RICORSO N. 71 DEL 13 SETTEMBRE 2017 (DELLA REGIONE CALABRIA)

Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 13 settembre 2017.

(GU n. 45 del 08.11.2017)

 

Ricorso per la Regione Calabria (P.I. e cod. fisc.: 02205340793), in persona del Presidente della Giunta regionale e legale rappresentante in carica, on.le Gerardo Mario Oliverio, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 410 del 30 agosto 2017, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall'avv. prof.

Aristide Police, (cod. fisc. PLCRTD68E10F839F, PEC: aristide.police@pec.cliffordchance.com) e dall'avv. Nicola Greco (cod. fisc. GRCNCL74E11D086U, PEC: avvocato11.cz@pec.regione.calabria.it), quest'ultimo dell'Avvocatura regionale della Calabria, in virtu' di procura speciale rilasciata a margine, con domicilio eletto in Roma, presso lo studio dell'avv.

prof. Aristide Police, via di Villa Sacchetti n. 11; comunicazioni via fax al n. 06 42291200.

Contro il Presidente del Consiglio del ministri in carica - Roma.

Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 1 lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26 comma 1, lettera a) e 27 del decreto legislativo 16 giugno 2017 n. 104 recante «Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n.

156 del 6 luglio 2017, nelle parti analiticamente individuate nel corpo del presente atto per le violazioni dei principi e delle norme costituzionali di cui agli articoli 3, 5, 32, 76, 81, 97, 117, 118 e 120 della Costituzione.

I. Il procedimento di approvazione del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104.

1. Con la legge 91uglio 2015, n. 114 (contenente «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2014»; d'ora in avanti «Legge delega»), il Governo e' stato delegato ad adottare i decreti legislativi per l'attuazione delle direttive ivi elencate, inclusa la «direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati - Testo rilevante ai fini del SEE» (nel proseguo, «Direttiva»).

In particolare, l'art. 14 della legge delega ha stabilito che «nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014 ( ... ) il Governo e' tenuto a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi di cui all'art. 1, comma 1, anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici:   a) semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e all'integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale;   b) rafforzamento della qualita' della procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali;   c) revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio da adottare ai sensi della direttiva 2014/52/UE, al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni;   d) destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per finalita' connesse al potenziamento delle attivita' di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale, nonche' alla protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamita' naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

L'art. 2 della direttiva aveva previsto quale termine per il recepimento della direttiva il 16 maggio 2017.

2. Lo schema di decreto legislativo per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE e' stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 10 marzo 2017 e trasmesso dal Dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi alla Conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano («Conferenza permanente») solo il 20 marzo 2017.

Nella seduta del 12 aprile 2017 le regioni avevano richiesto il rinvio dell'esame di decreto alla successiva seduta ordinaria per definire una posizione comune sullo schema di decreto legislativo da adottare. All'esito della seduta del 4 maggio 2017, le regioni e le province autonome hanno consegnato il documento di osservazioni e proposte emendative, in parte ritenute imprescindibili, condizionando il parere favorevole sul testo del decreto legislativo al loro accoglimento.

3. Si legge nella premessa del testo di osservazioni allo schema di decreto legislativo che «le regioni e le province autonome che hanno fornito i propri contributi all'esame dello schema di decreto e la definizione degli emendamenti e che hanno espresso inizialmente un giudizio complessivamente negativo sullo schema di decreto legislativo che intende dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE sulla valutazione di impatto ambientale tuttavia sottolineano che tale giudizio potrebbe essere superato qualora fossero accolti gli emendamenti inderogabili illustrati nel presente documento».

Ed invero, e' stato osservato che «il non tempestivo coinvolgimento degli enti territoriali nella fase di elaborazione del testo ha avuto come conseguenza la redazione di un articolato che si presenta lesivo delle prerogative regionali sia sul piano delle competenze funzionali in relazione alle singole categorie di opere da sottoporre a valutazione ambientale sia sul piano della disciplina generale del procedimento amministrativo e del coordinamento tra le diverse procedure volte al rilascio di parere e autorizzazioni a carattere ambientale, con riflessi negativi sull'organizzazione amministrativa delle diverse regioni che, in molti casi, avevano gia' iniziato a strutturarsi per dare attuazione alla riforme introdotte dal decreto n. 127/2016».

