RICORSO N. 76 DEL 17 NOVEMBRE 2016 (DELLA REGIONE VENETO)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 10 novembre 2016.

(GU n. 1 del 04.01.2017)

 

Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. 80007580279 - P.IVA 02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott.

Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), autorizzato con deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 1774 del 7 novembre 2016 (all.

1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (C.F.

ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dall'Avvocatura regionale e Luigi Manzi (C.F. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org).

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 9, art. 11, comma 3, art. 14, comma 5, art. 20, comma 7 e art. 24, comma 5 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante «testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 210 dell'8 settembre 2016 per violazione degli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119, anche in relazione anche agli articoli 3, 5, 97 e 114 Cost., oltreche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.

 

Motivi

 

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 9 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, per violazione degli articoli 117, IV comma, 118 e 119 della Costituzione nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.

Il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante «testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica», intende regolamentare «la costituzione di societa' da parte di amministrazioni pubbliche, nonche' l'acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in societa' a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta» (art. 1 comma 1) secondo finalita' di efficientamento della gestione delle partecipazioni pubbliche, di tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonche' di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica (art. l comma 2).

L'art. 4, in particolare, al primo comma, statuisce che «Le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire societa' aventi per oggetto attivita' di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalita' istituzionali, ne' acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali societa'.» Tale disposizione riproduce il testo dell'art. 3, comma 27, della legge n.

244 del 2007, il quale, secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte, deve essere ricondotto nell'alveo della materia «tutela della conconenza», appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

In particolare nella decisione n. 148/2009 e' stato rilevato che tale disposizione, essendo diretta «a rafforzare la distinzione tra attivita' amministrativa in forma privalistica (posta in essere da societa' che operano per una pubblica amministrazione) ed attivita' di impresa di enti pubblici, dall'altro, e ad evitare che quest'ultima possa essere svolta beneficiando dei privilegi dei quali un soggetto puo' godere in quanto pubblica amministrazione», «va ricondotta alla materia "tutela della concorrenza", attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art 117, secondo comma, lettera e), Cost.), anziche' alla materia dell'organizzazione e del funzionamento della Regione, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.».

Secondo la giurisprudenza di codesta ece.ma Corte, infatti, la materia «tutela della concorrenza» «comprende le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalita' di controllo, eventualmente anche di sanzione e quelle di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacita' imprenditoriale e della competizione tra imprese, in generale i vincoli alle modalita' di esercizio delle attivita' economiche» (sentenze n. 63 del 2008 e n.

430 del 2007).

Se ne deduce che disposizioni dirette ad evitare che soggetti dotati di «privilegi» svolgano attivita' economica al di fuori dei casi nei quali cio' sia imprescindibile per il perseguimento delle finalita' istituzionali degli stessi, in quanto funzionali ad eliminare potenziali distorsioni dei mercati e nei limiti in cui esse siano preordinate a scongiurare una commissione pregiudizievole della concorrenza, devono ritenersi afferenti alla tutela della concorrenza, e per tale ragione costituzionalmente legittime pur ove limitino le competenze regionali e, in particolare, la competenza in ordine all'organizzazione amministrativa regionale. Puntualizza, poi, a tal riguardo codesta ecc.ma Corte che cio' puo' avvenire purche' dette finalita' siano realizzate con modalita' non irragionevoli (decisione n. 148/2009).

Invero si deve rilevare, incidentalmente, che le predette disposizioni concorrono a esprimere e delimitare i compiti del soggetto giuridico «amministrazione pubblica».

Questa, infatti, e' per sua essenza rivolta a svolgere la propria azione al fine esclusivo di perseguire il soddisfacimento degli interessi generali affidati alle sue cure. Ragion per cui prevedere che essa possa costituire societa' o partecipare in societa' unicamente ove l'oggetto sociale di queste afferisca, secondo un criterio di necessita', al «perseguimento delle proprie finalita' istituzionali» appare conforme alle sue ragioni di essere.

