delle modalita' di utilizzo della suddetta quota di risorse del Fondo per il rinnovamento del parco mezzi del trasporto pubblico locale e regionale, all'emanazione di un apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e finanze. Anche in questo caso, infatti, non e' prevista alcuna forma di coinvolgimento delle regioni.

L'illegittimita' costituzionale diventa evidente alla luce della sentenza n. 211 del 2016, con la quale codesta ecc.ma Corte ha stabilito che i criteri di riparto del Fondo per l'adeguamento del parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale possono legittimamente essere determinati da un decreto ministeriale, solo previa intesa con le regioni.

Questo in quanto i) si tratta di un intervento di finanziamento che «attiene a materia sicuramente rientrante, come piu' volte ribadito da questa Corte, nell'ambito delle competenze regionali residuali, qual e' quella del trasporto pubblico locale», ii) si tratta di «risorse aggiuntive rispetto alla ordinaria capacita' finanziaria regionale locale finalizzate a un intervento specifico e vincolato ma a carattere generale non essendo destinato solo a determinati ambiti territoriali», iii) per cui «l'impianto costituzionale relativo alla competenza residuale delle regioni in materia di trasporto pubblico locale e di interventi statali di finanziamento in tale settore deve conciliarsi con l'esigenza di assicurare la massima continuita', adeguatezza e grado di omogeneita' del servizio di trasporto pubblico locale sull'intero territorio nazionale. La predetta esigenza e' soddisfatta attraverso il concorso di tutti gli apporti finanziari possibili, ivi compresi quelli statali in funzione di sostegno ed integrazione delle limitate risorse regionali disponibili, siano gli interventi a carattere generale, siano invece mirati a finalita' specifiche».

Richiamando, quindi, in relazione al principio di leale collaborazione, sia la sentenza n. 273 del 2013, sia le sentenze n.

168 del 2008 e n. 222 del 2005, la sentenza ha concluso che «proprio perche' tale finanziamento interessa materia comunque di competenza residuale regionale quale e' il trasporto pubblico locale, occorre assicurare il piu' ampio coinvolgimento decisionale del sistema regionale in ordine al riparto delle risorse finanziarie in oggetto; coinvolgimento che si realizza attraverso lo strumento della "previa intesa" con la Conferenza permanente Stato-Regioni (in tal senso, ex multis, sentenza n. 168 del 2008 ma anche, da ultimo, sentenza n. 147 del 2016)».

Trattandosi, nel caso della norma impugnata, della destinazione di una quota delle risorse del medesimo Fondo, valgono quindi pienamente i principi affermati nella citata sentenza, dove peraltro una forma minima, ma non ritenuta sufficiente dalla sentenza, di coinvolgimento delle regioni era prevista dalla formula «sentite le regioni».

Infatti, poiche' tale finanziamento interviene in un ambito di competenza regionale, il rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle regioni impone di prevedere che queste ultime siano pienamente coinvolte, attraverso la previsione di una Intesa, nei processi decisionali concernenti il riparto delle suddette risorse.

La norma impugnata, pertanto, si pone in contrasto con gli articoli 5 e 120 della Costituzione, sul principio di leale collaborazione, dal momento che non dispone tale coinvolgimento, violando di conseguenza l'autonomia legislativa e amministrativa regionale di cui gli articoli 117, III e IV comma, e 118, in quanto interviene in una materia attinente al trasporto pubblico locale prevendendo, tuttavia, che le risorse del Fondo siano unilateralmente ripartite con decreto ministeriale.

Risulta inoltre violato anche l'art. 119 della Costituzione, poiche' secondo la giurisprudenza consolidata di codesta ecc.ma Corte costituzionale, la possibilita' di istituire e ripartire fondi statali a destinazione vincolata rivolti agli enti territoriali, non solo nel caso di intreccio di materie (sentenza n. 168 del 2008), ma anche in caso di potesta' legislativa regionale residuale (ex plurimis, la sentenza n. 27 del 2010 e n. 222 del 2005), e' subordinata alla previsione del coinvolgimento delle regioni (tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013).

4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 499, per violazione degli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e 5 e 120 sul principio di leale collaborazione.

1. L'art. 1, comma 499, prevede l'istituzione, tramite la riforma dell'art. 13 del decreto legislativo n. 228 del 2001 («Orientamento e modernizzazione del settore agricolo»), dei cd. «distretti del cibo», per mezzo dei quali il legislatore mira a tutelare, nella prossimita' territoriale, un interesse pubblico di cui le regioni devono tenere conto nel programmare le loro politiche di sviluppo.

La norma quindi e' diretta a rafforzare il sostegno alle forme organizzative locali sostituendo i previgenti distretti «rurali» e «agroalimentari di qualita'», con i nuovi «distretti del cibo» che assorbono i precedenti e presentano ulteriori requisiti.

Nello specifico, le finalita' dichiarate al novellato primo comma dell'art. 13 sono quelle di promuovere lo sviluppo territoriale, la coesione e l'inclusione sociale, favorire l'integrazione di attivita' caratterizzate da prossimita' territoriale, garantire la sicurezza alimentare, diminuire l'impatto ambientale delle produzioni, ridurre lo spreco alimentare e salvaguardare il territorio e il paesaggio rurale attraverso le attivita' agricole e agroalimentari.

A tal fine, il novellato art. 13 definisce, al secondo comma, le fattispecie dei distretti del cibo e rimette alle regioni il compito di individuarli, dandone poi comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, presso il quale e' istituito il «Registro nazionale dei distretti del cibo» che raccoglie i distretti riconosciuti dalle regioni, come disposto dal III comma.

Il novellato art. 13, inoltre, al quarto comma, prevede che, al fine di sostenere gli interventi per la creazione e il consolidamento dei distretti, si applichino le disposizioni gia' previste nel decreto ministeriale MiPAAF n. 1192 dell'8 gennaio 2016, attuativo dall'art. 66 della legge n. 289 del 2002, recante i criteri, le modalita' e le procedure per l'attuazione dei contratti di distretto.

Piu' precisamente, in base alla definizione contenuta nella lettera h) del suddetto decreto tali contratti sono «accordi sottoscritti dal MiPAAF e dai diversi soggetti operanti nel territorio del distretto che hanno sottoscritto un accordo di distretto (che individua il soggetto proponente, gli obiettivi, le azioni, i progetti degli operatori della filiera, i tempi di realizzazione, i risultati e gli obblighi reciproci dei soggetti beneficiari) e che, in base alla normativa regionale, rappresentano i distretti di cui all'art. 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (i distretti rurali ed agroalimentari di qualita'), finalizzato alla realizzazione di un Programma volto a rafforzare lo sviluppo economico e sociale dei distretti stessi».

Gli interventi ivi previsti sono finalizzati alla realizzazione di programmi di investimenti, che vengono agevolati con un ammontare delle spese ammissibili compreso tra 4 milioni e 50 milioni di euro (limite finanziario complessivo fissato con deliberazione del CIPE come disciplinato dalla richiamata norma dell'art. 66, comma 1, della legge n. 289 del 2002).

Tuttavia, per la disciplina dell'attuazione degli interventi di cui al quarto comma, il successivo quinto comma del nuovo art. 13 rinvia ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, emanato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ma solo sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome.

Pertanto, in questi termini, nella misura in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle regioni attraverso la previsione di una Intesa per la emanazione del suddetto decreto, la norma si dimostra lesiva del riparto di competenze di cui agli articoli 117, III e IV comma, 118, 119 Cost. nonche' 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione.

2. E' di tutta evidenza, infatti, che l' ambito materiale cui attengono le norme impugnate e' relativo a materie riconducibili quali «agricoltura» - che per esplicito riconoscimento di codesta ecc.ma Corte rientra tra le competenze regionali di carattere residuale (sent. n. 12 del 2004 che riconosce come l'agricoltura sia una «competenza legislativa affidata in via residuale alle regioni e sottratta alla competenza legislativa statale»; orientamento confermato ex multis, sentenze n. 282 del 2004, n. 116 del 2006, n.

62 del 2013, nn. 16, 38, 60 del 2015 e n. 261 del 2017) - e «alimentazione», rientrante nella potesta' legislativa concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost.

Cio' nonostante con riguardo alle modalita' ed alle procedure per l'attuazione degli interventi, la norma del quinto comma del novellato art. 13 prevede che, per l'emanazione del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sia solo «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano», prevedendo quindi un coinvolgimento non adeguato delle regioni.

Al riguardo, infatti, e' opportuno ricordare che codesta ecc.ma Corte, in relazione ad un'analoga fattispecie, con la sent. n. 165 del 2007, vertente sulla questione di legittimita' dell'art. 1, commi 366 e 368, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, relativamente ai «distretti produttivi», e' intervenuta dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle suddette disposizioni appunto per la mancata previsione della previa Intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Infatti, pur riconoscendo la sussistenza di esigenze di carattere unitario che, nel caso di specie, legittimavano l'avocazione in sussidiarieta', codesta ecc.ma Corte ha avuto cura di precisare che «[l']attrazione al centro delle funzioni amministrative, mediante la "chiamata in sussidiarieta'", benche' sia giustificata, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, richiede tuttavia che l'intervento legislativo preveda forme di leale collaborazione con le regioni (soprattutto sentenza n. 214 del 2006; ma anche sentenze n.

425, n. 406, n. 213 del 2006).[...] La disciplina interferisce, infatti, con materie attribuite alla competenza legislativa sia concorrente, sia residuale delle regioni, senza che, in contrasto con i principi sopra enunciati, sia stata prevista alcuna forma di collaborazione [...]. Per porre rimedio al vizio delle norme, occorre recuperare il ruolo delle regioni in termini di coinvolgimento delle medesime. L'incidenza della disciplina stabilita dalle norme impugnate anche in materie riconducibili alla competenza legislativa residuale di queste ultime rende indispensabile, per la loro riconduzione nell'ambito della «chiamata in sussidiarieta'» da parte dello Stato, l'applicazione del modulo della concertazione necessaria e paritaria fra organi statali e Conferenza Stato-Regioni dei poteri di tipo normativo o programmatorio riservati dalle disposizioni impugnate esclusivamente ad organi statali» (Considerato di diritto n. 4.4).

Alla luce di quanto espresso dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, pertanto si conferma la dedotta illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate, che pur riguardando competenze di tipo residuale e concorrente non prevedono alcuna Intesa per l'emanazione del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, bensi' un semplice parere.

