RICORSO N. 57 DEL 23 AGOSTO 2017 (DELLA REGIONE TOSCANA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 agosto 2017.

(GU n. 38 del 20.09.2017)

Ricorso della Regione Toscana (P.IVA 01386030488), in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, dott. Enrico Rossi, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 819 del 31 luglio 2017, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora (C.F. BROLCU57M59B157V pec: lucia.bora@postacert.toscana.it) dell'Avvocatura regionale, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Marcello Cecchetti, (C.F. CCCMCL65E02H501Q) in Roma, piazza Barberini n. 12 (fax 06.4871847; pec: marcello.cecchetti@firenze.pecavvocati.it);   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1 e 2, dell'art. 39 e dell'art. 48, comma 4 e comma 6, lettera a) del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito in legge 21 giugno 2017, n. 96, per violazione degli articoli 77, 117 terzo e quarto comma, 119, 1, 2, 3 e 4 comma della Costituzione nonche' del principio della leale collaborazione.

In data 23 giugno 2017 e' stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 144, S.O. n. 31, il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 coordinato con la legge di conversione 21 giugno 2017, n. 96, recante: «Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo».

In particolare, l'art. 16, ai commi 1 e 2, interviene sull'art.

1, comma 418 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 in merito al riparto del concorso alla finanza pubblica da parte di province e citta' metropolitane; l'art. 39 riguarda i trasferimenti regionali a province e citta' metropolitane per le funzioni conferite; l'art. 48 ai commi 4 e 6, lettera a) disciplina l'articolazione dei bacini regionali di mobilita' ai fini dell'affidamento del servizio del trasporto pubblico regionale.

Le suddette disposizioni impugnate sono lesive delle competenze regionali per i seguenti motivi di  

Diritto  

1. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 16, commi 1 e 2 per violazione dell'articolo 119, commi 1, 2, 3 e 4 della Costituzione.

L'impugnata disposizione interviene sull'art. 1, comma 418 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 ripartendo tra province e citta' metropolitane il rispettivo concorso alla finanza pubblica a decorrere dal 2017 (comma 1) e stabilisce l'ammontare delle riduzioni della spesa corrente che ogni provincia e citta' metropolitana deve conseguire per gli anni 2017 e seguenti, secondo quanto indicato nella tabella 1 allegata al decreto, e del conseguente versamento allo Stato, sempre ai sensi del citato art. 1, comma 418, legge n.

190/2014 (comma 2).

Per comprendere tali disposizioni, occorre ricordare che la Corte costituzionale, con sentenza n. 205 del 2016, ha stabilito che il comma 418 della legge n. 190/2014, che individua il «taglio» delle risorse delle province e delle citta' metropolitane per gli anni 2015, 2016 e 2017 (rispettivamente uno, due e tre miliardi di euro), deve essere interpretato nel senso che dette risorse vanno riversate alle regioni e ai comuni destinatari delle funzioni trasferite dalle province-citta' metropolitane per effetto del riordino previsto dalla legge n. 56/2014; nella sentenza e' affermato (punto 6.2 del Considerato in diritto): «Piu' precisamente, dunque, disponendo il comma 418 che le risorse affluiscano "ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato", si deve ritenere - e in questi termini la disposizione va correttamente interpretata - che tale allocazione sia destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area vasta connesse al riordino delle funzioni non fondamentali, a una successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b, della legge n. 56 del 2014).

La previsione del versamento al bilancio statale di risorse frutto della riduzione della spesa da parte degli enti di area vasta va dunque inquadrata nel percorso della complessiva riforma in itinere. E, cosi' intesa, essa si risolve in uno specifico passaggio della vicenda straordinarie di trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato (sentenze n. 159 del 2016 e n. 50 del 2015).

I commi 418, 419 e 451, dunque, non violano l'art. 119, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione nei termini lamentati dalla ricorrente perche' le disposizioni in essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse ad apposito capitolo del bilancio statale (cosi' come l'eventuale recupero delle somme a valere sui tributi di cui al comma 419) e' specificamente destinato al finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti.».

Vi e' dunque un vincolo di destinazione delle risorse dallo Stato incamerate a seguito del taglio alle province e citta' metropolitane, nei confronti degli enti subentranti nella titolarita' delle funzioni stesse; tale principio e' stabilito anche dalla legge n. 56/2014, all'art. 1, comma 97, lettera b).

