RICORSO N. 4 DEL 25 GENNAIO 2017 (DELLA REGIONE PUGLIA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 25 gennaio 2017.

(GU n. 6 del 08.02.2017)

 

Ricorso ex art. 127 Cost. e art. 32 legge n. 87 del 1953 nell'interesse della Regione Puglia, c.f. 80017210727, in persona del presidente in carica, dott. Michele Emiliano, con sede in 70121 - Bari, Lungomare N. Sauro, 33, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 11 del 17 gennaio 2017 (All. A), rappresentato e difeso, per mandato in calce al seguente atto, dal prof. avv. Stelio Mangiameli del Foro di Roma (c.f.: MNGSTL54D16C351N, P.E.C.: steliomangiameli@ordineavvocatiroma.org, fax: 06-5810197), ed elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Poerio n. 56, presso lo studio professionale del medesimo avvocato   Contro:   la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente in carica, nella propria nota sede in 00187 - Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna n. 370;   la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente in carica, presso l'Avvocatura generale dello Stato, in 00186 - Roma, Via dei Portoghesi n. 12;   Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, recante «Attuazione della delega di cui all'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 276 del 25 novembre 2016, costituzionalmente illegittimo:   1) nella sua interezza, per contrasto con gli articoli 76 Cost. e 10, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124;   2) in riferimento all'art. 3, comma 4,per contrasto con gli articoli 76 Cost. e comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124, nonche' del principio di leale collaborazione;   3) in riferimento agli articoli 1, comma 1, lettera a), numero 1), e 3, per violazione degli articoli 3, 5 e 18 Cost., nonche' del principio di ragionevolezza;   4) in riferimento all'art. 1, comma 1, lettera r), nella parte in cui modifica il comma 10 dell'art. 18 del decreto legislativo n. 580 del 1993, per contrasto con gli articoli 3 e 117, commi 3 e 4, Cost.

e del principio di ragionevolezza;   5) in riferimento all'art. 1, comma 1, lettera r), nella parte in cui dispone l'abrogazione della lettera c) del comma 1 dell'art. 18 del decreto legislativo n. 580 del 1993, per contrasto con gli articoli 3 e 117, commi 3 e 4, Cost. e del principio di ragionevolezza;   6) in riferimento all'art. 4, comma 6, per violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 4, Cost., nonche' dei principi di leale collaborazione e di ragionevolezza.

 

Fatto e diritto

 

0) Il quadro normativo, le competenze cui ricondurre l'ambito materiale de quo e la legittimazione ad agire   Il decreto legislativo n. 219 del 2016, oggi impugnato, come recita il proprio, e' stato emanato in «Attuazione della delega di cui, all'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura».

La disposizione, rubricata «Riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura» prevede quanto segue:   «1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n.