4. Tra le proposte ritenute decisive per l'espressione di un parere favorevole della Conferenza permanente e la condivisione del testo sono stati considerati «i seguenti emendamenti migliorativi»:   (i) «esplicita previsione di un regime transitorio finalizzato a consentire il differimento nel tempo dell'attuazione da parte delle regioni e provincie autonome che ancora non hanno provveduto, della previsione della legge n. 241/1990 inerente il coordinamento dei procedimenti autorizzativi nell'ambito del procedimento VIA»;   (ii) «lo stralcio dell'allegato II-Bis» e «un approfondimento ulteriore con il Ministero dell'ambiente al fine di individuare nel dettaglio il corretto riparto delle competenze»;   (iii) «la partecipazione nei procedimenti» mediante «reinserimento della partecipazione non contemplata nello schema di decreto per il procedimento di verifica di assoggettabilita' (screening)»;   (iv) «salvaguardia delle prerogative di specialita' delle regioni e province autonome»;   (v) «mantenimento della specificita' ed attuali termini per l'espressione del parere regionale in sede di VIA statale»;   (vi) «eliminazione VIA postuma»;   (vii) «mantenimento di un livello progettuale definitivo per le procedure di VIA Regionali nonche' di elementi progettuali certi e sufficientemente approfonditi per la procedura di verifica»;   (viii) «eliminazione della perentorieta' dei termini procedimentali e mantenimento dell'attuale assetto delle procedure di VIA per le Regioni (in quanto a termini e modalita' di svolgimento)»;   (ix) «mantenimento termini e modalita' per la presentazione di integrazioni nei procedimenti VIA».

Giova evidenziare sin d'ora come nessuna delle proposte emendative presentate dalla Conferenza permanente nella seduta del 4 maggio 2017 con riferimento alle disposizioni qui oggetto di impugnazione sia stata vagliata e recepita nel testo definitivo del decreto legislativo.

A ben vedere, le regioni e le province autonome aveva espresso in seno alla Conferenza permanente una posizione decisamente divergente rispetto al contenuto dello schema di decreto, atteso che parte della tematica da esso disciplinata rientra nell'ambito di materie oggetto di potesta' legislativa concorrente regionale. Le osservazioni presentate con il parere reso sullo schema di decreto legislativo dalla Conferenza permanente consentono di evidenziare come l'adozione del testo definitivo ha comportato una violazione delle competenze in materie in cui le regioni esercitano la competenza concorrente. Il decreto legislativo, infatti, non contiene disposizione di mero recepimento della direttiva in materia di Valutazione di impatto ambientale, ma ha consentito il trasferimento allo Stato di competenze che - improntate ai principi fondamentali di prossimita', di decentramento e di vicinanza al cittadino - erano gia' state demandate alle regioni e alle province autonome.

5. Con decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, recante «attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.

146 del 6 luglio 2017 S.O. n. 31), sono state apportate modifiche all'attuale disciplina dei procedimenti di Valutazione di impatto ambientale - VIA e a quelli di verifica di assoggettabilita' a VIA («decreto legislativo»).

In particolare, alle regioni e' rimasto esclusivamente, in subiecta materia, l'esercizio delle funzioni amministrative, considerato che esse sono state relegate ad un ruolo di mera subalternita'; da qui l'assunto che gli enti regionali mantengono, di fatto, poteri di intervento unicamente su alcuni aspetti prettamente operativi. Viceversa, la disciplina della materia in argomento non puo' prescindere dalla previsione di un adeguato coinvolgimento delle amministrazioni regionali, stante le forti ricadute che essa ha sulle scelte cruciali delle regioni e sui relativi obiettivi di sostenibilita' e di sviluppo, in rapporto alle caratteristiche ed allo stato del territorio; ne', a maggior ragione, la disciplina puo' prescindere dallo stabilire eventuali iniziative volte ad impedire, mitigare o compensare gli effetti negativi sulle aree interessate senza rendere partecipe i medesimi enti regionali.

Le disposizioni del decreto legislativo sono quindi costituzionalmente illegittime perche' assunte anzitutto in violazione del principio di leale collaborazione andando ad incidere in maniera sostanziale e decisiva - sulle prerogative e competenze delle regioni e delle province autonome e, comunque, perche' nella parte in cui non prevedono un adeguato coinvolgimento delle regioni, incidono sulla pianificazione regionale, condizionando il decisore nella individuazione delle scelte da adottare e dei connessi obiettivi da perseguire. Gia' in passato, nelle materie di legislazione concorrente, la Corte costituzionale aveva reiteratamente affermato l'esigenza della previsione di procedure che assicurassero la partecipazione dei vari livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, di adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative, allocate in capo agli organi centrali.

Le proposte della Conferenza permanente inopinatamente disattese erano dirette, del resto, a prevedere opportune forme di coinvolgimento cosi' da evitare ogni possibile lesione del rispetto di competenze consacrate in Costituzione.

6. Tanto premesso, le disposizioni del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 in epigrafe sono impugnate per violazione dei principi e delle norme costituzionali di cui agli articoli 3, 5, 32, 76, 81, 117, 118 e 120 della Costituzione. Per ragioni di chiarezza espositiva, si e' scelto di presentare le questioni di legittimita' costituzionale seguendo l'ordine sistematico delle disposizioni del decreto legislativo, impugnate per i seguenti motivi di  

Diritto  

l. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera g) del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, per violazione degli articoli 3, 5, 32, 76, 117, 118 e 120 Cost.

