RICORSO N. 44 DEL 29 MAGGIO 2017 (DELLA REGIONE LOMBARDIA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 9 giugno 2017.

(GU n. 29 del 19.07.2017)

 

Ricorso nell'interesse della Regione Lombardia (codice fiscale n.

80050050154), con sede in Milano - Piazza Citta' di Lombardia n. 1, in persona del presidente pro tempore, dott. Roberto Maroni, nato a Varese il 15 marzo 1955, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della giunta regionale n. 6622 del 19 maggio 2017 e per mandato a margine del presente atto, dall'avv. Maria Lucia Tamborino dell'Avvocatura regionale, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Ulisse Corea in Roma, via di Villa Sacchetti, 9.

(Si indica il recapito di fax e l'indirizzo di posta elettronica certificata del legale domiciliatario avv. Ulisse Corea: fax: 06-36001570; pec: ulissecorea@ordineavvocatiroma.org).

Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei Portoghesi, 12.

Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art.

3, dell'art. 4, comma 4, e dell'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 recante «Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell'art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 109», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 78 del 3 aprile 2017.

1. Il decreto legislativo n. 40 del 6 marzo 2017 recante la «Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell'art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 109», e' stato adottato, in attuazione della delega di cui all'art. 1, comma 2, lettera d) della legge n. 106 del 2016, per la revisione della disciplina in materia di servizio civile nazionale, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 1 della legge 6 marzo 2001, n. 64, e nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al successivo art. 8 della legge n. 106 del 2016.

2. La delega deve essere esercitata nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui all'art. 8 della citata legge n. 106 del 2016. I principi ed i criteri direttivi sono i seguenti:   «a) istituzione del servizio civile universale finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della Costituzione, alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, anche con riferimento agli articoli 2 e 4, secondo comma, della Costituzione;   b) previsione di un meccanismo di programmazione, di norma triennale, dei contingenti di giovani italiani e stranieri regolarmente soggiornanti, di eta' compresa tra 18 e 28 anni, che possono essere ammessi al servizio civile universale tramite bando pubblico e di procedure di selezione e avvio dei giovani improntate a principi di semplificazione, trasparenza e non discriminazione;   c) definizione dello status giuridico dei giovani ammessi al servizio civile universale, prevedendo l'instaurazione, fra i medesimi giovani e lo Stato, di uno specifico rapporto di servizio civile non assimilabile al rapporto di lavoro, con previsione dell'esclusione di tale prestazione da ogni imposizione tributaria;   d) attribuzione allo Stato delle funzioni di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo del servizio civile universale;   realizzazione, con il coinvolgimento delle regioni, dei programmi da parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali ed enti del Terzo settore;   possibilita' per le regioni, gli enti locali, gli altri enti pubblici territoriali e gli enti del Terzo settore di attivare autonomamente progetti di servizio civile con risorse proprie, da realizzare presso soggetti accreditati;   e) previsione di criteri e modalita' di accreditamento degli enti di servizio civile universale, tenendo conto di quanto previsto dall'art. 3 della legge 6 marzo 2001, n. 64, nell'ottica della semplificazione e della trasparenza;   f) previsione di criteri e modalita' di semplificazione e di trasparenza delle procedure di gestione e di valutazione dell'attivita' svolta dagli enti di servizio civile universale, anche con riferimento ai contributi finanziari erogati dalle competenti strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri in relazione all'attuazione dei progetti di servizio civile universale, a carico del Fondo nazionale per il servizio civile;   g) previsione di un limite di durata del servizio civile universale, non inferiore a otto mesi complessivi e, comunque, non superiore a un anno, che contemperi le finalita' del servizio con le esigenze di vita e di lavoro dei giovani coinvolti, e della possibilita' che il servizio sia prestato, in parte, in uno degli Stati membri dell'Unione europea nonche', per iniziative riconducibili alla promozione della pace e della nonviolenza e alla cooperazione allo sviluppo, anche nei Paesi al di fuori dell'Unione europea;   h) riconoscimento e valorizzazione delle competenze acquisite durante l'espletamento del servizio civile universale in funzione del loro utilizzo nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo;   i) riordino e revisione della Consulta nazionale per il servizio civile, quale organismo di consultazione, riferimento e confronto per l'amministrazione, sulla base del principio di rappresentativita' di tutti gli enti accreditati, anche con riferimento alla territorialita' e alla rilevanza per ciascun settore di intervento».

3. Per quel che piu' interessa, l'art. 8, comma 1, lettera d) attribuisce allo Stato «le funzioni di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo del servizio civile universale», senza formulare alcun riferimento espresso alle regioni.

Alla medesima lettera (secondo periodo), si prevede invece «con il coinvolgimento delle regioni» la realizzazione «dei programmi» da parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali ed enti del Terzo settore.

La stessa disposizione (terzo periodo) attribuisce, inoltre, alle regioni e agli enti sopra menzionati la facolta' «di attivare autonomamente progetti di servizio civile con risorse proprie, da realizzare presso soggetti accrediti».

La lettera d) del comma 1, art. 8, legge n. 106 del 2016 attribuisce alle regioni compiti e competenze al secondo ed al terzo periodo mentre nulla dice nel primo periodo circa il «coinvolgimento delle regioni»: il mancato espresso riferimento alle regioni nella legge delega laddove la norma attribuisce allo Stato «le funzioni di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo» non significa pero' che le regioni non dovessero essere poi inserite dal decreto legislativo, quale soggetto «parte necessaria» del procedimento ivi previsto tant'e' che il decreto legislativo lo prevede ma limitando l'intervento regionale ad un parere, mentre avrebbe dovuto prendere la forma di una intesa.

La disposizione della legge delega avrebbe dovuto tradursi in una norma delegata costituzionalmente conforme, come avremo modo in seguito di dimostrare.

Gli ultimi due periodi prevedono espressamente il «coinvolgimento delle regioni» perche' senza una espressa previsione di attribuzioni, le regioni non avrebbero potuto ne' partecipare alla realizzazione dei programmi di altri enti ne' avrebbero potuto avere la potesta' di attivare autonomamente progetti di servizio civile.