La finalita' di lucro che connota ordinariamente lo strumento societario e', infatti, di per se' discordante con l'agire della pubblica amministrazione, a meno che non sia depurata dalle sue scorie «egoistiche» mediante la trasformazione del veicolo societario in strumento univocamente diretto al soddisfacimento del pubblico interesse.

Solo in tal modo ed entro tali limiti teleologici, dunque, e' ammissibile che un soggetto pubblico agisca utilizzando la veste privatistica societaria. Il che consente al contempo di salvaguardare il naturale dispiegarsi della concorrenza nei mercati.

Se, pero', la limitazione in ordine alle modalita' organizzatorie di perseguimento delle proprie finalita' istituzionali introdotta dal primo comma dell'art. 4 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n.

175 appare legittima, nel dettaglio riportato nel comma successivo, si oltrepassa tale finalita' e si determina, invece, una ingiustificata quanto illegittima compressione dell'autonomia regionale.

Tale disposizione statuisce, infatti, che: «Nei limiti di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire societa' e acquisire o mantenere partecipazioni in societa' esclusivamente per lo svolgimento delle attivita' sotto indicate:   a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;   b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'art. 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;   c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'art. 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalita' di cui all'art. 17, commi 1 e 2;   d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;   e) servizi di committenza, ivi incluse le attivita' di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016».

Per effetto di tale disposizione il vincolo teleologico legittimamente fissato dal primo comma assume un contenuto sostanziale che circoscrive entro limiti invalicabili le modalita' con cui gli enti destinatari della norma possano perseguire gli interessi pubblici affidati alle proprie cure. L'elencazione perentoria delle tipologie delle attivita' di scopo consentite mediante l'impiego dello strumento societario preclude la possibilita' per le Regioni di utilizzare il modulo societario al fine dello svolgimento esternalizzato di altri compiti che non siano la produzione di servizi di interesse generale, la committenza, la progettazione per la realizzazione di opere pubbliche o l'autoproduzione di beni e servizi strumentali all'ente, a prescindere dalla ricaduta che tali attivita' residue possano avere sui mercati e sulla concorrenza.

Questa impostazione, a numero chiuso, esclude dal ricorso al modulo societario tutte le possibilita' attivita' residue che fanno parte delle funzioni tipiche di ogni pubblica amministrazione.

Cosi', ad esempio, sono escluse dall'organizzazione attraverso il modulo societario l'esternalizzazione di funzioni amministrative o le societa' di scopo, costituite per lo svolgimento di attivita' pluristrutturate in relazione a peculiari eventi che non siano realizzabili in via ordinaria (Expo; organizzazione di eventi sportivi di rilievo internazionale etc.....)   Appare, percio', irragionevole e lesivo della competenza riservata alle Regioni in ordine «al come organizzarsi per lo svolgimento dei servizi strumentali al perseguimento delle proprie finalita' istituzionali» (decisione n. 144/2016) restringere l'utilizzo dello strumento societario esclusivamente alle ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 4 del decreto legislativo n. 175/2016, essendo in tal modo ingiustificatamente precluso alla amministrazione regionale la facolta' di organizzare in modo ottimale le proprie funzioni, pur laddove lo strumento privatistico ne consentisse il piu' proficuo esercizio. Il che importa violazione dell'art. 117, comma IV e dell'art. 118 Cost., in assenza di qualsivoglia ragione che giustifichi una tale restrizione dell'autonomia regionale per fini di tutela della concorrenza.

D'altronde, il secondo comma dell'art. 4 e quelli successivi, che dovrebbero attuare il principio cardine di cui al comma 1, derogano invero allo stesso, prevedendo numerose e variegate eccezioni che invece di rafforzarne il contenuto precettivo, sembrano svuotarlo.

A riprova della incongruita' del regime previsto dal secondo comma rispetto alla previsione del comma primo, e dell'assenza di un rapporto di derivazione tra gli stessi, va anche ricordato il comma 9 dell'art. 4, a norma del quale «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze o dell'organo di vertice dell'amministrazione partecipante, motivato con riferimento alla misura e qualita' della partecipazione pubblica, agli interessi pubblici a essa connessi e al tipo di attivita' svolta, riconducibile alle finalita' di cui al comma 1, anche al fine di agevolarne la quotazione ai sensi dell'art.