1. L'art. 6, comma 10, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.

152 («Norme in materia ambientale») definisce l'oggetto e l'ambito di applicazione delle disposizioni che regolano i procedimenti di cui alla Parte II in materia di «Valutazione ambientale strategica - VAS», «Valutazione di impatto ambientale - VIA» e «Autorizzazione integrata ambientale - IPPC».

L'art. 3, comma 1, lettera g) del decreto legislativo ha modificato il comma 10 dell'art. 6 prevedendo che «per i progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, dopo una valutazione caso per caso, puo' disporre, con decreto, l'esclusione di tali progetti dal campo di applicazione delle norme di cui al titolo III della parte seconda del presente decreto, qualora ritenga che tale applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi».

Con la modifica dell'art. 6, comma 10, e' stata prevista la possibilita' di escludere dall'ambito di applicazione della parte III del decreto legislativo n. 152/2006, oltre ai progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale, anche quelli che corrispondo ad emergenze che riguardano la protezione civile.

Si ricorda che l'art. 6, comma 10, del decreto legislativo n.

152/2006 aveva introdotto la possibilita' di attribuire alla «autorita' competente in sede statale» la valutazione caso per caso dell'esclusione della VIA di «progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopo di difesa nazionale».

L'art. 3, comma 1, lettera g) del decreto legislativo, quindi, ha ampliato ed incluso tra i progetti che possono essere esclusi anche quelli che riguardano «emergenze di protezione civile».

In altri termini, si prevede un procedimento identico per progetti che riguardano due materie diverse.

2. Con riferimento all'art. 3, comma 1, lettera g), la Conferenza permanente aveva proposto di prevedere, a fronte dell'unico procedimento, di rimettere la domanda elle autorita' competenti.

Nelle specifico e' stata prevista la distinzione tra l'esercizio della competenza esclusiva dello Stato (per i progetti aventi come obiettivo la difesa nazionale) e l'esercizio di competenze concorrenti, mediante l'introduzione di un ulteriore comma (10-bis) all'art. 6 a tenore del quale «per i progetti aventi quale unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile e in attuazione di interventi urgenti di difesa da rischio idrogeologico, l'autorita' competente, dopo una valutazione caso per caso, puo' disporre l'esclusione di tali progetti dal campo di applicazione delle norme di cui al titolo III della parte II (. .

.)».

La proposta della Conferenza permanente e' stata disattesa dal Governo che non ha recepito le modifiche avocando di fatto a se' l'esclusiva possibilita' di valutare - caso per caso - i progetti per far fronte ad emergenze di protezione civile, senza neppure esaminare la possibilita' di un coinvolgimento delle autorita' competenti in sede regionale.

3. La predetta disposizione (come anche quelle oggetto di impugnazione nei successivi motivi) riflette la volonta' del legislatore di recepire la direttiva prevedendo l'ultimo (non necessario e, anzi, incostituzionale) ritorno alla concentrazione delle funzioni amministrative in capo all'Autorita' statale a scapito delle prerogative e degli interessi delle autonomi locali.

Ed, in effetti, se in astratto riferibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, l'intervento legislativo tende a disciplinare in modo unitario fenomeni sociali ben piu' articolati rispetto ai quali si registra il sovrapporsi di una «trama di relazioni nella quale ben difficilmente sara' possibile isolare un singolo interesse quanto piuttosto interessi distinti che ben possono ripartirsi diversamente lungo l'asse delle competenze normative di Stato e Regione» (v. Corte cost., 25 novembre 2016, n. 251; v. anche Corte cost., 22 luglio 2010, n. 278).

La complessita' della normativa oggetto di recepimento, in cui evidentemente si cumulano (ed influenzano vicendevolmente) profili riconducibili a materia di competenza statale e concorrente avrebbe imposto di esaminare il riparto di competenze in un quadro piu' ampio e esaustivo, non potendo evidentemente risultare sufficiente un criterio di mera prevalenza. L'esigenza di tutelare la concorrenza di competenze, se esaminata alla luce delle garanzie costituzionali, pone al centro del giudizio proprio il principio di leale collaborazione. Del resto, e' in ossequio a tale principio che sono stati individuati strumenti di coinvolgimento delle regioni e delle province autonome, a difesa delle loro competenze e delle ragioni di esercizio unitario delle stesse.

In questi termini, il parere della Conferenza permanente, come strumento di coinvolgimento delle autonomie regionali e' certo indice sintomatico del concreto rispetto del principio di leale collaborazione. L'intesa tra lo Stato e la regione misura, quindi, l'effettiva garanzia del corretto dispiegarsi delle relazioni istituzionali quanto alle competenze.

4. La Sovrana Corte ha gia' piu' volte riconosciuto come il principio di leale collaborazione «diviene dirimente nella considerazione di interessi sempre piu' complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori» (v. Corte cost. n. 251/2016).

