RICORSO N. 23 DEL 27 FEBBRAIO 2017 (DELLA REGIONE LOMBARDIA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 27 febbraio 2017.

(GU n. 16 del 19.04.2017) 

 

Ricorso ex art. 127 Cost. della Regione Lombardia (c.f.

80050050154), in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. Roberto Maroni, autorizzato con delibera di giunta regionale n. X/6226 del 13 febbraio 2017 (doc. 1), rappresentata e difesa dall'avv. prof. Fabio Cintioli (c.f. CNTFBA62M23F158G - fabiocintioli@ordineavvocatiroma.org - fax 0668892383), giusta procura speciale a margine del presente atto ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna n. 32; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore (C.F.

80188230587), domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna n. 370; per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: della legge 11 dicembre 2016, n. 232, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 21 dicembre 2016, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e Bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019», per omessa previsione della riassegnazione alle regioni ed agli enti locali, subentrati nell'esercizio di funzioni provinciali non fondamentali, delle risorse sottratte a province e citta' metropolitane e, dunque, per violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3 Cost.; nonche', del comma 528 dell'art. 1 della richiamata legge 11 dicembre 2016, n. 232 per violazione dell'art. 119, comma 3 e 5, della Costituzione.

Fatto 

 Viene in questa sede impugnata la legge n. 232/2016 (Legge di Bilancio 2017), anzitutto in quanto essa, pur essendo la sede propria per provvedervi, non ha disposto alcuna riassegnazione alle regioni e agli enti locali delle risorse sottratte a province e citta' metropolitane per effetto dell'art. 1, commi 418, 419 e 451, legge n.

190/2014.

Come si illustrera' in seguito, questa omissione si pone in contraddizione con quanto affermato da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 205 del 21 luglio 2016, secondo la quale le predette disposizioni della legge n. 190/2014 possono ritenersi conformi al disposto dell'art. 119 Cost. solo se interpretate nel senso che «disponendo il comma 418 che le risorse affluiscano «ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato» [...] tale allocazione sia destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area vasta connesse al riordino delle funzioni non fondamentali, ad una successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b, della legge n. 56 del 2014)».

Viene in secondo luogo qui impugnato anche il comma 528 dell'art.

1 della citata legge n. 232/2016, per violazione dell'art. 119, comma 3 e 5, della Costituzione.

Tale norma, infatti, impone alle regioni di contribuire alla finanza pubblica mediante un versamento a favore del bilancio dello Stato fino al 2020 (ovvero oltre il triennio 2017-2019 di riferimento del bilancio statale), senza tuttavia disporre ne' il trasferimento di tali somme a fondi perequativi, come previsto dall'art. 119, comma 3, Cost., ne' una destinazione delle stesse in linea con l'art. 119, comma 5, Cost.

Le disposizioni in epigrafe sono costituzionalmente illegittime e vengono impugnate da Regione Lombardia per i seguenti motivi di

Diritto 

 I. Illegittimita' costituzionale della legge 11 dicembre 2016, n. 232 per violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3 Cost.

Con il primo motivo di ricorso si censura la legge in epigrafe nella parte in cui non prevede alcuna riassegnazione alle regioni ed agli enti locali delle risorse sottratte a province e citta' metropolitane per effetto di alcune disposizioni della legge n.

190/2014.

1. L'art. 1, comma 418, legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilita' 2015)», dispone che «Le province e le citta' metropolitane concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della Regione siciliana e della Regione Sardegna, ciascuna provincia e citta' metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa. Fermo restando per ciascun ente il versamento relativo all'anno 2015, l'incremento di 900 milioni di euro del predetto versamento a carico degli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e' ripartito, per l'anno 2016, per 650 milioni di euro a carico degli enti di area vasta e delle province montane e, per la restante quota di 250 milioni di euro, a carico delle citta' metropolitane e di Reggio Calabria. Sono escluse dal versamento di cui al periodo precedente, fermo restando l'ammontare complessivo del contributo dei periodi precedenti, le province che risultano in dissesto alla data del 15 ottobre 2014. Con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 marzo 2015, con il supporto tecnico della Societa' per gli studi di settore - SOSE Spa, sentita la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, e' stabilito l'ammontare della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire e del corrispondente versamento tenendo conto anche della differenza tra spesa storica e fabbisogni standard».