18, puo' essere deliberata l'esclusione totale o parziale dell'applicazione delle disposizioni del presente articolo a singole societa' a partecipazione pubblica. Il decreto e' trasmesso alle Camere ai fini della comunicazione alle commissioni parlamentari competenti».

Detta norma, infatti, attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di derogare ai limiti posti dall'art. 4, nel rispetto pero' del vincolo posto dal primo comma, ossia del fine di perseguimento delle finalita' istituzionali delle amministrazioni pubbliche. Se ne deduce allora che esistono ipotesi di utilizzo delle strumento societario nel perseguimento di finalita' di interesse generale, oltre la specifica casistica definita dal secondo comma e da quelli successivi.

Percio' la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 4 si risolve nella sostanza in un limite esterno imposto alla capacita' di agire delle Regioni e in una illegittima compressione della competenza costituzionalmente loro riconosciuta e che ha per contenuto l'organizzazione delle modalita' con cui soddisfare gli interessi pubblici affidati alle loro cure, senza che si possano rinvenire quelle ragioni di tutela della concorrenza che invece fondano e giustificano la previsione di cui al primo comma del medesimo art. 4.

Risultano, dunque, violati l'art. 117, comma IV e 118 Cost. e pur anche l'art. 119 Cost. nella misura in cui impedire alle Regioni di autodeterminarsi in ordine alla propria organizzazione ed alle modalita' di esercizio dei propri poteri incide sulla possibilita' di decidere liberamente in ordine alla gestione delle entrate e delle spese da impiegare per il soddisfacimento dei molteplici interessi pubblici sottesi alle finalita' istituzionali perseguite.

Va, poi, rilevato che la disposizione di cui al comma 9 dell'art.

4 e' affetta da un ulteriore profilo di illegittimita', in quanto la possibilita' di costituire societa' da parte delle Regioni in deroga alle previsioni di cui all'art. 4, comma 2, e' sottoposta all'autorizzazione di un soggetto estraneo all'organizzazione regionale, al quale e' conferita una potesta' connotata da ampia discrezionalita' politico amministrativa incidente sull'organizzazione interna delle Regioni.

Situazione che riproduce, da questo punto di vista, sia le violazioni delle predette norme, sia del principio di leale collaborazione previsto dall'art. 120 Cost.

La disposizione di cui al comma 9, infatti, non prevede alcuna forma di intervento partecipativo delle autonomie territoriali e locali pur laddove esse siano interessate in relazione alla costituzione di societa' regionali ovvero alla partecipazione in societa' ultraregionali e statali, in deroga al regime ordinario.

 

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 3 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, per violazione degli articoli 117, III e IV comma e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.

L'art. 11, comma 3 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 statuisce che: «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e finanze, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, adottato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definiti i criteri in base ai quali, per specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa, l'assemblea della societa' a controllo pubblico puo' disporre che la societa' sia amministrata da un consiglio di amministrazione composto da tre o cinque membri, ovvero che sia adottato uno dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo previsti dai paragrafi 5 e 6 della sezione VI-bis del capo V del titolo V del libro V del codice civile. In caso di adozione del sistema dualistico, al consiglio di sorveglianza sono attribuiti i poteri di cui all'art. 2409-terdecies, primo comma, lettera f-bis), del codice civile. Nel caso in cui sia adottato uno dei sistemi alternativi, il numero complessivo dei componenti degli organi di amministrazione e controllo non puo' essere superiore a cinque».

Tale disposizione attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei ministri la potesta' di stabilire, con atto meramente regolamentare, criteri afferenti alla concreta modalita' di gestione delle compagini societarie partecipate da soggetti pubblici. Ossia non si introduce una disciplina diretta a regolamentare il regime societario delle societa' partecipate, ma invece si condiziona la modalita' concreta con cui la societa' partecipata andra' ad essere amministrata secondo il volere dei soci.

