RICORSO N. 3 DEL 10 GENNAIO 2017 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 10 gennaio 2017.

(GU n. 5 del 01.02.2017)

 

Ricorso della Regione Toscana (c.f.: 01386030488), in persona del Presidente pro - tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 2 del 10 gennaio 2017, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura della Regione Toscana, elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell'avv. Marcello Cecchetti, piazza Barberini n. 12;   Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 25 novembre 2016 n. 219 nel suo complesso e con specifico riferimento all'art. 1, comma 1, lett. r, n. 1 punto i), all'art. 3 quarto comma e all'art. 4 sesto comma per violazione del principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni, nonche' degli articoli 76, 77 primo comma, 117 terzo e quarto comma e 118 Cost.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25 novembre 2016 e' stato pubblicato il decreto legislativo 25 novembre 2016 n. 219 «Attuazione della delega di cui all'art. 10 della legge 7 agosto 2015 n. 124 per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura».

Tale decreto legislativo e' stato adottato in base alla legge delega n. 124/2015, recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Ridefinire la mission delle Camere di commercio e rafforzare la loro funzione di sostegno alle imprese, riducendone i costi e dimezzandone il numero, e' il traguardo fissato dall'art. 10 della legge, che detta, quali principi e criteri direttivi a cui deve ispirarsi il Governo nell'adottare un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle Camere di commercio, i seguenti:   determinazione del diritto annuale a carico delle imprese;   ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto, il numero complessivo delle Camere si ridurra' dalle attuali 105 a non piu' di 60 nel rispetto dei seguenti vincoli direttivi: almeno una Camera di commercio per Regione; accorpamento delle Camere di commercio con meno di 75 mila imprese iscritte;   ridefinizione dei compiti e delle funzioni, con particolare riguardo a quelle di pubblicita' legale generale e di settore, di semplificazione amministrativa, di tutela del mercato, limitando e individuando gli ambiti di attivita' nei quali svolgere la funzione di promozione del territorio e dell'economia locale, nonche' attribuendo al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate dallo Stato e dalle Regioni, eliminando le duplicazioni con altre amministrazioni pubbliche, limitando le partecipazioni societarie a quelle necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali;   riordino delle competenze relative alla tenuta e valorizzazione del registro delle imprese, con particolare riguardo alle funzioni di promozione della trasparenza del mercato e di pubblicita' legale delle imprese;   definizione di standard nazionali di qualita' delle prestazioni delle Camere di commercio, in relazione a ciascuna funzione fondamentale, ai relativi servizi ed all'utilita' prodotta per le imprese;   riduzione del numero dei componenti dei Consigli e delle Giunte e riordino della relativa disciplina, compresa quella sui criteri di elezione, in modo da assicurare un'adeguata consultazione delle imprese, e sul limite ai mandati, nonche' delle Unioni regionali, delle aziende speciali e delle societa' controllate; riordino della disciplina dei compensi dei relativi organi, prevedendo la gratuita' degli incarichi diversi da quelli nei collegi dei revisori dei conti; definizione di limiti al trattamento economico dei vertici amministrativi delle Camere di commercio e delle aziende speciali.

Il decreto legislativo presenta disposizioni non rispettose dei citati criteri direttivi, in violazione degli articoli 76 e 77 primo comma Cost., ed ha sviluppato i principi della legge delega in modo non conforme alle competenze regionali costituzionalmente garantite ai sensi degli articoli 117, terzo e quarto comma e 118 Cost. e in violazione del principio di leale cooperazione. Le Regioni, nel parere reso nell'ambito della Conferenza Unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo n. 281/1997, avevano espresso parere favorevole condizionato all'accoglimento di una serie di proposte, tuttavia disattese in sede di approvazione.

In particolare, per cogliere le illegittimita' costituzionali che verranno prospettate, si rileva che e' incontestabile che le Camere di commercio svolgano, ormai da tempo, rilevanti funzioni riconducibili a materie di competenza sia concorrente che residuale delle Regioni, quali la promozione dello sviluppo economico locale, il sostegno delle attivita' economiche regionali, lo sviluppo della competitivita' delle imprese nell'economia regionale, il sostegno all'innovazione per i settori produttivi regionali, il commercio, la promozione del turismo e del patrimonio culturale, l'orientamento al lavoro.