Cio' quindi in violazione 117, III e IV comma, 118, nonche' 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione, il cui rispetto si impone perche' «il legislatore statale deve predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a difesa delle loro competenze. L'obiettivo e' contemperare le ragioni dell'esercizio unitario delle stesse con la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie (sentenze n. 65 del 2016, n. 88 del 2014 e n. 139 del 2012)» (sent. n. 251 del 2016).

In questi termini, pertanto, codesta ecc.ma Corte ha dunque fissato una serie di punti fermi da rispettare: «affinche' (...) nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che essa detti una disciplina (...) che sia adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di Governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali» (sent. n. 278 del 2010).

Dunque, «solo la presenza di tali presupposti, alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita', consente di giustificare la scelta statale dell'esercizio unitario di funzioni, allorquando emerga l'esigenza di esercizio unitario delle funzioni medesime (ex plurimis, sentenze n. 76 del 2009, n. 339 e n. 88 e del 2007, n. 214 del 2006, n. 242 e n. 151 del 2005)» (sent. n. 232 del 2011).

Piu' in particolare, codesta Corte, con riferimento alle norme legislative statali che incidono su materie di competenza regionale ha ribadito, anche di recente, che in tali casi la legge «deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di Governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, si devono prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali» (sent. n. 7 del 2016). E, con riferimento a quest'ultimo profilo, ha evidenziato che «nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi ... la legislazione statale di questo tipo "puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'" (sentenza n. 303 del 2003) (sentenza n. 6 del 2004)» (sent. n. 7 del 2016).

3. Inoltre, si determina altresi', in assenza della previsione di una Intesa riguardo al suddetto decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, la violazione dell'art. 119 Cost., dal momento che il decreto attenendo anche al riparto di risorse finanziarie e intervenendo in ambiti materiali rimessi alla competenza delle regioni, realizza una forma di intervento finanziario non riconducibile ad alcuna della modalita' costituzionalmente consentite dal suddetto art. 119 Cost.

Al riguardo, e' opportuno richiamare la sentenza n. 49 del 2004, con cui codesta ecc. ma Corte e' intervenuta a censurare fondi statali istituiti in ambiti e per «finalita' estranee a materie o compiti di competenza esclusiva dello Stato, ma [che] sono invece riconducibili a materie e ambiti di competenza concorrente (a partire dal "governo del territorio") o residuale delle regioni».

5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 679, 682 e 683, per violazione degli articoli 3, 32, 81, 97, 117, III e IV comma, 118, 119 Cost., nonche' 5 e 120 Cost. per violazione del principio di leale collaborazione.

1. L'art. 1, comma 682 stabilisce che: «Per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, gli oneri per i rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018, nonche' quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale di cui all'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell'art. 48, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001».

Il successivo comma 683 del medesimo art. 1, prevede che «Le disposizioni recate dal comma 682 si applicano anche al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale».

Quest'ultima disposizione, nel combinato disposto con la precedente e in considerazione di quanto dispone l'art. 1, comma 679, si pone in contrasto con gli articoli 3, 32, 81, 97, 117, III e IV comma, 118, 119, nonche' 5 e 120 della Costituzione, sul principio di leale collaborazione, dal momento che, a invarianza del concorso dello Stato al finanziamento del Fondo Sanitario nazionale, pone completamente a carico dei bilanci regionali gli incrementi di spesa derivanti dal rinnovo del contratto del personale dipendente e convenzionato stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale.

Il comma 679, infatti, riformula quanto previsto dall'art. 1, comma 466, della legge n. 208 del 2015, che prevedeva, per il triennio 2016-2018, in applicazione dell'art. 48, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e per i miglioramenti economici del personale dipendente dalle amministrazioni statali in regime di diritto pubblico, oneri posti a carico del bilancio statale quantificati, complessivamente, in 300 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016.

Ora, in base al comma 679 della legge n. 205 del 2017, i medesimi oneri a carico del bilancio statale sono complessivamente rideterminati in 300 milioni di euro per l'anno 2016, in 900 milioni di euro per l'anno 2017 e in 2.850 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018, con quindi un incremento a decorrere dagli anni 2017 e 2018. Tale incremento retributivo, pari al 3,48% a decorrere dal 2018, e' destinato ad essere applicato al comparto delle regioni e degli enti del servizio sanitario in forza, fra l'altro, dell'art.

48, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e in base all'art. 1, comma 469 della legge n. 208 del 2015 un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze fissera' i criteri di determinazione dei predetti oneri in coerenza con quanto previsto per la contrattazione nazionale. La circostanza risulta confermata dalla Relazione tecnica al disegno di legge di bilancio dello Stato 2018, che in relazione alla norma di riferimento, li' rubricata come art.

58, esplicita, che essa ridetermina gli oneri complessivi posti a carico del bilancio dello Stato per la contrattazione collettiva relativa al triennio 2016-2018 in termini che «corrispondono a incrementi retributivi per il 2016, il 2017 e a decorrere dal 2018, rispettivamente, dello 0,36%, dell'1,09% e del 3,48% del complessivo monte salari utile ai fini contrattuali». Precisa, inoltre, dopo aver evidenziato che l'incremento a decorrere dal 2018 corrisponde all'attribuzione di aumenti medi mensili di 85 euro lordi, che gli «oneri complessivi per il personale contrattualizzato in regime privatistico del settore non Stato sono determinati a carico dei predetti bilanci, secondo i criteri sopra indicati per il settore Stato» (4) .

2. In tal modo si chiarisce: sia i) che la legge di bilancio 2018 ha stabilito un incremento dei costi contrattuali del 3,48%, che per le Amministrazioni centrali si e' tradotto in un significativo aumento, delle risorse stanziate a regime, come disposto dall'art. 1, comma 679, prima richiamato, sia ii) che tale percentuale di incremento e' la base per il rinnovo degli altri contratti pubblici, ivi compresi quelli della sanita' (art. 1, comma 683), senza pero' che alle amministrazioni regionali sia assegnato alcuno stanziamento aggiuntivo. In questi termini diventano evidenti le violazioni costituzionali determinate dalle norme impugnate, in quanto pur stabilendo un incremento del contratto superiore a quello previsto, non dispongono alcun incremento del fabbisogno del Fondo Sanitario Nazione, dal momento che questo, pur essendo chiamato a finanziare i maggiori oneri per il rinnovo del contratto Sanita', non e' stato adeguato negli stanziamenti.

Nello specifico, infatti, il concorso dello Stato al fabbisogno sanitario, in forza di quanto previsto dalle diverse manovre di finanza pubblica e in base, da ultimo, al decreto MEF del 5 giugno 2017, che vi ha dato attuazione (art. 1 del suddetto decreto) disponendo la riduzione di 423 milioni di euro per il 2017 e a decorrere dal 2018 di 604 milioni di euro, risulta, a far data dal medesimo decreto, stabilizzato in 113,396 miliardi per il 2018.

A fronte di risorse cosi' stabilizzate e quindi ritenute necessarie per il corretto funzionamento del SSN e la relativa garanzia dei Lea, le disposizioni impugnate giungono a imporre un nuovo e maggiore onere, stimato dal comparto regionale in circa 700 ml a decorrere dal 2018 (si veda il doc. n. 3, pag.2, con l'espressione delle osservazioni delle regioni sul disegno di legge di bilancio 2018), derivati dalla fissazione di un incremento del contratto superiore a quello originariamente previsto, come chiaramente emerge dall'atto di indirizzo del 27 luglio 2017 del Comitato di settore Comparto regioni - sanita' (formulato ai sensi dell'art. 41 commi 1 e 2 e dell'art. 47 commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001, cosi' come modificato dal decreto legislativo n. 75 del 2017) e finalizzato all'avvio delle procedure per il rinnovo contrattuale del personale dei livelli per il triennio 2016-2018, dove la previsione dell'incremento compatibile con le risorse del FSN stabilite per il 2018 veniva fissata nell'1,45% (doc.

n. 4, pag. 22).

A tale riguardo, e' altresi' significativa (doc. n. 5) la lettera inviata dal Presidente del Comitato di settore Comparto regioni - sanita' al Ministro dell'economia e delle finanze, del 23 novembre 2017, dove si esplicita come l'incremento al 3,48% (dal precedente 1,45%) sia incompatibile con la capienza del Fondo sanitario a legislazione vigente, trattandosi di un nuovo e maggiore onere che viene posto a carico di quest'ultimo senza che sia intervenuta nessuna misura che renda giustificabile la riduzione.

Cosi' descritta la fattispecie, diviene evidente che le norme impugnate determinano, da piu' punti di vista, un vulnus all'autonomia costituzionalmente riconosciuta alle regioni, come anticipato in apertura.

3. In primo luogo, infatti, le norme appaiono viziate da irragionevolezza e quindi si pongono in violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione: l'incremento al 3,48% dei costi contrattuali per le Amministrazioni statali viene compensato, dall'art. 1, comma 679 della legge di bilancio 2018 da un incremento di stanziamento di risorse rispetto a quanto originariamente previsto dall'art. 1, comma 466, della legge n. 208 del 2015; nessun ulteriore stanziamento viene invece previsto per il medesimo incremento che ricade sul Fondo sanitario nazionale. E' quindi palese, nel raffronto con il tertium comparationis dato dall'art. l, comma 679, che la norma derivante dal combinato disposto dei successivi commi 682 e 683 determina una rottura della coerenza dell'ordinamento, giungendo a disciplinare in modo diverso situazioni ragionevolmente uguali.

La suddetta violazione dell'art. 3 Cost. ridonda palesemente sulla autonomia costituzionalmente riconosciuta alla regioni in materia di assistenza sanitaria e socio sanitaria loro riconosciuta ai sensi degli articoli 117, III e IV, sul piano legislativo e ai sensi dell'art. 118, I comma, sul piano amministrativo. Le regioni, infatti, a differenza delle amministrazioni statali, risultano private del riconoscimento delle ulteriori risorse necessarie a compensare il maggiore incremento dei costi contrattuali, che ricade quindi sul livello del finanziamento del FSN vigente prima della previsione del suddetto incremento e che gia' - costituendo la risultante residuale di una ripetuta serie di tagli statali, rispetto ai quali codesta ecc.ma Corte non e' rimasta indifferente (cfr. da ultimo la sentenza n. 169 del 2017) - non poteva certo definirsi sovradimensionato.

