RICORSO N. 34 DEL 27 APRILE 2018 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 27 aprile 2018.

(GU n. 23 del 6.6.2018)

 

Ricorso, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, del Presidente del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. 80224030587), presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12 (fax 0696514000 - pec ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), contro la Regione Siciliana (c.f. 80012000826), in persona del Presidente della Regione in carica pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge della Regione Siciliana 8 febbraio 2018, n. 1, recante: «Modifiche all'art. 8 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, in materia di variazione di denominazioni dei comuni termali» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana (p. I) n. 8 del 16 febbraio 2018.

1. - La legge regionale 8 febbraio 2018, n. 1, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana (p. I) n. 8 del 16 febbraio 2018, recante «Modifiche all'art. 8 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, in materia di variazione di denominazioni dei comuni termali», ha apportato modifiche all'art. 8 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, recante «Variazioni territoriali e di denominazione dei comuni».

Prima di tali modifiche, il comma 2 della norma suddetta era formulato come segue: «Le variazioni di denominazione dei comuni consistenti nel mutamento, parziale o totale, della precedente denominazione, sono anch'esse soggette [analogamente alle variazioni territoriali dei comuni, disciplinate dall'art. 1 della stessa legge regionale - NdE] a referendum sentita la popolazione dell'intero comune».

L'art. 1, comma 1, lettera a), della l.r. n. 1/2018 ha aggiunto al comma sopra riportato le seguenti parole: «fatta eccezione per i casi disciplinati dal comma 2-bis».

Lo stesso art. 1, comma 1, lettera b) ha introdotto nell'art. 8 della l.r. 30/2000 un comma 2-bis, contenente le seguenti disposizioni: «Ai comuni sui cui territori insistono insediamenti e/o bacini termali e' consentita l'aggiunta della parola "terme" alla propria denominazione, previa deliberazione del consiglio comunale adottata a maggioranza dei due terzi dei consiglieri. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione della delibera nell'albo pretorio, i cittadini del comune interessato possono esprimere il proprio dissenso alla modifica di denominazione mediante la presentazione, alla sede dell'ente, di una petizione sottoscritta dagli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. La mancata sottoscrizione della petizione equivale all'adesione alla modifica di denominazione.

La delibera del consiglio comunale acquista efficacia alla scadenza del termine di cui al presente comma, a condizione che non sia stata presentata una petizione sottoscritta da almeno un quinto degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune».

2. - Per effetto delle modifiche approvate, pertanto, le variazioni delle denominazioni dei comuni termali della Regione, consistenti nell'aggiunta della parola «terme» alla denominazione originaria, oltre ad essere approvate dal consiglio comunale con la maggioranza qualificata indicata dalla norma, non sono piu' soggette a referendum preventivo, da indirsi obbligatoriamente e interessante la popolazione dell'intero comune; la possibilita' che gli abitanti del comune inciso dalla modifica della denominazione si esprimano sulla stessa diviene, invece, eventuale, siccome rimessa alla presentazione di una petizione sottoscritta dagli elettori iscritti nelle liste elettorali dello stesso comune, entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della relativa deliberazione nell'albo pretorio, con la quale, peraltro, i sottoscrittori possono manifestare soltanto il proprio dissenso alla modifica; mentre l'adesione alla stessa viene considerata espressa per il solo fatto della mancata sottoscrizione della petizione, dunque in base alla semplice inerzia degli elettori. Inoltre l'efficacia della delibera approvata dal consiglio comunale e' condizionata alla mancata presentazione della petizione contenente la manifestazione di dissenso, ovvero dalla circostanza che la stessa sia stata sottoscritta da meno di un quinto degli aventi diritto.

3. - Le disposizioni di semplificazione della procedura di variazione della denominazione dei comuni della Regione (peraltro riguardante soltanto l'ipotesi di introduzione della parola «terme» nel nome dell'ente), nelle quali si sostanzia la legge regionale in esame presentano profili di illegittimita' costituzionale, eccedendo dai limiti della competenza legislativa regionale e, comunque, violando l'art. 133, secondo comma, della Costituzione, e vengono, pertanto, impugnate dinanzi a codesta Ecc.ma Corte, ai sensi dell'art. 127 Cost. e dell'art. 33, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, giusta deliberazione assunta in data 17 aprile 2018 dal Consiglio dei ministri, per i seguenti

 

Motivi

 

Violazione dell'art. 133, secondo comma, della costituzione, anche con riguardo all'art. 14 dello statuto della Regione Siciliana.

4. - L'art. 133, secondo comma, Cost., nell'attribuire alla Regione il potere di istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni, prescrive in modo chiaro e inequivocabile che debbano essere sentite le popolazioni interessate.

Nell'interpretare la disposizione costituzionale, la costante giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte ha precisato che la suddetta previsione comporta l'obbligo di fare ricorso alla «indispensabile forma che il referendum consultivo riveste per appagare l'esigenza partecipativa delle popolazioni interessate» (sentt. 279/1994, 107/1983, 204/1981).