La Corte costituzionale, gia' prima della riforma del Titolo V della Costituzione, nella sentenza n. 477/2000, ha chiarito che le Camere di commercio, in base alla legge di riforma del 1993, si configurano come «un ente pubblico locale dotato di autonomia funzionale, che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell'art. 118 della Costituzione, diventando anche potenziale destinatario di deleghe dello Stato e della Regione».

Nella successiva sentenza n. 374/2007, pronunciata in base alla riforma del nuovo Titolo V della Cost., la Corte costituzionale, in applicazione della cd «chiamata in sussidiarieta'», ha rilevato che «anche quando ha proceduto al trasferimento alle Regioni di funzioni in materia di camere di commercio, il legislatore si e' sempre preoccupato di garantire che la costituzione dei consigli camerali fosse disciplinata in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Cio' si spiega considerando che le camere di commercio, da un lato, sono espressione del sistema delle imprese e, dall'altro, svolgono funzioni che richiedono una disciplina uniforme». La Corte costituzionale ha anche precisato, pero', che in simili casi l'intervento statale deve essere proporzionato all'esigenza di esercizio unitario a livello statale delle funzioni di cui volta per volta si tratta e deve essere espletato previa intesa con le Regioni.

Quindi sussistono esigenze di carattere unitario che legittimano la competenza statale in materia; tuttavia l'indubbia interferenza dell'ambito di operativita' della Camere di commercio anche con materie regionali rende necessario un pieno ed effettivo coinvolgimento delle Regioni nella definizione della normativa, nel rispetto del principio della leale collaborazione. Tale premesso il decreto legislativo n. 219/2016 appare incostituzionale per i seguenti motivi di

 

Diritto

 

1) Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n. 219/2016 nel suo complesso per violazione del principio, della leale collaborazione tra Stato e Regioni e per violazione degli articoli 76 e 77 primo comma Cost.

1.a) Come si e' esposto in premessa, le Camere di commercio operano in ambiti rilevanti di competenza regionale sia concorrente che residuale (sviluppo economico locale, sostegno alle imprese, commercio, turismo, orientamento al lavoro). Le Regioni inoltre gestiscono le procedure di nomina, di costituzione degli organi e di commissariamento allorquando gli enti camerali non assicurino il normale funzionamento ovvero non approvino il preventivo economico o il bilancio d'esercizio nei termini. Si tratta di poteri di assoluta importanza che riguardano gli organi e le funzioni delle Camere di commercio, ponendole nell'ambito degli enti sottoposti a vigilanza regionale ai sensi dell'art. 4, della legge n. 580/1993 come modificata dal decreto legislativo n. 23 del 2010, per le materie di competenza.

Nella sentenza n. 251 del 2016 la Corte costituzionale ha rilevato che «La' dove legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa.

Quest'ultima si impone, dunque, quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost.».

In applicazione di tale principio il decreto legislativo in oggetto avrebbe dunque dovuto essere approvato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Ne' vale, in contrario, rilevare che l'art. 10, della legge n.

124/2015 prevedeva il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo n. 281/1997, perche' la violazione del principio di leale collaborazione e' resa evidente applicando il criterio rilevato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n.

251/2016, in quanto, poiche' le Camere di commercio si collocano all'intreccio di una serie di competenze statali e regionali, anche per l'esercizio di questa delega sarebbe stato necessario il ricorso all'intesa, con insufficienza del mero parere, con consequenziale illegittimita' del decreto delegato per violazione del principio della leale cooperazione quale, vizio autonomo del decreto legislativo medesimo.

1.b) Il primo comma dell'art. 10, della legge n. 124 del 2015 prevedeva, quale scadenza della delega «dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge»: dunque il 29 agosto 2016.

Il decreto legislativo e' stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 25 agosto e trasmesso alle Camere, nonche' alla Conferenza unificata e al Consiglio di Stato, il 26 agosto.

Il secondo comma del citato art. 10 dispone: «Il decreto legislativo di cui al comma 1 e' adottato ... previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo puo' comunque procedere. Lo schema di decreto legislativo e' successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano nel termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo puo' essere comunque adottato. Se il termine previsto per il parere cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto al comma 1 o successivamente, la scadenza medesima e' prorogata di novanta giorni».