Come, infatti, emerge dal profilo della situazione italiana tracciato dall'OCSE nel 2017 e riportato nelle conclusioni dell'Indagine conoscitiva della Commissione Sanita' pubblicata il 18 gennaio 2018 (5) , in Italia: «[l]a percentuale di persone con basso reddito che segnalano bisogni insoddisfatti a causa dei costi dell'assistenza sanitaria e' particolarmente elevata, il che suggerisce un grado significativo di disuguaglianza nell'accesso alle cure.

... I dati Eurostat ... indicano livelli di bisogni insoddisfatti di gran lunga superiori a quelli di paesi come Francia, Germania e Regno Unito.

In seguito alla ripresa economica degli ultimi anni, i livelli essenziali sono stati rivisti e ampliati (Lea), ma vi sono preoccupazioni per la capacita' finanziaria delle regioni di attuare tali livelli, che devono essere garantiti a tutti i residenti nel paese».

Nel paragrafo titolato «Le restrizioni imposte al finanziamento della sanita' pubblica: i dati al 2017» la relazione inizia significativamente con questa espressione:   «Allineare progressivamente la spesa italiana in rapporto al Pil a quella media europea.»   «Questo l'impegno richiesto dal Parlamento, in occasione dell'approvazione del DEF 2017, che il Governo aveva formalmente accolto impegnandosi a prevedere specifici interventi. Purtroppo, ad oggi, nessun intervento e' stato previsto, neanche nella legge di Bilancio per il 2018, la quale non solo non prevede alcun riallineamento ma va esattamente nella direzione opposta. Con riguardo al finanziamento cui concorre il Bilancio dello Stato, la legge di Bilancio fissa per il 2018 il finanziamento pari a 114 miliardi di euro, 1 mld in piu' rispetto al 2017. L'aumento di 1 miliardo non e' peraltro sufficiente a coprire le maggiori spese gia' imposte alle regioni: il rinnovo dei contratti e delle convenzioni (stimato circa 1,3 miliardi) cui si aggiunge il taglio di 604 milioni per coprire il rifiuto delle regioni a statuto speciale a partecipare al risanamento della finanza pubblica. E cosi' continua il processo di erosione delle risorse messe a disposizione del Ssn.

La sequenza di restrizioni imposte al finanziamento del Ssn nel corso degli ultimi anni e' riportato nella tabella seguente.

Parte di provvedimento in formato grafico

Si noti che per la legge di Bilancio non fissa il finanziamento per l'ultimo anno del triennio di riferimento, il 2020».

4. In secondo luogo, a fronte di queste affermazioni, risulta evidente che alle regioni non rimane altra possibilita' che tagliare i servizi per poter finanziare il rinnovo dei contratti, e in questi termini le disposizioni impugnate si pongono in violazione anche dell'art. 32 della Costituzione, con ridondanza sulle competenze regionali in materia di sanita', non consentendo alle regioni di erogare i relativi servizi in termini adeguati.

Come detto, la circostanza si auto dimostra considerando che lo stanziamento ritenuto adeguato per il 2108 e' rimasto invariato, ma successivamente e' stato imposto un nuovo onere (l'incremento della spesa per i contratti del personale portato al 3,48%) senza che nessuno stanziamento aggiuntivo sia stato previsto.

Delle due l'una, quindi: o i) la spesa precedente era inadeguata in eccesso - ipotesi che sarebbe del tutto fuori luogo formulare, anche perche' il finanziamento della sanita', in forza del decreto legislativo n. 68 del 2011 (articoli 27 e ss.) , e' strutturato in termini di fabbisogni standard, quindi considerando l'erogazione dei Lea gia' in condizione di efficienza ed appropriatezza - o si e' determinato, con le nuove norme, un carico aggiuntivo che compromette in re ipsa la «spesa costituzionalmente necessaria» (cosi' sentenza n. 169 del 2017) per i servizi sanitari diretti a garantire i Lea, con violazione quindi anche dell'art. 81, III comma, per mancanza di copertura finanziaria. Infatti, se i maggiori oneri devono essere coperti dai bilanci degli enti regionali, questi enti sono costretti a scegliere fra i) operare un taglio alla corresponsione dei Lea a favore dell'incremento contrattuale del compatto o ii) non rispettare l'incremento dell'aumento del contratto previsto per legge. In questi termini, la dinamica innestata dalle norme impugnate contraddice frontalmente la conclusione della sentenza n. 169 del 2017, laddove precisa: «[n] consegue ulteriormente che, ferma restando la discrezionalita' politica del legislatore nella determinazione - secondo canoni di ragionevolezza - dei livelli essenziali, una volta che questi siano stati correttamente individuati, non e' possibile limitarne concretamente l'erogazione attraverso indifferenziate riduzioni della spesa pubblica. In tale ipotesi verrebbero in essere situazioni prive di tutela in tutti i casi di mancata erogazione di prestazioni indefettibili in quanto l'effettivita' del diritto ad ottenerle "non puo' che derivare dalla certezza delle disponibilita' finanziarie per il soddisfacimento del medesimo diritto" (sentenza n.

275 del 2016)» (enfasi ns.).

5. Ma non solo.

In terzo luogo, infatti, e' opportuno ricordare quanto affermato, con cristallina lucidita', da codesta ecc. ma Corte costituzionale sempre nella sentenza n. 169 del 2017: «la dialettica tra Stato e Regioni sul finanziamento dei LEA dovrebbe consistere in un leale confronto sui fabbisogni e sui costi che incidono sulla spesa costituzionalmente necessaria, tenendo conto della disciplina e della dimensione della fiscalita' territoriale nonche' dell'intreccio di competenze statali e regionali in questo delicato ambito materiale.

Cio' al fine di garantire l'effettiva programmabilita' e la reale copertura finanziaria dei servizi, la quale - data la natura delle situazioni da tutelare - deve riguardare non solo la quantita' ma anche la qualita' e la tempistica delle prestazioni costituzionalmente necessarie».

E' del tutto evidente che tale confronto, nel caso specifico - all'interno di un contesto in cui il tradizionale Patto della Salute, una volta scaduto quello 2014/2016, non e' nemmeno stato piu' rinnovato - e' del tutto mancato, con violazione quindi degli articoli 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione e la responsabilita' non e' certo imputabile alle regioni: l'aumento contrattuale, infatti, i) e' stato deciso unilateralmente dal Governo, che ii) ne ha pero' poi posto integralmente a carico del FSN il relativo finanziamento, sempre senza alcuna concertazione.

E' utile al riguardo ricordare, peraltro, che gia' nella sentenza n. 203 del 2008 codesta ecc. ma Corte aveva chiaramente affermato: «la stessa offerta "minimale" di servizi sanitari non puo' essere unilateralmente imposta dallo Stato, ma deve essere concordata per alcuni aspetti con le Regioni, con la conseguenza che «sia le prestazioni che le regioni sono tenute a garantire in modo uniforme sul territorio nazionale, sia il corrispondente livello di finanziamento sono oggetto di concertazione tra lo Stato e le Regioni stesse»». Nella sentenza n. 192 del 2017, inoltre, codesta ecc.ma Corte si e' preoccupata di ricordare «che, in base al gia' citato art. 26, comma 1, del decreto legislativo n. 68 del 2011, il fabbisogno sanitario nazionale standard e' determinato "tramite intesa"».

Tanto basta a confermare le suddette censure, data la completa mancanza, senza alcuna responsabilita' imputabile alle regioni, in relazione alla fattispecie in esame, di quel «ponderato confronto tra Stato e regioni», per usare l'espressione della sentenza n. 192 del 2017 di codesta ecc.ma Corte costituzionale: «[n]ondimeno, occorre confermare che la garanzia di servizi effettivi, che corrispondono a diritti costituzionali, richiede certezza delle disponibilita' finanziarie, nel quadro dei compositi rapporti tra gli enti coinvolti (sentenza n. 275 del 2016). Anche la tutela del diritto alla salute non puo' non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie disponibili (da ultimo, sentenza n. 203 del 2016), senza pero' che possa essere compromessa la garanzia del suo nucleo essenziale. A maggior ragione, tuttavia, la quantificazione delle risorse in modo funzionale alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente si impone, anche in questo ambito, come canone fondamentale e presupposto del buon andamento dell'amministrazione, che deve sempre essere rispettato da parte del legislatore (sentenza n. 10 del 2016).

Pertanto, le determinazioni sul fabbisogno sanitario complessivo non dovrebbero discostarsi in modo rilevante e repentino dai punti di equilibrio trovati in esito al ponderato confronto tra Stato e regioni in ordine ai rispettivi rapporti finanziari, senza che tale scostamento appaia giustificabile alla luce di condizioni e ragioni sopraggiunte» (enfasi ns.).

E' del tutto evidente che risulterebbe certo riduttivo e non compatibile con la specifica connotazione costituzionale che assume il diritto «fondamentale» alla salute (unico diritto per cui la Costituzione utilizza questa espressione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo»), limitarsi a affermare, in via generica, che il principio di leale collaborazione non si applica al procedimento legislativo, tanto da rendere possibile una determinazione completamente unilaterale e quindi sganciata dalle altrettanto fondamentali esigenze di concertazione messe in luce dalla sentenza n. 169 del 2017 e ribadite dalla sentenza n. 192 del 2017.

La specificita' nell'impianto costituzionale italiano del diritto alla salute, infatti, e' quella di essere garantito da un finanziamento prevalentemente statale e da una concreta erogazione dei relativi servizi rimessa alla responsabilita' delle regioni, secondo uno schema che rende indispensabile in tale specifico ambito, proprio al fine della effettiva garanzia del diritto, l'adozione di procedure concertative.

Tanto trova conferma nelle citate sentenze di codesta ecc.ma Corte costituzionale, rispetto alle quali deve essere anche considerato il principio affermato nella sentenza n. 251 del 2016: «[e'] pur vero che questa Corte ha piu' volte affermato che il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento legislativo. La' dove, tuttavia, il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa».

6. Infine, e' evidente che il principio (sentt. n. 197 del 2017 e 275 del 2016) della «certezza delle disponibilita' finanziarie per il soddisfacimento» del diritto alla salute e' evidentemente stato frustrato dalle disposizioni impugnate, che quindi si pongono in conflitto anche con l'art. 97 della Costituzione, determinando una evidente ridondanza sulla possibilita' delle regioni di effettuare una corretta programmazione della spesa sanitaria nella competenza ad esse costituzionalmente assegnata, con conseguente violazione quindi, anche diretta, dell'art. 119 della Costituzione, in relazione alla autonomia di spesa.