In Toscana e' la stessa Regione ad essere subentrata alle province. Precisamente, la legge regionale 3 marzo 2015, n. 22 «Riordino delle funzioni provinciali e attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56» ha dato attuazione al processo di revisione e riallocazione delle funzioni gia' conferite alle province ed alle citta' metropolitane, in coerenza con le previsioni di cui all'art.

89 e seguenti della legge n. 56/2014.

In particolare, ai sensi dell'art. 2 della legge regionale n.

22/2015, sono state oggetto di trasferimento alla Regione, nei termini previsti dalla legge, tutte le seguenti funzioni, gia' esercitate dalle province e dalla Citta' metropolitana di Firenze:   a) le funzioni in materia di agricoltura;   b) le funzioni in materia di caccia e pesca nel mare e nelle acque interne;   c) le funzioni in materia di orientamento e formazione professionale, compresa la formazione e qualificazione professionale degli operatori turistici;   d) le funzioni in materia di ambiente, attinenti:   rifiuti e bonifica dei siti inquinati;   la difesa del suolo, ivi comprese la difesa della costa e degli abitati costieri e alla gestione del demanio idrico;   la tutela della qualita' dell'aria;   l'inquinamento acustico;   la tutela delle acque dall'inquinamento;   le funzioni di autorita' competente concernenti l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) e l'autorizzazione unica ambientale (AUA);   parchi ed aree protette;   e) le funzioni in materia di energia, comprese le funzioni di controllo sugli impianti termici per la climatizzazione;   f) le funzioni in materia di osservatorio sociale;   g) le funzioni in materia di strade regionali, limitatamente alla progettazione e costruzione delle opere relative alle strade stesse.

Sono state altresi' oggetto di trasferimento alla Regione le funzioni di autorita' competente in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) relative a progetti afferenti alle suddette materie, nonche' le connesse funzioni di autorita' competente all'applicazione delle sanzioni amministrative.

Lo svolgimento di tali attivita' richiede risorse finanziarie aggiuntive che non hanno accompagnato la ridefinizione delle competenze tra i livelli di governo assegnatati delle suddette funzioni.

Sebbene il problema sia stato posto a livello nazionale e nonostante una specifica richiesta inviata dalla Regione Toscana allo Stato, quest'ultimo, pur avendo operato la relativa quantificazione, non ha previsto alcun trasferimento all'Amministrazione ricorrente delle risorse tagliate alle province che, in Toscana, non esercitano piu' funzioni divenute di competenza regionale.

Le impugnate disposizioni, intervenendo nuovamente sul comma 418 dell'art. 1 della legge n. 190/2014, avrebbero dovuto, in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 205/2016, prevedere la riassegnazione alle regioni e agli enti locali delle risorse sottratte alle province e citta' metropolitane per effetto delle norme della legge n. 190/2014. Cosi' pero' non e' avvenuto e tale omissione produce proprio quella violazione dell'art. 119, commi 1, 2, 3 e 4, che la Corte costituzionale aveva escluso solo nel presupposto che il legislatore statale provvedesse a riassegnare agli enti subentranti nell'esercizio delle funzioni a seguito del riordino istituzionale, le risorse prelevate dallo Stato da province e citta' metropolitane e incamerate dallo Stato medesimo. Attualmente quindi le funzioni non fondamentali riallocate dalle province non hanno il finanziamento statale richiesto, in quanto i risparmi di province e citta' metropolitane riversati allo Stato non sono stati riassegnati agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni fondamentali, cosi' come peraltro previsto anche dal principio di cui all'art. 1, comma 97, lettera b) della legge n. 56/2014.

La rivendicazione in oggetto non e' puramente formale, perche' la totalita' delle funzioni acquisite dalla Regione rende inevitabile il conseguente aumento di fabbisogno finanziario che viene totalmente vanificato con l'omissione qui denunciata. L'art. 119 della Costituzione, nei commi 1, 2 e 3 riconosce l'autonomia finanziaria regionale e individua le fonti di finanziamento delle attivita' della regione stessa.