23, e il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia. Il decreto legislativo e' adottato nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:   a) determinazione del diritto annuale a carico delle imprese tenuto conto delle disposizioni di cui all'art. 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114;   b) ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con riduzione del numero dalle attuali 105 a non piu' di 60 mediante accorpamento di' due o piu' camere di commercio; possibilita' di mantenere la singola camera di commercio non accorpata sulla base di una soglia dimensionale minima di 75.000 imprese e unita' locali iscritte o annotate nel registro delle imprese, salvaguardando la presenza di almeno una camera di commercio in ogni regione, prevedendo la istituibilita' di una camera di commercio in ogni provincia autonoma e citta' metropolitana e, nei casi di comprovata rispondenza a indicatori di efficienza di equilibrio economico, tenendo conto delle specificita' geo-economiche dei territori e delle circoscrizioni territoriali di confine, nonche' definizione delle condizioni in presenza delle quali possono essere istituite le unioni regionali o, interregionali; previsione, fermo restando il predetto limite massimo di circoscrizioni territoriali, dei presupposti per l'eventuale mantenimento delle camere di commercio nelle province montane di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 7 aprile 2014, n. 56, e, anche in deroga alle soglie dimensionali minime, nei territori montani delle regioni insulari privi di adeguate infrastrutture e collegamenti pubblici stradali e ferroviari; previsione di misure per assicurare alle camere di commercio accorpate la neutralita' fiscale delle operazioni derivanti dai processi di accorpamento e dalla cessione e dal conferimento di immobili e di partecipazioni, da realizzare attraverso l'eventuale esenzione da tutte le imposte indirette, con esclusione dell'imposta sul valore aggiunto;   c) ridefinizione dei compiti e delle funzioni, con particolare riguardo a quelle di pubblicita' legale generale e di settore, di semplificazione amministrativa, di tutela del mercato, limitando e individuando gli ambiti di attivita' nei quali volgere la funzione di promozione del territorio e dell'economia locale, nonche' attribuendo al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate dallo Stato e dalle regioni, eliminando le duplicazioni con altre amministrazioni pubbliche, limitando le partecipazioni societarie a quelle necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali nonche' per lo svolgimento di attivita' in regime di concorrenza, a tal fine esplicitando criteri specifici e vincolanti, eliminando progressivamente le partecipazioni societarie non essenziali e gestibili secondo criteri di efficienza da soggetti privati;   d) riordino delle competenze relative alla tenuta e valorizzazione del registro delle imprese presso le camere di commercio, con particolare riguardo alle funzioni di promozione della trasparenza del mercato e di pubblicita' legale delle imprese, garantendo la continuita' operativa del sistema informativo nazionale e l'unitarieta' di indirizzo applicativo e interpretativo attraverso il ruolo di coordinamento del Ministero dello sviluppo economico;   e) definizione da parte del Ministero dello sviluppo economico, sentita l'Unioncamere, di standard nazionali di qualita' delle prestazioni delle camere di commercio, in relazione a ciascuna funzione fondamentale, ai relativi servizi ed all'utilita' prodotta per le imprese, nonche' di un sistema di monitoraggio di cui il Ministero dello sviluppo economico si avvale per garantire il rispetto, degli standard;   f) riduzione del numero dei componenti dei consigli e delle giunte e riordino della relativa disciplina, compresa quella sui criteri di elezione, in modo da assicurare un'adeguata consultazione delle imprese, e sul limite ai mandati, nonche' delle unioni regionali, delle aziende speciali e delle societa' controllate; individuazione di criteri che garantiscano, in caso di accorpamento, la rappresentanza equilibrata negli organi camerali delle basi associative delle camere di commercio accorpate, favorendo il mantenimento dei servizi sul territorio; riordino della disciplina dei compensi dei relativi organi, prevedendo la gratuita' degli incarichi diversi da quelli nei collegi dei revisori dei conti; definizione di limiti al trattamento economico dei vertici amministrativi delle camere di commercio e delle aziende speciali;   g) introduzione di una disciplina transitoria che tenga conto degli accorpamenti gia' deliberati alla data di entrata in vigore della presente legge;   h) introduzione di una disciplina transitoria che assicuri la sostenibilita' finanziaria, anche con riguardo ai progetti in corso per la promozione dell'attivita' economica all'estero, e il mantenimento dei livelli occupazionali e che contempli poteri sostitutivi per garantire la completa attuazione del processo di riforma, anche mediante la nomina di commissari in caso di inadempienza da parte delle camere di commercio.

2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 e' adottato su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo puo' comunque procedere. Lo schema di decreto legislativo e' successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano nel termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo puo' essere comunque adottato. Se il termine previsto per il parere cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto al comma 1 o successivamente, la scadenza medesima e' prorogata di novanta giorni. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente il testo alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. Le Commissioni competenti per materia possono esprimersi sulle osservazioni del Governo entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, il decreto puo' comunque essere adottato.

3. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo puo' adottare, nel rispetto dei principi e criteri direttivi e della procedura di cui al presente articolo, uno o piu' decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive».