Risulta, infatti, certamente disatteso l'auspicio formulato nella stessa sentenza n. 169 del 2017: «misure piu' calibrate e piu' stabili di quelle fino ad oggi assunte sono utili per la riqualificazione di un servizio fondamentale per la collettivita' come quello sanitario. Questa Corte ha affermato che la programmazione e la proporzionalita' tra risorse assegnate e funzioni esercitate sono intrinseche componenti del "principio del buon andamento [il quale] - ancor piu' alla luce della modifica intervenuta con l'introduzione del nuovo primo comma dell'art. 97 Cost. ad opera della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) - e' strettamente correlato alla coerenza della legge finanziaria", per cui "organizzare e qualificare la gestione dei servizi a rilevanza sociale da rendere alle popolazioni interessate [...] in modo funzionale e proporzionato alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente diventa fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell'amministrazione, cui lo stesso legislatore si deve attenere puntualmente" (sentenza n. 10 del 2016)».

Ne' peraltro, dato l'art. 1, comma 37 della medesima legge di bilancio 2018, che sospende anche per il 2018 gli aumenti di tributi regionali, e' possibile per le regioni eventualmente tentare di compensare con questi ultimi la maggiore spesa.

Tanto basta, in conclusione, a confermare pienamente le censure esposte.

La Regione Veneto, in ogni caso, si riserva di documentare a consuntivo il danno subito per effetto delle norme impugnate, che in realta', come visto, e' ravvisabile in re ipsa nella fattispecie, dalle disposizione impugnate.

6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 778, per violazione degli articoli 3, 5, 117, II comma, 119 della Costituzione, nonche' 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione.

1. L'art. l, comma 778, stabilisce che: «Nelle more del riordino del sistema della fiscalita' locale, al decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, sono apportate le seguenti modificazioni:   a) all'art. 2, comma 1, la parola: "2019", ovunque ricorre, e' sostituita dalla seguente: "2020"   b) all'art. 4:   1) al comma 2, le parole: "Per gli anni dal 2011 al 2018" sono sostituite dalle seguenti: "Per gli anni dal 2011 al 2019" e le parole: "A decorrere dall'anno 2019" sono sostituite dalle seguenti: "A decorrere dall'anno 2020";   2) al comma 3, le parole: "A decorrere dall'anno 2019" sono sostituite dalle seguenti: "A decorrere dall'anno 2020";   c) all'art. 7:   1) al comma 1, le parole: "A decorrere dall'anno 2019" sono sostituite dalle seguenti: "A decorrere dall'anno 2020";   2) al comma 2, le parole: "entro il 31 luglio 2018" sono sostituite dalle seguenti: "entro il 31 luglio 2019";   d) all'art. 15, commi 1 e 5, la parola: "2019" e' sostituita dalla seguente: "2020".»   In questi termini la disposizione impugnata dispone l'ennesimo rinvio, dal 2019 al 2020, dell'entrata in vigore dei nuovi meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali stabiliti dal decreto legislativo n. 68 del 2011, emanato in attuazione della delega sul federalismo fiscale di cui alla legge n. 42 del 2009.

Nello specifico la norma impugnata interviene sugli articoli 2, 4, 7 e 15 del suddetto decreto legislativo relativi rispettivamente alle nuove modalita' di determinazione dell'addizionale regionale Irpef, alla nuova configurazione della compartecipazione Iva basata sulla territorialita' della riscossione del gettito, sulla soppressione di talune categorie di trasferimenti statali e, infine, all'istituzione di un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese Lep.

Essa stabilisce, infatti:   1) rispetto all'art. 2 che la rideterminazione dell'addizionale regionale Irpef sulla base di nuovi criteri stabiliti dall'art. 2 medesimo decorra dal 2020, anziche' che dal 2019, e che la contestuale riduzione delle aliquote Irpef di competenza statale (tale da mantenere inalterato il prelievo fiscale per il contribuente) operi dal medesimo anno di imposta 2020;   2) rispetto all'art. 4 che le vigenti modalita' di determinazione della compartecipazione regionale al gettito IVA operino fino al 2019 (invece che fino al 2018) e che, conseguentemente, la compartecipazione sulla base del nuovo criterio di territorialita' decorra dal 2020;   3) rispetto all'art. 7 che la soppressione dei trasferimenti statali indicati dall'articolo - vale a dire quelli aventi carattere di generalita' e permanenza destinati all'esercizio delle competenze regionali - decorra dal 2020 invece che dal 2019, e che conseguentemente il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'individuazione dei trasferimenti medesimi debba intervenire entro il 31 luglio 2019, invece che entro il 31 luglio 2018;   4) rispetto all'art. 15, che le fonti di finanziamento da esso previsti per le spese regionali destinate ai livelli essenziali delle prestazioni (Lep) operino non piu' dal 2019 ma dal 2020, con eguale rinvio a tale anno dell'istituzione del Fondo perequativo previsto al comma 5 del medesimo articolo per garantire il finanziamento integrale dei Lep medesimi.

2. In questi termini, come detto, la norma impugnata dispone l'ennesimo rinvio consecutivo, replicando analoghe norme che sin dal decreto-legge n. 201 del 2011 hanno iniziato ad incidere sulla cadenza temporale originariamente prevista dal decreto legislativo n.

68 del 2011. Nello specifico, infatti, la previsione relativa alla fiscalizzazione dei trasferimenti «trasferimenti statali alle regioni, aventi carattere di generalita' e permanenza, relativi al trasporto pubblico locale», che sarebbe dovuta intervenire a partire dal 2012, venne rinviata al 2013 dall'art. 30, comma 3, lettera c) del suddetto decreto-legge: ad oggi, tuttavia, non e' ancora stata realizzata.

Sorte analoga e' toccata anche alle altre scadenze temporali previste dal decreto legislativo n. 68 del 2011, che identificavano nell'anno 2013 l'avvio a regime dell'impianto del suddetto decreto legislativo, che sono state rinviate attraverso la ripetizione di una norma sostanzialmente analoga: a partire dall'art. 9, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2015 (rinvio al 2017), infatti, facendo sempre riferimento alla medesima ragione («[n]elle more del riordino del sistema della fiscalita' locale»), la proroga dei termini stabiliti nell'anno 2013 dal decreto legislativo n. 68 del 2011, e' stata ulteriormente riproposta nel decreto-legge n. 113 del 2016, art. 13, (rinvio al 2018), quindi nel decreto-legge n. 50 del 2017, con l'art. 24, comma 2-bis (rinvio al 2019) e da ultimo nella disposizione impugnata (rinvio al 2020).

In questi termini, la norma impugnata costituisce l'ennesima proroga, ora al 2020, dei termini stabiliti dal decreto legislativo n. 68 del 2011 nell'anno 2013, in ordine rispettivamente:   1) alla rideterminazione dell'aliquota standard dell'addizionale regionale all'Irpef: si tratta della rideterminazione che sarebbe dovuta conseguire alla fiscalizzazione dei trasferimenti statali alle regioni, aventi carattere di generalita' e permanenza. A seguito del venir meno di tali trasferimenti, infatti, il bilancio statale sarebbe stato sgravato di una voce di spesa e conseguentemente si sarebbero potute ridurre le aliquote dell'Irpef nazionale e aumentare di pari livello quella base dell'addizionale regionale all'Irpef;   2) all'applicazione del principio di territorialita' alla compartecipazione regionale all'Iva, in sostituzione delle attuali modalita' di computo della compartecipazione che prescindono dalla quota di imposta riscossa sul territorio;   3) alla soppressione dei trasferimenti statali aventi carattere di generalita' e permanenza destinati all'esercizio delle competenze regionali;   4) all'attuazione di una distinzione tra la spesa - e le conseguenti modalita' di finanziamento - regionale relativa ai livelli essenziali e quella non relativa ai livelli essenziali - e, anche in questo caso, alle conseguenti forme di finanziamento.

In questi termini si e' in presenza di un rinvio statale che ormai si e' protratto per sette anni (dal 2013 al 2020), in assenza di una valida ragione che lo possa giustificare, al punto da indurre a ritenere che tale ulteriore proroga sia destinata a prostrarsi sine die, dimostrando una chiara volonta' statale di determinare una situazione di permanente inattuazione dell'art. 119 della Costituzione in relazione alla autonomia finanziaria delle regioni.

Questo nonostante i numerosi moniti che codesta ecc.ma Corte costituzionale ha rivolto, dopo il 2001, allo stesso legislatore statale richiamandolo invece alla attuazione della suddetta disposizione costituzionale, basti ricordare da ultimo la sentenza n.

188 del 2016: «puo' dunque dirsi che il legislatore statale, durante l'ampio percorso di attuazione della riforma fiscale previsto dalla legge n. 42 del 2009, abbia prima fissato regole costituzionalmente corrette afferenti ai meccanismi di funzionamento delle relazioni finanziarie tra lo Stato e le autonomie territoriali in materia tributaria ma, successivamente, abbia determinato un quadro opaco ed autoreferenziale per quel che concerne le dinamiche applicative del riparto del gettito».

Gia' fin dall'anno 2003, con la sentenza n. 370/2003 codesta ecc.ma Corte costituzionale aveva, infatti, affermato con chiarezza che: «la attuazione dell'art. 119 Cost. [e'] urgente al fine di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, poiche' altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni».

In numerose altre occasioni tale monito e' stato rinnovato: la sentenza n. 222 del 2005, prendendo atto della «perdurante situazione di mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di garanzia dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali» ha giustificato il Fondo statale a finanziamento del trasporto pubblico locale, pur riconoscendo che tale Fondo non era riconducibile al il quinto comma dell'art. 119 Cost. «non essendo predeterminato alcun intervento speciale, ne' individuato alcun particolare ente destinatario». Non ha pero' mancato di rilevare che: «[q]uesta Corte ha ripetutamente affermato che il legislatore statale non puo' porsi "in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono all'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per finalita' non riconducibili a funzioni di spettanza statale" (sentenza n. 423 del 2004): nell'ambito del nuovo Titolo V della Costituzione non e' quindi di norma consentito allo Stato prevedere propri finanziamenti in ambiti di competenza delle regioni (cfr. sentenze numeri 160 e 77 del 2005, 320 e 49 del 2004), ne' istituire fondi settoriali di finanziamento delle attivita' regionali (cfr. sentenze n. 16 del 2004 e n. 370 del 2003)».