Percio' la legge di delega e' chiara nel prevedere che:   prima siano richiesti i pareri della Conferenza e del Consiglio di Stato, da rendere nel termine di quarantacinque giorni;   successivamente sono richiesti i pareri delle Commissioni parlamentari.

Invece, il Governo ha trasmesso lo schema di decreto legislativo contestualmente alla Conferenza unificata, al Consiglio di Stato e alle Commissioni parlamentari, cosi' contravvenendo l'iter delineato dalla citata norma, ottenendo cosi' anche lo spostamento della scadenza della delega al 29 novembre.

La Costituzione richiede che la legge di delega fissi un tempo limitato e certo per l'esercizio della stessa e che senza delegazione delle Camere il Governo non possa emanare decreti con valore di legge. Pertanto, il rispetto del meccanismo temporale fissato dal legislatore delegato deve essere rigoroso: se la legge di delega fissa una sequenza anche temporale specifica di pareri che consentano di integrare e verificare i contenuti dello schema di decreto legislativo, non puo' essere certo il Governo - da parte sua - a modificarlo.

Il mancato rispetto di tale iter di consecutivita' comporta il mancato rispetto del termine di delega e la violazione degli articoli 76 e 77 primo comma Cost.

E' noto che la violazione di tali disposizioni costituzionali puo' essere prospettata dalle Regioni con il ricorso in via principale ove la stessa determini una lesione delle competenze regionali; infatti la Corte costituzionale ha motivato la ridondanza di una questione prospettata in relazione alle suddette norme costituzionali sull'assunto che la violazione denunciata risulti «potenzialmente idonea a determinare una lesione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni», incidendo le norme impugnate su un ambito materiale di potesta' legislativa concorrente (sentenza n. 22 del 2012; n. 80/2012).

Nel caso in esame, come sopra gia' evidenziato, l'oggetto della disciplina - e in particolare il riordino, l'accorpamento e la riorganizzazione delle funzioni delle Camere di commercio - incide sulle attribuzioni regionali (promozione dello sviluppo economico locale, sostegno delle attivita' economiche regionali, sviluppo della competitivita' delle imprese nell'economia regionale, sostegno all'innovazione per i settori produttivi regionali, commercio, promozione del turismo e del patrimonio culturale, orientamento al lavoro) e quindi la eccepita violazione degli artt. 76 e 77, primo comma Cost. determina una sicura lesione delle attribuzioni regionali.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. r), n. 1 punto i) nella parte in cui sostituisce il comma 10 dell'art. 18 della legge 28 dicembre 1993, n. 580, per violazione degli articoli 117 terzo e quarto comma e 118 Cost. - Violazione del principio della leale cooperazione.

L'art. 1, comma 1, lett. r) n. 1 punto i) del decreto legislativo in oggetto sostituisce il comma 10 dell'art. 18 della legge n.

580/1993 in tema di finanziamento delle camere di commercio.

L'originario comma 10 disponeva che per il cofinanziamento di specifici progetti aventi per scopo l'aumento della produzione e il miglioramento delle condizioni economiche della circoscrizione territoriale di competenza, le Camere di commercio potevano aumentare per gli esercizi di riferimento la misura del diritto annuale fino ad un massimo del venti per cento.

L'attuale disposizione invece dispone:   «10. Per il finanziamento di programmi e progetti presentati dalla Camere di commercio, condivisi con le Regioni ed aventi per scopo la promozione dello sviluppo economico e l'organizzazione di servizi alle imprese, il Ministro dello sviluppo economico, su richiesta di Unioncamere, valutata la rilevanza dell'interesse del programma o del progetto nel quadro delle politiche strategiche nazionali, puo' autorizzare l'aumento, per gli esercizi di riferimento, della misura del diritto annuale fino ad un massimo del venti per cento. Il rapporto sui risultati dei progetti e' inviato al Comitato che effettua la vigilanza amministrativo contabile».