Come si vede, e' stata dunque elevata a principio procedimentale inderogabile (l'esigenza di coinvolgere adeguatamente le regioni nella forma dell'intesa).

Per inciso, siffatto onore vale, nella sua dimensione vincolante, anche (recte soprattutto) nell'ipotesi di attrazione in capo allo Stato della funzione legislativa tenuto conto della ineliminabile esigenza di soddisfare le funzione amministrativa degli altri livelli di governo costituzionalmente previsti (in ossequio ai principi di sussidiarieta').

Tanto cio' e' vero che codesta ecc.ma Corte ha peraltro evidenziato come l'esercizio unitario, che consente l'attrazione insieme alla funzione amministrativa anche di quella legislativa, «puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale - e giustificare la deroga al riparto di competenze contenuto nel titolo V - solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (v. Corte cost., 1° ottobre 2003, n. 303; v. anche, di recente, n. 251/2016).

E' stato quindi riconosciuto come il sistema delle conferenze sia proprio «il principale strumento che consente alle regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale» e «[u]na delle sedi piu' qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione» (Corte cost. 1° febbraio 2006, n. 31; v. anche 23 novembre 2007, n.

401).

In armonia con tali indicazioni, l'evoluzione impressa al sistema delle conferenze finisce con il rivelare una fisiologica esigenza dello Stato alla consultazione delle regioni per superare il vaglio di costituzionalita' e si coniuga con il riconoscimento dell'intesa quale strumento idoneo a realizzare la leale collaborazione tra lo Stato e le autonomie ove «non siano coinvolti interessi esclusivamente e individualmente imputabili al singolo ente autonomo» (Corte cost., 1° febbraio 2016).

Inserite in questo quadro evolutivo, le procedure di consultazione devono «prevedere meccanismi per il superamento delle divergenze, basati sulla reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione» (Corte cost., n. 1/2016; nello stesso senso, 26 marzo 2010, n. 121).

Se dunque e' vero che il principio di leale collaborazione non preclude a priori il consolidamento di funzioni amministrative in capo allo Stato, e' altrettanto innegabile come, per la riforma di istituti che incidono su competenze statali e regionali inestricabilmente connesse, il ricorso all'intesa e' necessario per garantire il rispetto della Costituzione.

E' appena il caso di aggiungere che le attivita' nel rispetto del principio di leale collaborazione valgono anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo ai sensi dell'art.

76 Cost.

Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi, condizionati quanto alla validita' a tutte le indicazioni contenute non solo nella Costituzione, ma anche, per volonta' di quest'ultima, nella legge di delegazione, finiscono, infatti, con l'essere attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze.

5. Alla luce dei richiamati principi, l'art. 3, comma 1, lettera g) del decreto legislativo si manifesta costituzionalmente illegittimo dal momento che il Governo ha escluso le regioni tra le autorita' competenti a valutare l'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 152/2006 (Norme in materia ambientale) i progetti destinati a rispondere ad emergenze che riguardano la protezione civile.

Il mancato coinvolgimento delle regioni e delle province autonome nella definizione dell'ambito di applicazione del decreto e' lesiva del principio di leale collaborazione. Il Governo, infatti, non ha tenuto conto delle proposte emendative presentate dalla Conferenza permanente che intervenivano proprio sulla possibilita' di riconoscere, nell'ambito della competenza concorrente in materia di protezione civile e governo del territorio, un coinvolgimento diretto dell'«autorita' compente» in sede regionale.

Le disposizioni impugnate, dunque, violano il principio di leale collaborazione incidendo su ambiti (anche) di competenza regionale e sacrificando la possibilita' per la Regione di adottare proprie ed adeguate scelte organizzative.

6. Del resto, proprio nella «trama di relazioni ... lungo l'asse delle competenze normative di Stato e regioni», neppure possono escludersi quelle esigenze di governo del territorio e tutela della salute che pure sono espressione di competenze concorrenti.

Nel caso di specie, dunque, si prefigura una irragionevole compressione delle prerogative regionali per la tutela delle salute delle persone e dell'ambiente, cosi' violando l'art. 32 e l'art. 3 della Costituzione.

In particolare, nelle situazioni piu' complesse come quelle in cui rileva il principio di precauzione, il mancato coinvolgimento delle regioni non consente alle stesse di contribuire alle modalita' di esclusione dei progetti in questione, ne', tantomeno, sui criteri di esercizio delle relative attivita', in modo tale da individuare potenziali fattori di rischio e pericolo, derivanti dai progetti - neppure in chiave probabilistica; tutto cio' anche al fine di avere una compiuta conoscenza di eventuali misure di prevenzione ad esse applicabili.