Chiude il modello cosi' delineato un preciso vincolo, che e' definito nel quarto comma dell'art. 119, nel quale si stabilisce che «le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane ed alle regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»; le impugnate disposizioni violano tale previsione costituzionale, non permettendo alle regioni di disporre delle risorse necessarie per il corretto esercizio delle loro funzioni.

Pertanto e' incostituzionale l'art. 16, ai commi 1 e 2, nella parte in cui non prevede la riassegnazione alle regioni e agli enti locali, subentrati nell'esercizio delle funzioni provinciali non fondamentali, delle risorse sottratte alle province e citta' metropolitane, per violazione dell'art. 119, commi 1, 2, 3 e 4, della Costituzione.

2. - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 39 per violazione dell'articolo 97, dell'articolo 117 quarto comma e dell'articolo 119 della Costituzione e per violazione del principio della leale collaborazione.

La norma prevede che una quota del Fondo nazionale per il concorso dello Stato agli oneri per il trasporto pubblico locale, pari al 20%, sia riconosciuta alle regioni, a condizione che entro il 30 giugno di ciascun anno le stesse abbiano certificato l'avvenuta erogazione alle province e citta' metropolitane delle risorse per l'esercizio delle funzioni ad esse conferite; la certificazione e' formalizzata tramite intesa in conferenza unificata da raggiungere entro il 10 luglio di ogni anno. In caso di mancata intesa sara' il Consiglio dei ministri, su proposta del Dipartimento per gli affari regionali, a deliberare in merito al riconoscimento in favore della Regione del suddetto 20% del fondo per il trasporto pubblico locale.

La norma presenta profili di dubbia costituzionalita' per diversi motivi.

2.a) Preliminarmente la disposizione subordina l'erogazione della quota che serve per finanziare il trasporto pubblico locale ad un fatto del tutto estraneo alla programmazione, organizzazione e gestione del servizio stesso. Infatti la eventuale riduzione del 20% del fondo trasporti viene ad essere configurata come una penalizzazione per le regioni che non abbiano erogato alle province le risorse per le funzioni alle stesse conferite non gia' in materia di trasporto pubblico, ma in tutti gli ambiti in cui ogni Regione abbia attribuito funzioni alle province medesime. Infatti la norma fa riferimento alla legge regionale di attuazione dell'accordo sancito tra Stato e regioni in sede di Conferenza unificata dell'11 settembre 2014 e quindi a tutte le funzioni oggetto del riordino istituzionale, a seguito della legge 7 aprile 2014, n. 56.

Cio' determina la violazione dell'art. 97 della Costituzione, sotto il profilo del buon andamento dell'azione amministrativa, perche' incide sulla possibilita' per la Regione di far fronte al corretto esercizio delle funzioni per carenza delle necessarie risorse finanziarie.

L'eventuale inadempienza regionale nel finanziare le province per l'esercizio delle funzioni trasferite viene infatti a riversarsi, in modo del tutto illogico, sulle aziende che gestiscono il trasporto pubblico locale e quindi, alla fine, sulla collettivita'.

2.b) La prevista «sanzione» limita quindi le competenze regionali in materia di trasporto pubblico locale, materia che, com'e' noto, e' attribuita in via esclusiva alle regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma della Costituzione e contrasta con il meccanismo di finanziamento delle funzioni delineato dall'art. 119, commi 1, 2, 3 e 4, della Costituzione in quanto taglia il finanziamento del trasporto pubblico locale in modo arbitrario, senza alcuna correlazione con la programmazione e gestione del servizio e con le necessita' del medesimo.

2.c) La disposizione viola, sotto un ulteriore profilo, l'art.

119 della Costituzione in quanto, com'e' noto, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 205/2016 gia' richiamata al precedente punto 1, lo Stato e' tenuto ad attribuire le risorse conseguenti al riordino istituzionale agli enti che sono subentrati nella titolarita' delle funzioni oggetto di riordino (nel caso alla Regione). Poiche' nessuna di queste risorse e' stata ancora erogata, non puo' lo Stato ulteriormente penalizzare le regioni con un altro taglio in alcun modo correlato all'esercizio delle funzioni concernenti il trasporto pubblico locale: percio' deve essere data alle regioni la disponibilita' delle risorse del fondo per il finanziamento delle funzioni riassegnate ad altri enti in attuazione della legge n. 56/2014 e della sentenza della Corte costituzionale n.