La disposizione solo in apparenza puo' essere sussunta nella materia «ordinamento civile» di competenza esclusiva dello Stato, afferendo invece alla materia organizzazione e funzionamento della Regione, riguardando infatti le modalita' con cui la Regione puo' agire nel perseguimento dei propri fini istituzionali mediante l'utilizzo di un veicolo societario entro i limiti fissati dal codice civile e dalle leggi speciali.

Questo comporta una significativa incidenza sull'autonomia delle Regioni che avrebbe imposto quanto meno la previsione di forme di coordinamento partecipativo sotto specie di intesa da parte della Conferenza Stato-Regioni.

Ne consegue che la disposizione in parola risulta lesiva dell'art. 117, IV comma e 118 Cost. Cosi' come del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. nella misura in cui non prevede nessuna forma di partecipazione collaborativa da parte delle Regioni, eventualmente nell'ambito delle conferenze intergovemative.

Peraltro, tale disposizione, pur ove volesse essere fatta rientrare nell'alveo della materia «coordinamento della finanza pubblica», in quanto avente finalita' di risparmio e razionalizzazione della spesa, nondimeno sarebbe costituzionalmente illegittima in ragione del suo contenuto puntuale e vincolante, con conseguente violazione dell'art. 117, comma III Cost. Nonche', risulterebbe comunque violato anche il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. non essendo prevista la partecipazione al procedimento decisorio delle autonomie territoriali.

 

3) Illegittimita' costituzionale dell'art 14, comma 5 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, per violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.

L'art. 14, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n.

175, rubricato «Crisi d'impresa di societa' a partecipazione pubblica», statuisce che: «Le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, ne' rilasciare garanzie a favore delle societa' partecipate, con esclusione delle societa' quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari alle societa' di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purche' le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall'Autorita' di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti con le modalita' di cui all'art. 5, che contempli il raggiungimento dell'equilibrio finanziario entro tre anni. Al fine di salvaguardare la continuita' nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico e la sanita', su richiesta della amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti, possono essere autorizzati gli interventi di cui al primo periodo del presente comma.».

Tale disposizione pone un divieto gestori dal contenuto ampio e invasivo, impedendo di effettuare operazioni di aumento del capitale sociale, di trasferimenti straordinari, di apertura di credito o di concessione di garanzie a favore delle societa' partecipate, nel caso in cui siano state registrate, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio (senza peraltro parametrare il divieto all'entita' della perdita) ovvero siano state utilizzate riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali (operazione contabile di comune impiego nell'ambito societario).

In tal modo, pero', si creano vincoli alla gestione della crisi di impresa e si preclude al socio pubblico di esercitare quelle che sono normali operazioni rivolte al corretto e proficuo funzionamento dello strumento societario, determinando in primo luogo una situazione gravemente sperequata tra soggetti pubblici e soggetti privati detentori di partecipazioni societarie, senza che si pongano ragioni di tutela della concorrenza o di economia di spesa pubblica.

Le operazioni sopra enumerate, infatti, sono di per se' neutrali e possono essere motivate da necessita' gestorie ineludibili dirette a realizzare il miglior soddisfacimento dell'interesse pubblico mediante il prescelto strumento societario.

Privare il socio pubblico di tale possibilita' in via generale rappresenta una irragionevole discriminazione, laddove una misura adeguata a salvaguardare l'autonomia gestionale del socio pubblico in uno con l'interesse a una razionale gestione amministrativa e finanziaria delle partecipate sarebbe stato il prevedere un adeguato e puntuale onere motivazionale.

D'altronde, se rispetto alle societa' partecipate dallo Stato tale disposizione potrebbe ritenersi legittima, con riguardo invece alle partecipazioni regionali, non appare dubbio che essa, non inerendo ne' alla materia ordinamento civile ne' alla materia tutela della concorrenza, essa limiti illegittimamente l'autonomia regionale a determinarsi liberamente in ordine alla gestione delle proprie partecipazioni societarie con conseguente lesione dell'art. 117, comma 4, cui inerisce la materia organizzazione regionale e degli art. 118 e 119 Cost. Riverberandosi in relazione a quest'ultimo articolo in una compressione della autonomia finanziaria regionale nella discrezionale gestione delle proprie risorse.