La Costituzione pone in primo piano i diritti fondamentali della persona umana in tutte le sue dimensioni, che deve essere tutelata da ogni pericolo di lesione di interessi costituzionalmente apprezzabili. Tra i diritti fondamentali della persona v'e' senz'altro quello alla salute (art. 32 della Costituzione), che nella sua dimensione sociale esprime un diritto alla salubrita' dell'ambiente. Per altro verso, in attuazione del principio «solidaristico-sociale», l'iniziativa economica privata non puo' svolgersi in modo dannoso per la sicurezza delle persone (art. 41 della Costituzione). Pertanto, il contenuto del diritto alla salute, che la Costituzione riconosce a tutti gli individui ai sensi dell'art. 32, e' alquanto complesso. Esso si traduce, dunque, in una situazione di benessere psico-fisico, ossia nella tutela costituzionale dell'integrita' psico-fisica, del diritto ad un ambiente salubre, (oltre che del diritto alle prestazioni sanitarie e della cosiddetta liberta' di cura). Allo stesso modo si identifica anche come diritto sociale fondamentale, tutelato dall'art. 2 della Costituzione ed, essendo intimamente connesso al valore della dignita' umana (diritto ad un'esistenza degna), rientra nei diritti inviolabili di cui all'art. 3 della Costituzione.

7. Ne deriva che lo Stato, al fine di assicurare la protezione dell'integrita' psico-fisica o la salubrita' dell'ambiente, deve prevedere modelli procedimentali e forme di esercizio delle funzioni nel rispetto delle prerogative regionali.

Il mancato coinvolgimento delle regioni, nella fase dell'adozione del decreto ministeriale come pure tra le autorita' competenti a valutare l'esclusione dei progetti per fronteggiare emergenze di protezione civile finisce per disattendere il principio di leale collaborazione, con una palese violazione delle competenze regionali, atteso che la materia verte su quelle riguardanti la potesta' di legislazione concorrente.

Deve pertanto essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del decreto legislativo n. 104/2017 per violazione dei principi e delle norme costituzioni di cui agli articoli 3, 5, 32, 76, 117 e 120 della Costituzione nella parte in cui non e' stato tenuto conto degli interessi delle autonomie regionali emersi nella Conferenza permanente, obliterando un confronto reale, necessario ed effettivo sulle disposizioni del decreto legislativo per contemperare la compressione della competenza regionale in materie espressione (anche) di interessi e competenze concorrenti.

II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 decreto legislativo n.

104/2017 per violazione degli articoli 3, 5, 32, 76, 117, 118 e 120 Cost.

1. L'art. 5 del decreto legislativo ha introdotto l'art. 7-bis del decreto legislativo n. 152/2006 per mezzo del quale vengono definite le competenze in sede statale e regionale nelle procedure VIA e verifica di assoggettabilita' a VIA.

A ben vedere, l'introduzione dell'art. 7-bis ha ridimensionato sensibilmente la potesta' normativa regionale in materia di valutazione di impatto ambientale, circoscrivendole a profili meramente organizzativi o, comunque, a mere funzioni amministrative.

L'introduzione dell'art. 7-bis del decreto legislativo n.

152/2006, quindi, comporta una violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, laddove viene compromesso l'esercizio della potesta' legislativa regionale in materie concorrenti (e, inter alia, porti e aeroporti civili, produzione, governo del territorio, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia) e, in particolare, in materia di tutela della salute, stante le finalita' del procedimento di valutazione di impatto ambientale (cfr. punto 41 delle premesse della direttiva, nonche' art. 4 del decreto legislativo n. 152/2006).

2. Ancora una volta occorre collocare le disposizioni impugnate nel quadro complessivo delineato dal decreto legislativo n. 104/2017 che si propone di riordinare la disciplina delle procedure di valutazione di impatto ambientale. Le disposizioni del decreto dettano previsioni fin troppo puntuali sulla procedura.

L'attenta disamina delle disposizioni consente di evidenziare come la complessita' del settore oggetto di recepimento evoca necessariamente il ricorso all'intesa della conferenza. Del resto, le finalita' della direttiva sono quelle di garantire, in ossequio al principio dell'effetto utile, «il miglioramento della protezione ambientale, una maggiore efficienza delle risorse e il sostegno alla crescita sostenibile nell'Unione» (cfr. considerato n. 6 della direttiva).

Il perseguimento di tali scopi passa attraverso la valutazione di impatto ambientale ed i suoi «fattori» di sostenibilita': «popolazione e salute umana; biodiversita', con particolare attenzione alle specie e agli habitat protetti in virtu' della direttiva 92/43/CEE e della direttiva 2009/147/CE; territorio, suolo, acqua, aria e clima; beni materiali, patrimonio culturale, paesaggio» (cfr. art. 3 della direttiva).

Nel recepire tali previsioni, dunque, l'unita' funzionale individuata dalla direttiva (i.e. miglioramento della protezione dell'ambiente) dovra' essere necessariamente scomposta nella pluralita' di funzioni che sono riconoscibili ai diversi livelli di governo nell'architettura costituzionale (i.e. popolazione, salute, flora, fauna, acqua, clima ecc.), individuando e garantendo lo spazio corrispondente a ciascuna istituzione sempre nel rispetto del principio dell'effetto utile.