Poiche' la norma riguarda il finanziamento di programmi e progetti che le Camere di commercio condividono con le Regioni per la promozione dello sviluppo economico e l'organizzazione di servizi alle imprese, si verte in ambiti di competenza regionale costituzionalmente garantiti. Quindi la valutazione del Ministero, compiuta in modo unilaterale senza il coinvolgimento delle Regioni, e' lesiva delle competenze regionali perche' e' finalizzata a stabilire la rilevanza di quei progetti e, quindi, l'ammissibilita', per il loro finanziamento, dell'aumento dei diritti annuali. Il mancato riconoscimento di questa possibilita' di aumento del diritto annuale puo' infatti determinare l'impossibilita' di realizzare il progetto per carenza di risorse da parte della Camera di commercio.

Cio' non significa non tener conto dell'esigenza di contenere i costi a carico delle imprese, per razionalizzare i medesimi: tale esigenza infatti ben potrebbe essere perseguita con un effettivo coinvolgimento delle Regioni. Quel che si contesta e' che la decisione finale di autorizzare o meno l'aumento del diritto annuale per garantire le risorse finanziarie del programma/progetto sia rimessa unilateralmente al Ministero senza intesa con le Regioni interessate, pur riguardando il programma o il progetto ambiti di competenza regionale, come si evince chiaramente dalla disposizione impugnata. Pertanto la disposizione non e' coerente con i principi della giurisprudenza costituzionale la quale, sin dalla sentenza n.

303/2003, ha configurato l'intesa con la Regione interessata quale presupposto essenziale per la compatibilita' costituzionale di una normativa statale che, in applicazione dell'art. 118 Cost., attragga in capo allo Stato potesta' legislative che l'art. 117 affida alla competenza concorrente o residuale delle Regioni.

Non solo. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, ove la normativa statale incida in ambiti di competenza regionale, l'imprescindibile fase concertativa deve essere salvaguardata:   «Appare evidente che quest'ultima va considerata come un'intesa "forte", nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento a causa del particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, al turismo, etc.» (sentenza n. 6 del 2004).

Ancora la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, ove l'intesa debba essere prevista dal legislatore statale come strumento necessario per riequilibrare le potesta' legislative regionali che sarebbero altrimenti eccessivamente compromesse, e' necessario che la stessa intesa, secondo i canoni della leale collaborazione, si sviluppi attraverso reiterate trattative, volte a superare le divergenze che ostacolano il raggiungimento di un accordo (sentenza n. 339 del 2005).

In definitiva, e' necessario che quantomeno si attui una fase di dialogo fra le parti e che si realizzi un contatto tra i diversi interessi ed una dialettica leale e costruttiva fra i differenti soggetti di rilevanza costituzionale, perche' altrimenti la previsione dell'intesa si tradurrebbe in una statuizione solo formale e, quindi, inidonea al soddisfacimento degli obiettivi per cui deve essere garantita e cioe' l'equo contemperamento delle potesta' riconosciute a soggetti entrambi dotati di autonomia e rilevanza costituzionale.

La norma impugnata non rispetta i suddetti principi, violando cosi' sia gli artt. 117 terzo e quarto comma e 118 Cost. che il principio della leale cooperazione.

La violazione dell'art. 118 Cost. e' configurabile anche per un ulteriore motivo.

Come sopra accennato, le Camere di commercio sono enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale, che entrano a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell'art. 118 della Costituzione, diventando anche potenziali destinatarie di deleghe dello Stato e della Regione: la Regione dunque, in applicazione del principio di sussidiarieta' orizzontale di cui all'art. 118 ultimo comma Cost. e' tenuta a valorizzare il ruolo di tali enti, riconoscendo loro attivita' amministrative di interesse generale in conformita' al loro ruolo nella societa' civile.

Cio' e' espressamente stabilito anche dall'art. 7, della legge n.

131/2003 che richiede allo Stato e alle Regioni di attribuire compiti agli enti di autonomia funzionale, anche nei settori della promozione dello sviluppo economico e della gestione dei servizi.

La disposizione contestata, rimettendo unilateralmente allo Stato la decisione circa l'ammissibilita' dell'aumento dei diritti annuali per finanziare i programmi ed i progetti che le Camere di commercio condividono con le Regioni, lede anche l'art. 118 ultimo comma Cost.

perche', in assenza di risorse finanziarie sufficienti, la Regione sara' inevitabilmente costretta a non affidare alla Camera di commercio le attivita' oggetto del programma/progetto per la promozione dello sviluppo economico e per l'organizzazione di servizi alle imprese.