A sua volta, l'art. 1, comma 419, della stessa legge prevede che «In caso di mancato versamento del contributo di cui al comma 418, entro il 31 maggio di ciascun anno, sulla base dei dati comunicati dal Ministero dell'interno, l'Agenzia delle entrate, attraverso la struttura di gestione di cui all'art. 22, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, provvede al recupero delle predette somme nei confronti delle province e delle citta' metropolitane interessate, a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, di cui all'art. 60 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, riscossa tramite modello F24, all'atto del riversamento del relativo gettito alle medesime province e citta' metropolitane. In caso di incapienza a valere sui versamenti dell'imposta di cui al primo periodo, il recupero e' effettuato a valere sui versamenti dell'imposta provinciale di trascrizione, con modalita' definite con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno».

Da ultimo, l'art. 1, comma 451, della richiamata legge, ha modificato l'art. 47 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89), recante «Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale.

(Decreto IRPEF)», estendendo l'obbligo delle province, delle citta' metropolitane e dei comuni di concorrere alla riduzione della spesa pubblica sino a tutto l'anno 2018.

2. Le predette disposizioni erano state impugnate dalla Regione Veneto in via principale dinanzi a codesta Corte, tra l'altro, per violazione dell'art. 119, comma 1, 2 e 3, Cost., nella misura in cui il passaggio di risorse dal bilancio provinciale (e delle Citta' Metropolitane) a quello statale sarebbe stato disposto senza alcuna parallela prescrizione circa la destinazione che lo Stato avrebbe dovuto imprimere a tali risorse, salvo l'unico riferimento al vincolo a versare l'importo «ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato». Questa circostanza avrebbe cagionato la lesione dell'autonomia finanziaria di spesa e il capovolgimento dei meccanismi di compartecipazione e di trasferimento di risorse dallo Stato alla periferia di cui all'art. 119, commi 1, 2 e 3, Cost.

3. La sentenza n. 205 del 2016 di codesta Corte, decidendo tale ricorso, ha si' dichiarato non fondata la questione, ma esclusivamente in base al presupposto che, «disponendo il comma 418 che le risorse affluiscano "ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato", si deve ritenere - e in questi termini la disposizione va correttamente interpretata - che tale allocazione sia destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area vasta connesse al riordino delle funzioni non fondamentali, a una successiva riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b, della legge n. 56 del 2014)» (enfasi aggiunta).

In altre parole, «La previsione del versamento al bilancio statale di risorse frutto della riduzione della spesa da parte degli enti di area vasta va dunque inquadrata nel percorso della complessiva riforma in itinere. E, cosi' intesa, essa si risolve in uno specifico passaggio della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato».

Codesta Corte ha cosi' concluso che «I commi 418, 419 e 451, dunque, non violano l'art. 119, primo, secondo e terzo comma, Cost.

nei termini lamentati dalla ricorrente, perche' le disposizioni in essi contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse ad apposito capitolo del bilancio statale (cosi' come l'eventuale recupero delle somme a valere sui tributi di cui al comma 419) e' specificamente destinato al finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti» (enfasi aggiunta).

4. Codesta Corte ha evidentemente ritenuto di poter evitare la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme impugnate nell'esclusivo presupposto che le risorse prelevate sul territorio in favore dello Stato dovessero essere destinate ad una - seppur successiva - riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle stesse funzioni. Solo su queste basi, dunque, si poteva escludere quel vulnus di costituzionalita' lamentato dalla Regione ricorrente e derivante dall'assenza di una specifica destinazione delle risorse prelevate, espressamente prevista dall'art. 119 Cost.

