RICORSO N. 68 DEL 8 SETTEMBRE 2017 (DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO)

Ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato in cancelleria il 8 settembre 2017.

(GU n. 43 del 25.10.2017)

Ricorso della Provincia Autonoma di Trento (codice fiscale n.

00337460224), in persona del presidente pro tempore Ugo Rossi, autorizzato dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 1372 del 25 agosto 2017 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale del 31 agosto 2017, n. 28405 di repertorio (doc. 2) rogata dal dott. Guido Baldessarelli, Ufficiale rogante della provincia autonoma, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (codice fiscale FLCGDM45C06L736E, PEC giandomenico.falcon@ ordineavvocatipadova.it) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (codice fiscale PDRNCL56R01G428C, PEC nicolo.pedrazzoli@pectrentoavvocati.it) dell'Avvocatura della Provincia di Trento e dall'avv. Luigi Manzi (codice fiscale MNZLGU34E15H501Y, Pec luigimanzi@ordineavvocatiroma.org) di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di questi in via Confalonieri, n. 5, telefax per comunicazioni 06/3211370, contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, «Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114», nella sua interezza e in particolare delle seguenti disposizioni:  art. 5, comma 1, in relazione ai commi 2, 3, 7, 8 e 9, del nuovo art. 7-bis, introdotto nel decreto legislativo n. 152 del 2006, se ed in quanto riferibili alle Province autonome;  art. 8, che sostituisce l'art. 19 del decreto legislativo n. 152 del 2006, se ed in quanto questo sia riferibile alle Province autonome;  art. 16, comma 1, che sostituisce l'art. 27 del decreto legislativo n. 152 del 2006;  art. 16 comma 2, che introduce l'art. 27-bis nel decreto legislativo n. 152 del 2006, se ed in quanto riferibile alle Province autonome;   art. 22, che modifica gli allegati alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, in relazione ai commi 1, 2, 3 e 4, se riferibili alle Province autonome;   art. 23, comma 4;   art. 24, che modifica l'art. 14 della legge n. 241 del 1990, se riferibile alle Province autonome;   art. 26, comma 1, lettera a), in quanto le abrogazioni che esso reca negli allegati III e IV della parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 siano riferibili anche alle province autonome;     per violazione     degli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione, anche in riferimento alla violazione degli articoli 31, 32, e 41 della legge n. 234 del 2012 e alla violazione della legge 9 luglio 2015, n. 114, e in particolare quanto all'oggetto della delega, e ai principi e criteri direttivi, nonche' alle procedure previste dall'art. 1, comma 1;   dell'art. 8 (in particolare n. 1, n. 3, n. 5, n. 6, n. 11, n. 13, n. 16, n. 17, n. 18, n. 20 e n. 21), dell'art. 9 (in particolare n.

3, n. 9 e n. 10) e dell'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale), nonche' delle relative norme di attuazione;   del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare degli articoli 2 e 4;   del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n.

526, in particolare degli articoli 7 e 8;   del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n.

381, in particolare dell'art. 19-bis;   dell'art. 3, in combinato disposto con l'art. 97, dell'art. 117, primo comma, terzo comma, quarto comma, quinto e sesto comma, dell'art. 118 e dell'art. 120 della Costituzione, anche in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.

3; del principio di leale collaborazione.

Fatto  

Nella Gazzetta Ufficiale del 6 luglio 2017, n. 156, e' stato pubblicato il decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, recante «Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114», che modifica diverse disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale».

Ovviamente la Provincia autonoma di Trento, che pure ha diretto potere e dovere, in relazione alle proprie competenze, di attuare le direttive dell'Unione europea, non ha nulla da obiettare a che lo Stato compia tempestivamente o gia' in ritardo (come per vero anche in questo caso) il proprio dovere attuativo.

Il fatto e', tuttavia, che al di fuori di qualunque criterio o principio di delega il Governo ha utilizzato l'occasione offerta dall'emanazione del decreto delegato per compiere, in relazione alle Regioni e, ove cosi' debba essere inteso, alla ricorrente provincia, un'operazione di drastica riduzione delle loro competenze sotto due distinti profili.

Da una parte, il decreto legislativo sposta una rilevantissima serie di procedure di valutazione di impatto ambientale dalla competenza regionale (o, nel nostro caso, provinciale) alla competenza statale. Si noti che, benche' si parli di «valutazione di impatto ambientale», tali procedure comprendono in realta' in pratica tutte le autorizzazioni connesse all'opera pubblica (comprese, ad esempio, quelle agli scarichi, al vincolo idrogeologico, paesaggistica, ecc.): si tratta dunque di un'enorme quantita' di competenze della ricorrente provincia che verrebbero assorbite nella procedura di VIA statale e dunque nella decisione ultima degli organi statali.

Dall'altra parte, anche per le residue opere lasciate alla competenza della VIA regionale (in questo caso, provinciale), la liberta' della provincia autonoma di conservare la propria disciplina viene praticamente ridotta a profili marginali, stante il vincolo che viene posto a seguire il modello procedimentale statale, reso semmai ancor piu' rigido dal nuovo art. 27-bis del decreto legislativo n.

152 del 2006.

Inoltre, neppure vengono rispettate le pur consolidate regole che riguardano il rapporto tra ordinamento statale e ordinamento delle Province autonome, poste dalle norme di attuazione dello Statuto di cui al decreto legislativo n. 266 del 1992.

Tutte queste censure verranno svolte nel presente ricorso con la necessaria analiticita': premeva tuttavia chiarirne sin dall'inizio il senso e le ragioni generali.

Stante la complessita' delle disposizioni oggetto della presente impugnazione, l'illustrazione delle diverse norme sara' compiuta in relazione ai singoli motivi di impugnazione, mentre qui di seguito si sintetizza la struttura complessiva del ricorso.

Esso solleva, nel primo gruppo di motivi di censura (A), i vizi di legittimita' costituzionale che colpiscono l'intero decreto legislativo, per violazione del termine di esercizio della delega (motivo I) e per violazione e per abuso del procedimento previsto dalla delega, con l'effetto che l'atto risulta comunque tardivamente emanato (motivo II), nonche' i vizi che si riferiscono specificamente alle norme del decreto legislativo che hanno radicalmente alterato il consolidato assetto di competenze in materia di VIA, in assenza di principi e criteri direttivi in tal senso nella delega ed anzi in contrasto con questi (motivo III).

Un secondo gruppo di censure, raccolte nella sezione B del ricorso, deduce la legittimita' costituzionale delle disposizioni che pretendono di conformare di procedimenti amministrativi provinciali in materia di VIA secondo il rigido modello statale, ignorando - oltre ai principi della delega e le regole sul rapporto tra fonti statali e fonti provinciali - la competenza generale della provincia sull'organizzazione dei propri procedimenti amministrativi e le competenze settoriali della stessa, comprensive della cura degli interessi ambientali, nonche' il potere della provincia di dare attuazione alle direttive europee.

In questa sezione sono quindi impugnate le norme contenute nell'art. 5, comma 1, in relazione ai commi 7, 8 e 9, del nuovo art.

7-bis, introdotto nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (motivo IV) e l'art. 23, comma 4 (motivo V) che impongono doveri di adeguamento incompatibili, sotto il profilo procedurale e sostanziale, con lo statuto di autonomia della Province autonome, come conformato anche dalle norme di attuazione e in particolare dal decreto legislativo n.

266 del 1992.

Nella medesima sezione sono poi articolate le censure portate contro le norme richiamate da quelle che impongono il contestato dovere di adeguamento, in quanto si tratta di norme irragionevolmente analitiche, non giustificate dalla finalita' della delega e lesive delle competenze provinciali (motivo VI).

Infine, l'ultima sezione (C) contiene le censure svolte nel motivo VII contro l'art. 16, comma 1, che novella l'art. 27 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che regola il provvedimento unico in materia ambientale di competenza statale con secondo lo schema della conferenza di servizi con modalita' sincrona, senza pero' tenere conto della specifica posizione degli enti ad autonomia costituzionale e senza garantire in modo adeguato la loro partecipazione, cosi' ledendo le competenze materiali della provincia assorbite dal provvedimento unico.

La Provincia autonoma sottolinea fin d'ora che essa ritiene di essere legittimata a far valere anche l'ultima censura sopra riassunta e articolata nel motivo VII, nonche' i vizi del decreto legislativo (tardivita', eccesso di delega) sostanziati dalla violazione di parametri estranei al riparto di competenze tra Stato ed autonomie, e le altre censure che invocano parametri extra Statuto e extra titolo V.

La ricorrente osserva, infatti, che le norme recate dall'atto normativo impugnato - le quali vanno denunciate, in ogni caso, come temporalmente e proceduralmente (motivi I e II), nonche' sostanzialmente (motivo III) fuori delega, oltre che irragionevoli e sproporzionate (motivo VI) o comunque lesive (VII) - incidono su diverse competenze provinciali.

A titolo di esempio, e rinviando ai successivi motivi da III a VII per l'ulteriore illustrazione della incidenza delle disposizioni oggetto di specifiche censure, si osserva che il decreto legislativo impugnato interviene in vasti ambiti di materia che lo Statuto speciale o l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in combinazione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, attribuiscono alla potesta' legislativa e regolamentare delle Province autonome.

Lo Statuto, infatti, attribuisce alle province autonome in via esclusiva la potesta' legislativa e la correlativa potesta' amministrativa (art. 16 St.), in un'ampia gamma di materie quali «tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare» (art. 8, n. 3, St.), «urbanistica e piani regolatori» (art. 8, n. 5, St.), «tutela del paesaggio» (art. 8, n. 6, St.), «porti lacuali» (art. 8, n. 11, St.), «opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali» ed in altri termini, «protezione civile» (art. 8, n. 13, St.), «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna» (art. 8, n. 16, St.), «viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» (art. 8, n. 17, St.), «comunicazioni e trasporti di interesse provinciale» (art. 8, n. 18, St.), «turismo e industria alberghiera» (art. 8, n. 20, St.), «agricoltura, foreste e corpo forestale» (art. 8, n. 21, St.), «artigianato» (art. 8, n. 9, St.), «commercio» (art. 9, n. 3, St., e art. 117, quarto comma, Cost., combinato con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001), nonche', in via concorrente, nella materia della «igiene e sanita'» (art. 9, n. 10 St.), ed ora «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001), e, ancora, nella materia della «utilizzazione delle acque pubbliche» (art. 9, n. 9, St.).

La Provincia autonoma di Trento osserva che essa ha gia' provveduto a disciplinare, nell'esercizio effettivo delle potesta' statutarie ad essa attribuite nelle varie materie sopra individuate, anche la valutazione d'impatto ambientale, con la legge provinciale 17 settembre 2013, n. 19, recante «Disciplina provinciale della valutazione dell'impatto ambientale. Modificazioni della legislazione in materia di ambiente e territorio e della legge provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie)» e con il regolamento di esecuzione emanato con decreto del Presidente della Provincia 20 luglio 2015, n.

9-23/Leg. La l. p. n. 19 del 2013 e' stata da ultimo modificata con la l. p. n. 11 del 2016 e integrata con la deliberazione della Giunta provinciale del 27 gennaio 2017, n. 96.