Tali competenze di pongono in un rapporto di concorrenza poiche' nessuna di esse puo' dirsi prevalente, ma tutte confluiscono nella nuova definizione delle regole procedimentali della valutazione di impatto ambientale, mostrandosi in una prospettiva unitaria e inscindibile, nonche' tra loro strumentalmente connesse.

Ne discende che se da un lato la connessione strumentale delle competenze costituisce il fondamento e la validita' dell'intervento del Governo, dall'altro non puo' pregiudicarsi una adeguata valorizzazione delle autonomie regionali che e' quella dell'intesa.

Di nuovo e' innegabile che sia la Conferenza il luogo piu' idoneo per la costruzione e la definizione concordata di tale intesa che non puo' dirsi raggiunta ove le motivate richieste delle autonomie regionali siano state completamente disattese.

3. Tra l'altro, non va sottaciuto come l'art. 76, testualmente reciti: «L'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti».

In tale sede, si osserva come la legge delega non preveda una compressione della potesta' normativa regionale nella materia; ne consegue una violazione della Costituzione per mancanza di proporzionalita' e di rispondenza logica rispetto alle finalita' dichiarate, nonche' un eccesso di delega, in quanto esorbitante dai principi e dai criteri direttivi posti al legislatore delegato dall'art. 1, comma 1 (laddove si richiama quanto previsto all'art.

32, comma 1, lettera g) della legge 24 dicembre 2012, n. 234), e dall'art. 14, comma 1, lettera a), della legge delega 9 luglio 2015, n. 114, laddove prevede che «il Governo e' tenuto a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi di cui all'art. 1, comma 1, anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici: a) semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e all'integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale».

4. Nel caso di specie, nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione, non viene individuata alcuna forma di coordinamento con le regioni, in modo da salvaguardare l'unitarieta' dei processi decisionali, la trasparenza, la celerita', l'efficacia e l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili.

Ed invero, in sede di Conferenza permanente era stata proposta la soppressione della introduzione dell'art. 7-bis al decreto legislativo n. 152/2006, in favore di una piu' completa articolazione dell'art. 7 del decreto legislativo n. 152/2006 (gia' assertivo delle competenza sulle procedure disciplinate dalla Parte II del decreto legislativo n. 152/2006), criticando l'impostazione sistematica volta a distinguere, da un lato, le competenze in materia di VAS e AIA; e, dall'altro quelle di VIA e verifica di assoggettabilita' a VIA.

In particolare, era stata segnalata la contrarieta' alle finalita' di semplificazione ed armonizzazione volute dalla direttiva e dalla legge delega, in quanto in sede di riconoscimento e definizione delle competenze tra i vari livelli di amministrazione statale e regionale avrebbe potuto (e dovuto) scorgersi il (ben piu' significativo) legame tra l'awio di procedure VIA e AIA.

Ancora una volta le modifiche proposte dalla Conferenza permanente risultano essere state disattese dal Governo, che ha ignorato le proposte disegnando un sistema di riparto delle competenze che non risulta affatto semplificato e che, al contrario, ha contribuito ad aumentare le potenziali criticita' di incertezza applicativa. Anche rispetto a tale profilo, dunque, la disposizione merita di essere dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto si palesa contrastante con le prerogative di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni.

III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1 e comma 2, del decreto legislativo n. 104/2017 per violazione degli articoli 5, 76, 117, 118 e 120 Cost.

1. L'art. 16, comma 2, del decreto legislativo introduce il c.d.

provvedimento autorizzatorio unico regionale.

Giova evidenziare sin d'ora che l'art. 16, comma 2, del decreto legislativo non era previsto nella bozza di schema di decreto inviato dal Governo alla Conferenza permanente.

In altri termini, la disposizioni relativa al provvedimento autorizzatorio unico regionale e' stata introdotta senza che fosse concessa la possibilita' alle regioni e alle province autonome di esaminare il testo della disposizioni e presentare le proprie osservazioni, con tutto cio' che ne consegue in ordine ai gia' lamentati profili di contrarieta' delle disposizioni del decreto legislativo - ivi incluso l'art. 16, comma 2 - al principio di leale collaborazione.

La proposta invero non risulta essere stata adeguatamente elaborata e condivisa dalle regioni e non tiene conto delle differenze pur esistenti tra le stesse amministrazioni regionali a livello organizzativo, con tutto cio' che ne consegue in ordine alla possibilita' di una uniforme applicazione.

2. Sotto altro profilo, emerge l'eccessivo dettaglio delle disposizioni che introducono il «provvedimento autorizzatorio unico regionale».