Si e' trattato, dunque, di una sentenza interpretativa di rigetto, con la quale il rapporto di conformita' alla Costituzione delle disposizioni legislative impugnate e' stato dichiarato non «in assoluto», ma in quanto alle disposizioni stesse si fosse dato un certo significato: quello, come detto, dell'implicito ma necessario obbligo di riassegnazione agli enti subentranti nell'esercizio delle funzioni provinciali non fondamentali delle risorse prelevate ai sensi della legge n. 190/2014.

Nel contempo, essendo in gioco alla base della norma de qua rilevanti flussi finanziari in movimento dagli enti territoriali allo Stato, da tale interpretazione, calibrata sulla riassegnazione a beneficio di chi avrebbe poi assunto le funzioni in questione, non poteva che derivare un vincolo a carico dello Stato medesimo, da ottemperare nella sede della legge di bilancio.

5. Nonostante la chiara prescrizione di codesta Corte, il legislatore ha approvato la legge oggi impugnata, la quale, lungi dal provvedere in ossequio a quanto disposto dalla sentenza n. 205 del 2016, non ha minimamente previsto alcuna riassegnazione delle risorse in esame in favore delle regioni e degli enti locali. Con tale omissione, tuttavia, il legislatore ha prodotto proprio quella violazione dell'art. 119 Cost. che codesta Corte aveva escluso nel solo presupposto che il legislatore statale ottemperasse ad un vincolo a suo carico concernente tale riassegnazione.

La legge impugnata, infatti, costituisce la sedes materiae naturale per una simile riassegnazione, considerato che, ai sensi dell'art. 81 Cost., la legge di bilancio e' lo strumento della manovra di finanza pubblica, con il quale lo Stato provvede alla ripartizione dei mezzi finanziari tra i vari rami di amministrazione, in relazione ai fini che si intendono conseguire. Sicche', e' proprio in essa che lo Stato avrebbe dovuto adeguarsi al dictum risultante dalla sentenza di codesta Corte pubblicata il 21 luglio 2016.

In cio' si manifesta la violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3, della Costituzione, nella parte in cui la legge di bilancio oggi impugnata (n. 232 del 2016), nulla disponendo in ordine alla riassegnazione delle risorse di cui alla legge n. 190 del 2014 in favore delle regioni e degli enti locali, finisce per vanificare l'obbligo che codesta ecc.ma Corte costituzionale ha imposto al legislatore e, cosi', per ledere l'autonomia finanziaria di spesa di cui all'art. 119 Cost.

Sussistendo un interesse diretto di Regione Lombardia in merito al subentro nelle funzioni collegate ai fondi da riassegnare, si chiede, pertanto, che codesta ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge 232 del 2016 nella parte in cui nulla dispone in ordine alla riassegnazione alle regioni ed agli enti locali, subentrati nell'esercizio di funzioni provinciali non fondamentali, delle risorse sottratte a province e citta' metropolitane ai sensi dell'art. 1, commi 418, 419 e 451 della legge n. 190/2014, per violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3 Cost.

In ogni caso, si chiede che codesta ecc.ma Corte, rilevata la mancanza nella legge n. 232 del 2016 di qualsiasi disposizione circa la riassegnazione alle regioni ed agli enti locali delle risorse in esame, indirizzi al legislatore quantomeno l'invito e/o il monito a volervi provvedere al piu' presto, ammonendolo che, in caso contrario, la richiamata legge n. 232 del 2016 incorrerebbe in illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3 Cost.

II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 528, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, per violazione degli articoli 119, commi 3 e 5, della Costituzione.

1. Con il secondo motivo di ricorso si censura l'art. 1, comma 528, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, il quale ha modificato il comma 680 dell'art. 1 legge n. 208/2015.

2. In particolare, tale ultima disposizione normativa prevedeva, prima di tale ultima modifica, che «Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in conseguenza dell'adeguamento dei propri ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza pubblica di cui alla presente legge e a valere sui risparmi derivanti dalle disposizioni ad esse direttamente applicabili ai sensi dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 3.980 milioni di euro per l'anno 2017 e a 5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, in ambiti di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in sede di auto coordinamento dalle regioni e province autonome medesime, da recepire con intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di ciascun anno.