205/2016 e poi, in ipotesi, da tali risorse lo Stato procedera' a decurtare eventuali risorse che le regioni non abbiano trasferito alle province per le funzioni non fondamentali conferite, ove tale inadempienza effettivamente sia riscontrata e sia imputabile alle regioni stesse.

2.d) La disposizione infine e' ulteriormente incostituzionale perche' non rispetta il principio della leale collaborazione in quanto, al secondo comma, prevede un potere sostitutivo nei confronti delle regioni non conforme all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n.

131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale assegna all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere e prevede l'audizione dell'ente inadempiente da parte del Consiglio de ministri, nonche' la partecipazione del Presidente della Regione interessata alla riunione del Consiglio dei ministri che adotta i provvedimenti necessari.

3 - Illegittimita' costituzionale dell'articolo 48, commi 4 e 6, lettera a), per violazione degli articoli 77, 117 terzo e quarto comma, della Costituzione e per violazione del principio della leale collaborazione.

L'art. 48 concerne «Misure urgenti per la promozione della concorrenza e la lotta all'evasione tariffaria nel trasporto pubblico locale».

In sintesi, la norma stabilisce che le regioni definiscono - sentite le citta' metropolitane, gli enti di area vasta ed i comuni capoluogo - i bacini dei servizi di mobilita', rilevanti anche ai fini della pianificazione e del finanziamento degli interventi di mobilita' urbana sostenibile, basati su un'utenza minima di almeno 350.000 abitanti. Il comma quarto dell'articolo dispone che i bacini di mobilita', ai fini dello svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento del servizio di trasporto, con l'obiettivo di promuovere la piu' ampia partecipazione alle gare, sono articolati in piu' lotti, tenuto conto delle caratteristiche della domanda e salvo eccezioni motivate; tali eccezioni motivate sono stabilite dall'Autorita' di regolazione dei trasporti, alla quale la norma affida, in via esclusiva e senza nessuna intesa con la Regione, il compito di «definire i criteri per la determinazioni delle eccezioni al principio della minore estensione territoriale dei lotti di gara rispetto ai bacini di pianificazione, tenendo conto della domanda effettiva e di quella potenziale, delle economie di scala e di integrazione tra servizi» (comma 6, lettera a) del medesimo art. 48).

Le citate disposizioni riproducono la parte relativa all'organizzazione del servizio di trasporto pubblico locale contenuta nel decreto legislativo che era stato predisposto in attuazione della legge Madia n. 124/2014; decreto poi ritirato dal Governo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.

251/2016 che, com'e' noto, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u), della legge n. 124/2015, nella parte in cui recava una delega legislativa al Governo per la definizione della disciplina generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale; l'incostituzionalita' e' derivata dalla considerazione che la disciplina dei servizi pubblici locali presenta un intreccio di competenze tra Stato e regioni, che impone, per la sua approvazione, il raggiungimento della previa intesa con le regioni.