In sostanza, l'art. 10 della legge n. 124 del 2015 delegava il Governo a varare un'ampia riforma delle Camere di commercio, tanto dal punto di vista geografico, della loro presenza nel territorio, quanto nell'organizzazione, nelle funzioni e nel finanziamento.

Tale ambito materiale interseca le competenze regionali, per un verso, in via diretta nel senso che alcune competenze regionali sono destinate a incidere sull'ordinamento delle Camere di commercio.

Basti pensare al riparto di competenze amministrative previsto in materia dagli articoli 37 e 38 del decreto legislativo n. 112 del 1998, che, in applicazione del criterio storico-normativo, deve ritenersi comunque valido nella vigenza dell'attuale Titolo V della Costituzione.

Per giunta, tale conclusione vale ora a fortiori, se si considera che l'ambito materiale de quo non e' contemplato nelle elencazioni dell'art. 117 Cost., diversamente da quanto, ad esempio, avviene nello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, il cui art.

4, comma l, numero 8), riconduce la disciplina dell'ordinamento delle camere di commercio alla potesta' primaria regionale. Cio' implica che la materia ricade nella potesta' legislativa regionale residuale (art. 117, comma 4, Cost.), fatta eccezione per quegli aspetti sussumibili nelle competenze esclusive statali o concorrenti fra Stato e regioni.

Per altro verso, le Camere di commercio sono un interlocutore delle regioni nell'esercizio della competenza in materia di promozione delle attivita' produttive. Pertanto, pur in via indiretta, le competenze regionali sono destinate a confrontarsi con questi enti e a essere esercitate anche per il loro tramite.

Dai rilievi sin qui svolti emerge con nitore la sussistenza della legittimazione della Regione ricorrente a denunciare la violazione della propria competenza in materia, cui peraltro si aggiunge la legittimazione a dedurre le limitazioni di tali autonomie funzionali, come peraltro affermato proprio in riferimento alle Camere di commercio da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 29 del 2016 (Considerato in diritto, punto 2.1), in applicazione analogica della propria giurisprudenza sulla legittimazione delle regioni a tutelare le competenze degli enti locali insistenti sul proprio territorio.

La rilevata incisione (diretta e indiretta) delle competenze regionali nella disciplina delle Camere di commercio e', poi, funzionale a esprimere la ragione per cui la Regione ricorrente possa, nel prosieguo, legittimamente dedurre la violazione di parametri costituzionali estranei al riparto di competenze, dal Momento che, in ogni caso, le considerazioni sopra svolte devono indurre a ritenere che la disciplina delle Camere di commercio recata dalla normativa impugnata ridondi sul riparto delle competenze regionali.

1) Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n. 219 del 2016 nella sua interezza, per contrasto con gli articoli 76 Cost. e 10, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124.

L'esercizio della delega legislativa contenuta nell'art. 10, comma 1, della legge n. 124 del 2015 e' stato tardivo e, pertanto, si chiede che l'intero decreto oggi impugnato sia dichiarato costituzionalmente illegittimo.

Nello specifico, l'art. 10, comma 1, della legge n. 124 del 2015 prevede il termine di dodici mesi dall'entrata in vigore, che e' avvenuta il 28 agosto 2015, dal momento che la pubblicazione ha avuto luogo il 13 agosto 2015.

Pertanto, la delega avrebbe dovuto essere esercitata entro il 28 agosto 2016, e cioe' ben prima di quando cio' e' effettivamente avvenuto.

Appare, percio', palese la violazione dell'art. 76 Cost. e della norma di delega interposta.

Per scrupolo difensivo, occorre in ogni caso precisare che non varrebbe in senso contrario dedurre la proroga del termine di 90 giorni prevista dal comma 2 dell'art. 10 della legge n. 124 del 2015, destinata a scattare nel solo caso in cui il termine previsto per i pareri ivi contemplati (Conferenza unificata, Consiglio di Stato e Commissioni parlamentari competenti per materia) cada nei trenta giorni che precedono la scadenza «ordinaria» della delega.