Otto anni dopo quest'ultima sentenza, sempre in tema di finanziamento del trasporto pubblico locale, la sentenza n. 273 del 2013 e' tornata a prendere atto della situazione di perdurante inattuazione dell'art. 119, nonostante fossero gia' entrati in vigore la legge n. 42 del 2009, Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione, «dichiaratamente rivolta all'attuazione dell'art. 119 Cost.» e il decreto legislativo n. 68 del 2011 in relazione «alle rinnovate modalita' di trasferimento alla fiscalita' regionale del finanziamento del trasporto pubblico locale (art. 7, comma 1, lettera e, della legge n. 42 del 2009; articoli 2, commi 2 e 3, e 7, comma 1, del decreto legislativo n. 68 del 2011)».

Nello specifico, la sentenza prendeva atto che «non e' stato ancora emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri cui l'art. 13, comma 4, del decreto legislativo n. 68 del 2011 demanda la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale, nonche' dei livelli adeguati del servizio, anche nella materia da ultimo richiamata, previsti all'art. 8, comma 1, lettera c), della citata legge n. 42 del 2009. L'intero processo di individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia che le regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi, nonche' degli obiettivi di servizio, sulla base della determinazione dei costi e fabbisogni standard, e' poi rimesso, dal successivo comma 6 dello stesso art. 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011, alla Societa' per gli studi di settore - SOSE s.p.a., in collaborazione con l'ISTAT e avvalendosi della Struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle regioni e delle province autonome presso il Centro interregionale di studi e documentazione (CINSEDO) delle regioni, secondo la metodologia e il procedimento di determinazione di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Citta' metropolitane e Province)».

Correva quindi l'anno 2013 quando la sentenza concludeva evidenziando «il mancato completamento della transizione ai costi e fabbisogni standard, funzionale ad assicurare gli obiettivi di servizio e il sistema di perequazione, non consente, a tutt'oggi, l'integrale applicazione degli strumenti di finanziamento delle funzioni regionali previsti dall'art. 119 Cost.», e quindi dovendo constatare «la perdurante inattuazione di quanto previsto in materia dalla legge n. 42 del 2009, che non puo' non riflettersi sull'attuazione dell'art. 119 Cost., la quale, quantomeno sotto questo profilo, puo' dirsi ancora incompiuta».

3. Con la norma ora impugnata il legislatore statale pretende quindi, del tutto impunemente dal punto di vista del diritto costituzionale, a distanza di sette anni da quella pronuncia, di rinviare al 2020 l'attuazione di un sistema normativo gia' in vigore dal 2011 e che e' funzionale a dare attuazione all'art. 119 della Costituzione.

Come ha anche rilevato codesta ecc.ma Corte costituzionale, infatti, la legge delega n. 42 del 2009 si e' qualificata come attuativa dell'art. 119 della Costituzione e nello specifico dell'autonomia finanziaria regionale la delega e' stata tradotta nel decreto legislativo n. 68 del 2011.

Le disposizioni di cui alla norma impugnata, pertanto, rappresentano l'ennesima proroga e mirano a differire al 2020, quindi a oltre sette anni dalla scadenza originariamente prevista nel 2011, l'attuazione dell'art. 119 Cost., senza che sussista alcun ragionevole motivo; la formula ripetuta da anni nei provvedimenti di rinvio «nelle more del riordino del sistema della fiscalita' locale» e' ormai infatti un puro espediente retorico che non corrisponde ad alcuna ragione sostanziale: esse pertanto si pongono in violazione degli articoli 119 Cost., perche' l'autonomia finanziaria delle regioni e' compromessa dall'inattuazione dei principi ivi stabiliti, dell'art. 5 Cost., perche' e' compito della Repubblica adeguare la propria legislazione alle esigenze della autonomia e nello specifico avviene invece il contrario, dell'art. 3 perche' il rinvio ormai ripetuto dal 2011 non corrisponde ad alcuna effettiva riforma intervenuta nell'ambito della finanza regionale che possa effettivamente giustificarlo: la ridondanza sull'autonomia regionale di tale violazione e' peraltro evidente, dal momento che il procrastinato mantenimento di un sistema di finanza sostanzialmente derivata compromette la possibilita' di un esercizio efficace delle funzioni costituzionalmente assegnate alle regioni, come del resto ha in piu' occasioni, rilevato codesta ecc.ma Corte costituzionale.

Tale violazione si realizza in quanto le norme della cui attuazione si dispone l'ulteriore differimento costituiscono, come detto, la concretizzazione dei principi affermasti nell'art. 119 Cost.

Infatti, nello specifico i differimenti al 2020 riguardano:   a) la norma di cui al punto 1 sopracitato (§ 1), che determinando la rimodulazione delle aliquote dell'irpef statale e della relativa addizionale regionale costituisce la conseguenza sul piano delle entrate della fiscalizzazione, sul piano delle uscite, dei fondi settoriali di finanziamento delle attivita' regionali, di cui la stessa giurisprudenza costituzionale prima citata ha chiaramente affermato l'incompatibilita' con l'art. 119 Cost., (che li ammette solo nelle forme e nei modi del V comma del medesimo articolo); il rinvio si pone pertanto in violazione della suddetta disposizione;   b) la norma di cui al p.to 2 sopracitato (§ 1) che e' funzionale a rendere la compartecipazione al tributo erariale (ovvero all'Iva) conforme al principio di territorialita' affermato nell'art. 119, II comma; il rinvio si pone pertanto in violazione della suddetta disposizione;   c) la norma di cui al p.to 3 sopracitato (§ 1) che impone - e determina la conseguenza di cui al p.to 1 - la soppressione dei fondi settoriali di finanziamento delle attivita' regionali non piu' consentiti dall'art. 119 Cost.; il rinvio si pone pertanto in violazione della suddetta disposizione;   d) la norma di cui al p.to 4 sopracitato (§ 1) che mette a regime, in conformita' al combinato disposto degli articoli 119 e 117, II, comma, lettera m) il sistema di finanziamento e quello di perequazione regionali, allineandoli ai principi costituzionali, il rinvio si pone pertanto in violazione dei suddetti principi.

4. Riguardo a quest'ultimo punto 4, non e' inutile ricordare la recente sentenza n. 169 del 2017, che con estrema lucidita' ha messo in evidenza come dall'art. 8, comma 1, della legge n. 42 del 2009, poi tradotto appunto nelle disposizioni di cui all'art. 15 del decreto legislativo n. 68/2011, la cui attuazione viene appunto ora rinviata dalla norma impugnata al 2020, disponga che: «a) le spese per i LEA devono essere quantificate attraverso l'"associazione" tra i costi standard e gli stessi livelli stabiliti dal legislatore statale in modo da determinare, su scala nazionale e regionale, i fabbisogni standard costituzionalmente vincolati ai sensi dell'art.

117, secondo comma, lettera m), Cost.; b) tali l'abbisogni devono essere individuati dallo Stato attraverso la "piena collaborazione" con gli enti territoriali; c) l'erogazione delle prestazioni deve essere caratterizzata da efficienza ed appropriatezza su tutto il territorio nazionale».

Da qui la necessaria conclusione: «in definitiva, non puo' sottacersi, nella perdurante inattuazione della legge n. 42 del 2009 gia' lamentata da questa Corte (sentenza n. 273 del 2013), l'esistenza di una situazione di difficolta' che non consente tuttora l'integrale applicazione degli strumenti di finanziamento delle funzioni regionali previste dall'art. 119 Cost.».

E' una conclusione certamente «pesante», perche' arriva a denunciare, in relazione alla spesa sanitaria, l'assenza nell'ordinamento italiano di una «doverosa separazione del fabbisogno LEA dagli oneri degli altri servizi sanitari», che la sentenza si spinge fino a rilevare che «sotto tale profilo neppure la recente adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'art. 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502) e' di per se' in grado di supplire a detta carenza».

Di qui l'ulteriore considerazione, che suona come un deciso monito: «la persistenza di tale situazione puo' causare la violazione degli articoli 32 e 117, secondo comma, lettera m), Cost., nei casi in cui eventuali disposizioni di legge trasferiscano "a cascata", attraverso i diversi livelli di governo territoriale, gli effetti delle riduzioni finanziarie sulle prestazioni sanitarie costituzionalmente necessarie (in tal senso sentenza n. 275 del 2016)».

Peraltro, nelle conclusioni la sentenza n. 169 del 2017, codesta ecc.ma Corte costituzionale si e' rivolta sia al legislatore statale che a quello regionale, promuovendo una indovinata concezione del riparto delle competenze, fondata sull'incontro delle responsabilita', anziche' sullo scontro tra istituzioni. In quest'ottica, infatti, la sentenza rilancia la necessita' di una «fisiologica dialettica» tra Stato e regioni «improntata alla leale collaborazione che, nel caso di specie, si colora della doverosa cooperazione per assicurare il migliore servizio alla collettivita'».

Viene quindi indicata una via collaborativa per «separare il fabbisogno finanziario destinato a spese incomprimibili da quello afferente ad altri servizi sanitari suscettibili di un giudizio in termini di sostenibilita' finanziaria». Questo, precisa la sentenza, deve «essere simmetricamente attuato, oltre che nel bilancio dello Stato, anche nei bilanci regionali ed in quelli delle aziende erogatrici secondo la direttiva contenuta nel citato art. 8, comma 1, della legge n. 42 del 2009 ... Cio' al fine di garantire l'effettiva programmabilita' e la reale copertura finanziaria dei servizi, la quale - data la natura delle situazioni da tutelare - deve riguardare non solo la quantita' ma anche la qualita' e la tempistica delle prestazioni costituzionalmente necessarie».

E' quindi del tutto evidente che con il rinvio al 2020 disposto dalle norme impugnate il legislatore contraddice l'invito alla collaborazione auspicato dalla sentenza e si pone in violazione, come detto del combinato disposto degli articoli 117, II comma e 119 sui Lea, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.: le regioni, infatti, avevano richiesto, nel parere fornito sulla legge di bilancio 2018, che venisse soppresso questo ennesimo rinvio (doc. n. 6).