Diritto  

A. Censure relative al rapporto tra la legge di delega e il decreto legislativo delegato.

Un primo gruppo di tre censure si riferisce al rapporto tra la legge di delega e il decreto legislativo delegato. Le prime due sono radicali e investono, in realta', l'intero decreto legislativo, in quanto tardivo ed emanato con violazione e abuso del procedimento previsto dalla delega. La terza si riferisce specificamente alle parti del decreto legislativo che - in assenza di indirizzi di delega, e anzi in contrasto con essi - sconvolgono il riparto di competenze tra lo Stato e le regioni.

I. Illegittimita' costituzionale dell'intero decreto legislativo, per tardivita' dell'esercizio della delega, con violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.

La Provincia autonoma ritiene che il decreto legislativo sia stato emanato tardivamente rispetto al termine di esercizio della delega e che quindi esso sia illegittimo per contrasto con l'art. 76 Cost. (in quanto e' stato violato il termine prescritto dalla legge di delegazione), e con l'art. 77, primo comma, Cost. (in quanto l'adozione del decreto legislativo a termine scaduto costituisce violazione del divieto per il Governo di adottare atti con forza di legge senza delegazione delle Camere, salvi i casi straordinari di necessita' e di urgenza che autorizzano l'adozione di decreti legge).

L'assunto e' fondato in base alle argomentazioni che seguono.

La formula di emanazione del decreto legislativo dichiara che l'atto e' stato emanato dal Presidente della Repubblica il giorno 16 giugno 2017, ed e alla data di emanazione che si deve far capo per verificare la tempestivita' dell'esercizio della delega, come risulta dall'art. 14, comma 2, della legge n. 400 del 1988 - a mente del quale «l'emanazione del decreto legislativo deve avvenire entro il termine fissato dalla legge di delegazione» - e prima ancora dal costante insegnamento di codesta Corte costituzionale, come risulta dalla sentenza n. 91 del 1962, ove gia' si osserva che «questa Corte ha gia' dato risposta piu' di una volta nel senso che il dies ad quem per l'esercizio, da parte del Governo, delle deleghe legislative conferitegli dal Parlamento ai sensi dell'art. 76 della Costituzione e' quello della emanazione» (in senso conforme si vedano anche le successive sentenze nn. 39 del 1959 e 34 del 1960, nonche' la sentenza n. 184 del 1981). Nel presente caso peraltro, il decreto sarebbe tardivo, ad avviso della ricorrente Provincia autonoma, anche se si guardasse alla deliberazione del decreto da parte del Consiglio dei ministri, avvenuta nella riunione del 9 giugno 2017, come si legge nel preambolo del decreto.

Il termine per l'esercizio della delega, fissato dall'art. 1, comma 2, della legge 9 luglio 2015, n. 114 «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2014», deve infatti ritenersi scaduto in data il 16 gennaio 2017.

A tale conclusione deve pervenirsi in quanto tale disposizione della legge di delegazione non individua essa stessa il termine per l'esercizio della delega, ma lo definisce per relationem, stabilendo che «i termini per l'esercizio delle deleghe di cui al comma 1 sono individuati ai sensi dell'art. 31, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234». E il disposto richiamato, a sua volta, prescrive che «in relazione alle deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive, il Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive».

Ora, se si considera che l'art. 2 della direttiva 2014/52/UE fissa il termine per il proprio recepimento al 16 maggio 2017, la delega e' scaduta quattro mesi prima di tale data e dunque al 16 gennaio 2017.

La tardivita' dell'emanazione (e dell'adozione) del decreto legislativo e' dipesa, verosimilmente, dal fatto che il Governo ha calcolato il termine di esercizio della delega basandosi sul vecchio testo dell'art. 31, comma l, della legge n. 231 del 2012 (che fissava il termine nei «due mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive»), senza considerare che il testo e' stato nel frattempo modificato dall'art. 29, comma 1, lett. b) della legge 29 luglio 2015, n. 115, «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - legge europea 2014», il quale ha rideterminato i termini per le deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive - e dunque anche il termine per l'esercizio della delega conferito dalla legge n. 114 del 2015 - fissandolo in «quattro mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive».

Ne' varrebbe affermare che al momento della entrata in vigore della legge di delega n. 114 del 2015 la modifica dell'art. 31 della legge n. 234 del 2012 non era ancora vigente, e che dunque debba applicarsi la normativa di rinvio nel vecchio testo, senza che sia rilevante la modifica subito dopo deliberata dal Parlamento.

Un simile argomento e' smentito dal fatto che il rinvio operato dall'art. 1, comma 2, della legge di delegazione n. 114 del 2015 secondo il quale «i termini per l'esercizio delle deleghe di cui al comma 1 sono individuati ai sensi dell'art. 31, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234», non puo' che intendersi, unitamente a tutti gli altri numerosi rinvii alla stessa fonte contenuti nella legge di delega, in modo unitario e inscindibile, che come un rinvio alla fonte, comprensivo di tutte le eventuali successive modifiche che tale fonte dovesse includere.

Cosi', solo per individuare un altro fondamentale rinvio operato dalla legge n. 114 del 2015, si ricordera', ai sensi dell'art. 1, comma 1, i principi e i criteri direttivi da seguire nell'esercizio della delega sono quelli «di cui agli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234»: e certo nessuno vorra' dubitare che ove medio tempore fossero intervenuti mutamenti in tali indirizzi il legislatore delegato avrebbe dovuto seguire i nuovi, e che sarebbe stato completamente illegittimo rifarsi ai precedenti non piu' vigenti.

Del resto, anche in altri contesti codesta ecc.ma Corte costituzionale ha avuto occasione di sottolineare che il rinvio si presume formale e mobile, anziche' materiale o recettizio, e si ribadisce che «il rinvio recettizio e' ravvisabile solo se la volonta' del legislatore di recepire mediante rinvio sia espressa oppure sia desumibile da elementi univoci e concludenti» (cosi' la sentenza n. 258 del 2014, al punto 8): indirizzo che e' coerente, del resto, con l'idea che l'ordinamento giuridico sia un insieme di norme che ordinatamente si evolve, tanto che il Governo, nell'esercizio delle delega puo' e deve «tenere in considerazione i mutamenti del quadro normativo, entro cui viene a collocarsi la legislazione delegata» (cosi Corte cost., sentenza n. 219 del 2013, punto 14.1).

Dunque, dovendosi tenere conto dell'anticipo del termine ai quattro mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive introdotto dall'art. 29, comma 1, lett. b) della legge 29 luglio 2015, n. 115, il termine per l'esercizio della delega e' venuto a scadenza, come sopra esposto, il 16 gennaio 2017.

Del resto, anche ove, differenziando senza alcun appiglio testuale i diversi rinvii, si volesse intendere come recettizio proprio e solo il rinvio ai termini «individuati ai sensi dell'art.

31, comma 1», il termine per l'esercizio della delega sarebbe comunque scaduto al 16 marzo 2017, dal momento che il carattere «secco» e recettizio del rinvio al comma 1 escluderebbe, per la stessa ragione, di ammettere la possibilita' di proroga prevista dal successivo comma 3 dello stesso art. 31. Cosi', il fatto che il Governo abbia preteso - peraltro in sostanziale abuso della legge, come si argomentera' nel motivo II di ricorso - di giovarsi della proroga del termine previsto dal comma 3, significa che lo stesso Consiglio dei ministri ha interpretato il rinvio come un rinvio dinamico, cioe' come un rinvio alla fonte e non come un rinvio alla norma fissata una volta per tutte nel tempo.

In ogni modo, la conseguenza e' sempre la tardivita' dell'esercizio della delega, in violazione degli articoli 76 e 77 Cost.

Poiche' decreto delegato e', sotto i diversi profili argomentati nel presente ricorso, riduttivo delle competenze e delle prerogative della ricorrente Provincia autonoma, la violazione degli articoli indicati ridonda (nella misura e nei limiti in cui questo accade) in lesione dell'autonomia provinciale. In proposito, con specifico riferimento al rapporto tra delega e decreto legislativo delegato, si veda a conferma, tra le molte, la sentenza n. 219 del 2013, al punto 11, in cui e' affermata l'ammissibilita' delle «questioni di carattere generale sollevate con riferimento all'art. 76 della Costituzione, e che investono i presupposti stessi della decretazione delegata», stante la diretta incidenza delle norme impugnate sull'autonomia costituzionalmente riconosciuta alle Regioni, «sicche' e' palese, oltre che congruamente motivata, la ridondanza delle violazioni prospettate sulla sfera di competenza propria del sistema regionale», oppure, nello stesso senso, la sentenza n. 303 del 2003, al punto 35).

Di qui la legittimazione a far valere il vizio sopra indicato.

II. In subordine: illegittimita' dell'intero decreto legislativo, per violazione delle procedure stabilite dall'art. 1, commi 1 e 3, nonche' dall'art. 31, comma 3. Conseguente violazione dell'art. 76 Cost. e dell'art. 117, primo comma, Cost. In subordine, violazione del principio di leale collaborazione.

Al punto precedente si e' evidenziato come, sia che si consideri il rinvio che l'art. l, comma 2, della legge di delegazione n. 114 del 2015 all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 come di carattere formale (e dunque dovendosi considerare le successive modifiche secondo la tesi che ad avviso della ricorrente Provincia e' corretta), sia che lo si consideri di carattere recettizio al testo della norma vigente alla data di entrata in vigore della legge di delegazione e dunque considerando il termine per la delega fissato in due mesi antecedenti alla scadenza della direttiva, ai sensi del testo originario dell'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il decreto legislativo e' in ogni caso illegittimo per tardivita', con violazione sia dell'art. 76 che dell'art. 77, primo comma, Cost.

Per ritenere emanato entro il termine il decreto legislativo n.

104 del 2017, infatti, non basta affermare, in base ad un asserito carattere recettizio del rinvio, che sarebbe irrilevante l'anticipazione di esso introdotta dall'art. 29, comma 1, lett. b) della legge 29 luglio 2015, n. 115, ma occorre anche affermare che, nonostante il contestualmente asserito carattere recettizio del rinvio, esso si rivolge non solo - come e' - al comma 1 della legge n. 234 del 2012, ma anche al comma 3, che in determinati casi ne consente la proroga.

Solo in questo caso, infatti, l'emanazione del decreto legislativo n. 104 del 2017 risulterebbe - ma solo prima facie - tempestiva, in forza della proroga prevista da tale comma.

Sennonche', come detto, l'estensione del rinvio al comma 3 dell'art.

31 risulta contraria al suo tenore letterale e in contraddizione con la supposta sua natura recettizia.

Anche in tale ipotesi, tuttavia, l'emanazione del decreto sarebbe affetta da un vizio di procedura che ne determina l'illegittimita' sotto il profilo, per cosi' dire, di abuso del procedimento e per violazione della delega sotto un diverso aspetto.

In subordine, pertanto, la Provincia autonoma svolge il presente motivo di impugnazione.

La ricorrente osserva che, interpretando il rinvio dell'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 come rinvio fisso il termine per l'esercizio della delega il termine sarebbe stato destinato a scadere nei due mesi antecedenti il termine previsto per il recepimento, cioe' il 16 marzo 2017.