Il cd «provvedimento autorizzatorio unico regionale», infatti, ha una portata piu' ampia e ricomprende, non solo, la valutazione di impatto ambientale strettamente intesa, ma anche tutti i titoli abilitativi rilasciati, necessari per la realizzazione dei relativi progetti e per l'esercizio delle attivita' da essi derivanti.

Per quanto attiene al caso di specie, la giurisprudenza della Corte costituzionale e' univoca nel censurare normative eccessivamente puntuali che non lascino alcuno spazio al legislatore regionale, atteso che «alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla normativa di dettaglio e' riservata l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi (Corte cost. 24 luglio 2015, n. 189; v. anche n. 278 del 2010).

Se nel suo provvedimento il governo eccede spazialmente l'ambito di intervento che e' stato delineato dalla legge delega, esso non viola soltanto quest'ultima ma anche, attraverso il meccanismo del parametro costituzionale interposto, la disposizione costituzionale che definisce il contenuto obbligatorio della legge di delega.

3. Ne discende che, nel caso che ci interessa, a seguito di una violazione dei principi e dei criteri direttivi della legge delega, si e' verificata una inosservanza dell'art. 76 della Costituzione, atteso che la norma non si limita agli atti di assenso di carattere ambientale, ma influisce sulle varie componenti, di diversa natura, del provvedimento da adottare.

Il dettato costituzionale assume un rilievo positivo, in quanto esige che l'azione del legislatore delegato si svolga nel rispetto puntuale della legge-delega, senza che si possa ravvisare una deviazione della stessa, determinata da un eterodosso esercizio della funzione legislativa.

4. Infine, il mancato coordinamento della normativa di settore nella disciplina del provvedimento unico regionale, rischia di tradursi in una incertezza applicativa, con conseguente possibile pregiudizio della garanzia di buon andamento.

A questo proposito, se e' vero che l'azione amministrativa debba essere doverosa e trasparente (oltre a dover essere continuativa, perche' non tollera interruzioni o vuoti di esercizio), e' altrettanto vero che tali evenienze non possano non rinvenire nella legge la loro fonte regolatrice, onde garantire quella certezza giuridica che e' essenziale al modello di organizzazione voluto dal legislatore, per assicurarne l'imparzialita' ed il buon andamento anche nei confronti della collettivita'. E, nel caso di specie, tutto cio' e' compromesso.

IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 21 decreto legislativo n.

104/2017 per violazione degli articoli 5, 76, 117 e 120 Cost.

1. L'art. 21 del decreto legislativo, modificando l'art. 33, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, prevede che «le tariffe da applicare ai proponenti, determinate sulla base del costo effettivo del servizio, per la copertura dei costi sopportati dall'autorita' competente per l'organizzazione e lo svolgimento delle attivita' istruttorie, di monitoraggio e controllo delle procedure di verifica di assoggettabilita' a VIA, di VIA e di VAS sono definite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze».

2. Il presente articolo deve intendersi costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non preveda un adeguato coinvolgimento delle regioni, nella fase di approvazione del decreto ministeriale, con il quale si dispongono le modalita' di determinazione delle tariffe per la copertura dei costi istruttori, con lesione delle potesta' organizzative delle regioni e in violazione dell'art. 5, dell'art. 117 e dell'art. 120 della Costituzione, stante il mancato preventivo confronto con le autorita' competenti in materia di VIA.

Anche nel caso di specie, il rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione, avrebbe imposto al Governo di individuare un forma di coordinamento con le regioni, in modo da salvaguardare l'unitarieta' dei processi decisionali, la trasparenza, la celerita', l'efficacia e l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili (Corte cost. 19 luglio 2005, n. 285).

3. Anche rispetto a tale previsione, dunque, assume rilievo decisivo la mancanza di un adeguato riconoscimento e, in definitiva, di una leale collaborazione del legislatore statale. Ed invero, avendo riguardo agli interessi implicati e alla peculiare rilevanza di quelli connessi all'ambito materiale rimesso alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, non possono dirsi adeguatamente attuate dal parere della Conferenza, atteso che le proposte emendative ivi contenute sono state disattese.

V. Illegittimita' costituzionale degli articoli 22, commi 1-4, e 26, comma 1 lettera a) del decreto legislativo n. 104/2017 per violazione degli articoli 5, 76,117,118 e 120 Cost.

1. L'art. 22, commi da 1 a 4, ed art. 26, comma 1, lettera a) introducono modifiche agli allegati della Parte II del decreto legislativo n. 152/2006.

In particolare, all'esito della revisione delle modifiche introdotte con il decreto legislativo emerge come siano state sottratte alle regioni un considerevole numero di tipologie progettuali (riguardanti materie di potesta' legislativa anche regionale) attribuite alla competenza amministrativa dello Stato.