Con riguardo alle funzioni previste nel primo periodo, invece, non era necessario una espressa previsione della partecipazione regionale perche' non si trattava di attribuire nuove funzioni come negli altri due casi: il decreto legislativo non ha attuato la legge delega in senso costituzionalmente conforme, prevedendo all'art. 4, comma 4, il rilascio di parere e non la formazione di una intesa forte.

4. L'art. 3 del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 elenca le aree di intervento del decreto e tra esse inserisce aree di competenza regionale, residuale e concorrente. Tra esse, in particolare, e' inserita la materia dei servizi sociali che e' materia a competenza concorrente di forte impegno, anche finanziario, da parte delle Regioni; la disposizione, pertanto, appare lesiva del principio di leale collaborazione allorquando si legga unitamente al successivo art. 4, comma 4, in cui vengono previste le modalita' di intervento delle Regioni sulle materie elencate all'art. 3 che di seguito si tiene a riportare: «I settori di intervento nei quali si realizzano le finalita' del servizio civile universale di cui all'art. 2 sono i seguenti:   a) assistenza;   b) protezione civile;   c) patrimonio ambientale e riqualificazione urbana;   d) patrimonio storico, artistico e culturale;   e) educazione e promozione culturale e dello sport;   f) agricoltura in zona di montagna, agricoltura sociale e biodiversita';   g) promozione della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata; promozione e tutela dei diritti umani; cooperazione allo sviluppo; promozione della cultura italiana all'estero e sostegno alle comunita' di italiani all'estero».

Come puo' avvedersi quasi la totalita' dei «settori di intervento» di cui all'art. 3 intersecano materie di competenza regionale, residuale e concorrente. La disposizione diviene naturalmente lesiva nel momento in cui su detti settori l'intervento regionale venga limitato al rilascio di un parere e non di un'intesa.

5. L'art. 4, comma 4, del decreto legislativo 6 marzo 2017, n.

40, nell'ambito della programmazione ed attuazione del servizio civile universale, si limita a prevedere un parere delle regioni in fase di predisposizione del piano triennale e dei piani annuali e un previo parere della Conferenza Stato-Regioni in fase di approvazione di detti piani (triennale ed annuali).

Tale forma di coinvolgimento appare inadeguata a soddisfare l'esigenza di assicurare la partecipazione dei livelli di governo a fronte di una concorrenza di competenza che in base agli orientamenti di codesta Ecc.ma Corte, richiederebbe, invece, una intesa forte.

In particolare, la disposizione e' lesiva del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 114, comma 1, cost.; viola l'art.

118, comma 3, cost. laddove prevede forme di coordinamento ed intesa nelle materie della immigrazione e della tutela dei beni culturali, considerato che l'art. 3, decreto legislativo n. 40 del 2017 prevede all'art. 3 tra i settori di intervento alla lettera d) quello del «patrimonio storico, artistico e culturale» ed alla lettera g) la «promozione e tutela dei diritti umani».

La disposizione e', quindi, e' lesiva del principio di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza.

Ed infatti, la norma cosi' dispone: «Il Piano triennale ed i Piani annuali sono predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sentite le amministrazioni competenti per i settori previsti dall'art. 3 e le regioni e sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere della Consulta nazionale per il servizio civile universale e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».

La norma e' richiamata all'art. 7, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 40 del 2017.

6. L'art. 7, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 subordina l'attuazione, da parte delle Regioni, di programmi di servizio civile universale, con risorse proprie, alla previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalita' del servizio civile universale. Tale previsione e' lesiva del principio di autonomia finanziaria di spesa riconosciuta alle Regioni dall'art. 119, comma 1, cost., laddove prevede che i programmi di servizio civile universale - per quanto adottati con «risorse proprie» delle regioni, siano soggetti a «previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalita' del servizio civile universale di cui al presente decreto.» Infatti, la disposizione di cui all'art. 7, comma 1, lettera d) cosi' recita: «Le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano: attuano programmi di servizio civile universale con risorse proprie presso i soggetti accreditati all'albo degli enti di servizio civile universale, previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalita' del servizio civile universale di cui al presente decreto».

La disposizione non e' rispettosa della legge delega n. 106 del 2016 (art. 8, comma 1, lettera d), terzo periodo) laddove prevede la «possibilita' per le regioni ... di attivare autonomamente progetti di servizio civile con risorse proprie da realizzare presso soggetti accreditati».

Il decreto legislativo all'art. 7, comma 1, lettera d) limita la potesta' regionale di cui alla legge delega prevedendo una «previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri» il che si traduce, appunto, in una limitazione della potesta' regionale attribuita dalla legge delega come «autonoma» da esercitarsi a valere su «risorse proprie» ed al contempo, in un ulteriore ed inutile passaggio procedurale, in violazione del principio di buona amministrazione.

L'autorizzazione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera d) diviene un improprio ed illegittimo sub procedimento all'interno del procedimento regionale, come previsto dalla legge delega, espressione della volonta' governativa di esercitare un controllo finanziario e di merito dei programmi regionali di servizio civile.

Pertanto, la disposizione in parola aggiunge un quid pluris rispetto alla norma di delega (art. 8, comma 1, lettera d), terzo periodo della legge delega); e' lesiva del principio di attribuzione di cui all'art. 117 cost.; e' lesiva del principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118 cost.; e' lesiva del principio di autonomia finanziaria di cui all'art. 119 cost. ed infine, e' posta in violazione del principio di buona amministrazione e ragionevolezza.

Tutto cio' premesso, con il presente ricorso, Regione Lombardia, come in atti rappresentata e difesa, impugna l'art. 3, l'art. 4, comma 4, e l'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 recante «Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell'art. 8 della legge 6 giugno 2016, n.

109», in quanto disposizioni lesive delle proprie attribuzioni, costituzionalmente garantite, avendo limitato il coinvolgimento delle regioni, in materie di competenza, concorrente o residuale, al mero rilascio di un parere in fase di predisposizione del piano triennale e dei piani annuali e di un previo parere della Conferenza Stato-Regioni, in fase di approvazione di detti piani, oltre ad aver previsto che eventuali programmi regionali da adottarsi con risorse proprie, siano soggetti a previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri,   Si ritiene, da un lato, che sarebbe stato conforme alla Carta costituzionale la previsione/prescrizione di una Intesa «forte» ex art. 8, comma 6, della legge 131/2003, in luogo del citato parere, e dall'altro, che l'attuazione di programmi regionali, specie laddove siano realizzati con risorse proprie, non possa essere sottoposta ad una preventiva autorizzazione del Governo.