In particolare nella sentenza n. 251/2016 e' affermato che in tale ambito la Corte ha ravvisato «una competenza legislativa statale esclusiva a disciplinare il regime dei servizi pubblici locali di interesse economico "per gli aspetti che hanno una diretta incidenza sul mercato"» (sentenze n. 160 del 2016 e n. 325 del 2010) e che siano volti, "in via primaria, alla tutela e alla promozione della concorrenza" (sentenza n. 325 del 2010), nel limite della proporzionalita' e adeguatezza dell'intervento (sentenze n. 160 del 2016, n. 443 del 2007, n. 272 del 2004), ma ha anche ravvisato una competenza legislativa regionale residuale (che si accompagna alla competenza regolamentare degli enti locali di cui all'art. 117, sesto comma, della Costituzione) a disciplinare tutti quei profili (ivi compreso il trasporto pubblico locale) che non siano strumentali a garantire la concorrenza. Da questi riferimenti emerge con chiarezza che le impugnate disposizioni dell'art. 19 contengono principi e criteri direttivi entro cui si intrecciano previsioni strettamente finalizzate alla tutela della concorrenza (lettera b, che attiene alla soppressione dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non conformi ai principi generali in materia di concorrenza; lettera g, inerente alla definizione dei regimi tariffari), riconducibili alla competenza statale, e previsioni palesemente eccedenti tale finalita', inerenti alla gestione e organizzazione dei medesimi servizi (lettera b, che prescrive la soppressione dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non indispensabili per assicurare la qualita' e l'efficienza del servizio; lettera d, relativa alla definizione dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; lettera h, che impone la definizione delle modalita' di tutela degli utenti; lettera p, che dispone l'introduzione e il potenziamento di forme di consultazione dei cittadini e della partecipazione diretta alla formulazione di direttive alle amministrazioni pubbliche e alle societa' di servizi sulla qualita' e sui costi degli stessi), espressione della competenza legislativa regionale residuale, insieme a previsioni incidenti in ambiti ancora diversi, come quelle inerenti alla disciplina dei rapporti di lavoro (lettera t). Queste disposizioni sono tenute insieme da forti connessioni, proprio perche' funzionali al progetto di riordino dell'intero settore dei servizi pubblici locali di interesse economico generale. Sebbene costituiscano espressione di interessi distinti, che corrispondono alle diverse competenze legislative dello Stato e delle regioni, esse risultano inscindibili l'una dall'altra, inserite come sono in un unico progetto. Nel dare attuazione a principi e criteri direttivi in esse contenuti, il Governo supera lo scrutinio di legittimita' costituzionale se rispetta il principio di leale collaborazione, avviando le procedure inerenti all'intesa con regioni e enti locali nella sede della Conferenza unificata. E', pertanto, costituzionalmente illegittimo l'art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u), nella parte in cui, in combinato disposto con l'art. 16, commi 1 e 4, prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziche' previa intesa, in sede di Conferenza unificata».

Il legislatore nazionale, con la norma oggetto della presente impugnativa, anziche' seguire l'iter indicato dalla Corte costituzionale e quindi un procedimento basato sull'intesa con le regioni, ha estrapolato dall'originario decreto dei servizi pubblici la parte relativa al trasporto pubblico locale, l'ha inserita in un decreto-legge in nome di una non meglio chiarita necessita' ed urgenza (che e' difficile ipotizzare, visto che si tratta di una disciplina di organizzazione di un servizio; tra l'altro non si comprende perche' l'urgenza sarebbe limitata solo al trasporto e non riguardi invece anche gli altri servizi pubblici locali) e, completamente aggirando le regole della leale collaborazione, ha introdotto una disciplina molto impattante sulle competenze regionali.

L'impatto si comprende solo pensando che la disposizione vanificherebbe la previsione contenuta nell'art. 84 della legge regionale n. 65/2010 il quale dispone: «A decorrere dal 1° gennaio 2012 e' istituito l'ambito territoriale ottimale per lo svolgimento delle funzioni in materia di trasporto pubblico locale coincidente con l'intera circoscrizione territoriale regionale, a cui corrisponde un unico lotto di gara».

La Regione Toscana ha indetto tale gara articolata sul lotto unico regionale, con un enorme lavoro di razionalizzazione della rete e dei servizi, informandone l'Autorita' di regolazione trasporti, l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato; l'Autorita' nazionale anticorruzione.

Le citate disposizioni contenute nell'art. 48 in esame appaiono lesive delle attribuzioni regionali per molteplici motivi.

3.a) In primo luogo si deduce l'insussistenza dei presupposti che giustificano il ricorso alla decretazione d'urgenza, ai sensi dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione. Infatti la disposizione detta una nuova disciplina per l'organizzazione e la gestione del trasporto pubblico locale e quindi si tratta di un riassetto ordinamentale del tutto estraneo alla natura del decreto-legge, ne' le misure introdotte fronteggiano una circostanza accidentale ed eccezionale suscettibile di essere disciplinata in via d'urgenza Si deduce altresi' il difetto di omogeneita' del decreto-legge, ravvisabile sia dall'epigrafe del provvedimento che dal preambolo dove si afferma la necessita' ed urgenza di provvedere con misure, pero', del tutto eterogenee tra di loro.