In sostanza, tale proroga sarebbe scattata nel solo caso in cui tale termine fosse caduto nell'arco temporale compreso tra il 29 luglio 2016 e il 28 agosto 2016.

Eventualita', questa, del tutto esclusa per tabulas, se si considera che la prima deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri (su cui quei pareri si pronunciano) e' del 25 agosto 2016 (v. preambolo del decreto impugnato) e che tuttavia, essa e' giunta all'attenzione del Consiglio di Stato - primo organo a dover emettere il parere - solo il 29 agosto 2016 e, percio', un giorno dopo la scadenza della delega legislativa (v. doc. B).

Ne' varrebbe in senso contrario la circostanza che, secondo l'incipit del parere del Consiglio di Stato, la nota con cui il MISE ha richiesto il parere stesso e' del 26 Staoagosto 2016 (due giorni prima della scadenza). Infatti, nell'imminenza della scadenza, sarebbe stato onere del Governo adottare la massima diligenza, affinche' la richiesta pervenisse in tempo utile per far scattare la proroga.

Cio' non e', pero', avvenuto e il presupposto affinche' la proroga operasse si e' verificato tardivamente.

Vero e' che la norma prevede che la proroga scatti non solo se il termine per il parere cade nei 30 giorni precedenti la scadenza del termine ordinario di delega, ma anche se cade successivamente, ma tale disposizione non puo' che intendersi nel senso che comunque il dies a quo da cui contare la scadenza deve rientrare nel termine di delega ordinario. Il che potrebbe anche comportare che il dies ad quem cada successivamente al termine di delega ordinario.

Se invece si accedesse all'interpretazione secondo cui il dies a quo e' irrilevante, si arriverebbe al paradosso che la delega legislativa non avrebbe scadenza, perche' in ogni caso la richiesta di parere tardiva (post 28 agosto 2016) avrebbe un termine successivo alla scadenza della delega e sarebbe in grado di far scattare «retroattivamente» la proroga.

Ora, e' facilmente intuibile come una tale interpretazione sarebbe elusiva dell'art. 76 Cost. e trasformerebbe una legittima possibilita' di proroga (previamente prevista dal legislatore) in una censurabile «sanatoria».

Se e' vero che la proroga prevista dall'art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015 presuppone che la richiesta di parere debba pervenire entro la data di scadenza naturale della delega (28 agosto 2016), se ne deduce la palese illegittimita' costituzionale dell'intero decreto legislativo n. 219 del 2016 per violazione dell'art. 76 Cost., ridondante sul riparto delle competenze legislative, fra Stato e regioni, per le ragioni gia' dedotte sub 0).

Invero, e' del tutto evidente che l'eventualita' della proroga del termine doveva servire a completare un iter diligentemente avviato e non porre rimedio alla violazione di un termine gia' decorso.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016, per contrasto con gli articoli 76 Cost.

e 10, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124 nonche' del principio di leale collaborazione.

L'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016 dispone che «il Ministro dello sviluppo economico (...), con proprio decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, provvede (...) alla rideterminazione delle circoscrizioni territoriali (...)».

Nel rimettere la rideterminazione delle circoscrizioni territoriali delle Camere di commercio a un successivo decreto ministeriale, la norma e' viziata per eccesso di delega, giacche' l'art. 10, comma 1, lettera a), della legge n. 124 del 2015 disponeva che fosse lo stesso decreto delegato (e, cioe', lo stesso decreto legislativo n. 219 del 2016) a provvedere alla «ridefinizione delle circoscrizioni territoriali». Non delegava invece il Governo ad adottare dei «criteri di ridefinizione» tramite cui un successivo atto governativo potesse disciplinare la materia.