3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3 quarto comma, per violazione dell'art. 117 terzo e quarto comma Cost. e per violazione del principio della leale cooperazione.

Dubbi di costituzionalita' presenta la procedura della riduzione del numero delle Camere di commercio oggi esistenti, disciplinata dall'art. 3 del decreto legislativo in oggetto. La disposizione prevede che la proposta di rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, per ricondurre il numero complessivo delle Camere di commercio entro sessanta, debba partire da Unioncamere (che la trasmette al Ministero dello sviluppo economico entro il termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto; in caso di inerzia provvede direttamente il Ministero dello sviluppo economico).

La proposta contiene la razionalizzazione delle sedi e un piano complessivo di riassetto degli uffici e del personale, la rideterminazione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale e non, le risorse finanziarie per i fondi destinati alla contrattazione collettiva decentrata integrativa, la razionale distribuzione del personale. Il Ministero, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano approva la proposta, istituisce la nuova Camera e da' attuazione alle ipotesi del piano. L'eventuale personale in sovrannumero alla fine del processo e' ricollocato presso altre amministrazioni statali con le procedure di mobilita' e al 31 dicembre 2019 il personale non riassorbito e' soggetto alle disposizioni di cui all'art. 33 settimo ed ottavo comma del decreto legislativo n. 165/2001 (collocamento in disponibilita').

Tale previsione appare lesiva delle attribuzioni regionali al quarto comma, ove introduce il mero parere della Conferenza Stato-Regioni sul piano di razionalizzazione cosi' incisivo per le Camere di commercio: tale parere non appare idoneo per un radicale processo di riordino di enti operanti anche in materie regionali, il quale dovrebbe avvenire con un coinvolgimento effettivo e maggiore delle Regioni, perche', come gia' rilevato, quando il legislatore statale riforma istituti «che incidono su competenze statali e regionali inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa» che si impone «quale cardine della leale collaborazione» (sentenza n. 251/2016).

Come evidenziato in premessa, le Camere di commercio indubbiamente operano anche in ambiti affidati alla competenza concorrente e residuale delle Regioni, con conseguente violazione dell'art. 117 terzo e quarto comma e del principio della leale collaborazione da parte della disposizione impugnata (art. 3, quarto comma) che non prevede la necessaria intesa della Conferenza Stato-Regioni, ma il mero parere, sul provvedimento statale di rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, di istituzione delle nuove Camere di commercio e, in generale, sulle determinazioni conseguenti al piano di riordino e razionalizzazione. Il coinvolgimento regionale in merito e' minimo perche' e' previsto solo un parere della Conferenza Stato-Regioni e non una intesa sul piano, intesa invece imprescindibile e, a salvaguardia delle competenze regionali in cui operano le Camere di commercio.

4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 sesto comma, per violazione dell'art. 117 quarto comma Cost.

L'art. 4, comma 6 introduce anche a carico delle regioni l'obbligo di comunicazione in via telematica di propri atti alla Camera di commercio, finalizzato ad implementare il fascicolo informatica d'impresa. Le Regioni hanno propri sistemi informativi per cui e' necessario che il decreto del Ministro dello sviluppo economico, che determina i termini e le modalita' operative di applicazione di tale obbligo, sia emanato previa intesa con le Regioni e non gia' solo sentite le medesime, come invece prevede la norma.

Per tale aspetto si configura una violazione dell'art. 117 quarto comma Cost., per interferenza con l'autonomia organizzativa regionale.

 

P.Q.M.

 

Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 25 novembre 2016 n. 219 nel suo complesso e con specifico riferimento all'art. 1, comma 1, lett. r n. 1 punto i), all'art. 3 quarto comma e all'art. 4 sesto comma per violazione degli articoli 76, 77 primo comma, 117 terzo e quarto comma e 118 Cost., nonche' per violazione del principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni.

Si deposita la delibera di autorizzazione a promuovere il giudizio.

Firenze, 19 gennaio 2017

Avv. Bora