Essa, inoltre, nel chiarire che lo stesso art. 133 Cost. ha come destinatarie le regioni a statuto ordinario, ha, anche di recente, precisato, altresi' che la norma «tuttavia vincola nella parte in cui riconosce il principio di autodeterminazione delle popolazioni locali, anche le Regioni a statuto speciale» (sent. 21/2018). Gia' in precedenza, del resto, proprio con riferimento all'applicazione della disposizione costituzionale alla Regione Siciliana, la Corte aveva affermato che la parte di essa «che e' invece diretta a garantire la partecipazione popolare delle comunita' locali nei confronti delle stesse regioni - per quel che riguarda le modifiche del loro assetto costituzionale, in quanto espressione di un principio connaturato all'articolato disegno delle autonomie in senso pluralista - deve ritenersi che condizioni anche la potesta' legislativa esclusiva della Regione siciliana nella materia, essendo chiaramente uno dei principi di portata generale che connotano il significato pluralistico della nostra democrazia.» (sent. 453/1989).

Puo' aggiungersi, del resto, che, in coerenza con i principi affermati dalla Corte, lo stesso Statuto della Regione Siciliana (art. 14), nell'attribuire alla potesta' legislativa esclusiva della stessa (lett. o) la materia del «regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative» (alla quale inscindibilmente si lega anche la previsione contenuta nell'art. 15, terzo comma, dello Statuto, concernente l'ordinamento degli enti locali), espressamente prevede che tale potesta' sia esercitata «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato».

5. - Certamente, nell'affermare che il principio della obbligatorieta' della partecipazione popolare nel procedimento inerente alla costituzione di nuovi comuni, ovvero alle variazioni del loro territorio o delle relative denominazioni, vincola anche le Regioni a statuto speciale, la Corte ha, altresi', chiarito che, queste ultime, in quanto titolari di potesta' legislativa esclusiva in materia, sono libere di dare attuazione al principio nelle forme procedimentali ritenute piu' opportune (sentt. 453/1989 e 21/2018).

Tuttavia, proprio a tale riguardo, la Corte ha anche precisato che deve comunque trattarsi di forme «anche equivalenti a quella tipica del referendum, purche' tali da assicurare, con pari forza, la completa liberta' di manifestazione dell'opinione da parte dei soggetti chiamati alla consultazione, al riparo cioe' da ogni condizionamento esterno nel momento del suo svolgimento e quindi con l'osservanza delle opportune forme di segretezza adeguate a tali fini» (sent. 453/1989), aggiungendo anche che la consultazione delle popolazioni deve necessariamente avvenire preventivamente (sent. 36/2011 e, con specifico riferimento al principio affermato nei confronti delle regioni a statuto speciale, ancora la sentenza 453/1989).

6. - Orbene, la forma di consultazione eventuale che la Regione Siciliana ha introdotto con la legge impugnata con il presente ricorso non soddisfa alcuna delle condizioni previste nel citato art. 133, secondo comma, nonche' desumibili dai principi ricavabili alla luce dell'interpretazione dello stesso fornita dalla Corte.

Invero, da un lato, e' necessario rilevare che la stessa Regione Siciliana, nell'esercizio della propria potesta' legislativa esclusiva, ha individuato la forma del referendum consultivo come tipologia generale di consultazione della popolazione per le variazioni territoriali e di denominazione dei comuni (cfr. art. 8, commi 1 e 2 l.r. 30/2000, quest'ultimo con riguardo a tutte le variazioni di denominazione, prima della novella introdotta con le disposizioni impugnate, e tutt'ora con riguardo alle variazioni diverse dall'introduzione della parola «terme» nel nome del comune): dal che puo' desumersi che essa abbia pienamente aderito, autodeterminandosi nell'esercizio della propria autonomia legislativa, alla forma referendaria, individuata da codesta ecc.ma Corte come l'unica idonea a soddisfare il principio di partecipazione per le regioni ordinarie e, percio', nel derogare alla previsione di tale forma, limitatamente alle variazioni di denominazione qui prese in considerazione, sia gia' per tale ragione incorsa in violazione della norma costituzionale qui invocata.

7. - Inoltre, e in ogni caso, la forma di consultazione individuata dalle disposizioni della l.r. 1/2018 contrasta in modo stridente anche con le caratteristiche che le modalita' di audizione della popolazione equivalenti al referendum consultivo, ammesse dalla citata giurisprudenza della Corte per le regioni a statuto speciale, debbono comunque soddisfare.