L'ultimo giorno utile per l'esercizio della delega, e dunque il giorno entro il quale il decreto legislativo avrebbe dovuto essere emanato, il Governo - palesemente in ritardo - ha trasmesso lo schema di decreto alle competenti commissioni parlamentari (atto del governo sottoposto a parere parlamentare n. 401 reca la dicitura «trasmesso alla Presidenza il 16 marzo 2017») evidentemente al fine di far scattare il meccanismo di proroga di cui all'art. 31, comma 3, terzo periodo, della legge n. 234 del 2012, ove e' stabilito che «qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi».

Cosi' facendo, tuttavia, esso ha violato la legge di delega sotto un diverso profilo.

Infatti, l'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive elencate nell'allegato B - e dunque anche quello di attuazione della direttiva 2014/52/UE che e' indicata al n. 28) dell'allegato B - «sono trasmessi, dopo l 'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinche' su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari».

Analogamente, l'art. 31, comma 3, al primo periodo, stabilisce che la legge di delegazione europea indica le direttive in relazione alle quali sugli schemi dei decreti legislativi di recepimento e' acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; al secondo periodo, aggiunge che «in tal caso gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinche' su di essi sia espresso il parere delle competenti Commissioni parlamentari».

In quel momento, dunque, il Governo, che non lo aveva ancora fatto, avrebbe dovuto provvedere ad acquisire il parere non delle Commissioni parlamentari, ma, in particolare, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, previsto come obbligatorio dall'art.

2, comma 3, del decreto legislativo n. 281 del 1997, ai sensi del quale «la Conferenza Stato-regioni obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano che si pronunzia entro venti giorni». Alla Conferenza Stato-regioni, infatti, lo schema di decreto legislativo e' stato trasmesso per il prescritto parere soltanto lo stesso 16 marzo 2017, con nota n. 3736 del Dipartimento affari generali e legislativi della Presidenza del Consiglio (come si legge nella premessa parere della Conferenza Stato Regioni n. 61/CSR del 4 maggio 2017).

In quel momento, dunque, esso non poteva essere trasmesso alle Commissioni parlamentari, non essendo stati ancora acquisiti - e in sostanza neppure richiesti - i previ pareri necessari. Dunque, tale trasmissione e' avvenuta in violazione delle procedure prescritte sia dall'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015, sia dell'art. 31, della legge n. 232 del 2012, la cui osservanza e' prescritta dall'art. 1, comma 1, della legge di delegazione.

Tale inversione dell'ordine dei pareri costituisce anzitutto una diretta violazione della legge di delega n. 114 del 2015 - dell'art.

1, comma 1, combinazione con il comma 3, e con l'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012 - e segnatamente di uno specifico limite che il Parlamento ha prescritto in via generale nella legge n. 232 del 2012 ed ha voluto puntualmente ribadire nella legge di delega per l'attuazione della direttiva 2014/52/U.E.

In secondo luogo, e' evidente che tale inversione non ha carattere accidentale, ma e' meramente strumentale al fine di ottenere, in violazione della legge di delega, la proroga del termine in scadenza, eludendo sia il termine perentorio per l'esercizio della delega sia il termine per il recepimento della direttiva, fissato al 16 maggio 2017, con violazione, sotto questo profilo, dello stesso art. 117, primo comma, Cost.

In sostanza, il Governo si e' autoprorogato il termine, non nelle circostanze previste dalla legge di delega (mancanza del solo parere delle Commissioni parlamentari, dopo che gli altri erano stati acquisiti), ma come mera copertura del proprio ritardo: ed e' davvero ovvio escludere che cio' sia consentito (del resto sin dalla sentenza n. 163 del 1963 codesta ecc.ma Corte ha espressamente escluso che il termine sia «prolungabile ad arbitrio dell'organo cui e' affidato l'esercizio stesso»).

Sembra invece evidente che cio' costituisce violazione delle procedure previste dalla legge di delega, e che cio' si traduce in violazione dell'art. 76 Cost.

In questa situazione, dato il carattere illegittimo ed elusivo delle procedure seguite, neppure puo' considerarsi rispettato il termine per l'esercizio della delega, con ulteriore profilo di tardivita' dell'emanazione.

L'evidenza dei vizi sopra denunciati consente di proporre solo in ulteriore subordine l'ulteriore censura di violazione del principio costituzionale di leale collaborazione, sancito anche dall'art. 120, secondo comma, Cost., realizzata mediante la stessa inversione dell'ordine dei pareri.

Cio' consente comunque di osservare che tutte le violazioni sopra indicate ridondano in lesione delle prerogative costituzionali della ricorrente Provincia, non solo in relazione al contenuto lesivo del decreto legislativo, gia' sopra evidenziato, ma anche in relazione all'omissione della previa acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Essa ha un sicuro riflesso sulle attribuzioni costituzionali degli enti autonomi e quindi su quelle Provincia autonoma di Trento incise dal decreto legislativo, perche' impedisce alle Camere di prendere cognizione della posizione delle regioni e delle province autonome e di esprimersi sulle loro osservazioni. Tale vizio, quindi, e' ex se lesivo delle prerogative della Provincia ricorrente incise dal decreto legislativo, perche' la regola per cui i pareri delle commissioni parlamentari sono acquisti dopo quello della Conferenza Stato-Regioni e' posta anche a presidio delle attribuzioni degli enti autonomi. Non e' quindi dubbio che la ricorrente sia legittimata a fare valere tale violazione.

III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, che introduce nel decreto legislativo n. 152 del 2006 il nuovo art.

7-bis, in relazione ai commi 2 e 3 di questo, dell'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, e dell'art. 26, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 104 del 2017, tutti se ed in quanto applicabili alle Province autonome.

a. Oggetto e ragione dell'impugnazione.

La Provincia autonoma di Trento impugna l'art. 5, comma 1, che introduce l'art. 7-bis nel decreto legislativo n. 152 del 2006, in relazione:   al comma 2, nella parte in cui esso individua i progetti sottoposti a VIA in sede statale con rinvio all'allegato II alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 e quelli sottoposti a verifica di assoggettabilita' a VIA con rinvio all'allegato II-bis alla parte seconda dello stesso decreto;   al comma 3, nella parte in cui esso individua i progetti sottoposti a VIA in sede regionale con rinvio all'allegato III del decreto legislativo e quelli sottoposti a verifica di assoggettabilita' a VIA in sede regionale con rinvio all'allegato IV alla parte seconda del decreto.

Contestualmente la Provincia autonoma impugna anche l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, che intervengono sul decreto legislativo n. 152 del 2006 modificandone gli allegati II (incrementando le competenze dello Stato in materia di VIA: comma 1), introducono l'allegato II-bis (che elenca i progetti soggetti alla verifica di assoggettabilita' ambientale di competenza statale: comma 2) e riducono le competenze degli enti autonomi in materia di VIA (allegato III: comma 3) e di verifica di assoggettabilita' a VIA (allegato IV: comma 4), e simmetricamente l'art. 26, comma 1, lett.

a) del decreto legislativo, nella parte in cui dispone le corrispondenti abrogazioni nell'allegato III e nell'allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006.

Per effetto di tali disposizioni una lunga serie di funzioni gia' di competenza provinciale - anche per statuto, come si dira' subito - sono state avocate alla competenza dello Stato. Tali disposizioni sono impugnate nell'ipotesi che le norme da esse introdotte - che non menzionano espressamente le Province autonome - debbano intendersi come applicabili anche alla Provincia autonoma di Trento.

In ordine a questo punto, si osserva che il decreto legislativo n. 104 del 2017 non contiene alcuna clausola di salvaguardia delle competenze delle autonomie speciali, nonostante la richiesta in tal senso formulata dalla Conferenza delle Regioni e recepita dalla Conferenza Stato-regioni nel parere reso in data 4 maggio 2017 e nonostante i pareri delle Commissioni parlamentari che ugualmente hanno sollecitato il Governo ad inserire nel decreto la clausola di garanzia (la Commissione affari costituzionali della Camera ha ritenuto necessaria la richiesta al Governo per ottenere l'«inserimento nell'art. 23, comma 3, di una disposizione che, ferma restando la competenza statale, sia finalizzata a salvaguardare le condizioni di specialita' delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano»; la Commissione ambiente della stessa Camera dei deputati ha espresso parere favorevole condizionato, tra l'altro, all'inserimento del «seguente articolo: art. 28 (clausola di salvaguardia) - 1. Le disposizioni del presente decreto si applicano nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione»; analoghe richieste sono state espresse dalle Commissioni del Senato).

Tuttavia, le disposizioni qui impugnate operano con la tecnica della novella e modificano allegati III e IV della parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 che sono rispettivamente intitolati «Progetti di competenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano» e «Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano». Inoltre, il nuovo art. 7-bis, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006 introdotto sempre dall'art. 5, comma 1, qui impugnato, precisa che «in sede regionale, l'autorita' competente e' la pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle province autonome» e i successivi commi 7, 8 e 9 del medesimo art. 7-bis (oggetto di impugnazione nei successivi motivi IV e V) menzionano ancora le province.

Questi dati normativi lasciano supporre che le norme impugnate pretendano di applicarsi anche alla Provincia di Trento.

b. Trasferimenti di competenza specificamente individuati.

Fermo rimanendo che la Provincia contesta la legittimita' dell'intera operazione di spostamento di funzioni, si segnalano qui quelli che essa ha specificamente individuato. L'art. 5, comma 1, del decreto legislativo 104 del 2017 introduce l'art. 7-bis nel decreto legislativo n. 152 del 2006, stabilendo quanto segue:   "1. Dopo l'art. 7 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.

152, e' inserito il seguente:   «Art. 7-bis (Competenze in materia di VIA e di verifica di assoggettabilita' a VIA). - 1. La verifica di assoggettabilita' a VIA e la VIA vengono effettuate ai diversi livelli istituzionali, tenendo conto dell'esigenza di razionalizzare i procedimenti ed evitare duplicazioni nelle valutazioni.

2. Sono sottoposti a VIA in sede statale i progetti di cui all'allegato II alla parte seconda del presente decreto. Sono sottoposti a verifica di assoggettabilita' a VIA in sede statale i progetti di cui all'allegato II-bis alla parte seconda del presente decreto.

3. Sono sottoposti a VIA in sede regionale, i progetti di cui all'allegato III alla parte seconda del presente decreto. Sono sottoposti a verifica di assoggettabilita' a VIA in sede regionale i progetti di cui all'allegato IV alla parte seconda del presente decreto.