Peraltro, la violazione della legge di delega cosi' verificatasi non rileva solo dal punto di vista contenutistico, bensi' anche sotto altro profilo. Infatti, tale «rinvio» a un successivo atto ministeriale e' un ulteriore indice del mancato assolvimento della delega in termini temporali.

Infatti, nonostante l'accelerazione impressa al varo del decreto delegato, il Governo non e' riuscito a completarne l'esecuzione, neppure ricorrendo all'escamotage sopra rilevato di far scattare illegittimamente una proroga del termine.

Per giunta, il rinvio a un successivo decreto ministeriale determinerebbe la paradossale conseguenza che proprio l'aspetto di maggior interesse territoriale (la rideterminazione delle circoscrizioni delle Camere di commercio) sarebbe sottratto al sindacato diretto di codesta ecc.ma Corte, alla luce dell'atto che lo regolerebbe, tutt'al piu' impugnabile dinanzi alla giurisdizione amministrativa.

Al contrario, il legislatore delegante, nel disporre la rimessione di questa disciplina al conseguente decreto delegato, avrebbe garantito l'immediato ricorso al giudice costituzionale anche per questo ambito di disciplina.

Ne deriva la palese violazione dell'art. 76 Cost. e della legge di delega interposta e, percio', l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016.

2.1. In ogni caso, l'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n.

219 del 2016 viola il principio di leale collaborazione, perche' in un ambito materiale in cui incidono molteplici competenze legislative non individua adeguati strumenti concertativi fra Stato e Regioni, poiche' richiede il mero parere della Conferenza Stato - Regioni, anziche' l'intesa.

Proprio in riferimento ad altre deleghe legislative contenute nella stessa legge n. 124 del 2015, codesta ecc.ma Corte (sentenza n.

251 del 2016), con una ratio applicabile anche al caso di specie, ha ritenuto che «un simile intervento del legislatore statale rientra, infatti, nel novero di quelli, gia' sottoposti all'attenzione di questa Corte, volti a disciplinare, in maniera unitaria, fenomeni sociali complessi, rispetto ai quali si delinea una «fitta trama di relazioni, nella quale ben difficilmente sara' possibile isolare un singolo interesse», quanto piuttosto interessi distinti «che ben possono ripartirsi diversamente lungo l'asse delle competenze normative di Stato e Regioni», (sentenza n. 278 del 2010), corrispondenti alle diverse materie coinvolte.

In tali casi occorre valutare se una materia si imponga sulle altre, al fine di individuare la titolarita' della competenza.

Talvolta la valutazione circa la prevalenza di una materia su tutte le altre puo' rivelarsi impossibile e avallare l'ipotesi, diversa da quella in precedenza considerata, di concorrenza di competenze, che apre la strada all'applicazione del principio di leale collaborazione. In ossequio a tale principio il legislatore statale deve predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a difesa delle loro competenze. L'obiettivo e' contemperare le ragioni, dell'esercizio unitario delle stesse con la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie (sentenze n. 65 del 2016, n. 88 del 2014 e n. 139 del 2012).

Il parere come strumento di coinvolgimento delle autonomie regionali e locali non puo' non misurarsi con la giurisprudenza di questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze e ha ravvisato nell'intesa la soluzione che meglio incarna la collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n. 1 del 2016). Quel principio e' tanto piu' apprezzabile se si considera la «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del 2010) e diviene dirimente nella considerazione di interessi sempre piu' complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori».

Il caso de quo, in cui, come rilevato sub 0), si determina un intreccio di competenze difficilmente risolvibile sulla base di un criterio di prevalenza, richiede, percio', la previsione di adeguati strumenti di leale collaborazione, che, non si esauriscano nel mero parere della Conferenza Stato-Regioni, bensi' quanto meno nell'intesa.

Si chiede, pertanto, che in ogni caso l'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede il parere della Conferenza Stato-Regioni, anziche' l'intesa.

3) Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, comma 1, lettera a), numero 1), e 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016, per contrasto con gli articoli 3, 5 e 18, nonche' del principio di ragionevolezza.

L'art. 1, comma 1, lettera a), numero 1, e l'art. 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016 prevedono la riduzione del numero delle Camere di commercio da 105 a non piu' di 60 (in attuazione della disposizione di delega di cui all'art. 10, comma 1, lettera b), della legge n. 124 del 2015).

Va premesso che le Camere di commercio sono cosiddette autonomie funzionali, anch'esse tutelate dall'art. 5 Cost., quale espressione del generale principio di autonomia vigente nell'ordinamento e considerato che tale disposizione espressamente prevede che «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali (e) adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».

La disposizione non si limita pertanto a riconoscere l'autonomia degli enti territoriali, bensi' e' estesa a ogni forma di autonomia, ivi inclusa quella funzionale.

Per giunta, le Camere di commercio, sebbene esercitino anche funzioni pubbliche, sono comunque espressione di un libero associazionismo imprenditoriale tutelato dall'art. 18 Cost., pertanto la loro disciplina non puo' spingersi sino a ledere irragionevolmente tale liberta'.

Cio' che invece, la disciplina recata dal decreto delegato e, in particolare, l'art.1, comma 1, lettera a) numero 1, e l'art. 3 fanno, se si considera che ne riducono irragionevolmente il numero per conseguire un non necessario risparmio di spesa.

Le Camere di commercio - occorre sottolinearlo - non gravano sul bilancio dello Stato o di qualunque altro ente pubblico, come dimostra il disposto dell'art. 18, comma 1, del decreto legislativo n. 580 del 1993, che elenca le rispettive fonti di finanziamento.

Nella misura in cui esse non aggravano il bilancio dello Stato, ma anzi lo alleviano, non si vede per quale ragione non dovrebbero poter sorgere spontaneamente o, comunque, secondo criteri piu' elastici, pur se vigilate da istituzioni pubbliche.

Pertanto, la prevista riduzione in ogni caso a non piu' di 60 appare palesemente irragionevole e sproporzionata, perche' tende a conseguire un presunto risparmio di spesa rispetto a un sistema virtuoso (e che, anzi, allevia il bilancio statale, come rilevato dal parere di cui alla Conferenza unificata di cui al doc. C), ispirato a un'autonomia (art. 5) e a una liberta' (art. 18) costituzionalmente tutelate.

4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 219 del 2016, nella parte in cui formula l'art. 18, comma 10, del decreto legislativo n. 580 del 1993, per contrasto con gli articoli 3 e 117, commi 3 e 4, nonche' dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.

Il precedente comma 9 dell'art. 18 del decreto legislativo n. 580 del 1993 disponeva che «per il cofinanziamento di specifici progetti aventi per scopo l'aumento della produzione e il miglioramento delle condizioni economiche della circoscrizione territoriale di competenza, le camere di commercio, sentite le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello provinciale, possono aumentare per gli esercizi di riferimento la misura del diritto annuale fino a un massimo del venti per cento».

L'attuale comma 10 dell'art. 18 (come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 219 del 2016) dispone che «per il finanziamento di programmi e progetti presentati dalla camere di commercio, condivisi con le regioni ed aventi per scopo la promozione dello sviluppo economico e l'organizzazione di servizi alle imprese, il Ministro dello sviluppo economico, su richiesta di Unioncamere, valutata la rilevanza dell'interesse del programma o del progetto nel quadro delle politiche strategiche nazionali, puo' autorizzare l'aumento, per gli esercizi di riferimento, della misura del diritto annuale fino ad un massimo del venti per cento. Il rapporto sui risultati dei progetti e' inviato al Comitato di cui all'art. 4-bis».