In assenza di tale intesa entro i predetti termini, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare, previa deliberazione del Consiglio dei minimi, entro venti giorni dalla scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole regioni e province autonome, tenendo anche conto della popolazione residente e del PIL, e sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato, considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale. Fermo restando il concorso complessivo di cui al primo periodo, il contributo di ciascuna autonomia speciale e' determinato previa intesa con ciascuna delle stesse. Le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano assicurano il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza come eventualmente rideterminato ai sensi del presente comma e dei commi da 681 a 684 del presente articolo e dell'art. 1, commi da 400 a 417, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Per la Regione Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano l'applicazione del presente comma avviene nel rispetto dell'Accordo sottoscritto tra il Governo e i predetti enti in data 15 ottobre 2014, e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190, con il concorso agli obiettivi di finanza pubblica previsto dai commi da 406 a 413 dell'art. 1 della medesima legge».

3. L'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016 ha modificato il predetto art. 1, comma 680, legge n. 208/2015 estendendo l'obbligo per le regioni di contribuire alla finanza pubblica fino a tutto il 2020, nonche' prevedendo che, nel rideterminare le modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato in caso di mancato raggiungimento dell'intesa entro il 31 gennaio di ciascun anno, sia anche possibile «prevedere versamenti da parte delle regioni interessate».

Per la precisione, la novella del comma 680, li dove, «tenendo anche conto della popolazione residente e del PIL», disponeva che «sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato», soggiunge oggi: «inclusa la possibilita' di prevedere versamenti da parte delle regioni interessate».

La novella, dunque, incide su una norma la quale, in origine, cosi' disponeva: (i) contemplava un sistema di «contribuzione alla finanza pubblica» delle regioni per un ammontare predeterminato; (ii) stabiliva che, in prima battuta, il sacrificio dovesse essere ripartito secondo una intesa in Conferenza permanente Stato-Regioni; (iii) aggiungeva che, in seconda battuta, in mancanza di intesa, il sacrificio fosse ripartito, nelle forme di riduzioni di spesa («i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole regioni e province autonome») mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previa deliberazione del Consiglio dei ministri, «tenendo anche conto della popolazione residente e del PIL».

4. La novella, oltre ad estendere illegittimamente l'obbligo per le Regioni di contribuire alla finanza pubblica fino a tutto il 2020, implica una dirompente novita', che include addirittura «la possibilita' di prevedere versamenti da parte delle regioni interessate». Non indica, la norma, tuttavia, ne' i puntuali criteri per determinare questi contributi, ne' le forme organizzative di come dovranno essere acquisiti tali contributi e di come il sacrificio debba essere ripartito tra le Regioni, al di fuori del fatto che si terra' conto «anche» della popolazione residente e del PIL.

La norma impugnata, dunque, impone alle Regioni un vincolo alle politiche di bilancio prevedendo, oggi, che il contributo alla finanza pubblica possa essere conseguito non solo con una riduzione di spesa, ma anche con versamenti di entrate proprie al bilancio statale. Non si chiede, insomma, di ridurre la spesa per ragioni di coordinamento finanziario, ma si prefigura una vera e propria sottrazione di risorse alle regioni mediante un transito finanziario all'inverso a favore dello Stato.

Inoltre, non e' chiaro se questi versamenti abbiano una natura effettivamente perequativa, dato che vengono acquisiti dallo Stato senza un ulteriore meccanismo di riassegnazione. Infine, si tratta di acquisizioni fatte in modo tale che non si collegano ne' alla istituzione di un apposito fondo perequativo (art. 119, comma 3, Cost.), ne' ad una destinazione di risorse aggiuntive attuata nel rispetto di quanto richiesto in proposito dall'art. 119, comma 5.