L'art. 22, comma 1, del decreto legislativo n. 104 del 2017 prevede infatti quanto segue (in corsivo le disposizioni che sono oggetto di specifica contestazione):   "1. All'allegato II alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:   a) al punto 2), sono aggiunti, infine, i seguenti sottopunti:   «impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 150 MW;   impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 30 MW.»;   b) al punto 4-bis) le parole: «facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale» sono abrogate;   c) il punto 7) e' sostituito dai seguenti:   «7) perforazione di pozzi finalizzati alla ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma e in mare;   7.1) coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, sulla terraferma e in mare, per un quantitativo estratto superiore a 500 tonnellate al giorno per il petrolio e a 500.000 m³ al giorno per il gas naturale;   7.2) rilievi geofisici attraverso l'uso della tecnica airgun o esplosivo.»;   d) il punto 7-quater) e' sostituito dal seguente:   «7-quater) impianti geotermici pilota di cui all'art. 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni, nonche' attivita' di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche in mare.»;   e) dopo il punto 7-quater e' inserito il seguente:   «7-quinquies) attivita' di ricerca e coltivazione delle seguenti sostanze minerali: minerali utilizzabili per l'estrazione di metalli, metalloidi e loro composti;   grafite, combustibili solidi, rocce asfaltiche e bituminose;   sostanze radioattive.»;   f) il punto 8 e' sostituito dal seguente:   «8) Stoccaggio:   di petrolio, prodotti chimici, prodotti petroliferi e prodotti petrolchimici con capacita' complessiva superiore a 40.000 m³;   superficiale di gas naturali con una capacita' complessiva superiore a 40.000 m³;   sotterraneo artificiale di gas combustibili in serbatoi con una capacita' complessiva superiore a 80.000 m³;   di prodotti di gas di petrolio liquefatto e di gas naturale liquefatto con capacita' complessiva superiore a 20.000 m³;   di prodotti combustibili solidi con capacita' complessiva superiore a 150.000 tonnellate.»;   g) il punto 9 e' sostituito dal seguente:   «9) Condutture di diametro superiore a 800 mm e di lunghezza superiore a 40 km per il trasporto di gas, petrolio e prodotti chimici e per il trasporto dei flussi di biossido di carbonio (CO²) ai fini dello stoccaggio geologico, comprese le relative stazioni di spinta»;   h) al punto 10), il secondo e terzo sottopunto sono sostituiti dai seguenti:   «autostrade e strade extraurbane principali;   strade extraurbane a quattro o piu' corsie o adeguamento di strade extraurbane esistenti a due corsie per renderle a quattro o piu' corsie, con una lunghezza ininterrotta di almeno 10 km;»;   i) al punto 11, primo periodo, dopo la parola «tonnellate» e' inserito il seguente periodo:   «, nonche' porti con funzione turistica e da diporto quando lo specchio d'acqua e' superiore a 10 ettari o le aree esterne interessate superano i 5 ettari oppure i moli sono di lunghezza superiore ai 500 metri»;   l) al punto 17-bis, dopo la parola: «allegato» sono inserite le seguenti: «e nell'allegato III al presente decreto».

2. Dopo l'allegato II alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e' inserito il seguente:   «Allegato II-Bis   Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilita' di competenza statale   1. Industria energetica ed estrattiva:   a) impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW;   b) installazioni di oleodotti e gasdotti e condutture per il trasporto di flussi di CO² ai fini dello stoccaggio geologico superiori a 20 km;   c) impianti per la cattura di flussi di CO² provenienti da impianti che non rientrano negli allegati II e III al presente decreto ai fini dello stoccaggio geologico a norma del decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 162, e successive modificazioni;   d) elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 3 Km.

2. Progetti di infrastrutture:   a) interporti, piattaforme intermodali e terminali intermodali;   b) porti e impianti portuali marittimi, fluviali e lacuali, compresi i porti con funzione peschereccia, vie navigabili;   c) strade extraurbane secondarie di interesse nazionale;   d) acquedotti con una lunghezza superiore ai 20 km;   e) aeroporti (progetti non compresi nell'allegato II);   f) porti con funzione turistica e da diporto, quando lo specchio d'acqua e' inferiore o uguale a 10 ettari, le aree esterne interessate non superano i 5 ettari e i moli sono di lunghezza inferiore o uguale a 500 metri;   g) coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, sulla terraferma e in mare, per un quantitativo estratto fino a 500 tonnellate al giorno per il petrolio e a 500.000 m³ al giorno per il gas naturale;   h) modifiche o estensioni di progetti di cui all'allegato II, o al presente allegato gia' autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli impatti ambientali significativi e negativi (modifica o estensione non inclusa nell'allegato II).»   3. All'allegato III alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:   a) il punto c-bis) e' sostituito dal seguente:   «c-bis) Impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 1 MW, qualora disposto all'esito della verifica di assoggettabilita' di cui all'art. 19»;   b) il punto af-bis) e' sostituito dal seguente:   «af-bis) strade urbane di scorrimento;   All'allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:   a) al punto 1, la lettera e), e' sostituita dalla seguente:   «e) impianti di piscicoltura intensiva per superficie complessiva oltre i 5 ettari;»;   b) il punto 2, e' sostituito dal seguente:   «2. Industria energetica ed estrattiva:   a) attivita' di ricerca sulla terraferma delle sostanze minerali di miniera di cui all'art. 2, comma 2, del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, ivi comprese le risorse geotermiche con esclusione degli impianti geotermici pilota di cui all'art. 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni, incluse le relative attivita' minerarie;   b) impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore ed acqua calda con potenza complessiva superiore a 1 MW;   c) impianti industriali per il trasporto del vapore e dell'acqua calda, che alimentano condotte con una lunghezza complessiva superiore ai 20 km;   d) impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 1 MW;   e) estrazione di sostanze minerali di miniera di cui all'art. 2, comma 2, del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, mediante dragaggio marino e fluviale;   f) agglomerazione industriale di carbon fossile e lignite;   g) impianti di superficie dell'industria di estrazione di carbon fossile e di minerali metallici nonche' di scisti bituminose;   h) impianti per la produzione di energia idroelettrica con potenza nominale di concessione superiore a 100 kW e, per i soli impianti idroelettrici che rientrano nella casistica di cui all'art.

166 del presente decreto ed all'art. 4, punto 3.b, lettera i), del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 6 luglio 2012, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 10 luglio 2012, con potenza nominale di concessione superiore a 250 kW;   i) impianti di gassificazione e liquefazione del carbone;»;   c) al punto 7 la lettera h) e' sostituita dalla seguente:   «h) strade extraurbane secondarie non comprese nell'allegato II-bis e strade urbane con lunghezza superiore a 1.500 metri non comprese nell'allegato III;».

Corrispondentemente, l'art. 26, comma 1, lett. a), stabilisce che dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le seguenti disposizioni:   a) il comma 2 dell'art. 4; i commi 3 e 4 dell'art. 7; i commi 1-bis, 1-ter e 2 dell'art. 10; i commi 1 e 2 dell'art. 34; il punto 4-ter dell'allegato II alla parte seconda; le lettere c), h), h-bis), l), z) ed ab) dell'allegato III alla parte seconda; i pun 7.e), 7.f), 7.g), 7.m), 7.p), 7.q) e 7.z) dell'allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

L'effetto combinato di tali disposizioni e' quello di avocare allo Stato la competenza sulla VIA e sulla verifica di assoggettabilita' a VIA in ordine a progetti che rientrano nella sicura competenza legislativa ed amministrativa (art. 16 dello Statuto) della Provincia autonoma ed in particolare quelli relativi a:   impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 150 MW;   impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 30 MW;   elettrodotti aerei per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 10 Km, che nella normativa previgente ricadevano nell'ambito di competenza statale solo se «facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale»;   stoccaggio di petrolio, prodotti chimici, prodotti petroliferi e prodotti petrolchimici con capacita' complessiva superiore a 40.000 m³;   sotterraneo artificiale di gas combustibili in serbatoi con una capacita' complessiva superiore a 80.000 m³;   strade extraurbane principali (definite dal Codice della strada all'art. 2); rientravano nell'ambito di competenza statale, anche nel testo previgente, le autostrade, nonche' le strade riservate alla circolazione automobilistica o tratti di esse, accessibili solo attraverso svincoli o intersezioni controllate e sulle quali sono vietati tra l'altro l'arresto e la sosta di autoveicoli e le strade a quattro o piu' corsie o raddrizzamento e/o allargamento di strade esistenti a due corsie al massimo per renderle a quattro o piu' corsie, sempre che la nuova strada o il tratto di strada raddrizzato e/o allargato abbia una lunghezza ininterrotta di almeno 10 km;   porti con funzione turistica e da diporto quando lo specchio d'acqua e' superiore a 10 ettari o le aree esterne interessate superano i 5 ettari oppure i moli sono di lunghezza superiore ai 500 metri;   tutti gli impianti per la cattura di flussi di CO², provenienti anche da impianti che nel testo previgente rientravano nell'allegato III e quindi nell'ambito di competenza regionale;   impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW;   installazioni di oleodotti e gasdotti e condutture per il trasporto di flussi di CO² ai fini dello stoccaggio geologico superiori a 20 km;   elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 3 Km;   interporti, piattaforme intermodali e terminali intermodali;   porti (non turistici) e impianti portuali marittimi, fluviali e lacuali, compresi i porti con funzione peschereccia, vie navigabili;   strade extraurbane secondarie (definite dal Codice della strada all'art. 2) «di interesse nazionale» (in precedenza, invece, tutte le strade extraurbane secondarie erano soggette a screening regionale e pertanto resterebbero alla competenza regionale quelle non qualificabili di «interesse nazionale»);   acquedotti con una lunghezza superiore ai 20 km;   aeroporti (progetti non compresi nell'allegato II);   porti con funzione turistica e da diporto, quando lo specchio d'acqua e' inferiore o uguale a 10 ettari, le aree esterne interessate non superano i 5 ettari e i moli sono di lunghezza inferiore o uguale a 500 metri;   modifiche o estensioni di progetti di cui agli allegati II e II-bis gia' autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli impatti ambientali significativi e negativi.

c. Impatto sulle competenze provinciali e profili di censura.

Trattasi di progetti che rientrano nelle materie di competenza della Provincia, quali   la produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, di competenza concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost., combinato con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, per quanto riguarda gli impianti di produzione della energia, gli elettrodotti, lo stoccaggio di combustibile;   i porti lacuali, di competenza primaria art. 8, n. 11), dello Statuto; e piu' in generale i porti, di competenza concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001: il turismo, di competenza primaria ex art. 8, n.

20), dello Statuto, o se piu' favorevole di competenza residuale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, per quanto riguarda i progetti in materia porti con funzione turistica e da diporto e di porti non turistici;   la «viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» e le «comunicazioni e trasporti di interesse provinciale», di potesta' primaria ai sensi dell'art. 8, numeri 17) e 18) dello statuto, per le strade extraurbane secondarie, le vie navigabili, gli interporti e piattaforme e terminali intermodali, gli acquedotti di lunghezza superiore ai 20 km;   le miniere e cave, ai sensi dell'art. 8, n. 14 per i progetti relativi alle attivita' estrattive;   gli aeroporti, di competenza concorrente ai sensi dell'art.

117, terzo comma, Cost., in combinazione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Tali progetti intersecano inoltre le competenze provinciali in materia di «urbanistica e piani regolatori» (art. 8, n. 5, dello Statuto) e di «tutela del paesaggio» (art. 8, n. 6, dello Statuto), e proprio per i profili che attengono alla VIA e alla verifica di assoggettabilita' a VIA, i titoli sui quali si radica la competenza della Provincia autonoma in materia di ambiente, e dunque, oltre alle materie appena citate quelle in punto di «opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali» (art. 8, n. 13, dello Statuto) - in altri termini di «protezione civile», di «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna» (art. 8, n. 16, dello Statuto), «agricoltura, foreste e corpo forestale» (art. 8, n.