Tale ennesimo rinvio addirittura al 2020, manifesta infatti la chiara volonta' statale di non addivenire mai alla concreta attuazione dei principi dell'art. 119 Cost. e risulta contraddittorio, e quindi irragionevole ai sensi del gia' evocato art. 3 della Cost., anche rispetto alla previsione, inserita in sede di conversione su richiesta delle regioni, di cui all'art. 24 del decreto-legge n. 50 del 2017, dove si stabilisce l'avvio del processo di determinazione dei fabbisogni standard e delle capacita' fiscali standard delle regioni a statuto ordinario, finalmente in attuazione dell'art. 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011 (dopo che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ivi previsto non e' mai stato emanato).

I tempi per la determinazione dei fabbisogni standard e quindi dell'avvio dell'attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011 non richiedono certo un rinvio temporale di tale entita': se pertanto questa ecc.ma Corte costituzionale riterra' di non intervenire sul problema, con tutta probabilita', il destino dell'attuazione dell'art. 119 Cost. sara' quello di rimanere incastrato nel riproporsi del continuo differimento dei termini di attuazione, come del resto sta avvenendo ormai da troppi anni, con quindi una sostanziale e permanente inattuazione dei principi costituzionali posti a presidio dell'autonomia finanziaria regionale - e quindi dell'efficace esercizio delle funzioni regionali.

7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1072, per violazione degli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' 5 e 120 sul principio di leale collaborazione.

1. L'art. 1 comma 1072, rifinanzia il Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, (d'ora innanzi «il Fondo») istituito dall'art. 1, comma 140, della legge di bilancio 2017 (gia' impugnato dalla Regione Veneto con il ricorso reg. r. n. 19 del 2017).

Il rifinanziamento viene disposto per 800 milioni di euro per l'anno 2018, per 1.615 milioni di euro per l'anno 2019, per 2.180 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023, per 2.480 milioni di euro per l'anno 2024 e per 2.500 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2033.

La medesima disposizione elenca gli specifici settori di spesa tra cui ripartire le risorse oggetto di rifinanziamento:   a) trasporti e viabilita';   b) mobilita' sostenibile e sicurezza stradale;   c) infrastrutture, anche relative alla rete idrica e alle opere di collettamento, fognatura e depurazione;   d) ricerca;   e) difesa del suolo, dissesto idrogeologico, risanamento ambientale e bonifiche;   f) edilizia pubblica, compresa quella scolastica e sanitaria;   g) attivita' industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni;   h) digitalizzazione delle amministrazioni statali;   i) prevenzione del rischio sismico;   l) investimenti in riqualificazione urbana e sicurezza delle periferie;   m) potenziamento infrastrutture e mezzi per l'ordine pubblico, la sicurezza e il soccorso;   n) eliminazione delle barriere architettoniche.

Inoltre, la stessa disposizione mantiene ferma, in relazione alla procedura di ripartizione delle risorse, quanto previsto dal secondo, terzo e quarto periodo del ricordato art. 1, comma 140, ovvero, per quanto qui interessa, che per i programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato si procede al riparto delle risorse tramite uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sottoposti al parere parlamentare, ma senza alcun coinvolgimento delle regioni. Si precisa poi che i suddetti decreti sono da adottare, ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della medesima legge di bilancio 2017.

Rispetto all'elenco originario, contenuto nell'art. 1, comma 140, della legge di bilancio 2017 dei settori di spesa, in quello ora rifinanziato non risulta piu' nominata la «riqualificazione e accessibilita' delle stazioni ferroviarie», l'«informatizzazione dell'amministrazione giudiziaria» viene ampliata in «digitalizzazione delle amministrazioni statali» e al settore «investimenti per la riqualificazione urbana e per la sicurezza delle periferie delle citta' metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia» si toglie la specificazione relativa alle citta' metropolitane e i comuni capoluogo, per ricomprendere tutte le periferie. Infine, risulta introdotto il nuovo settore di spesa «potenziamento infrastrutture e mezzi per l'ordine pubblico, la sicurezza e il soccorso».

2. In questi termini il Fondo e' destinato a finanziare programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato, ma che intervengono anche in settori che investono direttamente le competenze concorrenti delle regioni, senza pero' che sia previsto alcun coinvolgimento delle regioni nell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri relativi all'utilizzo del suddetto fondo, all'individuazione degli interventi da finanziare, alla definizione dei relativi importi e alle modalita' di utilizzo dei contributi.

In particolare, gli interventi finanziabili incidono e/o interferiscono - salvo quelli inerenti alla «digitalizzazione delle amministrazioni statali» (lettera h) e al «potenziamento infrastrutture e mezzi per l'ordine pubblico, la sicurezza e il soccorso» (lettera m) - su materie sicuramente di competenza concorrente come la «ricerca scientifica e tecnologica», «grandi reti di trasporto e di navigazione», «governo del territorio», «protezione civile», «edilizia scolastica», se non addirittura di competenza residuale regionale come il trasporto pubblico locale.

Questo vale per l'ambito materiale di cui alle lettere a) (trasporti, viabilita') e b) (mobilita' sostenibile e sicurezza stradale) che ineriscono quanto meno alle competenze regionali relative al trasporto pubblico locale e alla mobilita' sostenibile riconosciute come tali dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale: si vedano rispettivamente la sentenza n. 211 del 2016, dove si ribadisce che il trasposto pubblico locale «attiene a materia sicuramente rientrante, come piu' volte ribadito da questa Corte, nell'ambito delle competenze regionali residuali» e la sentenza n. 142 del 2008, dove si afferma che siccome il Fondo per la mobilita' sostenibile di cui art. 1, comma 1121, della legge n. 296 del 2006 «produce effetti anche sull'esercizio delle attribuzioni regionali in materia di trasporto pubblico locale affinche' esso si svolga nei limiti della sostenibilita' ambientale, si giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione». La medesima considerazione vale per l'ambito materiale di cui alla lettera f) (in relazione alla edilizia scolastica e a quella sanitaria), che per esplicito riconoscimento di codesta ecc.ma Corte, «si trova all'incrocio di piu' ambiti competenziali, quali il "governo del territorio", "l'energia" e la "protezione civile", tutti rientranti nella potesta' legislativa concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost.» (sent. n. 62 del 2013, ma si veda anche la piu' recente sentenza n. 284 del 2016).

Lo stesso vale per l'ambito materiale di cui alla lettera e) (quanto alla difesa del suolo e dissesto idrogeologico) e di cui alla lettera i) (prevenzione del rischio sismico), nonche' di cui alla lettera l) (investimenti in riqualificazione urbana e sicurezza delle periferie) rispetto ai quali occorre ricordare la sentenza n. 189 del 2015, dove si precisa che si tratta di ambiti «di competenza statale e regionale (fra cui la tutela dell'ambiente, il governo del territorio, la protezione civile, l'ordinamento della comunicazione, la tutela della salute), ma essenzialmente riconducibili a lavori di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza del territorio», nonche' gia' la sentenza n. 101 del 2013.

Inoltre, anche altri ambiti materiali, quali quello della lettera c) (infrastrutture relative alla rete idrica e alle opere di collettamento, fognatura e depurazione), nonche' quello della lettera d) (ricerca) coinvolgono competenze regionali concorrenti, quali la «ricerca scientifica e tecnologica», le «grandi reti di trasporto e di navigazione», il «governo del territorio», la «protezione civile».

In tutti i menzionati ambiti in cui e' destinato a intervenire l'istituito Fondo e' quindi ravvisabile perlomeno un intreccio e una concorrenza di competenze statali e regionali, senza che sia possibile, alla luce della appena citata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, identificare una prevalenza di competenze statali.

E' evidente quindi che l'intervento normativo statale struttura, abilitando le amministrazioni centrali a presentare i relativi progetti, un'avocazione in sussidiarieta' di attribuzioni spettanti alle regioni, in quanto connesse a materie rimesse alla competenza concorrente e addirittura residuale delle regioni.

Tuttavia, tale intervento normativo disattende completamente i presupposti che soli, secondo la consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, rendono legittima la suddetta chiamata in sussidiarieta' (cfr. sent. n. 92 del 2011).

La fattispecie in oggetto, ricalca, infatti, sotto alcuni punti di vista, quella decisa con la sentenza n. 303 del 2003, dove codesta ecc.ma Corte ha precisato: «[p]redisporre un programma di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi e' attivita' che non mette capo ad attribuzioni legislative esclusive dello Stato, ma che puo' coinvolgere anche potesta' legislative concorrenti (governo del territorio, porti e aeroporti, grandi reti di trasporto, distribuzione nazionale dell'energia, etc.). Per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della disciplina. Nella specie l'intesa e' prevista e ad essa e' da ritenersi che il legislatore abbia voluto subordinare l'efficacia stessa della regolamentazione delle infrastrutture e degli insediamenti contenuta nel programma di cui all'impugnato comma 1 dell'art. 1. Nel congegno sottostante all'art. 118, l'attrazione allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge non e' giustificabile solo invocando l'interesse a un esercizio centralizzato di esse, ma e' necessario un procedimento attraverso il quale l'istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e quindi commisurata all'esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale. Ben puo' darsi, infatti, che nell'articolarsi del procedimento, al riscontro concreto delle caratteristiche oggettive dell'opera e dell'organizzazione di persone e mezzi che essa richiede per essere realizzata, la pretesa statale di attrarre in sussidiarieta' le funzioni amministrative ad essa relative risulti vanificata, perche' l'interesse sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere interamente soddisfatto dalla regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato al canone di leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo alleghi, ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacita' di svolgere in tutto o in parte la funzione.

L'esigenza costituzionale che la sussidiarieta' non operi come aprioristica modificazione delle competenze regionali in astratto, ma come metodo per l'allocazione di funzioni a livello piu' adeguato, risulta dunque appagata dalla disposizione impugnata nella sua attuale formulazione».

Si tratta di una conclusione che non e' stata mai smentita dalla successiva giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, che e' infatti costante nell'affermare che la necessita' di prevedere idonee procedure di concertazione, ovvero «momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale» (Corte cost. sentenza n.

213/2006; n. 240/2007), sorge in tutti i casi in cui vi sia una concorrenza di funzioni legislative tra Stato e regioni che impone di compensare la sottrazione «a monte» di ambiti di competenza regionale da parte dello Stato con la previsione «a valle» di adeguate forme di raccordo con le regioni nell'attuazione delle scelte operate dal legislatore statale (6) .