Se, invece, la ragione posta a fondamento di tale previsione constasse nel timore che il socio pubblico possa «sovvenzionare» le proprie partecipate al di la' della logica della convenienza economico-finanziaria dell'operazione, cio' invero e' precluso, in primo luogo, dal vincolo teleologico del perseguimento delle proprie finalita' istituzionali che presiede ogni scelta pubblica e, in seconda istanza, dai vincoli comunitari che impediscono alle pubbliche amministrazione il compimento di operazioni che si sostanzino in aiuto di Stato o che siano comunque lesive della concorrenza. Il cui libero dispiegarsi e', dunque, gia' adeguatamente presidiato e non richiede la introduzione di una misura lesiva dell'autonomia regionale.

Ne consegue che l'art. 14, comma 5, deve ritenersi costituzionalmente illegittimo laddove applica anche alle partecipazioni regionali un regime di divieti lesivo della autonomia gestoria, amministrativa e finanziaria delle Regioni di cui agli articoli 117, 118 e 119 Cost.

Risulta parimenti costituzionalmente illegittimo la riserva in capo al Presidente del Consiglio dei ministri di una potesta' derogatoria al regime di limiti sopra enucleati, pur laddove si tratti di partecipazioni regionali, senza che sia prevista forma alcuna di coordinamento/concertazione con le autonomie territoriali.

Il che importa violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.

 

4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 7 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, per violazione degli articoli, 3, 5, 97, 114, 117, IV comma, 118 e 119 della Costituzione.

L'art. 20 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, rubricato «Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche», dispone che: «Fermo quanto previsto dall'art. 24, comma 1, le amministrazioni pubbliche effettuano annualmente, con proprio provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle societa' in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di cui al comma 2, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. Fatto salvo quanto previsto dall'art. 17, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, le amministrazioni che non detengono alcuna partecipazione lo comunicano alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi dell'art. 5, comma 4, e alla struttura di cui all'art. 15.

I piani di razionalizzazione, corredati di un'apposita relazione tecnica, con specifica indicazione di modalita' e tempi di attuazione, sono adottati ove, in sede di analisi di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche rilevino:   a) partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie di cui all'art. 4;   b) societa' che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;   c) partecipazioni in societa' che svolgono attivita' analoghe o similari a quelle svolte da altre societa' partecipate o da enti pubblici strumentali;   d) partecipazioni in societa' che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro;   e) partecipazioni in societa' diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;   f) necessita' di contenimento dei costi di funzionamento;   g) necessita' di aggregazione di societa' aventi ad oggetto le attivita' consentite all'art. 4.

I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 sono adottati entro il 31 dicembre di ogni anno e sono trasmessi con le modalita' di cui all'art. 17 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114 e rese disponibili alla struttura di cui all'art. 15 e alla sezione di controllo della Corte dei conti competente ai sensi dell'art. 5, comma 4.

In caso di adozione del piano di razionalizzazione, entro il 31 dicembre dell'anno successivo le pubbliche amministrazioni approvano una relazione sull'attuazione del piano, evidenziando i risultati conseguiti, e la trasmettono alla struttura di cui all'art. 15 e alla sezione di controllo della Corte dei conti competente ai sensi dell'art. 5, comma 4.

I piani di riassetto possono prevedere anche la dismissione o l'assegnazione in virtu' di operazioni straordinarie delle partecipazioni societarie acquistate anche per espressa previsione normativa. I relativi atti di scioglimento delle societa' o di alienazione delle partecipazioni sociali sono disciplinati, salvo quanto diversamente disposto nel presente decreto, dalle disposizioni del codice civile e sono compiuti anche in deroga alla previsione normativa originaria riguardante la costituzione della societa' o l'acquisto della partecipazione.