21, dello Statuto) e di «igiene e sanita'» (art. 9, n. 10, dello Statuto), ora di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) e di «utilizzazione delle acque pubbliche» (art.

9, numero 9, dello Statuto).

Nell'ambito di queste materie, le competenze amministrative, e quindi anche quelle in materia di VIA e di verifica di assoggettabilita', sono di spettanza dalle province autonome, ai sensi dell'art. 16 dello Statuto (il comma 1 stabilisce infatti nelle materie e nei limiti entro cui la regione o la Provincia puo' emanare norme legislative, le relative potesta' amministrative sono esercitate rispettivamente dalla regione e dalla Provincia).

Cio' premesso, si espongono di seguito i vizi di illegittimita' costituzionale che ad avviso della ricorrente Provincia affliggono le norme impugnate.

III.1. Violazione dell'art. 76 Cost. ed eccesso di delega, stante l'assenza nella delega di un principio che autorizzi l'avocazione allo Stato di una serie di funzioni gia' esercitate dalle Regioni e dalla province autonome e per violazione dei principi dettati nell'art. 32 della legge n. 234 del 2012.

L' avocazione allo Stato di una larghissima serie di competenze gia' esercitate dalle Regioni e dalle province autonome costituisce un dirompente intervento nell'ordinamento delle competenze istituzionali. Esso e' avvenuto non solo senza che alcuna norma della legge di delega - o della direttiva - autorizzasse il Governo ad un simile appropriazione di competenza, ma in quadro di principi e criteri direttivi che escludevano un simile compito o obiettivo.

E' costante l'insegnamento di codesta Corte costituzionale secondo il quale l'introduzione di norme aventi contenuto innovativo rispetto alla disciplina previgente necessita la indicazione di principi e di criteri direttivi idonei a circoscrivere le diverse scelte discrezionali dell'esecutivo, mentre tale specifica indicazione puo' anche mancare allorche' le nuove disposizioni abbiano carattere di sostanziale conferma delle precedenti (cosi', ad esempio, tra le molte, la sentenze n. 350 del 2007 e n. 162 del 2012). In altri termini, tanto piu' innovativa e' la norma contenuta nel decreto legislativo, tanto piu' denso deve essere il principio della legge di delega che regge la norma delegata, anche in considerazione del carattere comunque derogatorio della funzione normativa delegata rispetto all'ordine normale delle competenze (in tal senso la sentenza n. 171 del 2007, punto 3).

Cio' vale in generale. Ma si consideri che il decreto legislativo n. 152 del 2006, oggetto delle modifiche introdotte con il decreto legislativo n. 104 del 2017, era stato emanato sulla base di una delega che espressamente prevedeva, tra l'altro, il rispetto «delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n.

59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» e il rispetto del principio di sussidiarieta', e che inoltre faceva «salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano» (cosi' l'art. 1, comma 8, della 1. 15 dicembre 2004, n. 308).

Il decreto legislativo n. 112 del 1998 disciplinava la materia all'art. 71, riservando allo Stato (in relazione alle Regioni a statuto ordinario, le seguenti opere e impianti: «a) le opere ed impianti il cui impatto ambientale investe piu' regioni; b) le opere e infrastrutture di rilievo internazionale e nazionale; c) gli impianti industriali di particolare e rilevante impatto; d) le opere la cui autorizzazione e' di competenza dello Stato» (comma 1).

Si consideri dunque che il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni (e in questo quadro tra lo Stato e la particolare autonomia della ricorrente Provincia) tocca un elemento fondamentale del rapporto tra gli enti che compongono la Repubblica, ai sensi dell'art. 114 della Costituzione. Sembra evidente che, in assenza di un diverso indirizzo parlamentare, tali aspetti non dovevano e non potevano essere toccati.

Ma, come detto, nel presente caso, invece, non solo manca ogni principio in proposito, ma la delega e' stata conferita ad un fine circoscritto e limitato, che e' quello di recepire una direttiva europea che nulla dice in punto di competenze, visto che il Considerando 37 prende atto diverse «strutture istituzionali» degli Stati membri, autorizzandoli a «designare piu' autorita'» per le competenze in materia di VIA.

Anche la ratio della delega non offre dunque sostegno alle norme qui censurate.

Al contrario, l'analisi del compito affidato dimostra che esso non comprendeva alcun intervento sui rapporti di competenza tra lo Stato e le Regioni. Esso, infatti, non puo' ritenersi compreso in alcuno degli oggetti della delega, quali fissati nell'art. 14 della legge n. 114 del 2015: non nella «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale» (lett. a), non nel «rafforzamento della qualita' della procedura di valutazione di impatto ambientale» (lett. b), non nella «revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio» (lett. c) ne' nella «destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per finalita' connesse al potenziamento delle attivita' di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale, nonche' alla protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamita' naturali» (lett. d).

Appare evidente l'intento del legislatore delegante di non mettere affatto in questione il riparto delle competenze istituzionali. Dovevano invece, al contrario, essere osservati i criteri generali stabiliti dall'art. 32, comma 1, lett. g) della legge n. 234 del 2012, che impongono, quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse, il «rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali».

Di qui l'illegittimita' per aver operato senza delega e in violazione dei contenuti stabiliti per il decreto delegato.

III.2. Violazione dell'art. 8 (in particolare n. 1, n. 3, n. 5, n. 6, n. 11, n. 13, n. 14, n. 16, n. 17, n. 18, n. 20 e n. 21), dell'art. 9 (in particolare n. 3, n. 9 e n. 10) e dell'art. 16 dello Statuto e degli artt. 117, terzo e quarto, Cost., in combinazione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Violazione dell'art. 118, primo comma, Cost. Eccesso di delega, per mancanza di intesa costituzionalmente necessaria.

Sul piano sostanziale, inoltre, la sottrazione di funzioni investe competenze amministrative che spettano alla Provincia autonoma per Statuto o per Costituzione, come si e' illustrato sopra.

Le prime non possono essere oggetto di una chiamata in sussidiarieta', vigendo per esse il principio del parallelismo ai sensi dell'art. 16 dello Statuto.

Le seconde possono essere attratte a livello statale, sussistendo i presupposti per la chiamata in sussidiarieta' precisati da codesta Corte costituzionale nella sentenza n. 303 del 2003 e nella giurisprudenza costituzionale successiva.

Nessuno dei presupposti, ne' sostanziale ne' procedurale, ricorre pero' nel presente caso.

Si osserva, anzitutto, che l'apprezzamento delle esigenze unitarie compiuto dal decreto legislativo non e' ne' ragionevole, ne' proporzionato, dal momento che l'intestazione allo Stato riguarda un numero elevatissimo di funzioni che secondo la legislazione vigente erano gia' esercitate dalle Regioni e dalle province autonome.

Fermo rimanendo che l'onere di provare la sussistenza delle esigenze unitarie grava sulla Presidenza del Consiglio, trattandosi di giustificare una scelta derogatoria rispetto all'ordine di attribuzione sancito dall'art. 118, primo comma, Cost. e oggetto di «scrutinio stretto di costituzionalita'» (cosi' la sentenza n. 303 del 2003, al punto 2.2), si evidenzia (i) che l'assenza di un interesse e' stata concordemente affermata da parte regionale nel parere reso in sede di Conferenza permanente; (ii) che la stessa legislazione statale aveva gia' sancito un generale riparto delle funzioni negli allegati II-IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, riparto che viene ora stravolto dalle norme qui impugnate, come sopra illustrato.

Manca poi il requisito dell'accordo con le Autonomie regionali, se si considera che l'attrazione in sussidiarieta' non e' stata preceduta da intesa con le Regioni e le province autonome, e in particolare in presenza di un dissenso formalmente manifestato dalla Provincia autonoma di Trento.

Tale circostanza induce ad evidenziare, oltre alla violazione del principio di leale di collaborazione, anche un vizio di eccesso di delega, se si considera che nel presente caso la delega deve ritenersi integrata da un limite implicito - costituzionalmente condizionato - che impone l'acquisizione dell'intesa, secondo quanto ritenuto da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del 2016 per il caso di intreccio di competenze non risolubile mediante il criterio di prevalenza e come gia' affermato dalla sentenza n. 303 del 2003 al punto 2.2 per la chiamata in sussidiarieta', in cui si sancisce che la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato deve essere «oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata».

Di qui l'illegittimita' della sottrazione delle competenze provinciali, anche sotto l'indicato profilo.

B. Censure relative alle restrizioni introdotte alle potesta' legislativa provinciale nella conformazione del procedimento di via e alle modalita' di adeguamento alla normativa statale.

Con un secondo gruppo di censure la Provincia autonoma di Trento contesta la legittimita' costituzionale delle disposizioni che pretendono di conformare i procedimenti amministrativi provinciali in materia di VIA secondo il dettagliatissimo modello che lo stesso decreto legislativo impone, senza considerare: (i) la competenza della Provincia sull'organizzazione dei propri procedimenti amministrativi; (ii) le competenze materiali della Provincia nei diversi settori in cui incide la disciplina di VIA, nonche' nella generale materia dei lavori pubblici provinciali, comprensiva della cura degli interessi ambientali; (iii) la competenza della Provincia in materia di attuazione delle direttive europee; (iv) gli stessi principi della legge di delega.

La Provincia contesta altresi' la norma che impone un adeguamento in termini incompatibili, nei tempi e nei modi, con le garanzie offerte dalle norme di attuazione statutarie recate dal decreto legislativo n. 266 del 1992, che regolano in rapporti tra fonti statali e fonti provinciali.

In tale prospettiva, la Provincia impugna:   gli articoli 5, comma 1; 8; 16 comma 2, nelle parti in cui, modificando il decreto legislativo n. 152 del 2006, rispettivamente introducono in esso: i commi 7 e 8, nonche' il comma 9,   dell'art. 7-bis (art. 5, comma 1); l'art. 19 (art. 8); l'art.

27-bis (art. 16, comma 2);   l'art. 23, comma 4, che prevede l'adeguamento delle province autonome al decreto legislativo 104 del 2017;   l'art. 24, che modifica l'art. 14 della legge 7 agosto 1990, n.

241, recante la disciplina organica del procedimento amministrativo.

IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, nella parte in cui introduce i commi 7, 8 e 9, dell'art. 7-bis del decreto legislativo n. 152 del 2016.

I commi 7 ed 8 dell'art. 7-bis, introdotto dall'art. 5, comma 1, qui impugnato in parte qua, impongono alle Regioni e, per quanto qui interessa, alle province autonome un obbligo di conformazione nei termini che seguono:   «7. Qualora un progetto sia sottoposto a verifica di assoggettabilita' a VIA o a VIA di competenza regionale, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano che le procedure siano svolte in conformita' agli articoli da 19 a 26 e da 27-bis a 29 del presente decreto. Il procedimento di VIA di competenza regionale si svolge con le modalita' di cui all'art. 27-bis. 8. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi o regolamenti l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonche' l'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali. La potesta' normativa di cui al presente comma e' esercitata in conformita' alla legislazione europea e nel rispetto di quanto previsto nel presente decreto, fatto salvo il potere di stabilire regole particolari ed ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per le modalita' della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonche' per la destinazione alle finalita' di cui all'art. 29, comma 8, dei proventi derivanti dall'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.

In ogni caso non sono derogabili i termini procedimentali massimi di cui agli articoli 19 e 27-bis».