Quanto sopra in ragione del fatto che i suddetti piani incidono anche su ambiti di competenza regionale, con particolare riguardo alla materia dei servizi sociali di competenza residuale, e quindi necessiterebbero di un coinvolgimento piu' incisivo.

Appare insufficiente al riguardo la previsione di cui all'art. 5 comma 6, laddove si prevede: «[i] programmi di intervento che riguardano specifiche aree territoriali di una singola regione o di piu' regioni limitrofe sono valutati ed approvati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri d'intesa con le regioni interessate», poiche' tali programmi scontano, comunque, la mancanza di un'Intesa a monte.

Diritto  

Prima di esporre i singoli motivi di gravame, appare opportuno formulare alcuni brevi cenni sull'Istituto in esame.

Il Servizio Civile nazionale (di seguito SCN) nasce nel 2001 a seguito della approvazione della legge n. 64 del 2001; e' un servizio volontario destinato ai giovani dai 18 ai 26 anni, aperto anche alle donne, che intendono effettuare un percorso di formazione sociale, civica, culturale e professionale attraverso l'esperienza umana di solidarieta' sociale, attivita' di cooperazione nazionale ed internazionale, di salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale.

La legge 64/01 prevede all'art. l il raggiungimento delle seguenti finalita':   concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attivita' non militari;   favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarieta' sociale;   promuovere la solidarieta' e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli;   partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, storico-artistico, culturale e della protezione civile;   contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attivita' svolte anche in enti ed amministrazioni operanti all'estero.

La legge ha visto convivere, in una prima fase, due forme di Servizio civile: obbligatorio, per gli obiettori di coscienza e, su adesione volontaria, per le giovani donne secondo alcuni requisiti previsti dalla normativa.

La sospensione della leva obbligatoria, prevista dalla legge 226/2004, ha decretato nel 2005 la fine di questa prima fase e l'avvio della seconda con la partecipazione al Servizio civile nazionale di tutti i giovani, di entrambi i sessi, tramite adesione volontaria. Al contempo il 1° gennaio 2005 viene sospeso il servizio di leva, cessa il servizio civile sostitutivo (legge n. 230 del 1998) e resta, solo il Servizio Civile Nazionale (Legge n. 64 del 2001).

Inizia,appunto,una nuova seconda fase del Servizio Civile Nazionale.

Il 1° gennaio entra in vigore il d.lgs 5 aprile 2002, n. 77 che determina il trasferimento delle competenze gestionali del SCN alle Regioni e Province autonome - tenute ad istituire l'albo regionale degli Enti SCN appartenenti al proprio territorio, la soppressione di tutte le sedi periferiche dell'UNSC e la contestuale costituzione del Servizio Civile Nazionale, in ogni capoluogo di Regione e Provincia autonoma.

In occasione della disciplina della rappresentanza dei volontari di SCN, che sostituisce quella degli obiettori di coscienza presenti nella Consultanazionale per il servizio civile, organo consultivo dell'Ufficio previsto dalla legge 230/98, il regolamento prevede 4 rappresentanti nazionali, rappresentativi delle 4 macro-aree: Nord, Centro, Sud, Estero, ma anche la figura dei rappresentanti regionali e quella dei delegati regionali.Il rilievo regionale del SCN si concretezza anche in forme di rappresentanza, quindi.

Il 10 luglio 2014, il Consiglio dei Ministri approva il disegno di legge «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale» che diviene legge 6 giugno 2016, n. 106. L'art. 1 prevede, tra l'altro, la delega al Governo per la revisione dell'attuale disciplina in materia di servizio civile nazionale (decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 e legge 6 marzo 2001, n.

64), per l'istituzione di un servizio civile universale, finalizzato alla difesa non armata, ai sensi dell'art. 52, primo comma, e dell'art. 11 della Costituzione. Tra i principi e criteri direttivi individuati nella riforma, si segnala la previsione di un meccanismo di programmazione almeno triennale dei contingenti di giovani che possono essere ammessi al servizio civile universale e di selezione ed avvio improntati a principi di semplificazione, trasparenza e non discriminazione.

Tra i principi e criteri direttivi la riforma include anche la «realizzazione, con il coinvolgimento delle regioni, dei programmi da parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali ed enti del Terzo settore», nonche' la «possibilita' per le regioni, gli enti locali, gli altri enti pubblici territoriali e gli enti del Terzo settore di attivare autonomamente progetti di servizio civile, con risorse proprie, da realizzare presso soggetti accreditati» [art. 8, comma 1, lettera d)].

Usando delle stesse parole di codesta Ecc.ma Corte (sentenza 25 giugno 2015, n. 119), possiamo dire che «l'istituto del servizio civile ha subito una rilevante trasformazione a seguito dei ripetuti interventi legislativi che ne hanno modificato i contorni.

Dall'originaria matrice di prestazione sostitutiva del servizio militare di leva, che trovava il suo fondamento costituzionale nell'art. 52 Cost., esso si qualifica ora come istituto a carattere volontario, al quale si accede per pubblico concorso. L'ammissione al servizio civile consente oggi di realizzare i doveri inderogabili di solidarieta' e di rendersi utili alla propria comunita', il che corrisponde, allo stesso tempo, ad un diritto di chi ad essa appartiene.

In realta', e' lo stesso concetto di «difesa della Patria», nell'ambito del quale e' stato tradizionalmente collocato l'istituto del servizio civile, ad evidenziare una significativa evoluzione, nel senso dell'apertura di molteplici valori costituzionali.

[..] il dovere di difesa della Patria non si risolve soltanto in attivita' finalizzate a contrastare o prevenire un'aggressione esterna, ma puo' comprendere anche attivita' di impegno sociale non armato.