2. Gia' in sede di parere sul testo delle schema la Conferenza permanente ha segnalato che l'attrazione nella sfera di competenza dello Stato della valutazione di impatto ambientale di progetti ed infrastrutture che erano in precedenza svolte in sede regionale (o delle province autonome) configura una centralizzazione delle competenze che, sotto le spoglie di una pretesa semplificazione, si traduce in una violazione delle prerogative riconosciute alle autonomie locali.

3. Sotto altro profilo, la sottrazione da parte dello Stato di competenze a danno delle regioni e delle province autonome registra una inversione di tendenza rispetto ai precedenti interventi normativi sul codice dell'ambiente del 2008 e del 2010 che avevano invece ampliato l'ambito di applicazione della VIA regionale (includendo la possibilita' che fosse riconosciuta la competenza regionale anche al di la' del criterio dimensionale sull'estensione degli impatti).

Ne discende che non e' evidentemente coerente con i principi di semplificazione e sussidiarieta', al quale si ispira la direttiva e l'intervento riformatore del Governo, la scelta di trasferire allo Stato le decisioni riguardanti progetti concernenti la protezione civile (cfr. supra par. I) ovvero sulla valutazioni di progetti ed infrastrutture (es. inter alia impianti eolici, acquedotti, strade extraurbane, piccoli porti).

La soluzione di trasferire al livello statale molte categorie di opere non tiene neanche in debita considerazione i criteri generali che dovrebbero dettare l'attuazione del diritto europeo cosi' come previsti dalla legge n. 234/2012 laddove prevede espressamente che «quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di piu' amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le piu' opportune forme di coordinamento, rispettando i principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarieta' dei processi decisionali, la trasparenza, la celerita', l'efficacia e l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili (art. 31, comma 1 lettera g).

4. Ne consegue, una violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, laddove viene compromesso l'esercizio della potesta' legislativa regionale in correlate materie concorrenti, nonche' dell'art. 118, in quanto vengono ridimensionate le competenze amministrative regionali e quelle a suo tempo conferite, per categorie di progetti, dalla stessa regione agli enti locali, prescindendo da valutazioni sull'adeguatezza del livello istituzionale coinvolto, con patente violazione del principio di leale collaborazione (art. 5 ed art. 120 della Costituzione).

5. La disposizione censurata viola inoltre l'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega. La legge delega invero non contempla espressamente la revisione del riparto delle potesta' legislative ed amministrative tra Stato e regioni, limitandosi a richiamare l'esigenza di regolare aspetti procedurali in materia di VIA per una semplificazione e armonizzazione della disciplina.

Si prefigura, pertanto, una compressione del potere legislativo regionale, attuata, tra l'altro, in assenza di necessaria intesa con le stesse regioni.

VI. Illegittimita' costituzionale dell'art. 27 del decreto legislativo n. 104/2017 per violazione dell'art. 76 e 81 Cost.

1. L'art. 27 del decreto legislativo ha previsto che «dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

Conviene osservare che la cosiddetta «clausola di invarianza finanziaria» appaia nella fattispecie palesemente aleatoria, atteso che le modifiche alle procedure di Valutazione di impatto ambientale apportate implicano nuovi oneri a carico dell'autorita' competente per effetto degli ulteriori adempimenti procedurali previsti, con presumibili esigenze di risorse aggiuntive.

La giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha piu' volte precisato che la copertura di nuove spese «deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri» (cfr. Corte cost. n. 131 del 2012).

2. Ne deriva che, anche la disposizione di cui all'art. 27 viola i principi ed i criteri direttivi della legge delega, atteso che si pone in contrasto con l'art. 1, comma 4, della succitata norma, la quale testualmente recita «Eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attivita' ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonche' alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi gia' assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'art. 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183».

 

P. Q. M.  

La Regione Calabria, come in atti rappresentata e difesa, ai sensi dell'art. 127 Cost., chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale:   dell'art. 3, comma 1, lettera g) del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, per violazione degli articoli 3, 5, 32, 76, 117, 118 e 120 Cost.;   dell'art. 5 decreto legislativo n. 104/2017 per violazione degli articoli 3, 5, 32, 76, 117, 118 e 120 Cost.;   dell'art. 16, comma 1 e comma 2, del decreto legislativo n.

104/2017 per violazione degli articoli 5, 76, 117, 118 e 120 Cost.;   dell'art. 21 decreto legislativo n. 104/2017 per violazione degli articoli 5, 76, 117, 118 e 120 Cost.;   degli articoli 22, commi 1-4, e 26, comma 1 lettera a) del decreto legislativo n. 104/2017 per violazione degli articoli 5, 76, 117, 118 e 120 Cost.;   dell'art. 27 del decreto legislativo n. 104/2017 per violazione dell'art. 76 e 81 Cost.

Si produrranno, all'atto della costituzione in giudizio, gli atti ed i documenti specificati nel presente atto e comunque elencati nell'indice del fascicolo di parte.

Catanzaro-Roma, 4 settembre 2017    Avv. Greco - Prof. Avv. Police