Il nuovo comma 9 si rivolge anch'esso alle province autonome, facendole destinatarie di oneri di comunicazione che presuppongono la loro soggezione alla disciplina introdotta dai commi precedenti e l'applicabilita' ad esse delle modifiche agli allegati II, II-bis, III e IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 («a decorrere dal 31 dicembre 2017, e con cadenza biennale, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano informano il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa i provvedimenti adottati e i procedimenti di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo: a) il numero di progetti di cui agli allegati III e IV sottoposti ad una valutazione dell'impatto ambientale; b) la ripartizione delle valutazioni dell'impatto ambientale secondo le categorie dei progetti di cui agli allegati III e IV; c) il numero di progetti di cui all'allegato IV sottoposti a verifica di assoggettabilita' a VIA; d) la durata media delle procedure di valutazione dell'impatto ambientale; e) stime generali dei costi medi diretti delle valutazioni dell'impatto ambientale, incluse le stime degli effetti sulle piccole e medie imprese»). Il comma 9 e' impugnato quindi non in relazione agli obblighi di comunicazione - meramente informativi - che esso prescrive, bensi' nei limiti in cui esso rende applicabile alla Provincia autonoma l'intero art. 7-bis e l'operazione di modifica degli allegati effettuata dal decreto legislativo n. 104 del 2017 con le norme impugnate al precedente motivo III, al quale per questo profilo si rinvia integralmente.

Il neointrodotto comma 7, al primo periodo, impone dunque alla Provincia autonoma di regolare le proprie procedute in materia di verifica di assoggettabilita' a VIA o di VIA in conformita' a quanto dispongono gli articoli da 19 a 26 e dal 27-bis a 29 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (ovviamente come modificato).

Le norme richiamate - tutte di estremo dettaglio ed autopplicative (e contestate sotto questo profilo nel punto successivo, nella denegata ipotesi che l'obbligo di conformazione fosse ritenuto legittimo) - regolano le «modalita' di svolgimento del procedimento di verifica di assoggettabilita' a VIA» (art. 19), la «definizione del livello di dettaglio degli elaborati progettuali ai fini del procedimento di VIA» (art. 20), la «definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale» (art. 21, in realta' dedicato ancora alla definizione del livello di dettaglio), lo «studio di impatto ambientale» (art. 22, ove in realta' se ne definiscono i contenuti), la «presentazione dell'istanza, avvio del procedimento di VIA e pubblicazione degli atti» (art. 23), la «consultazione del pubblico, acquisizione dei pareri e consultazioni transfrontaliere» (art. 24), la «inchiesta pubblica» (art. 24-bis), la «valutazione degli impatti ambientali e provvedimento di VIA» (art. 25), la «integrazione del provvedimento di VIA negli atti autorizzatori» (art. 26), il «provvedimento autorizzatorio unico regionale» (art. 27-bis), il «monitoraggio» (art. 28) e il «sistema sanzionatorio» (art. 29).

Al secondo periodo la disposizione del comma 7 rende vincolante, in tutti i suoi aspetti (e dunque nei termini, nelle modalita' di istruttorie e nella forma decisoria) la disciplina statale del procedimento di VIA di competenza regionale, nei termini stabiliti dall'art. 27-bis, contestualmente introdotto dall'art. 16, comma 2, dello stesso decreto legislativo n. 104 del 2017.

Il comma 8 dell'art. 7-bis ribadisce questi obblighi di conformazione, vincolando la capacita' delle regioni e delle province autonome di regolare «l'organizzazione e le modalita' di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA» (nonche' «l'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali») non solo all'ovvia conformita' alla direttiva, ma anche al «rispetto di quanto previsto nel presente decreto», con la sola possibilita' di introdurre stabilire regole particolari ed ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per le modalita' della consultazione, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, e per la destinazione dei proventi derivanti dall'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie alle finalita' ambientali.

Il comma 9 dell'art. 7-bis conferma che la disciplina si rivolge anche alla province autonome ed e' dunque contestato limitatamente a questo effetto.

Gli oggetti cosi' disciplinati dal legislatore statale costituiscono materia che la Provincia autonoma di Trento ha gia' organicamente regolato, nell'esercizio della propria autonomia legislativa, mediante la legge provinciale 17 settembre 2013, n. 19, «Disciplina provinciale della valutazione dell'impatto ambientale.

Modificazioni della legislazione in materia di ambiente e territorio e della legge provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie)», con cui la Provincia autonoma ha dato esecuzione alla direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale.

Del resto, la competenza della Provincia sulla VIA non e' mai stata contestata, nemmeno dal legislatore statale, visto che il decreto legislativo n. 152 del 2006 reca una specifica clausola di salvaguardia nell'art. 35, comma 2-bis, a mente del quale «le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalita' del presente decreto ai sensi dei relativi statuti» proprio a chiusura della parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 intitolate alle «procedure per la valutazione ambientale strategica (vas), per la valutazione dell'impatto ambientale (via) e per l'autorizzazione integrata ambientale (ippc)». E' gia' stato notato sopra che tale salvaguardia era espressamente richiesta dall'art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004.

Ora, tale clausola deve essere ritenuta operante, se si considera che le norme qui impugnate sono introdotte con la tecnica della novella nel corpo del titolo III della parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dunque in una sezione dell'atto normativo in cui le competenze provinciali sono garantite dall'art.

35, comma 2-bis.

Sennonche' le disposizioni qui contestate sono esplicite nel rivolgersi alle province autonome (salvo che l'art. 16, comma 2, che introduce l'art. 27-bis, il quale non le menziona mai), e manca, nel decreto legislativo n. 104 del 2017, l'ulteriore clausola di salvaguardia sollecitata sia dalla Conferenza permanente nel parere del 4 maggio 2017 sia dal Parlamento nei pareri resi dalle commissioni parlamentari di Camera e Senato al Governo.

La Provincia ritiene che l'obbligo, sancito dalle disposizioni impugnate, di adeguamento a norme redatte con un simile livello di analiticita' sia incostituzionale per i motivi che di seguito si espongono.

4.1. Violazione dell'art. 8 (in particolare n. 1, n. 3, n. 5, n. 6, n. 11, n. 13, n. 16, n. 17, n. 18, n. 20 e n. 21); dell'art. 9 (in particolare n. 3, n. 9 e n. 10, dell'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, Statuto speciale), nonche' delle relative norme di attuazione e in particolare dell'art. 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 381 del 1974; dell'art. 117, terzo e quarto comma, in combinazione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, e dell'art. 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 381 del 1974.

Violato e', anzitutto, l'art. 8, comma 1, dello statuto, che assegna una generale potesta' primaria di auto-organizzazione alla Provincia autonoma, comprensiva sia della disciplina generale dei procedimenti amministrativi provinciali (v. la legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23, «Principi per la democratizzazione, la semplificazione e la partecipazione all'azione amministrativa provinciale e norme in materia di procedimento amministrativo», piu' volte modificata ed aggiornata), sia del procedimento di valutazione di impatto ambientale.

La competenza della Provincia in materia di disciplina del procedimento di VIA, infatti, e' indubitabile, essendo non solo da tempo e costantemente praticata (v. la legge provinciale 29 agosto 1988, n. 28, «Disciplina della valutazione dell'impatto ambientale e ulteriori norme di tutela dell'ambiente», poi sostituita dalla gia' citata la legge provinciale 17 settembre 2013, n. 19), ma espressamente riconosciuta dalla normativa di attuazione dello Statuto speciale e precisamente dall'art. 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, «Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche», aggiunto dall'art. 8 del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463, Ai sensi di tale decreto, persino per le opere soltanto delegate dallo Stato, le Province di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, applicano la normativa provinciale in materia di organizzazione degli uffici, di contabilita', di attivita' contrattuale, di lavori pubblici e di valutazione di impatto ambientale».

E' evidente che le norme di attuazione stataria riconoscono lo spazio per la legislazione provinciale in materia di VIA per funzioni delegate, tale spazio ci sara', a fortiori, per le funzioni proprie delle provincie, che ad essa spettano in forza degli arti. 8 e 9 dello Statuto e dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Si evidenzia, quindi, anche la violazione dell'art. 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 e delle singole competenze materiali in cui ricadano i singoli progetti sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilita', come ad esempio le competenze primarie sulla «tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare» (art. 8, n. 3, St.), «urbanistica e piani regolatori» (art. 8, n. 5, St.), «tutela del paesaggio «(art.

8, n. 6, St.), «porti lacuali» (art. 8, n. 11, St.), «opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali» ed in altri termini, «protezione civile» (art. 8, n. 13, St.), «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna» (art. 8, n. 16, St.), «viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» (art. 8, n. 17, St.), «comunicazioni e trasporti di interesse provinciale» (art. 8, n. 18, «turismo e industria alberghiera» (art. 8, n. 20, St.), «agricoltura, foreste e corpo forestale» (art. 8, n. 21, St.), «artigianato» (art. 8, n. 9, St.), «commercio» (art. 9, n. 3, St., in combinato disposto con l'art. 117 della Costituzione e con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e quelle concorrenti nella materia della «igiene e sanita'» (art. 9, n. 10, St.), oggi «tutela della salute» ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' la lesione della corrispondente autonomia amministrativa garantita dall'art. 16 dello Statuto.

Si precisa che, almeno per quanto riguarda le competenze statutarie, queste non possono dirsi incise dalla competenza statale in materia di ambiente ex art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., essendo tale incisione preclusa dalla clausola di maggior favore sancita dall'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Si richiama, in proposito, la sentenza n. 233 del 2013, ripresa dalla successiva sentenza n. 51 del 2016, relativa alla competenza della Provincia autonoma di Trento in materia di sistema idrico, competenza che si radica nello statuto, e che configura un sistema di attribuzioni il quale - nelle parole di codesta ecc.ma Corte - "«non e' stat[o] sostituit[o] dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell'ambiente», a seguito della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, considerato che «la suddetta riforma, in forza del principio ricavabile dall'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non restringe la sfera di autonomia gia' spettante alla Provincia autonoma» (sentenza n. 357 del 2010)». Se talora si leggono nella giurisprudenza espressioni che possono suggerire il contrario, e' evidente che esse non possono essere intese come la negazione del fondamentale principio di «non restrizione» stabilito dalla legge costituzionale, ma come espressione abbreviata di un limite interno della competenza provinciale, che dovrebbe per vero semmai essere analiticamente individuato.

4.2. Violazione dell'art. 117, quinto comma, Cost., e 120, secondo comma, Cost., come attuato dalla legge n. 232 del 2012, e dell'art. 7 della decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987.

La Provincia autonoma dispone del potere di dare immediata attuazione alle raccomandazioni e direttive comunitarie nelle materie di competenza esclusiva - salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei predetti atti comunitari - fin dall'entrata in vigore dell'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526, di attuazione dello Statuto, potere che e' stato esteso alle materie di competenza concorrente dall'art. 9, commi 1 e 2, della legge 9 marzo 1989, n.

86.

Tale potere e' previsto in via generale dell'art. 117, quinto comma, Cost., la cui legge di attuazione - la legge 24 dicembre 2012 n. 234, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea» - tiene peraltro ferme, per le regioni a statuto speciale e per le province autonome, «quanto previsto nei rispettivi statuti speciali e nelle relative norme di attuazione» (art. 59).