Accanto alla difesa militare, che e solo una delle forme di difesa della Patria, puo' dunque ben collocarsi un'altra forma di difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti nella solidarieta' e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale (sentenza n. 228 del 2004)».

La pronuncia n. 228 del 2004, per la prima volta, ha riconosciuto che la difesa della Patria - come sacro dovere del cittadino - debba avere una estensione piu' ampia dell'obbligo di prestare servizio militare, potendo quindi ricomprendere una altra forma di difesa, per cosi' dire «civile» che si traduce nella prestazione di «comportamenti di impegno sociale non armato».

La Corte costituzionale, con la sentenza 25 giugno 2015, n. 119, precisa che «in coerenza con tale evoluzione, questa Corte ha gia' richiamato la necessita' di una lettura dell'art. 52 Cost. alla luce dei doveri inderogabili di solidarieta' sociale di cui all'art. 2 Cost. (sentenza n. 309 del 2013). ...

Inoltre, sotto un diverso profilo, l'estensione del servizio civile a finalita' di solidarieta' sociale, nonche' l'inserimento in attivita' di cooperazione nazionale ed internazionale, di salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale, concorrono a qualificarlo - oltre che come adempimento di un dovere di solidarieta' - anche come un'opportunita' di integrazione e di formazione alla cittadinanza. Come gia' affermato da questa Corte, l'attivita' di impegno sociale che la persona e' chiamata a svolgere nell'ambito del servizio civile «deve essere ricompresa tra i valori fondanti dell'ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell'uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013)».

In relazione all'assetto delle competenze legislative in materia di servizio civile nazionale (ora «universale»), la Corte costituzionale ha rinvenuto il titolo costituzionale di legittimazione dell'intervento statale nell'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato non solo la materia «forze armate» ma anche la materia della «difesa». «Quest'ultima previsione deve essere letta [infatti] alla luce delle evoluzioni normative e giurisprudenziali che gia' avevano consentito di ritenere che la   «difesa della Patria» non si risolvesse soltanto in attivita' finalizzate a contrastare o prevenire una aggressione esterna, potendo comprendere anche attivita' di impegno sociale non armato [..].

Accanto alla difesa «militare», che e' solo una forma di difesa della Patria, puo' ben dunque collocarsi un'altra forma di difesa, per cosi' dire, «civile», che si traduce nella prestazione [di] comportamenti di impegno sociale non armato.» (in tal senso sentenza n. 228/2004, richiamata dalla sentenza n. 431/2005)   «La riserva allo Stato della competenza a disciplinare il servizio civile nazionale, forma di adempimento del dovere di difesa della Patria, - ha tuttavia precisato la Corte - non comporta [..] che ogni aspetto dell'attivita' dei cittadini che svolgono detto servizio ricada nella competenza statale».

La Corte costituzionale precisa, quindi, che «vi rientrano certamente gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio.

Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di attivita' che investono i piu' diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale, la tutela dell'ambiente, la protezione civile: attivita' che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla disciplina dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificita' direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per l'accesso ad esso.»   «[..] E', inoltre, evidente che, nelle ipotesi in cui lo svolgimento delle attivita' di servizio civile ricada entro ambiti di competenza delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano, l'esercizio delle funzioni spettanti, rispettivamente, allo Stato ed ai suddetti enti, dovra' improntarsi al rispetto del principio della leale collaborazione tra enti parimenti costitutivi della Repubblica (art. 114, primo comma, della Costituzione).»   Quest'ultimo passaggio della pronuncia costituisce per Regione Lombardia il presupposto fondante l'odierno ricorso: la riserva allo Stato della materia della difesa ex art. 52 cost. non vuol dire che nelle ipotesi in cui il SNC ricada in ambiti di competenza regionale, lo Stato non debba improntare i rapporti con le Regioni e le Province Autonome al principio di leale collaborazione che richiede indubitabilmente l'Intesa forte tra gli Enti costitutivi della Repubblica, come anche espresso esplicitamente all'art. 118, comma 3, cost., per alcune materie.

Tanto sopra esposto, si procede all'esposizione dei motivi di ricorso:   1) Illegittimita' costituzionale degli articoli 3 e 4, comma 4, del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40, per violazione del principio di leale collaborazione tra enti parimenti costitutivi della Repubblica di cui agli articoli 114, comma le 118, comma 3, della Costituzione, del principio di attribuzione di cui all'art. 117 della Costituzione e del principio di sussidiarieta' come declinato all'art. 118, comma 1, e all'art. 120, comma 2, della Costituzione.

Regione Lombardia ritiene che l'art. 4, comma 4, decreto legislativo n. 40 del 2017 sia lesivo delle prerogative regionali ed in particolare, lesivo dell'art. 114, comma 1, e dell'art. 118, comma 1, cost., laddove impronta i rapporti tra enti parimenti costitutivi della Repubblica al principio di leale collaborazione ed al collegato principio di sussidiarieta', specie nelle materie di competenza regionale, concorrente o residuale; in ragione di cio', unitamente all'art. 4, comma 4, si solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, decreto legislativo n. 40 del 2017, per avere detta disposizione individuato le materie in cui disporre secondo la previsione del comma 4 dell'art. 4, decreto legislativo 40 del 2017.

Le menzionate disposizioni vanno lette congiuntamente, al fine di determinarsi in ordine alla sollevata questione di legittimita' costituzionale, considerato che l'art. 3 delimita l'ambito di operativita' dell'art. 4, comma 4, decidendo dei settori di intervento, oggetto di parere.

La norma e' «replicata», poi, all'art. 7, comma 1, lettera a), decreto legislativo n. 40 del 2017.

L'abrogazione richiesta con il presente ricorso non potra' che riguardare anche la disposizione da ultimo citata per avere il medesimo testo ed i medesimi effetti.

La ricorrente osserva che il decreto legislativo n. 40 del 2017 «interseca» molte delle materie affidate alle competenze legislative e amministrative delle Regioni, quali, in particolare, quelle in tema di assistenza, protezione civile, riqualificazione urbana, cultura, sport e agricoltura: materie contenute nell'art. 117, commi 1 e 2, cost. Questa «intersezione» risulta, in particolare, dalla indicazione dei «settori di intervento» di cui all'art. 3, decreto legislativo n. 40 del 2017.