In questi casi il rispetto del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione si pone come vera e propria condizione di validita' della legge statale invasiva della competenza legislativa regionale.

Con la conseguenza che devono ritenersi senz'altro incostituzionali le disposizioni legislative, come quella qui impugnata, che omettano di predisporre «adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a difesa delle loro competenze», capaci di «contemperare le ragioni dell'esercizio unitario delle stesse con la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie» (ex plurimis Corte costituzionale sentenze n. 303 del 2003; n. 6 del 2004; n. 65 del 2016, n. 88 del 2014 e n. 139 del 2012; n. 251 del 2016).

Pertanto, dal momento che in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono individuati gli interventi da finanziare, i relativi importi e, se necessario, le modalita' di utilizzo dei contributi, non e' previsto alcun coinvolgimento delle regioni si determina la violazione degli articoli 117, III e IV comma e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

3. Inoltre, si determina altresi', in assenza della previsione di una Intesa riguardo ai suddetti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, la violazione dell'art. 119 Cost., dal momento che le disposizioni impugnate strutturano, nella misura in cui attengono ad ambiti materiali rimessi alla competenza delle regioni, forme di finanziamento non riconducibili ad alcuna della modalita' costituzionalmente consentite dal suddetto art. 119 Cost.

Al riguardo, e' opportuno richiamare la sentenza n. 49 del 2004, con cui codesta ecc. ma Corte e' intervenuta a censurare fondi statali istituiti in ambiti e per «finalita' estranee a materie o compiti di competenza esclusiva dello Stato, ma [che] sono invece riconducibili a materie e ambiti di competenza concorrente (a partire dal "governo del territorio") o residuale delle regioni».

In tale pronuncia si rimarcava, come peraltro avviene nel caso di specie, che «[l]e norme impugnate non prevedono alcun ruolo per queste ultime [le regioni] ... limitandosi a prevedere, in sede di prima applicazione, deliberazioni "delle competenti Commissioni parlamentari"».

Piu' recentemente puo' essere al riguardo ricordata la (gia' menzionata) sentenza n. 211 del 2016, con la quale codesta ecc.ma Corte ha stabilito che i criteri di riparto del Fondo per l'adeguamento del parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale possono legittimamente essere determinati da un decreto ministeriale, solo previa intesa con le regioni.

Questo in quanto i) si tratta di un intervento di finanziamento che «attiene a materia sicuramente rientrante, come piu' volte ribadito da questa Corte, nell'ambito delle competenze regionali residuali, qual e' quella del trasporto pubblico locale», ii) si tratta di «risorse aggiuntive rispetto alla ordinaria capacita' finanziaria regionale locale finalizzate a un intervento specifico e vincolato ma a carattere generale non essendo destinato solo a determinati ambiti territoriali», iii) per cui «l'impianto costituzionale relativo alla competenza residuale delle regioni in materia di trasporto pubblico locale e di interventi statali di finanziamento in tale settore deve conciliarsi con l'esigenza di assicurare la massima continuita', adeguatezza e grado di omogeneita' del servizio di trasporto pubblico locale sull'intero territorio nazionale. La predetta esigenza e' soddisfatta attraverso il concorso di tutti gli apporti finanziari possibili, ivi compresi quelli statali in funzione di sostegno ed integrazione delle limitate risorse regionali disponibili, siano gli interventi a carattere generale, siano invece mirati a finalita' specifiche».

Richiamando, quindi, in relazione al principio di leale collaborazione, sia la sentenza n. 273 del 2013, sia le sentenze n.

168 del 2008 e n. 222 del 2005, ha concluso che «proprio perche' tale finanziamento interessa materia comunque di competenza residuale regionale quale e' il trasporto pubblico locale, occorre assicurare il piu' ampio coinvolgimento decisionale del sistema regionale in ordine al riparto delle risorse finanziarie in oggetto; coinvolgimento che si realizza attraverso lo strumento della "previa intesa" con la Conferenza permanente Stato-regioni (in tal senso, ex multis, sentenza n. 168 del 2008 ma anche, da ultimo, sentenza n. 147 del 2016)».

Anche nel caso di specie, si tratta di risorse «aggiuntive» rispetto alla «alla ordinaria capacita' finanziaria regionale», peraltro che vengono investite su progetti delle amministrazioni statali ma inerenti a ambiti di competenza regionale.

4. E' quanto mai opportuno, quindi, che questa consolidata giurisprudenza trovi conferma anche in relazione al meccanismo di funzionamento del Fondo previsto dalla disposizione impugnata: la mancanza di coinvolgimento dell'insieme delle regioni, tramite Intesa, nelle materie di loro competenza ingenera, altrimenti, la prassi di assegnazioni di risorse, non solo i) sganciate dalla puntale rilevazione delle esigenze dei territori in cui le infrastrutture vengono realizzate - che le regioni a tal fine possono fare palesi e anche raccordare con la programmazione della propria spesa di investimento - ma anche ii) in difetto della necessaria trasparenza che deve accompagnare le scelte statali di investimento in tali ambiti: una determinata realta' territoriale puo' infatti risultare favorita e un'altra penalizzata in forza di una discrezionalita' politica destinata a rimanere oscura per l'insieme delle regioni.

In definitiva, le norme censurate attengono al finanziamento di progetti infrastrutturali presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato non solo in materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato, ma attinenti anche e soprattutto a materie di competenza delle regioni, senza che, in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che eppure intervengono in tali ambiti sia prevista alcuna forma di coinvolgimento delle regioni. Si determina cosi' la violazione delle menzionate disposizioni costituzionali.

5. Non valgono certamente a escludere l'esposta lesivita' della disposizione impugnata i successivi 1073 e 1074, che prevedono che una quota annua pari a 70 milioni di euro del finanziamento del fondo possa essere destinata anche al finanziamento degli «interventi di mitigazione del rischio idrogeologico nelle regioni del centro-nord», dal momento che prevedono una assegnazione di una minima quota del Fondo alle regioni che peraltro e' solo eventuale: le censure esposte, infatti, riguardano la strutturale mancanza di intesa in relazione ai tutti i precisi ambiti materiali, prima precipuamente individuati, rimessi alla competenza concorrente delle regioni, sui quali interviene il Fondo.

8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1079 e 1080, per violazione degli articoli 117, III comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

Il comma 1079 disciplina l'istituzione e le modalita' di funzionamento del Fondo per la progettazione degli enti locali, destinato al cofinanziamento della redazione dei progetti di fattibilita' tecnica ed economica e dei progetti definitivi degli enti locali per opere destinate alla messa in sicurezza di edifici e strutture pubbliche, con una dotazione di 30.000.000 di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2030.

Il successivo comma 1080 disciplina i criteri e le modalita' di accesso, selezione e cofinanziamento dei progetti, nonche' le modalita' di recupero delle risorse in caso di mancato rispetto dei termini indicati ai commi 1082 e 1083, stabilendo che i suddetti criteri siano definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, senza prevedere alcun coinvolgimento delle regioni.

Il medesimo comma specifica inoltre che i progetti ammessi a cofinanziamento devono essere previsti nella programmazione delle amministrazioni proponenti e che possono essere finanziati anche i costi connessi alla redazione dei bandi di gara, alla definizione degli schemi di contratto e alla valutazione della sostenibilita' finanziaria dei progetti.

I successivi commi, dal numero 1081 al 1084 disciplinano ulteriori aspetti della procedura.

In questi termini, i commi 1079 e 1080, nella misura in cui non prevedono, nell'emanazione del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, alcun coinvolgimento delle regioni, si pongono in violazione degli articoli 117, III comma, 118, 119 nonche' degli articoli 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione perche' estromettono le regioni dai procedimenti di determinazione dei criteri ai fini dell'erogazione dei contributi necessari alla realizzazione dei medesimi interventi, nonostante l'ambito materiale dell'intervento di finanziamento attenga senz'altro a una materia, la messa in sicurezza degli edifici, che, come esplicitamente riconosciuto da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 189 del 2015, attiene a vari ambiti «di competenza statale e regionale (fra cui la tutela dell'ambiente, il governo del territorio, la protezione civile, l'ordinamento della comunicazione, la tutela della salute), ma essenzialmente riconducibili a lavori di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza del territorio».

Peraltro, anche la sentenza n. 101 del 2013 aveva gia' inquadrato in termini analoghi la materia.

In assenza quindi del coinvolgimento delle regioni, l'intervento statale si concretizza in un intervento speciale di finanziamento statale agli enti locali privo della rispondenza ai canoni richiesti da codesta ecc.ma Corte per superare il vaglio di costituzionalita' e si presenta come «uno strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (sentenza n. 16 del 2004; nonche', conformemente, sentenze n. 423, n. 320 e n. 49 del 2004)» (cosi' sentenza n. 189 del 2015).

Codesta ecc.ma Corte, infatti, ha chiarito che gli interventi speciali di cui al V comma dell'art. 119 Cost. devono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento normale delle funzioni amministrative spettanti all'ente territoriale (art. 119, quarto comma, Cost.), devono riferirsi alle finalita' di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a «scopi diversi» dal normale esercizio delle funzioni, infine devono essere indirizzati non gia' alla generalita' degli enti territoriali, bensi' a determinati enti territoriali o categorie di enti territoriali (sentenze n. 79 del 2014, n. 273, n. 254 e n. 46 del 2013, n. 176 e n. 71 del 2012).

A differenza della fattispecie decisa con la ricordata sentenza n. 189 del 2015, dove il finanziamento statale degli interventi straordinari di messa in sicurezza del territorio era relativo, dal punto di vista temporale, solo all'anno 2014 e, dal punto di vista materiale, diretto esclusivamente ai «Comuni con meno di 5.000 abitanti» e quindi «volto a destinare risorse aggiuntive in favore di determinate categorie di Comuni» (enfasi ns.), nel caso delle norme impugnate il finanziamento non assume carattere straordinario, ma i) ha una valenza temporale di ben tredici anni e ii) e' diretto alla generalita' dei Comuni: le norme impugnate, pertanto, non possono in alcun modo essere fatte rientrare in uno degli interventi speciali previsti dall'art. 119, quinto comma, Cost.