In altre parole, lo Stato si assicura cosi' il trasferimento di risorse da parte delle regioni (dato che puo' tout court «prevedere versamenti»), verosimilmente in maniera disomogenea dato il riferimento a PIL e popolazione residente, e tuttavia nulla si dice su come lo Stato le riutilizzera' ne' le si indirizza in un apposito fondo perequativo.

5. Codesta Corte costituzionale si e' ripetutamente espressa sui limiti che lo Stato deve rispettare quando intenda imporre alle regioni vincoli alle politiche di bilancio per ragioni di coordinamento finanziario. Ha ben chiarito, anzitutto, che il legislatore statale puo' imporre limiti alla spesa per finalita' di coordinamento della finanza pubblica e per raggiungere obiettivi di riequilibrio, incidendo anche sulla spesa corrente purche' in modo transitorio (ad es., Corte costituzionale n. 287 del 2013, nn. 23 e 22 del 2014). Ed il che rende gia' palese l'illegittimita' della disposizione impugnata nella parte in cui estende l'obbligo di contribuire alla finanza pubblica fino a tutto il 2020. In tal modo, infatti, l'imposizione, lungi dall'essere transitoria, assume sempre piu' il carattere della stabilita' e, in quanto tale, contraria ai principi sanciti sul punto da codesta Corte.

Ma, ancora e soprattutto, la Corte si e' occupata del caso in cui gli interventi dello Stato, anziche' essere uniformi e richiedenti un impegno omogeneo da parte delle regioni, siano basati e/o possano presupporre una differenziazione tra le regioni stesse e le province autonome. In questi casi si e' ripetutamente affermato che gli interventi statali fondati sulla differenziazione tra regioni, volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali, devono seguire le modalita' fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost., senza alterare i vincoli generali di contenimento della spesa pubblica, che non possono che essere uniformi (sentenze n. 46 del 2013 e n. 284 del 2009) ed ha anche affermato che, ove le risorse acquisite siano destinate ad un apposito fondo perequativo, esse devono essere indirizzate ai soli «territori con minore capacita' fiscale per abitante», art. 119, terzo comma, Cost. (cosi' la sentenza n. 79 del 2014).

Proprio in tale sentenza n. 79 del 2014, del resto, la Corte ha distinto tra l'obbligo di tutti gli enti del settore pubblico allargato, incluse le regioni, di fornire un contributo alla finanza pubblica - evidentemente secondo criteri omogenei - ed interventi di perequazione degli squilibri economici, chiarendo appunto sia che questa seconda strada e' quella che viene percorsa quando si chiedono sacrifici differenziati sia che essa deve necessariamente passare per le forme dell'art. 119, commi 3 e 5: «mentre il concorso agli obiettivi di finanza pubblica e' un obbligo indefettibile di tutti gli enti del settore pubblico allargato di cui anche le regioni devono farsi carico attraverso un accollo proporzionato degli oneri complessivi conseguenti alle manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52 del 2010), la perequazione degli squilibri economici in ambito regionale deve rispettare le modalita' previste dalla Costituzione, di modo che il loro impatto sui conti consolidati delle amministrazioni pubbliche possa essere fronteggiato ed eventualmente redistribuito attraverso la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti dal vigente ordinamento finanziario e contabile» (sentenza n. 176 del 2012). Conseguentemente, «gli interventi perequativi e solidali devono garantire risorse aggiuntive rispetto a quelle reperite per l'esercizio delle normali funzioni», e provenienti dallo Stato (sentenza n. 176 del 2012), devono avere uno «specifico ambito territoriale di localizzazione», nonche' «particolari categorie svantaggiate destinatarie» (sentenza n. 254 del 2013)».