La disposizione viola altresi' l'art. 118, comma 3, cost. laddove prevede forme di coordinamento ed intesa in specifiche materie quali quelle della immigrazione e della tutela dei beni culturali, considerato che l'art. 3, decreto legislativo n. 40 del 2017 prevede all'art. 3 tra i settori di intervento alla lettera d) quello del «patrimonio storico, artistico e culturale» ed alla lettera g) la «promozione e tutela dei diritti umani».

La disposizione e', quindi, lesiva del principio di attribuzione ex art. 117 cost. e del principio di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118, comma 1, cost.

Ed infatti, la norma cosi' dispone: «Il Piano triennale ed i Piani annuali sono predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sentite le amministrazioni competenti per i settori previsti dall'art. 3 e le regioni e sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere della Consulta nazionale per il servizio civile universale e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».

Teniamo a ricordare che codesta Ecc.ma Corte si e' pronunciata in materia, con sentenza n. 431 del 2005, fissando principi che riteniamo siano stati violati con la approvazione delle norme, oggi, impugnate. Ed infatti, la pronuncia dice:   «La spettanza allo Stato della competenza a disciplinare il servizio civile nazionale non comporta che tutti gli aspetti dell'attivita' svolta dai giovani in servizio civile ricadano nell'area della potesta' legislativa statale. Secondo la Corte, rientra in tale competenza la disciplina dei profili organizzativi e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di attivita' che toccano i piu' diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale, la tutela dell'ambiente, la protezione civile: «attivita' che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla disciplina dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificita' direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per l'accesso ad esso».

Inoltre, nell'esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli organi centrali deve essere garantita la partecipazione degli altri livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione. A questo, del resto, provvede lo stesso decreto legislativo n. 77 del 2002, che attribuisce alla cura delle Regioni e delle Province autonome, secondo le rispettive competenze, l'attuazione degli interventi di servizio civile».

La Corte ha quindi ben evidenziato come debba essere garantita la partecipazione delle regioni attraverso «strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione «il che non e' stato previsto dal decreto legislativo n.

40 del 2017, incorrendo nelle odierne censure di costituzionalita'.

Tanto premesso, Regione Lombardia ritiene che le norme impugnate siano quindi lesive del principio di leale collaborazione e del principio di sussidiarieta'.

Il principio di leale collaborazione viene declinato nella giurisprudenza della Corte costituzionale gia' con la sentenza n. 219 del 1984. Nella richiamata sentenza la Corte afferma «l'auspicio che nell'applicazione della legge i rapporti tra Stato e Regioni ubbidiscano assai piu' che a una gelosa, puntigliosa e formalistica difesa di posizioni, competenze e prerogative, a quel modello di cooperazione e integrazione nel segno dei grandi interessi unitari della Nazione, che la Corte ritiene compatibile col carattere garantistico delle norme costituzionali.»   Nella sentenza n. 8 del 1985, la Corte associa il principio di leale collaborazione a quella situazione che gia' allora veniva definita di ordinario «intreccio di interessi» laddove per ogni materia individuata nell'art. 117, osserva la Corte «non e' esclusa la possibilita' di identificare materie sostanzialmente diverse secondo la diversita' degli interessi, regionali o sovra regionali, desumibile dall'esperienza sociale e giuridica...».

Il rapporto fra competenze statali e competenze regionali va ricostruito alla luce del principio cooperativo. La giurisprudenza costituzionale e' tutta tesa, quindi, alla graduazione degli strumenti di leale collaborazione, che va dallo scambio di informazioni, alla consultazione e al parere, all'intesa «debole» e, infine, all'intesa «forte».

Dopo la riforma Titolo V° della Parte II della Costituzione sono aumentate le aeree di sovrapposizione tra competenze e interessi.

Considerato che permangono le competenze concorrenti, tutte le materie elencate nel secondo e terzo comma dell'art. 117 perdono di «solidita'» amministrativa o si «smaterializzano», perche' non sono piu' legate a specifiche strutture e alle relative funzioni amministrative.

Non solo, alcune delle materie piu' importanti tra quelle elencate come «esclusive» dello Stato hanno subito un processo di rilettura come «materie trasversali» (o «materie - non materie», o «materie-obiettivo» o «materie-funzione» o «materie-valore costituzionale», la cui principale caratteristica e' di non delimitare ambiti piu' o meno precisi di competenza ma di essere costruite per interferire con competenze e interessi delle Regioni.

Dunque se l'interferenza tra competenze e' aumentata, si avra' l'esigenza di applicare il principio della leale collaborazione al fine di arginare o, laddove possibile, evitare conflitti. Ora, le esigenze di leale collaborazione si devono integrare con l'attenuazione del rapporto di gerarchia tra Stato e Regioni e dal corrispondente affermarsi, all'art. 114, una tendenza paritaria che mira a porre sullo stesso piano i diversi livelli di governo. La sentenza n. 31 del 2006 si pone in tale verso.

Anche se e' vero che la valutazione della dimensione degli interessi continua a ricordare la classica distinzione tra interessi frazionabili e interessi non frazionabili, ovvero tra interesse nazionale, regionale e interesse «esclusivamente locale», dall'altra parte e' altresi' vero che «sussidiarieta'» ed «adeguatezza» esprimono principi che necessariamente conducono ad un rafforzamento del rapporto tra «supremazia - collaborazione».

Questa breve ricostruzione trova al momento la sua definizione nella sentenza n. 251 del 2016. La pronuncia e' di particolare interesse, perche' aggiunge un nuovo importante tassello alla giurisprudenza, in tema di leale collaborazione, principio la cui violazione puo' d'ora in poi essere fatta valere non soltanto come vizio in procedendo nell'iter formativo del decreto legislativo, ma anche per censurare direttamente la legge di delegazione, dall'altro, perche' riaccende il dibattito sulla questione dei «mobili confini» che separano l'intesa (in senso forte e in senso debole) dal parere obbligatorio; dice la Corte:   «Il parere come strumento di coinvolgimento delle autonomie regionali e locali non puo' non misurarsi con la giurisprudenza di questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze e ha ravvisato nell'intesa la soluzione che meglio incarna la collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n. 1 del 2016). Quel principio e' tanto piu' apprezzabile se si considera la «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del 2010) e diviene dirimente nella considerazione di interessi sempre piu' complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori.