Il potere della. Provincia autonoma di dare esecuzione alle direttive europee e' sempre stato riconosciuto da codesta Corte anche quando erano coinvolti profili di tutela ambientale (come ad esempio per la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica), fin dalla sentenza n. 425 del 1999.

Ora, nel presente caso le norme richiamate dalle disposizioni impugnate vengono a sovrapporsi e a condizionare la disciplina provinciale, recando una disciplina che non ha i caratteri della suppletivita' e della cedevolezza richiesti per la eventuale finalita' sostitutiva dall'art. 41, comma 1, della legge n. 234 del 2012 (ai sensi del quale «i provvedimenti di attuazione degli atti dell'Unione europea possono essere adottati dallo Stato nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome al fine di porre rimedio all'eventuale inerzia dei suddetti enti nel dare attuazione ad atti dell'Unione europea» e «si applicano, per le regioni e per le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la relativa normativa di attuazione, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l'attuazione della rispettiva normativa dell'Unione europea e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione di ciascuna regione e Provincia autonoma», recando «l'esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute»); ne' esse possono essere avvalorate come «limiti statutari», che possano vincolare le potesta' della Provincia autonoma chiamata ad attuare la direttiva.

Di qui la violazione dell'art. 117, quinto comma, e 120, secondo comma, Cost., nonche' dell'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987.

4.3. Violazione del principio di ragionevolezza e difetto di proporzionalita', con violazione degli artt. 3 e 97 Cost.

Costringendo la Provincia ad uniformarsi a norme dettagliatissime, le norme impugnate sono incompatibili con il principio di ragionevolezza e sproporzionate, perche' costringono la legislazione regionale e provinciale ad un grado di uniformita' che e' eccessivo rispetto al fine attuare la direttiva europea e che non consente alle autonomie speciali di tenere conto delle peculiarita' istituzionali, organizzative e territoriali, salvo che per i limitatissimi profili considerati dall'art. 7-bis, comma 8.

Per questa ragione la prescrizione di un modello procedimentale unitario ridonda poi in una violazione del principio di buon andamento della amministrazione, sancito dall'art. 97, secondo comma, Cost., violazione che si evidenzia anche sotto il diverso profilo che sarebbe irrazionale - e fonte di cattiva amministrazione - consentire una legislazione locale se questa deve essere meramente riproduttiva di quella nazionale.

Convergono ad illustrare la sussistenza dei vizi qui denunciati le seguenti circostanze gia' ricordate nel ricorso: (i) che la precedente versione del decreto legislativo n. 152 del 2006 consentisse margini di variazione ben piu' ampi: (ii) che le stesse Camere, nel chiedere l'introduzione della clausola di salvaguardia per le autonomie speciali, abbia ritenuto insussistente la necessita' di una disciplina unitaria; (iii) che la normativa di attuazione statutaria prevede una disciplina provinciale della VIA; (iv) che la direttiva attuata non esige affatto un unico livello di regolazione; (v) che infine neppure nei principi di delega di cui all'art. 14 della legge n. 114 del 2005 si parla mai di «uniformita'», bensi' soltanto di «armonizzazione», tipica espressione allusiva ad un elevato grado di liberta' autonomia degli ulteriori poteri di normazione (vi e' qui dunque anche violazione dei principi di delega).

La Provincia autonoma e' legittimata a fare valere la violazione dei predetti principi costituzionali in ragione del fatto che il vizio ridonda sulle competenze provinciali, comprimendo in modo eccessivo la liberta' di conformazione dei procedimenti, nelle materie di competenza statutaria gia' ampiamente descritte nel presente ricorso (come ad esempio i lavori pubblici, la viabilita', gli acquedotti, urbanistica, porti lacuali, trasporti di interesse provinciale), ed incidendo sulla corrispondente autonomia amministrativa (art. 16 dello Statuto).

V. In subordine al punto precedente. Illegittimita' costituzionale delle disposizioni nelle quali viene stabilita la necessaria conformazione, in particolare dell'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 19 e dell'art. 16, comma 2, nella parte in cui introduce l'art. 27-bis. Violazione degli artt. 8, 9 e 16 dello statuto, nonche' degli artt. 117, quinto comma, 1 e 20, secondo comma, Cost., e dell'art. 7 della decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987. Contrasto con i principi di ragionevolezza, proporzionalita' e buon andamento. Violazione dei principi di delega. Illegittimita' dell'art. 24, ove applicabile alla ricorrente Provincia, anche per violazione dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992.

Ove codesta Corte costituzionale accogliesse le questioni prospettate nel precedente motivo IV la Provincia autonoma non sarebbe tenuta all'adeguamento agli articoli da 19 a 26 e da 27-bis a 29 del decreto legislativo n. 152 del 2006, se non nei limiti di cui allo Statuto.

Per la denegata ipotesi, invece, la Provincia contesta l'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 19 nel decreto legislativo n. 152 del 2006, e l'art. 16, comma 2, nella parte in cui introduce l'art.

27-bis.

Il nuovo art. 19, infatti, reca una disciplina estremamente analitica del svolgimento del procedimento di verifica di assoggettabilita' a VIA, dalle modalita' di trasmissione dello studio preliminare alle modalita' di pubblicazione, alla istruttoria, ai termini del procedimento, ai modi, ai tempi e ai limiti delle possibilita' di interlocuzione con gli interessati.

Il nuovo art. 27-bis, invece, reca la disciplina - ugualmente analitica e minuziosa - del procedimento di VIA di competenza regionale.

L'art. 16, comma 2, che introduce l'art. 27-bis, e' impugnato nella ipotesi che la disposizione da esso introdotta sia vincolante e/o applicabile anche alle province autonome, come sembra indicare il nuovo art. 7-bis, commi 7, primo periodo, 8 e 9, qui impugnati (in senso contrario potrebbero deporre l'art. 7-bis, comma 7, secondo periodo, per cui «il procedimento di VIA di competenza regionale si svolge con le modalita' di cui all'art. 27-bis», e lo stesso testo dell'art. 27-bis, a partire dalla sua intitolazione, che non cita le province autonome).

Tali disposizioni, se vincolanti per la Provincia, sarebbero afflitti dagli stessi vizi prospettati al precedente punto IV, perche' invadono le competenze relative alla disciplina dell'organizzazione e delle singole materie della province autonome e la competenza provinciale in punto di attuazione del diritto europeo, con norme eccessivamente analitiche e dettagliate, e quindi sproporzionate.

Per la stessa ragione sopra indicata e' anche violato il principio di delega che limitava l'intervento del legislatore delegato alla «armonizzazione» delle procedure, e non consentiva la totale uniformita'.

Per corrispondenti ragioni risulta illegittimo, ove applicabile anche alla Provincia ricorrente, l'art. 24, che nel sostituire il comma 4, dell'art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990, cosi dispone: «Qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto, vengono acquisiti nell'ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalita' sincrona ai sensi dell'art. 14- ter, secondo quanto previsto dall'art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».

Vale la pena di notare che in questo caso, ancor piu' che in generale, che cosi' concepito solo formalmente il procedimento che ne risulta puo' considerarsi attinente alla valutazione dell'impatto ambientale, dal momento che esso assume il carattere della decisioni su ogni profilo di un progetto, costretto nelle modalita' specifiche della conferenza di servizi disciplinata dalla legislazione statale anziche' dalla disciplina provinciale, con interi ambiti di materia illegittimamente sottratti alla disciplina regionale, sostituita da quella statale. In altre parole, qui la disciplina statale della conferenza di servizi non opera come limite verticale all'interno della materia, ma come diretta disciplina del fattispecie, sottratta alla disciplina provinciale. Evidente e' qui altresi' la violazione dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, che vieta la sostituzione di discipline statali alle discipline provinciali, ponendo invece il rispettivo rapporto nei termini di un dovere, adeguamento limitato dalle regole statutarie e presidiato da codesta ecc.ma Corte costituzionale.

Anche questa censura e' formulata per l'ipotesi che si tale disposizione si dovesse ritenere applicabile alle province autonome, nonostante che essa menzioni solo progetti di competenza regionale (e non provinciale), sia perche' essa viene immessa nella legge n. 242 del 1990, che contiene, nell'art. 29, comma 2-quinquies, la clausola di garanzia per cui «le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». Sicche' dovrebbe prevale l'interpretazione costituzionalmente conforme, anche in forza del citato art. 2 del decreto legislativo n. 266, che come detto risulterebbe altrimenti violato.

VI. Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 4, per violazione dell'art. 266 del 1992 e dell'autonomia legislativa garantita dall'art. 8 e 9 dello Statuto. Violazione degli art. 117, quinto comma, Cost. e 120, secondo comma, Cost. Violazione dell'art.

8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987.

Costituzionalmente illegittimo appare altresi' l'art. 23 del decreto legislativo 104 del 2017, dedicato alle Disposizioni transitorie e finali, nella parte in cui al comma 4 impone alla ricorrente obblighi di adeguamento contrastanti con le garanzie contenute nell'art. 2 del decreto legislativo 266 del 1992.

Tale disposizione di attuazione statutaria, cui la giurisprudenza di codesta Corte costituzionale ha sempre riconosciuto valenza parametrica, regola specificamente i rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale, prevedendo che la Provincia adegui la propria legislazione a quella statale che la condiziona entro i sei mesi successivi alla pubblicazione della legge dello Stato nella Gazzetta Ufficiale, o nel piu' ampio termine da esso stabilito, restando nel frattempo applicabili le disposizioni legislative provinciali preesistenti, fino al loro adeguamento o al loro annullamento ad opera di codesta Corte costituzionale su ricorso in via successiva del Governo.

L'immediata applicabilita' nel territorio provinciale e' prevista per le «norme comunitarie direttamente applicabili» e dunque non per la disciplina statale di attuazione del diritto europeo, che del resto la Provincia autonoma ha il potere e il dovere di attuare autonomamente nelle materie di competenza.

A fronte di queste regole l'art. 23, comma 4, del decreto legislativo n. 104 del 2017 stabilisce invece che «le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti esercitando le potesta' normative di cui all'art. 7-bis, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dall'art. 5 del presente decreto, entro il termine perentorio di centoventi giorni dall'entrata in vigore del presente decreto» ed aggiunge che «decorso inutilmente il suddetto termine, in assenza di disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 41 e 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234».

La disposizione appare illegittima, nei confronti della Provincia autonoma di Trento, in primo luogo in quanto disciplina con legge ordinaria una materia gia' coperta dalle norme di attuazione dello statuto, ma e' ovvio che la contestazione si rivolge poi specificamente al contenuto dispositivo della norma.