La disposizione e' palesemente posta in violazione tanto dell'autonomia delle Camere di commercio, quanto (direttamente e indirettamente) dell'autonomia regionale, perche' di fatto subordina l'effettiva implementazione dei progetti concordati fra i due Enti, che puo' presupporre una fonte di finanziamento ulteriore, all'avallo ministeriale.

Nella sostanza, un controllo ministeriale del tutto disarmonico rispetto all'attuale concezione costituzionale dell'autonomia, anche alla luce della riforma del Titolo V del 2001.

Tale controllo ministeriale non trova fondamento in alcuna disposizione costituzionale: non nell'art. 117, comma 3, Cost. e, in particolare, nella competenza statale a dettare i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, se si considera che le Camere di commercio si avvalgono di un sistema di finanziamento slegato dalla finanza erariale; non nell'art. 117, comma 4, Cost. e nel principio di leale collaborazione fra Stato e autonomie, che anzi appaiono palesemente violati; il primo perche' l'esercizio della competenza regionale (in materia di camere di commercio e di promozione delle attivita' produttive) e' subordinato all'avallo ministeriale, il secondo perche' l'esercizio dell'autonomia presuppone un rapporto paritetico fra gli Enti e non la loro gerarchizzazione che cosi' si realizza.

Peraltro, la disposizione si coordina in modo irragionevole - e di qui la violazione dell'art. 3 sub specie di principio di ragionevolezza con il comma 2 dell'art. 2 del decreto legislativo n.

580 del 1993 (come riformulato per effetto delle modifiche recate dal decreto impugnato), secondo cui «Le camere di commercio (...) svolgono le funzioni relative a:   (Omissis)   g) ferme restando quelle gia' in corso o da completare, attivita' oggetto di convenzione con le regioni ed altri soggetti pubblici e privati stipulate compatibilmente con la normativa europea. Dette attivita' riguardano, tra l'altro, gli ambiti della digitalizzazione, della qualificazione aziendale e dei prodotti, del supporto al placement e all'orientamento, della risoluzione alternativa delle controversie. Le stesse possono essere finanziate con le risorse di cui all'art. 18, comma 1, lettera a), esclusivamente in cofinanziamento con oneri a carico delle controparti non inferiori al 50%».

Se queste attivita' sono - per cosi' dire - aggiuntive e possono essere finanziate solo tramite il diritto annuale, appare paradossale che si possa provvedere in merito senza l'aumento della loro unica fonte di finanziamento, ne' appare proporzionato che la meritevolezza del progetto (che giustificherebbe l'aumento del diritto annuale) sia previamente vagliata da un organo governativo.

Come gia' rilevato, si deve inoltre tenere in debita considerazione che il sistema delle Camere di commercio e' un sistema in attivo, di cui le finanze erariali, anzi, si giovano (v. parere di cui al doc. C, ult. pagina: «il sistema camerale versa annualmente al bilancio dello Stato oltre 38 milioni di euro che con il taglio del 50% del diritto annuale costituirebbero annualmente quasi il 10% del diritto riscosso»).

Non si spiega quindi questa forma di pregiudizio e di preventivo controllo del suo «potere impositivo». Infatti, senza una «libera leva» fiscale le Camere di commercio potrebbero non essere in grado di condurre attivita' promozionali.

Alla luce di tutto quanto sin qui dedotto, deve ritenersi che la nuova formulazione del comma 10 dell'art. 18 del decreto legislativo n. 580 del 1993 sia costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che sia il Ministro dello sviluppo economico, «su richiesta di Unioncamere, valutata la rilevanza dell'interesse del programma o del progetto nel quadro delle politiche strategiche nazionali» a poter autorizzare l'aumento del diritto annuale, anziche' le stesse Camere di commercio.

5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 219 del 2016, nella parte in cui abroga l'art. 18, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 580 del 1993, per contrasto con gli articoli 3 e 117, commi 3 e 4, nonche' del principio di ragionevolezza.