Un'analoga esigenza di coinvolgere adeguatamente le Regioni e gli enti locali nella forma dell'intesa e' stata riconosciuta anche nella diversa ipotesi della attrazione in sussidiarieta' della funzione legislativa allo Stato, in vista dell'urgenza di soddisfare esigenze unitarie, economicamente rilevanti, oltre che connesse all'esercizio della funzione amministrativa. In tal caso, l'esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale - e giustificare la deroga al riparto di competenze contenuto nel Titolo V - «solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (sentenza n. 303 del 2003; di recente, sentenza n. 7 del 2016)».

La difesa regionale tiene ad evidenziare questo passaggio della sentenza; nella fattispecie, Regione Lombardia ritiene violato il principio di leale collaborazione: l'esercizio unitario della funzione legislativa in materia di servizio civile nel momento in cui interseca materie di competenza regionale deve prevedere l'intesa, violando altrimenti la carta costituzionale.

Infatti, dice la sentenza:   «Questa Corte ha individuato nel sistema delle conferenze «il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale» (sentenza n. 401 del 2007) e «[u]na delle sedi piu' qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione» (sentenza n. 31 del 2006).

In armonia con tali indicazioni, l'evoluzione impressa al sistema delle conferenze finisce con il rivelare una fisiologica attitudine dello Stato alla consultazione delle Regioni e si coniuga con il riconoscimento, ripetutamente operato da questa Corte, dell'intesa in sede di Conferenza unificata, quale strumento idoneo a realizzare la leale collaborazione tra lo Stato e le autonomie (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2014, n. 297 e n. 163 del 2012), «qualora non siano coinvolti interessi esclusivamente e individualmente imputabili al singolo ente autonomo» (sentenza n. 1 del 2016).

... E' pur vero che questa Corte ha piu' volte affermato che il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento legislativo. La' dove, tuttavia, il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa. Quest'ultima si impone, dunque, quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost.

Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi, condizionati quanto alla validita' a tutte le indicazioni contenute non solo nella Costituzione, ma anche, per volonta' di quest'ultima, nella legge di delegazione, finiscono, infatti, con l'essere attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze».

L'intervento del legislatore delegato anche in ambiti materiali di competenza regionale, pur legittimato dalla necessita' di garantire una disciplina unitaria per «fenomeni sociali complessi» su tutto il territorio nazionale, risulta allora conforme a Costituzione soltanto nella misura in cui il Governo realizzi un confronto autentico con le autonomie territoriali, necessitato proprio dal fine di contemperare la compressione delle loro competenze.

L'art. 120, comma 2 associa il «principio di leale collaborazione» al «principio di sussidiarieta'». Il concetto e' ben espresso, tra le altre, dalla sentenza n. 213 del 2006: «L'analisi dell'intreccio delle competenze deve essere effettuata caso per caso, con riguardo alle concrete fattispecie normative, facendo applicazione del principio di prevalenza e del principio fondamentale di leale collaborazione, che si deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale».

Quindi, il criterio di prevalenza non dissolve di per se' tutti i dubbi di legittimita' della legge statale, escludendo sempre e comunque che il principio di leale collaborazione entri in considerazione.

In questi casi (si veda la sentenza n. 303 del 2003), e' indispensabile «annettere ai principi di sussidiarieta' e adeguatezza una valenza squisitamente procedimentale, poiche' l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'».

L'obbligo di collaborazione reciproca e' costantemente affermato dalla Corte come presupposto operativo del «sistema». La sentenza n.

251 del 2016, sopra richiamata, ben illustra anche sotto tale profilo quale debba essere la modalita' secondo cui gli enti parimenti costitutivi della Repubblica e con competenze costituzionalmente garantite ex articoli 117 e 118 cost. debbano improntare i reciproci rapporti.

Ora da quanto sopra detto, a giudizio di regione Lombardia, appare necessaria l'intesa al fine di declinare correttamente gli ambiti di materia indicati nell'art. 3 del decreto legislativo n. 40 del 2017.

Regione Lombardia ritiene che avrebbe dovuto essere prevista una Intesa forte (cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 207 del 1996).

Infatti, questa Ecc.ma Corte ha affermato, con giurisprudenza costante, che, nei casi di attrazione in sussidiarieta' di funzioni relative a materie rientranti nella competenza concorrente di Stato e Regioni, e' necessario, per garantire il coinvolgimento delle Regioni interessate, il raggiungimento di un'intesa, in modo da contemperare le ragioni dell'esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni (ex plurimis, sentenze n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 251 del 2016).

La previsione dell'intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una «drastica previsione» della decisivita' della volonta' di una sola parte, in caso di dissenso, ma che siano necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 339 del 2005). Solo nell'ipotesi di ulteriore esito negativo di tali procedure mirate all'accordo, puo' essere rimessa al Governo una decisione unilaterale (sentenza n. 33 del 2011).

La norma impugnata configura una di quelle drastiche previsioni di superamento unilaterale dell'intesa da parte dello Stato, ritenute dalla giurisprudenza di questa Corte come inidonee ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione, particolarmente in rilievo nelle ipotesi di attrazione in sussidiarieta'.

Non e' prevista infatti alcuna articolazione procedurale, che possa consentire un superamento concordato del dissenso.

Il principio della leale collaborazione e della necessaria intesa quale strumento regolatorio appare leso ai seguenti articoli del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40:   1. Art. 3 - nella elencazione delle aree intervento si evidenziano materie di competenza residuale regionale ovvero concorrente;   2. Art. 4 - l'intervento regionale limitato a «sentite» ovvero «previo parere»;   3. Art. 7 - il coinvolgimento delle regioni risulta marginale.

Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 4, comma 4, decreto legislativo n. 40 del 2017 - da leggersi unitamente all'art. 3 che viene ad elencare i settori di intervento dello stesso decreto legislativo n. 40 del 2017,e per come ripetuto all'art. 7, comma 1, lettera a), venga dichiarato incostituzionale,perche' in violazione del principio di leale collaborazione, del principio di attribuzione e del principio di sussidiarieta' per come previsti dall'art. 114, comma 1, dall'art. 117, dall'art. 118 e dall'art. 120, comma 2 della Costituzione.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40, per violazione dei principi di buona amministrazione proporzionalita' e ragionevolezza, del principio di attribuzione di cui all'art. 117 della Costituzione e del principio di autonomia finanziaria di spesa di cui all'art. 119, comma 1, della Costituzione.

L'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 subordina l'attuazione di programmi di servizio civile universale, da parte delle Regioni, con risorse proprie, alla previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalita' del servizio civile universale.

Il decreto legislativo all'art. 7, comma 1, lettera d) limita la potesta' regionale di cui alla legge delega (art. 8, comma 1, lettera d), terzo periodo),prevedendo una «previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri» il che si traduce, appunto, in una limitazione della potesta' regionale attribuita dalla legge delega come «autonoma» da esercitarsi a valere su «risorse proprie» ed al contempo, in un ulteriore ed inutile passaggio procedurale, in violazione del principio di buona amministrazione.

Tale previsione e' anche lesiva del principio di autonomia finanziaria di spesa riconosciuta alle Regioni dall'art. 119, comma 1, cost., laddove prevede che i programmi di servizio civile universale - per quanto adottati con «risorse proprie» delle regioni, siano soggetti a «previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri.».

Infatti, la disposizione di cui all'art. 7, comma l, lettera d) cosi' recita:   «Le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano: ... attuano programmi di servizio civile universale con risorse proprie presso i soggetti accreditati all'albo degli enti di servizio civile universale, previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, consistente nella verifica del rispetto dei principi e delle finalita' del servizio civile universale di cui al presente decreto».

L'autorizzazione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera d) diviene un improprio ed illegittimo subprocedimento all'interno del procedimento regionale, per come previsto dalla legge delega, espressione della volonta' governativa di esercitare un controllo finanziario e di merito dei programmi regionali di servizio civile.

La disciplina oggi in discussione e' stata disegnata diversamente da quella previgente incorrendo proprio in quelle illegittimita' costituzionali di cui la Corte aveva ritenuto indenne il decreto legislativo n. 77 del 2002: la Corte riteneva venisse assicurato(sentenza n. 431 del 2005, par. 5.2.3) «il coinvolgimento di organi di governo diversi da quelli centrali nell'esercizio delle funzioni amministrative relative al servizio civile nazionale ...

attraverso una pluralita' di strumenti, tra i quali vanno in particolare ricordati: il conferimento alle Regioni e alle Province autonome della cura dell'«attuazione degli interventi di servizio civile secondo le rispettive competenze» (art. 2, comma 2); la previsione del potere delle Regioni e delle Province autonome di esaminare ed approvare i progetti presentati dagli enti ed organizzazioni che svolgono attivita' nell'ambito delle competenze regionali o provinciali sul loro territorio (art. 6, comma 5); l'attribuzione anche alle Regioni e alle Province autonome del potere di curare, nell'ambito delle rispettive competenze, il monitoraggio, il controllo e la verifica dell'attuazione dei progetti (art. 6, comma 6).

La norma in argomento viola anche il principio di attribuzione ex art. 117 cost.

Come dice sempre codesta Ecc.ma Corte, con sentenza n. 431 del 2005 (par. 5.2.3), dalla disciplina di cui al decreto legislativo n.

77 del 2002 ne derivava «la delineazione di un sistema nel quale allo Stato e' riservata la programmazione e l'attuazione dei progetti a rilevanza nazionale ed alle Regioni e alle Province autonome e demandato il compito di occuparsi, nell'ambito delle rispettive competenze, della realizzazione dei progetti di servizio civile nazionale di rilevanza regionale o provinciale, nel rispetto delle linee di programmazione, indirizzo e coordinamento tracciate a livello centrale e delle norme di produzione statale individuanti caratteristiche uniformi per tutti i progetti di servizio civile nazionale».

Teniamo a ricordare che codesta Ecc.ma Corte si e' pronunciata in materia, con sentenza n. 431 del 2005, fissando principi che riteniamo siano stati violati con la approvazione delle nonne, oggi, impugnate. Ed infatti, la pronuncia dice:   «la riconduzione degli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale alla competenza legislativa statale non preclude alle Regioni e alle Province autonome «la possibilita' di istituire e disciplinare, nell'autonomo esercizio delle proprie competenze legislative, un proprio servizio civile regionale o provinciale, distinto da quello nazionale», nell'ottica del perseguimento, dell'ampia finalita' di realizzazione del principio di solidarieta' espresso dall'art. 2 della Costituzione».

Se dunque gli aspetti procedurali e organizzativi del servizio civile nazionale ricadono sotto la legislazione statale, del tutto possibile resterebbe tuttavia in capo a Regioni e Province autonome la possibilita' di istituire e disciplinare un proprio servizio civile regionale o provinciale, che pero' deve ritenersi del tutto distinto da quello nazionale disciplinato con sue proprie nonne, e che dovrebbe avere natura sostanzialmente diversa dal servizio civile nazionale, non essendo riconducibile al dovere di difesa.

La norma impugnata violerebbe anche l'art. 118 della Costituzione, ai sensi del quale, soltanto qualora sussista un'esigenza di esercizio unitario, le funzioni amministrative possono essere sottratte ai Comuni ed affidate ad un livello territorialmente piu' esteso, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza.

Cio' perche', nella prospettiva accolta dall'art. 118 cost., allo Stato spetta valutare l'esigenza di esercizio unitario con riferimento ad interessi di rilevanza nazionale, ma non ad esigenze che si esauriscono a livello regionale.

La norma impugnata violerebbe il principio di autonomia della spesa di cui all'art. 119, comma 1, della Costituzione. Cio' perche', come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (tra le altre, sentenza n. 417 del 2005, sentenza n. 77 del 2015), la disciplina di principio dei vincoli finanziari si configura compatibile con l'autonomia degli enti costituzionalmente garantiti, come le Regioni ed i Comuni, solo quando stabilisce tassativamente un limite complessivo di intervento - avente ad oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente o i fattori di crescita della spesa corrente - lasciando agli enti stessi piena autonomia e liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti ed obiettivi di spesa.