Quanto premesso determina una violazione dell'art. 77, secondo comma della Costituzione. E' noto che la violazione di tale disposizione costituzionale puo' essere prospettata dalle regioni con il ricorso in via principale ove la stessa determini una lesione delle competenze regionali; infatti la Corte costituzionale ha motivato la ridondanza di una questione prospettata in relazione alla suddetta norma costituzionale sull'assunto che la violazione denunciata risulti «potenzialmente idonea a determinare una lesione delle attribuzioni costituzionali delle regioni», incidendo le norme impugnate su un ambito materiale di potesta' legislativa concorrente (sentenza n 22 del 2012; n. 80/2012).

Nel caso in esame, come sopra gia' evidenziato, l'oggetto della disciplina qui contestata incide sulle attribuzioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, materia rientrante nell'ambito delle competenze residuali delle regioni di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost., «come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 [...] aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i "servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi forma affidati" ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale». (Corte costituzionale sentenza n. 222/2005).

Il decreto-legge nel caso in esame e' stato utilizzato per anticipare una disciplina contenuta nel decreto legislativo relativo a tutti i servizi pubblici locali di natura imprenditoriale che, nel rispetto del principio stabilito da codesta ecc.ma Corte costituzionale, avrebbe dovuto basarsi su un'intesa Stato-regioni.

Invece con il ricorso al decreto-legge si e' elusa tale regola, anticipando la disciplina della riorganizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale. Non solo: la ridondanza sulle competenze regionali e' ulteriormente resa evidente dalla vanificazione che i commi quarto e sesto impugnati determinano della legge regionale toscana che ha istituito il lotto unico regionale come bacino di programmazione e di organizzazione della gara per l'affidamento del servizio.

Pertanto la eccepita violazione dell'art. 77 della Costituzione determina una sicura lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite in materia di trasporto pubblico locale.

3.b) In secondo luogo si deduce la violazione della potesta' regionale in materia di organizzazione del servizio di trasporto pubblico locale, materia affidata, come gia' rilevato, alla competenza residuale della Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma della Costituzione, perche' la Regione viene privata della possibilita' di decidere come organizzare il servizio di trasporto e il livello ottimale di gestione.

In merito va rilevato che non esiste un modello di ambito territoriale astrattamente migliore di altri, adatto per tutti i contesti territoriali e regionali, ma bisogna verificare caso per caso le esigenze del territorio e gli obiettivi che nell'organizzazione del servizio si vogliono raggiungere come ente di governo e proprio per questo la dimensione del lotto deve rimanere una scelta discrezionale dell'ente di governo - nel rispetto del principio della piu' ampia partecipazione che il legislatore statale stabilisce - e non puo' essere imposta per norma statale.

Nel caso della ricorrente, ad esempio, la Regione si e' posta come obiettivo quello di omogeneizzare l'offerta (partendo da una situazione in cui si ha frammentarieta' della stessa e corrispettivi molto diversificati anche per territori similari), ridurre in tutta la regione l'eta' media del parco bus, razionalizzare la rete. Era quindi necessario un progetto industriale unitario e non gia' una pluralita' di diversi operatori focalizzati unicamente sulla gestione locale del servizio. La previsione di un lotto su scala regionale (lotto unico) non esclude peraltro la possibilita' di articolazioni di piccoli lotti (art. 88 della legge regionale toscana n. 65/2010) per garantire i servizi in zone particolarmente disagiate (aree a domanda debole).

Dunque l'organizzazione del servizio non puo' essere imposta «dall'alto»; anche la Regione Toscana ha tenuto conto che in certi contesti sarebbe stato meglio per ragioni anche concorrenziali affidare il servizio in lotti separati di minori dimensioni; e' l'ente di governo che deve scegliere per il proprio territorio come organizzarsi. Per la Regione Toscana il 10% dei servizi sono fuori dal lotto unico e anch'essi sono in corso di affidamento.

3.c) In terzo luogo e' violato il principio della leale collaborazione sancito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 251/2016 che avrebbe imposto, nel caso in esame, come gia' rilevato, che la disciplina fosse emanata d'intesa con le regioni.