Sempre la sentenza n. 79 del 2014, giudicando una disposizione che aveva creato una differenziazione del sacrificio contributivo tra le regioni al di fuori delle forme dell'art. 119, commi 3 e 5, ha poi concluso che proprio tali forme non possono dirsi soddisfatte se le relative disposizioni «non contengono alcun indice da cui possa trarsi la conclusione che le risorse in tal modo acquisite siano destinate ad un fondo perequativo indirizzato ai soli territori con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), ne' che esse siano volte a fornire quelle risorse aggiuntive, che lo Stato - dal quale, peraltro, dovrebbero provenire - destina esclusivamente a determinate regioni per scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni (art. 119, quinto comma, Cost.: ex plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006; n. 107 del 2005; n. 423, n. 320, n. 49 e n. 16 del 2004)».

6. Il caso trattato nel precedente del 2014 era, del resto, molto simile a quello qui in discussione.

La norma dichiarata illegittima infatti: (i) prevedeva sacrifici differenziati tra regioni (si utilizzava, in quel caso, il criterio dei consumi intermedi); (ii) ammetteva un versamento a carico delle regioni ed a favore dello Stato su determinazione unilaterale dello Stato in caso di mancanza dell'intesa in Conferenza; (iii) non prevedeva il passaggio attraverso un fondo perequativo ne' spiegava presupposti e finalita' di eventuali dotazioni aggiuntive, in palese violazione dell'art. 119, commi 3 e 5.

La disposizione qui censurata, parimenti, presenta le medesime caratteristiche, dato che consente allo Stato di imporre un versamento alle regioni e non una mera riduzione di spesa, con una distribuzione del sacrificio disomogenea, tenendo «anche» conto del PIL e della popolazione residente, senza contemplare il passaggio in un fondo perequativo ex comma 3 dell'art. 119 e senza fare i conti con le premesse e gli obiettivi indicati nel comma 5 dell'art. 119.

Ed, oltretutto, persino omettendo di enunciare un vincolo a carico dello Stato alla futura erogazione.

La norma qui impugnata, forte anche della sua genericita' che non fa altro che rafforzare il potere statale («inclusa la possibilita' di prevedere versamenti da parte delle regioni interessate»), non mira affatto ad attuare «un obbligo indefettibile di tutti gli enti del settore pubblico allargato» di proporzionalmente contribuire agli oneri delle manovre di finanza pubblica. Essa invece vuole consentire allo Stato dei prelievi dai contorni oltretutto indefiniti e differenziati («anche» tenendo conto del PIL e della popolazione residente). Questa strada, pero' ha gia' spiegato codesta Corte, non puo' proseguire se non nei modi stilati dall'art. 119, commi 3 e 5.

Infatti i vincoli posti dall'art. 119, commi 3 e 5 non impediscono di certo che vengano adottati interventi perequativi a favore delle collettivita' economicamente piu' deboli. Ma cio' potra' avvenire solo attraverso quei moduli legislativi e procedimentali non collidenti con il dettato dell'art. 119 (Corte cost. n. 176 del 2012 cit.). Non v'e' dubbio che «lo Stato... deve affrontare l'emergenza finanziaria predisponendo rimedi che siano consentiti dall'ordinamento costituzionale» (Corte cost., n. 151 del 2012).

Ne risulta dunque la denunciata violazione dell'art. 119, commi 3 e 5, della Costituzione.

Per questi motivi, Regione Lombardia chiede che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate.

 

P.Q.M. 

 Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso e per l'effetto, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale: della legge n. 232/2016 nella parte in cui nulla prevede in ordine alla riassegnazione alle regioni ed agli enti locali, subentrati nell'esercizio di funzioni provinciali non fondamentali, delle risorse sottratte a province e citta' metropolitane ai sensi dell'art. 1, commi 418, 419 e 451 della legge n. 190/2014, e, dunque, per violazione dell'art. 119, commi 1, 2 e 3 Cost.; del comma 528 dell'art. 1 della richiamata legge 11 dicembre 2016, n. 232 per violazione degli articoli 119, comma 3 e 5, della Costituzione, per le ragioni sopra esposte.

Si produce la delibera di G.R. n. X/626 del 13 febbraio 2017 (doc. 1).

Roma, 16 febbraio 2017

Prof. avv. Cintioli