A parte il fatto che sia richiamato l'art. 7-bis, comma 8, del decreto legislativo n. 152 del 2006 (esso stesso oggetto qui di impugnazione) come «fonte» delle potesta' normative provinciali, rileva in primo luogo che il termine per l'adeguamento previsto dalla disposizione sia ridotto da sei mesi ai centoventi giorni (dalla entrata in vigore dell'atto), in palese contrasto con la citata norma di attuazione, rileva, in secondo luogo, che tale termine di adeguamento sia definito perentorio, perche' se cosi' fosse (e se a tale espressione si dovesse dare un significato giuridicamente preciso) la Provincia, decorso il termine, perderebbe definitivamente il potere di adottare proprie norme di adeguamento al diritto europeo: con chiara violazione della autonomia legislativa della Provincia e dell'art. 117, quinto comma, Cost., come attuato dall'art. 41 della legge n. 234 del 2012, e dall'art. 120, quinto comma, Cost., che vogliono i poteri sostitutivi esercitati nel rispetto del principio di leale collaborazione e di sussidiarieta' (il che impedisce il loro utilizzo quando vi e' stato un esercizio sia pure tardivo, e preclude altresi' che il potere sostitutivo abbia effetti definitivamente espropriativi di una competenza normativa costituzionalmente garantita).

Ancora, la disposizione appare illegittima ove stabilisce che, decorso il termine «perentorio», si applicano i poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 41 e 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

Ove tale disposizione fosse intesa nel senso di consentire l'utilizzo del potere sostitutivo per introdurre una disciplina di adeguamento al decreto legislativo e non solo alla direttiva, tale previsione sarebbe illegittima per violazione dell'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987, di attuazione dello Statuto, perche' - secondo l'insegnamento di codesta Corte costituzionale - il generale potere sostitutivo del Governo non puo' essere utilizzato nei confronti degli enti ad autonomia differenziata per le competenze radicate negli statuti, per le quali «continueranno nel frattempo ad operare le specifiche tipologie di potere sostitutivo in essi (o nelle norme di attuazione) disciplinate» (sentenza n. 236 del 2004, punto 4.1). E l'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica citato prevede un potere sostitutivo solo per il caso di «accertata inattivita' degli organi regionali e provinciali che comporti inadempimento agli obblighi comunitari», e comunque previa concessione di un ulteriore termine alla Provincia autonoma.

Ugualmente illegittima la norma deve essere considerata se intesa non nel senso di una autorizzazione al successivo esercizio dei poteri di cui all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, bensi' nel senso di una qualificazione delle norme del decreto legislativo n.

104 del 2017 anche come norme sostitutive, ai sensi dell'art. 41 della legge n. 234 del 2012, capaci di imporsi direttamente - decorso il termine - nell'ordinamento provinciale,   Le norme del decreto legislativo n. 104 del 2017 non hanno, infatti, le caratteristiche richieste dall'art. 41 per le norme sostitutive, e in particolare sono sprovviste della cedevolezza, pretendendosi cogenti; inoltre, l'effetto direttamente sostitutivo della legislazione provinciale appare incompatibile con l'art. 2, commi 1, 2 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992.

C. Censure relative alla disciplina di procedimenti statali che coinvolgono competenze provinciali.

In questa sezione la Provincia svolge le censure relative alla disciplina del provvedimento unico in materia ambientale di competenza statale, che il legislatore delegato ha regolato nell'art.

16, comma 1, in modo non rispettoso delle competenze provinciali.

VII. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1, che introduce nel decreto legislativo n. 152 del 2006, l'art. 27, per violazione dell'autonomia amministrativa della Provincia (art. 16 dello Statuto, in relazione agli artt. 8 e 9; art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992) e per violazione dei principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione (art. 118 e 120 Cost.).

L'art. 16, comma 1, novella l'art. 27 del decreto legislativo n.

152 del 2006, che regola il provvedimento unico in materia ambientale per i procedimenti di VIA di competenza statale.

Il nuovo art. 27 stabilisce «nel caso di procedimenti di VIA di competenza statale, il proponente puo' richiedere all'autorita' competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato nell'ambito di un provvedimento unico comprensivo di ogni autorizzazione, intesa, parere, concerto, nulla osta, o atto di assenso in materia ambientale, richiesto dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto (comma 1, primo periodo).

Il comma 2 dispone che «il provvedimento unico di cui al comma 1 comprende il rilascio dei seguenti titoli laddove necessario: a) autorizzazione integrata ambientale ai sensi del titolo III-bis della parte II del presente decreto; b) autorizzazione riguardante la disciplina degli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee di cui all'art. 104 del presente decreto; c) autorizzazione riguardante la disciplina dell'immersione in mare di materiale derivante da attivita' di escavo e attivita' di posa in mare di cavi e condotte di cui all'art. 109 del presente decreto; d) autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; e) autorizzazione culturale di cui all'art. 21 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; f) autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n 616; g) nulla osta di fattibilita' di cui all'art. 17, comma 2, del decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105; h) autorizzazione antisismica di cui all'art. 94 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».

I commi successivi dell'art. 27 qui impugnato regolano le fasi del procedimento che seguono alla iniziativa e, al comma 8, la disposizione stabilisce che «l'autorita' competente convoca una conferenza di servizi» alla quale partecipano il proponente e tutte le Amministrazioni competenti o comunque potenzialmente interessate al rilascio del provvedimento di VIA e dei titoli abilitativi in materia ambientale richiesti dal proponente». La disposizione precisa, nei suoi vari periodi: che «la conferenza di servizi si svolge secondo le modalita' di cui all'art. 14-ter, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241»; che «il termine di conclusione dei lavori della conferenza di servizi e' di duecentodieci giorni»; che «la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi, che costituisce il provvedimento unico in materia ambientale, reca l'indicazione espressa del provvedimento di VIA ed elenca, altresi', i titoli abilitativi compresi nel provvedimento unico»; che «la decisione di rilasciare i titoli di cui al comma 2 e' assunta sulla base del provvedimento di VIA, adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, ai sensi dell'art. 25» che «i termini previsti dall'art.

25, comma 2, quarto periodo, sono ridotti alla meta' e, in caso di rimessione alla deliberazione del Consiglio dei ministri, la conferenza di servizi e' sospesa per il termine di cui all'art. 25, comma 2, quinto periodo»; che «tutti i termini del procedimento si considerano perentori ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2, commi da 9 a 9-quater, e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241».

Il comma 9 prevede che «le condizioni e le misure supplementari relative all'autorizzazione integrata ambientale di cui al comma 2, lettera a), e contenute nel provvedimento unico, sono rinnovate e riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' di cui agli articoli 29-octies, 29-decies e 29-quattuordecies» e che «le condizioni e le misure supplementari relative agli altri titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, sono rinnovate e riesaminate, controllate e sanzionate con le modalita' previste dalle relative disposizioni di settore da parte delle amministrazioni competenti per materia».

Infine, il comma 10 stabilisce che «le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano in deroga alle disposizioni che disciplinano i procedimenti riguardanti il solo primo rilascio dei titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2».

La Provincia non contesta, ovviamente, la competenza statale a regolare proprie funzioni, pur osservando che tali funzioni sono state incrementate in misura esorbitante (e, ad avviso della ricorrente Provincia, illegittima, come esposto sopra) dalle norme impugnate al precedente punto III del presente ricorso. Ed in effetti l'intera disposizioni sembra scritta come se tutte le «Amministrazioni» coinvolte fossero amministrazioni statali.

Sennonche', taluni almeno dei provvedimenti cosi' indicati (quali quelli relativi agli scarichi nel sottosuolo, alla autorizzazione paesaggistica, alla autorizzazione culturale e alla autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico) sono provvedimenti di competenza della Provincia autonoma di Trento, che ha potesta' legislativa ed amministrativa in materia di acque, di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale e di tutela del paesaggio (art. 8, nn. 3, 6, 17 e 24, e art. 9, comma 9, in combinazione con l'art. 16 dello Statuto).

Essa lamenta, dunque, che nel regolare proprie funzioni, lo Stato abbia ulteriormente espropriato la Provincia della potesta' decisoria in relazione a provvedimenti che sono rimasti di sua competenza, i quali vengono surrogati o assorbiti dal provvedimento unico in materia ambientale.

Cosi' facendo, in altre parole, lo Stato finisce per esercitare, mediante i meccanismi di decisione finale della Conferenza di servizi statale, le funzioni amministrative proprie della ricorrente Provincia, in violazione dell'art. 16 dello Statuto, nonche' dell'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992.

Inoltre, la ricorrente osserva che il legislatore statale ha scelto il modulo procedimentale della conferenza di servizi con modalita' sincrona, prevista dall'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, richiamato nei commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7.

Ora, la norma impugnata richiama soltanto la disposizione (art.

14-ter, comma 7) che prevede la possibilita' per la Conferenza di servizi di deliberare sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza, mentre non richiama l'art. 14-quinquies, che regola i rimedi per le amministrazioni dissenzienti.

Ove il rinvio contenuto nel novellato art. 27, comma 8, al solo art. 14-ter (anziche' all'art. 14-ter e seguenti) e la mancata menzione dell'art. 14-quinques fossero da intendere come una volonta' legislativa di escludere l'applicabilita' della disciplina dettata dall'art. 14-quinques per i dissensi qualificati, e in particolare per quelli manifestati dalle province autonome, la disposizione impugnata sarebbe ulteriormente illegittima: (i) per violazione della autonoma amministrativa della Provincia autonoma in relazione a tutte le competenze da essa esercitate in materia ambientale (acque, paesaggio, opere idrauliche, viabilita'), che verrebbero scavalcate da una decisione deliberata da organi di altro ente, per di piu' su iniziativa del soggetto proponente; (ii) per violazione anche la potesta' legislativa della Provincia, visto che secondo il comma 10 il procedimento unico comporta deroga alle disposizioni che disciplinano i procedimenti dei titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, in relazione al primo rilascio; (iii) per violazione del principio di sussidiarieta', l'assorbimento della funzione dell'ente autonomo non avverrebbe in una cornice di leale collaborazione.

L'istituto del rimedio per le amministrazioni dissenzienti, nella sua conformazione rispettosa della leale collaborazione, e' infatti una garanzia che deve essere assicurata come condizione necessaria per la legittimita' costituzionale delle previsioni di conferenze di servizi decisorie, ove siano coinvolti enti di livello regionale (si veda, in tal senso, la sentenza n. 179 del 2012, che ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 49, comma 3, lettera b, del decreto-legge n. 78 del 2010, «nella parte in cui prevede che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da una regione o da una Provincia autonoma, in una delle materie di propria competenza, ove non sia stata raggiunta, entro il breve termine di trenta giorni, l'intesa, «il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei presidenti delle regioni o delle province autonome interessate», senza che siano previste ulteriori procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze»).

Questa ulteriore censura non avrebbe ragione di essere ove il richiamo all'art. 14-quater (e attraverso di questo al 14-quinques), contenuto nell'art. 14-ter, comma 7, potesse assicurare comunque l'applicazione della disciplina di garanzia per il dissenso della ricorrente Provincia.

 

P. Q. M.  

Per le esposte ragioni la Provincia autonoma di Trento, come sopra rappresentata e difesa, chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, recante «Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114», nella sua interezza e negli artt. 5, comma 1; 8; 16, commi 1 e 2; 22 commi 1, 2, 3 e 4; 23, comma 4; 24; 26, comma 1, lettera a), nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.

Padova - Trento - Roma, 3 settembre 2017   Allegati   1) Delibera di Giunta provinciale del 25 agosto 2017, n. 1372;   2) Procura speciale n. rep. 28405 del 31 agosto 2017.

 prof. avv. Falcon    avv. Pedrazzoli    avv. Manzi