Da ultimo, la Corte ha ribadito tale orientamento, con sentenza n. 64 del 2016: «la finanza delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali e' «parte della finanza pubblica allargata» e che, pertanto, il legislatore statale puo', con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti territoriali, purche' le disposizioni statali prevedano un limite complessivo, anche se non generale, della spesa corrente, che lasci alle Regioni liberta' di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti ed obiettivi di spesa, e abbiano il carattere della transitorieta'...».

Piu' in particolare, la scrivente Regione dubita che la verifica attribuita al Governo con la norma impugnata, costituisca un profilo riconducibile alla legislazione esclusiva dello Stato. Cio' perche' tali funzioni vanno individuate con riferimento all'art. 8, comma 1, lettera d), della legge delega n. 106 del 2016 oltreche' ai principi affermati dalla giurisprudenza di codesta Corte e che sopra abbiamo richiamato.

La Regione puntualizza che la potesta' legislativa esclusiva dello Stato non puo' estendersi oltre i limiti indicati nell'art.

117, secondo comma, Cost., traendo spunto dalla giurisprudenza costituzionale per affermare che risulta, altresi', evidente la sussistenza di una competenza legislativa residuale delle Regioni, in base al criterio di riparto stabilito nel nuovo art. 117 Cost., il quale, elencando solo le materie di competenza esclusiva statale e di competenza concorrente, consente di far rifluire nella potesta' residuale delle Regioni quelle non esplicitamente incluse nell'uno o nell'altro ambito (sentenza n. 261 del 2011).

Inoltre gli articoli 118 e 119 fissano i limiti di esercizio della stessa competenza esclusiva, con la previsione di strumenti di cooperazione e di intesa in specifiche materie.

La ricorrente intende porre in risalto la contraddizione logica della disciplina impugnata rispetto a quanto previsto in precedenza dal decreto legislativo n. 77 del 2002, concludendo che il cambio di direzione attuato con l'intervento normativo oggetto di impugnazione pregiudica la concreta operativita' delle amministrazioni comunali, anche per cio' che attiene all'esercizio delle funzioni amministrative di competenza regionale, in violazione del principio di buon andamento dell'azione amministrativa tutelato dall'art. 97 Cost.

A parere della ricorrente, le disposizioni impugnate violerebbero anche l'art. 118 Cost., nella parte in cui disciplinano funzioni amministrative diverse da quelle spettanti allo Stato, comprimendo, altresi', l'esercizio di funzioni amministrative di spettanza regionale.

Richiamati, in linea generale, i principi che regolano l'individuazione della competenza legislativa, e che devono trovare applicazione nelle fattispecie qui in esame, si deve stabilire se le norme impugnate possano essere ricondotte alla materia «coordinamento della finanza pubblica» ex art. 117, comma 3, cost., unica giustificazione perche' possa non dirsi violato l'art. 119 cost.

Regione Lombardia ritiene che la disposizione impugnata ecceda tali confini, attribuendo direttamente al Governo un potere di verifica sull'intero spettro delle attivita' amministrative e finanziarie della Regione, e cio' anche nel caso non sussista alcun squilibrio finanziario, neppure nei singoli settori di intervento, oggetto di disciplina.

Come ha precisato codesta Ecc.ma Corte con sentenza n. 219 del 2013, «il grado e la rilevanza costituzionale dell'autonomia politica della Regione si misura anche sul terreno della sottrazione dei propri organi e dei propri uffici ad un generale potere di sorveglianza da parte del Governo, analogo a quello che spetta invece nei confronti degli enti appartenenti al plesso organizzativo statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera g), cost...

Allo scopo di contemperare l'autonomia costituzionale del sistema regionale con l'interesse unitario alla sana gestione amministrativa e finanziaria, e a soli fini collaborativi, l'art. 3 della legge n.

20 del 1994 ha individuato nella Corte dei conti l'organo al quale riservare il potere di «effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti», anche nei confronti delle Regioni e delle Province autonome....

Difatti, tale organo agisce «quale garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico», «di modo che l'imputazione alla Corte dei conti del controllo sulla gestione esercitabile anche nei confronti delle amministrazioni regionali non puo' essere considerata come l'attribuzione di un potere che si contrappone alle autonomie delle regioni» (sentenza n. 29 del 1995)».

Regione Lombardia ritiene che la norma impugnata supera il punto di sintesi che si era in tal modo raggiunto a tutela dell'autonomia regionale, affidando al Governo l'esercizio di un potere di verifica in danno delle Regioni e delle Province autonome.

Tale assetto normativo eccede i limiti propri dei principi di coordinamento della finanza pubblica, e si ripercuote sulla competenza legislativa regionale. Anzitutto, poiche' riserva all'apparato ministeriale un compito che non gli e' proprio, in danno della autonomia regionale, per come anche evidenziata nell'art. 8, comma l, lettera d), della legge delega n. 106 del 2016; e poi perche' cio' accade in difetto di proporzionalita' tra il mezzo impiegato ed il fine perseguito, in violazione del principio di buona amministrazione.

Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art 7, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 40 del 2017, venga dichiarato incostituzionale per violazione della norma di delega di cui all'art. 8, comma 1, lettera d), terzo periodo della legge n. 106 del 2016, per violazione dei principi di buona amministrazione e ragionevolezza, del principio di attribuzione di cui all'art. 117 e del principio di autonomia finanziaria di spesa di cui all'art. 119, comma 1, della Costituzione.

 

P. Q. M.  

Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, dell'art. 4, comma 4, e dell'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40 recante «Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell'art. 8 della legge 6 giugno 2016, n. 109», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale - n. 78 del 3 aprile 2017.

Milano, 29 maggio 2017     Avv. Maria Lucia Tamborino    Si depositera', unitamente al presente ricorso notificato, delibera di Giunta regionale n. 6622/2017 recante l'incarico ai difensori in epigrafe.

Milano, 29 maggio 2017    Avv. Maria Lucia Tamborino