Invero e' evidente che la presentazione, eventuale e successiva, da parte di alcuni elettori, di una petizione, nella quale, peraltro, sia possibile soltanto manifestare il dissenso alla variazione di denominazione in esame, non integra, innanzi tutto, gli estremi della consultazione dell'intera popolazione interessata alla variazione, alla quale ha riguardo la norma costituzionale, sia perche' e' rimessa all'iniziativa di singoli elettori, sia perche' e' volta ad esprimere soltanto una delle possibili scelte che i cittadini avrebbero a disposizione, ove si svolgesse una consultazione referendaria o di tipo equivalente; ne' pare potersi ritenere che la semplice inerzia dei rimanenti elettori, alla quale le norme impugnate attribuiscono il significato di manifestazione di consenso, sia equiparabile ad una adeguata espressione di volonta', in assenza della indizione consultazione pubblica e ufficiale, cui l'art. 133 Cost. e i principi da esso ricavabili paiono avere riguardo ed alla quale non puo' certo essere assimilata l'iniziativa di singoli, volta a presentare e sottoscrivere una petizione.

Inoltre la circostanza che la presentazione della petizione costituisca un accadimento meramente eventuale, siccome rimesso all'iniziativa volontaria dei suoi presentatori, risulta incompatibile con la natura obbligatoria della consultazione individuata dalla Corte.

Ancora, manca del tutto il carattere preventivo di quest'ultima, al quale esplicitamente hanno fatto riferimento le sentenze 453/1989 e 36/2011, evidentemente ritenendo che la consultazione integri un elemento costitutivo del procedimento di variazione, a garanzia del principio di autodeterminazione e partecipazione popolare cui esso deve ispirarsi: infatti la legge regionale impugnata condiziona la mera efficacia, e non gia' il perfezionamento, della delibera comunale alla scadenza del termine e al verificarsi o meno delle attivita' previsti dalla stessa legge.

Infine, e questa e' forse la notazione piu' rilevante, la forma di consultazione individuata dalla l.r. 1/2018 non garantisce le «opportune forme di segretezza» e che, secondo la giurisprudenza della Corte, devono porre la consultazione al riparo da ogni condizionamento esterno nel momento del suo svolgimento, perche' possa ritenersi osservato il disposto dell'art. 133, secondo comma, Cost., essendo palese e univocamente attribuibile la manifestazione di volonta' dei sottoscrittori della petizione; e tale risultando, per esclusione, anche quella degli elettori che non sottoscrivano la petizione, siccome esplicitamente equiparata ad adesione alla modifica di denominazione dalla legge regionale.

Del resto, anche se, nel caso in esame, la petizione si svolge successivamente all'adozione della delibera comunale di variazione, alla stessa ben possono, a maggior ragione, estendersi i rilievi formulati, ancora una volta da codesta Ecc.ma Corte, allorche', nella citata sentenza 453/1989, ha respinto la tesi dell'equiparabilita' di istanze di cittadini dirette a promuovere iniziative di variazione territoriale (alle quali, e appena il caso di precisarlo, sono pienamente assimilabili le variazioni o integrazioni di denominazione dei comuni - sentt. 237/2004 e 36/2011) alla consultazione, cui fa riferimento l'art. 133, osservando che e' «evidente che la sottoscrizione di dette istanze costituisce un modo di espressione dell'opinione che non offre garanzie circa la liberta' di ciascuno in relazione a possibili condizionamenti esterni. D'altronde, in tutti i procedimenti che presuppongono una consultazione popolare, e quindi anche quando questa, come nella specie, non sia vincolante, altro e' il momento dell'iniziativa altro e' quello della consultazione vera e propria, come risulta in modo inequivocabile, ad esempio, sia nella disciplina costituzionale (art. 75 della Costituzione) che in quella ordinaria (legge 25 maggio 1970, n. 352) in materia di referendum abrogativi, nonche' nelle leggi regionali che hanno disciplinato i referendum consultivi che tengono ben distinti i due momenti, talche', anche se l'iniziativa dovesse risultare in concreto promossa dalla maggioranza dei cittadini aventi diritto alla consultazione referendaria, questa dovrebbe ugualmente celebrarsi con quelle forme di segretezza idonee ad assicurare la completa liberta' degli aventi diritto nel momento in cui ciascuno di essi deve manifestare la propria opinione.».

8. - In definitiva, e per concludere, alla luce delle considerazioni che precedono, la legge regionale impugnata risulta costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione, anche con riguardo all'art. 14 dello Statuto della Regione Siciliana, poiche' prevede il mutamento della denominazione dei comuni, sui cui territori insistono insediamenti e/o bacini termali, nei termini con le modalita' nella stessa contemplate, senza prevedere che vengano previamente sentite le popolazioni interessate mediante apposito referendum consultivo ovvero mediante forme equivalenti, tali da assicurare preventivamente e con pari forza la completa liberta' di manifestazione dell'opinione delle stesse con opportune forme di segretezza.

 

P.Q.M.

 

Si conclude perche', in accoglimento del presente ricorso, codesta ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge della Regione Siciliana 8 febbraio 2018, n. 1, recante: «Modifiche all'art. 8 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, in materia di variazione di denominazioni dei comuni termali».

Unitamente all'originale del presente ricorso notificato sara' depositata copia autentica della deliberazione del Consiglio dei ministri del 17 aprile 2018, con l'allegata relazione.

Roma, 17 aprile 2018

L'Avvocato dello Stato: Del Gaizo