3.d) Ancora ed ulteriormente si deduce la violazione del principio della leale collaborazione, perche' il compito di definire le deroghe alla regola della obbligatoria suddivisione dei bacini di mobilita' in piu' lotti ai fini della gara, e' affidato in via esclusiva all'Autorita' di regolazione dei trasporti, senza alcun coinvolgimento delle regioni che, invece, sono titolari della potesta' in materia di trasporto, a conoscenza della realta' del proprio territorio e quindi possono offrire elementi conoscitivi importanti ai fini dell'articolazione delle gare che devono perseguire l'unica finalita' di avere il migliore aggiudicatario idoneo a rendere il piu' efficiente servizio agli utenti.

3.e) Sotto altro profilo, si eccepisce l'ulteriore violazione dell'art. 117 della Costituzione, perche' non e' invocabile la competenza statale in materia di tutela della concorrenza, in quanto e' del tutto indimostrato e non vero che l'articolazione del bacino in piu' lotti garantisca piu' efficienza e maggiore concorrenza.

Il comma quarto qui contestato prevede infatti che la suddivisione del bacino in piu' lotti sia la regola obbligatoria per le regioni e cio' viene giustificato «con l'obiettivo di promuovere la piu' ampia partecipazione alle medesime» gare per l'affidamento della gestione del servizio.

Ma questo obiettivo non significa esercizio della potesta' statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza: l'obiettivo infatti ben puo' essere posto alla Regione, lasciando alla sua autonomia legislativa l'individuazione delle modalita' organizzative piu' adeguate per l'erogazione del servizio nel rispetto dell'obiettivo posto. Resterebbe cosi' salvaguardata la competenza regionale, nonche' il controllo da parte dello Stato di sindacare le scelte regionali eventualmente non idonee per raggiungere l'obiettivo di promuovere la piu' ampia partecipazione alle gare. Le impugnate disposizioni invece eliminano ogni spazio al legislatore regionale.

A conferma, si richiama la sentenza n. 251/2016 ove e' affermato che eccedono dall'ambito della tutela della concorrenza di competenza statale le previsioni «inerenti alla gestione e organizzazione dei medesimi servizi (lettera b, che prescrive la soppressione dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non indispensabili per assicurare la qualita' e l'efficienza del servizio; lettera d, relativa alla definizione dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica» (enfasi aggiunta).

La fondatezza della tesi esposta e' avvalorata anche dalla vigente legislazione. L'art. 51 del decreto legislativo n. 50/2016, che ha sostituito l'art. 2, comma 1-bis del «vecchio» Codice dei contratti, decreto legislativo n. 163/2006 prevede che «Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, sia nei settori ordinari che nei settori speciali, al fine di favorire l'accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali di cui all'articolo 3, comma 1, lettera qq), ovvero in lotti prestazionali di cui all'articolo 3,comma 1, lettera ggggg), in conformita' alle categorie o specializzazioni nel settore dei lavori, servizi e forniture. Le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell'appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera di invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139».

Dunque proprio il codice appalti, che e' impostato sul necessario rispetto della concorrenza, affida alla singola stazione appaltante l'onere di scegliere la deroga rispetto alla suddivisione dell'appalto in piu' lotti, con un onere motivazionale circa tale scelta. Questa regola e' applicata dalla Regione ricorrente sia nelle proprie leggi che negli atti amministrativi adottati in attuazione delle stesse, con riferimento a tutti i settori in cui vengono espletati appalti (rifiuti, risorse idriche, sanita' ecc). Non si comprende perche' al trasporto pubblico locale non si debba applicare la stessa regola.

Nello stesso senso e' la disciplina europea.

Il «considerando» n. 78 della direttiva 2014/24/UE, dopo aver posto in evidenza la necessita' di garantire la partecipazione delle piccole-medie imprese alle gare pubbliche ed il correlato strumento della suddivisione in lotti, si occupa anche della possibile scelta della stazione appaltante di non procedere all'articolazione in lotti e, oltre a prevedere la necessita' della motivazione, considera anche le possibili ragioni giustificative di una tale scelta: evidenzia quindi che «tali motivi potrebbero per esempio consistere nel fatto che l'amministrazione aggiudicatrice ritiene che tale suddivisione possa rischiare di limitare la concorrenza o di rendere l'esecuzione dell'appalto eccessivamente difficile dal punto di vista tecnico o troppo costosa, ovvero che l'esigenza di coordinare i diversi operatori economici per i lotti possa rischiare seriamente di compromettere la corretta esecuzione dell'appalto».