Le disposizioni impugnate, quindi, se, da un lato, istituiscono un fondo statale a destinazione vincolata in un ambito materiale dove si realizza una concorrenza di competenze, tra le quali, come detto, molte (come la protezione civile, il governo del territorio, la tutela della salute) riconducibili alla competenza regionale concorrente, dall'altro non prevedono alcuna forma di concertazione con le regioni ai fini dell'adozione del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti diretto a determinare i criteri di accesso al fondo stesso.

In questi termini, nella misura in cui non e' prevista, al riguardo, l'intesa con le regioni, risulta quindi violato l'art. 119 della Costituzione e il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, dal momento che la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale e' costante nel ritenere che solo la previsione di un'intesa nell'ambito della Conferenza unificata varrebbe a rendere costituzionalmente legittimo, in virtu' del processo di concertazione e condivisione, un fondo a destinazione vincolata (in tal senso, sentenze numeri 16 del 2010, 79 del 2011, 201 del 2007, 219 del 2005 e 50 del 2005).

Peraltro, nella sentenza n. 142 del 2008, avente ad oggetto la legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1121, 1122 e 1123, della legge n. 296 del 2006 che istituiva un Fondo per la mobilita' sostenibile, relativo quindi a un ambito materiale con spiccate analogie con quello delle norme qui impugnate, si e' affermato: «...poiche' il Fondo in esame produce effetti anche sull'esercizio delle attribuzioni regionali in materia di trasporto pubblico locale affinche' esso si svolga nei limiti della sostenibilita' ambientale, si giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione (sentenze n. 63 del 2008; n. 201 del 2007; n. 285 del 2005), che deve, in ogni caso, permeare di se' i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (sentenza n. 50 del 2008). Nel caso in esame, invece, i commi 1122 e 1123 dell'art. 1 non tengono conto di detto parametro, attribuendo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, senza alcun coinvolgimento regionale, il potere di stabilire, di concerto con il Ministro dei trasporti, la destinazione delle risorse del Fondo, e di prevedere la quota, non inferiore al cinque per cento, da destinare agli interventi per la valorizzazione e lo sviluppo della mobilita' ciclistica. Le necessarie forme di leale collaborazione, avendo riguardo agli interessi implicati e alla peculiare rilevanza di quelli connessi all'ambito materiale rimesso alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, possono, d'altro canto, dirsi adeguatamente attuate mediante la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata, competente in materia secondo la legislazione vigente, in sede di adozione del decreto ministeriale di destinazione delle risorse del Fondo. Da cio' consegue che i predetti commi devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte in cui non prevedono che il decreto ministeriale sia emanato previa acquisizione del parere della Conferenza unificata» (sent. n. 142 del 2008, p.to 5 del Considerato in diritto).

Quindi, in definitiva codesta ecc.ma Corte «ha dichiarato costituzionalmente illegittime norme che disciplinavano i criteri e le modalita' ai fini del riparto o della riduzione di fondi e trasferimenti destinati ad enti territoriali, nella misura in cui, rinviando a fonti secondarie di attuazione, non prevedevano "a monte" lo strumento dell'intesa con la Conferenza unificata non solo in caso di intreccio di materie, riconducibili alla potesta' legislativa statale e regionale (ex plurimis, sentenza n. 168 del 2008), ma anche in caso di potesta' legislativa regionale residuale (ex plurimis, sentenze n. 27 del 2010; nonche', in specifico riferimento al trasporto pubblico locale, n. 222 del 2005), affermando costantemente la necessita' dell'intesa (tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013)» (sent. n. 273 del 2013).

L'assenza di una qualsivoglia forma di leale collaborazione rende quindi evidente la violazione degli art. 117, III comma, 118 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

(1) Il Rapporto e' pubblicato in  http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/contr  ollo/sez_autonomie/2017/delibera_17_2017.pdf

(2) La tabella e' tratta dal Documento di economia e finanza  regionale segreteria generale della programmazione unita'  organizzativa sistema dei controlli e attivita' ispettive dcr n.

170 del 7 dicembre 2017, pag. 43. Il documento e' visibile in  https://www.regione.veneto.it/web/programmazione/defr

(3) La tabella e' tratta dal citato Documento di economia e finanza  regionale segreteria generale della programmazione unita'  organizzativa sistema dei controlli e attivita' ispettive dcr n.

170 del 7 dicembre 2017.

(4) Relazione tecnica al ddl bilancio dello Stato 2018 A.S. 2960:  «Art. 58. - Il comma 1 ridetermina gli oneri complessivi posti a  carico del bilancio dello Stato per la contrattazione collettiva  relativa al triennio 2016-2018 e per i miglioramenti economici  del personale dipendente dalle amministrazioni statali in regime  di diritto pubblico in complessivi 300 milioni di euro per l'anno  2016, 900 milioni di euro per l'anno 2017 e 2.850 milioni di euro  a decorrere dal 2018 con un incremento, rispetto a quanto  previsto dalla legislazione vigente, di 1.650 mln di euro  dall'anno 2018 (Tabella n. 1). Il comma 2 precisa che gli importi  complessivi come sopra indicati sono comprensivi degli oneri  contributivi ai fini previdenziali e dell'imposta regionale sulle  attivita' produttive (IRAP) e concorrono a costituire l'importo  complessivo massimo di cui all'art. 11, comma 3, lettera g),  della legge n. 196/2009 [...] Gli importi complessivi sopra  indicati corrispondono a incrementi retributivi per il 2016, il  2017 e a decorrere dal 2018, rispettivamente, dello 0,36%,  dell'1,09% e del 3,48% del complessivo monte salari utile ai fini  contrattuali - determinato sulla base dei dati del conto annuale  2015 e costituito dalle voci retributive a titolo di trattamento  economico principale e accessorio - al netto della spesa per  l'indennita' di vacanza contrattuale (IVC) nelle misure vigenti a  decorrere dal 2010, maggiorato degli oneri contributivi ai fini  previdenziali e dell'imposta regionale sulle attivita' produttive  (IRAP). Lo scorporo dell'IVC si rende necessario in quanto tale  indennita', ai sensi della legislazione vigente, e' da  considerarsi quale beneficio contrattuale riferito al periodo  2016-2018 e, pertanto, non puo' essere presa a riferimento per la  determinazione degli ulteriori miglioramenti economici  concernenti tale triennio. La predetta percentuale del 3,48% e'  stata determinata considerando l'obiettivo di cui all'accordo  stipulato con le OO.SS dal Ministro per la semplificazione e la  pubblica amministrazione il 30 novembre 2016 di riconoscere a  decorrere dal 2018 benefici medi mensili di 85 euro lordi e  prendendo a riferimento la retribuzione media del personale  appartenente ai comparti oggetto di tale Accordo (personale  contrattualizzato in regime privatistico n. 2.709.745 unita'.)  risultante dal medesimo conto annuale 2015, pari a 31.749 euro  annui lordo dipendente netto IVC. In relazione a quanto sopra, le  risorse complessivamente destinate al rinnovo contrattuale del  personale in regime privatistico appartenente al solo settore  Stato (unita' n. 1.326.928) in applicazione dell'art. 48, comma  1, del decreto legislativo n. 165/2001, sono pari a 189,7 milioni  di euro per l'anno 2016, a 574,4 milioni di euro per l'anno 2017  ed a 1.833,9 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018. Il comma  3, stabilisce che, per il personale dipendente da  amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi  dall'amministrazione statale, gli oneri per i rinnovi  contrattuali per il triennio 2016-2018, nonche' quelli derivanti  dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale di  cui all'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n. 165, sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi  dell'art. 48, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 165  del 2001. Gli oneri complessivi per il personale  contrattualizzato in regime privatistico del settore non Stato  sono determinati a carico dei predetti bilanci, secondo i criteri  sopra indicati per il settore Stato. Il comma 4 prevede che le  disposizioni recate dal comma 3 si applicano anche al personale  convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.» (Enfasi ns.).

(5) http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&  leg=17&id=1063787#_Toc421032021

(6) Sui limiti di tale compensazione, v., per tutti, A. D'Atena, Le  aperture dinamiche del riparto delle competenze, tra punti fermi  e nodi non sciolti, in Le Regioni, fasc. 4-5, 2008, 811 ss.; S.

Mangiameli, Letture sul regionalismo italiano, Torino, 2011, 61  ss., il quale mette in dubbio l'ammissibilita' di un simile  «scambio tra competenza e partecipazione».

 

P.Q.M.

 

Chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 205 del 27 dicembre 2017, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017 - suppl. ordinario n. 62:   illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 37, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III comma e 119 della Costituzione;   illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 70, per violazione degli articoli 38, III e IV comma, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119, Cost.;   illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 71, per violazione degli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione;   illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 499, per violazione degli articoli 117, III e IV comma, 118, 119 della Costituzione e 5 e 120 sul principio di leale collaborazione;   illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 679, 682 e 683, per violazione degli articoli 3, 32, 81, 97, 117, III e IV comma, 118, 119 Cost., nonche' 5 e 120 Cost. per violazione del principio di leale collaborazione;   illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 778, per violazione degli articoli 3, 5, 117, II comma, 119 della Costituzione, nonche' 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione;   illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1072, per violazione degli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' 5 e 120 sul principio di leale collaborazione;   illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1079 e 1080, per violazione degli articoli 117, III comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

Si depositano:   1) Doc. 1, delibera della giunta regionale n. 190 del 20 febbraio 2018, di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale;   2) Doc. 2, Conferenza delle regioni e delle province autonome, posizione sul disegno di legge bilancio di previsione dello stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, 9 novembre 2017, pag. 7;   3) Doc. 3, Conferenza delle regioni e delle province autonome, posizione sul disegno di legge bilancio di previsione dello stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, 14 dicembre 2017, pag. 2;   4) Doc. 4, Atto di indirizzo del 27 luglio 2017 del Comitato di settore Comparto regioni - sanita';   5) Doc. 5, Lettera inviata dal Presidente del Comitato di settore Comparto regioni - sanita' al Ministro dell'economia e delle finanze, del 23 novembre 2017;   6) Doc. 6, Conferenza delle regioni e delle province autonome, posizione sul disegno di legge bilancio di previsione dello stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, 9 novembre 2017, pagine 5 e 6.

Treviso-Venezia-Roma, 22 febbraio 2018

Avv. Zanon - avv. prof. Antonini - avv. Manzi