L'art. 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 219 del 2016 e' costituzionalmente illegittimo nella parte in cui abroga l'art. 18, comma, 1, lettera c), del decreto legislativo n. 580 del 1993, il quale - fra le fonti di finanziamento - contempla anche «le entrate e i contributi derivanti da leggi statali, da leggi regionali, da convenzioni o previsti in relazione alle attribuzioni delle camere di commercio».

Nell'escludere che le Camere di commercio possano giovarsi di finanziamenti provenienti dalle regioni (o da altri enti), in virtu' di convenzioni, la norma comprime irragionevolmente sia l'autonomia regionale, precludendo questa forma di erogazione per l'incentivazione delle attivita' produttive e, comunque per l'esercizio delle proprie competenze di cui all'art. 117, commi 3 e 4, sia l'autonomia delle Camere di commercio, per le quali, per un verso, si impedisce di ricorrere autonomamente al finanziamento aggiuntivo tramite aumento del contributo annuale (salva autorizzazione ministeriale) e a cui, per altro verso, si nega l'ottenimento delle erogazioni regionali.

Cio' che, peraltro, e' irragionevole - e, percio', anche in violazione dell'art. 3 Cost. - rispetto alla disposizione su richiamata, secondo cui le «attivita' oggetto di convenzione con le regioni (...) possono essere finanziate (...) esclusivamente in cofinanziamento con oneri a carico delle controparti non inferiori al 50%», lasciando palesemente dedurre l'ammissibilita' di questa fonte di finanziamento.

Verosimilmente, anche in ragione di cio' la Conferenza unificata (v. doc. C, proposta 9) aveva proposto di mantenere fra le fonti di finanziamento le entrate derivanti da convenzioni con i soggetti pubblici e privati, come peraltro si deduce dalla necessita' degli oneri a carico delle controparti.

Per tali ragioni, si chiede che codesta ecc ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 219 del 2016, nella parte in cui abroga l'art. 18, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n.

580 del 1993, determinandone percio' il ripristino.

6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 6, del decreto legislativo n. 219 del 2016, per contrasto con gli articoli 3, 97 e 117, comma 4, nonche' dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.

L'art. 4, comma 6, del decreto legislativo n. 219 del 2016 prevede a carico delle regioni l'obbligo di comunicazione in via telematica di propri atti alla Camera di commercio per l'implementazione del fascicolo informatico d'impresa. Tale obbligo indiscriminato e generalizzato costituisce uno sproporzionato e irragionevole aggravio amministrativo, non limitato a specifiche e circoscritte fattispecie, che si pone percio' in contrasto, con lo stesso principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), con l'autonomia organizzativa regionale (art. 117, comma 4, Cost.) e con i principi dell'attivita' amministrativa espressi nell'art. 97 Cost.

In ogni caso, la previsione che le modalita' concrete di trasmissione siano stabilite da un decreto del MISE, senza l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, si pone in contrasto con l'autonomia organizzativa regionale e con il principio di leale collaborazione.

Infatti, la diretta incisione statale di una competenza squisitamente regionale come l'organizzazione regionale deve quanto meno trovare in dei meccanismi concertativi il bilanciamento dell'incisione dell'attribuzione stessa; meccanismi che, nel caso de quo, sono del tutto assenti, con conseguente illegittimita' costituzionale della disposizione almeno in parte qua.

 

P.Q.M.

 

La Regione Puglia, in persona del presidente in carica, come sopra rappresentata e difesa, chiede che venga dichiarata l'illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n. 219 del 2016 nella sua interezza o, in via subordinata, delle disposizioni richiamate in narrativa nei termini e per le ragioni ivi dedotte.

Si allega:   A) Deliberazione della giunta della Regione Puglia n. 11 del 17 gennaio 2017;   B) parere del Consiglio di Stato del 14 settembre 2016;   C) parere della Conferenza unificata del 29 settembre 2016.

Roma, 23 gennaio 2017

Prof. avv. Mangiameli