Peraltro, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, «l'opzione sottesa alla suddivisione o meno in lotti dell'appalto e' espressiva di scelta discrezionale non suscettibile di essere censurata in base a criteri di merce opportunita', tanto piu' nel caso in cui - come quello in esame - l'unitarieta' sia imposta dall'oggetto dell'appalto e dalle modalita' esecutive scaturenti dalle situazione materiale e giuridica dei luoghi entro cui operare.

(Consiglio di Stato, sezione V, 16 marzo 2016, n. 1081).

Pertanto le disposizioni dell'art. 48 in esame ledono le facolta' di scelta discrezionale che la stazione appaltante sempre detiene in merito all'organizzazione della gara. Inoltre l'imposizione della pluralita' di lotti determinerebbe una lievitazione degli oneri economici per la stazione appaltante, in aperta antitesi quindi con la logica sottesa al ricorso ai soggetti aggregatori, che e' quella della razionalizzazione e della semplificazione dei processi di acquisto e fornitura di beni e servizi.

Basti pensare che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013 (recante Definizione dei criteri e delle modalita' con cui ripartire il Fondo nazionale per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario) ha imposto parametri molto rigidi da rispettare per poter avere il finanziamento del fondo nazionale trasporti, riguardanti, tra l'altro il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi e la definizione di livelli occupazionali appropriati.

L'individuazione del lotto unico di gara scelto dalla Regione Toscana in base alle peculiarita' del proprio territorio permette il raggiungimento di questi obiettivi che invece la norma in esame ignora completamente.

Ma, soprattutto, va considerato che l'obiettivo della piu' ampia partecipazione alla gara (dichiarato dal legislatore nel comma 4 dell'art. 48, a «motivazione» della pluralita' dei lotti), ben puo' essere garantito anche dal lotto unico regionale; e' sufficiente infatti che i requisiti di fatturato richiesti per la partecipazione siano parametrati su importi non proibitivi e che lascino aperta la possibilita' di ampia partecipazione degli operatori economici del settore; inoltre gli operatori possono utilizzare tutto lo strumentario proprio del diritto degli appalti che consente anche ai piu' piccoli di accedere al mercato degli appalti pubblici (ATI, avvalimento), essendo istituti creati proprio per favorire la partecipazione alle gare anche alle imprese medio piccole, su lotti di maggiori dimensioni (nella gara toscana infatti vi e' stata concorrenza effettiva e partecipazione).

L'obbligatoria suddivisione in piu' lotti puo' invece determinare un risultato di inefficienza del servizio, perche' non permette di ridurre gli squilibri tra le diverse zone territoriali all'interno della Regione, compensando quelle maggiormente redditizie con quelle che lo sono meno. In Toscana, ad esempio, un unico gestore regionale ben potra' investire anche in aree economicamente meno attrattive, perche' puo' beneficiare dei vantaggi che trae dalla remunerazione del servizio in zone piu' redditizie. Inoltre va anche sottolineato che un soggetto industriale di dimensioni consistenti, come quello che si avrebbe per la gestione del lotto unico, puo' meglio gestire anche processi industriali di riorganizzazione in relazione alle politiche in materia occupazionale (imposte dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013 sopra richiamato) e presenta maggiore solidita' per attuare investimenti.

Questo permette di perseguire l'obiettivo, di cui la Regione e' titolare in virtu' delle competenze in materia di trasporti, di omogeneizzazione dell'offerta sia in termini quantitativi (stessa proporzione fra domanda ed offerta ovunque) che qualitativi (ad esempio eta' media dei bus uguale in tutte le zone) che deve valere per tutto il territorio regionale.

Pertanto le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali in materia di trasporto pubblico locale.

 

P.Q.M.  

Si conclude affinche' piaccia all'Ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1 e 2, dell'art. 39 e dell'art. 48, comma 4 e comma 6, lettera a) del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito in legge 21 giugno 2017, n. 96, per violazione degli articoli 77, 117 terzo e quarto comma, 119, commi 1, 2, 3 e 4 della Costituzione nonche' del principio della leale collaborazione.

Si deposita la deliberazione della giunta regionale n. 819 del 31 luglio 2017 di autorizzazione a stare in giudizio.

Firenze-Roma, 21 agosto 2017     Avv. Bora