Resta ferma la disposizione dell'art. 1, comma 568-bis, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.

La mancata adozione degli atti di cui ai commi da 1 a 4 comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile, comminata dalla competente sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti. Si applica l'art. 24, commi 5, 6, 7, 8 e 9.

Resta fermo quanto previsto dall'art. 29, comma 1-ter, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e dall'art. 1, commi da 611 a 616, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

Entro un anno dalla data di' entrata in vigore del presente decreto, il conservatore del registro delle imprese cancella d'ufficio dal registro delle imprese, con gli effetti previsti dall'art. 2495 del codice civile, le societa' a controllo pubblico che, per oltre tre anni consecutivi, non abbiano depositato il bilancio d'esercizio ovvero non abbiano compiuto atti di gestione.

Prima di procedere alla cancellazione, il conservatore comunica l'avvio del procedimento agli amministratori o ai liquidatori, che possono, entro 60 giorni, presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell'attivita', corredata dell'atto deliberativo delle amministrazioni pubbliche socie, adottata nelle forme e con i contenuti previsti dall'art. 5. In caso di regolare presentazione della domanda, non si da' seguito al procedimento di cancellazione.

Unioncamere presenta, entro due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, alla struttura di cui all'art. 15, una dettagliata relazione sullo stato di attuazione della presente norma.»   Tale disposizione, a mente della giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (decisione n. 144/2016), in quanto diretta a perseguire finalita' di tutela della concorrenza, scopi di risparmio di spesa, salvaguardia del buon andamento del pubblico agire e di disciplina in materia di ordinamento civile, esprime un legittimo intento di razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche.

Cio' che invece trasmoda tali finalita' e comprime illegittimamente l'autonomia regionale e' la previsione del comma 7, che prevede un regime sanzionatorio in caso di mancata adozione degli atti di cui ai commi da 1 a 4, operante non solo a livello pecuniario, ma anche, per effetto del rinvio all'art. 24, commi 5, 6, 7, 8 e 9, in termini di divieto ad esercitare i diritti sociali cui accede un procedimento di liquidazione in denaro della partecipazione.

In pratica, ove la Regione ometta l'adozione del piano di razionalizzazione si dovrebbe ritenere che la stessa non possa piu' esercitare i propri diritti sociali e debba vedere la propria partecipazione societaria liquidata con riguardo a tutte le societa' partecipate, non essendo possibile rinvenire nel testo della legge alcun criterio selettivo atto a circoscrivere l'oggetto della sanzione. Il che appare abnorme e irragionevole, in quanto costituisce un atto espropriativo sia della potesta' dominicale sia del connesso interesse alla tutela patrimoniale della partecipazione societaria. E contraddice il canone di proporzionalita', con conseguenze violazione degli articoli 3 e 97 Cost. violazione che si riverbera in una lesione dell'autonomia in materia di organizzazione regionale ed esercizio delle proprie funzioni di cui agli articoli 117, comma IV e 118 Cost. nonche' dell'art. 119 Cost.

Peraltro tale regime sanzionatorio contraddice il disegno istituzionale della Repubblica italiana che attribuisce pari dignita' a tutte le compagini territoriali che la costituiscono. Di fronte all'inerzia regionale, e' legittimo prevedere un regime sostitutivo, non certo un regime sanzionatorio afflittivo in grado di produrre effetti alla fine pregiudizievoli degli interessi dei cittadini e in contraddizione con il buon andamento dell'agire pubblico. Si ritiene percio' che la disposizione impugnata sia costituzionalmente illegittima anche per violazione degli articoli 117, 118, 119 e 5 e 114 Cost., in uno con gli articoli 3 e 97, a cagione degli effetti di irragionevole detrimento degli interessi pubblici e dei cittadini.

 

5) Illegittimita' costituzionale dell'art 24, comma 5 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, per violazione degli articoli, 3, 5, 97, 114, 117, IV comma, 118 e 119 della Costituzione.

L'art. 24 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, rubricato «Revisione straordinaria delle partecipazioni» statuisce che: «Le partecipazioni detenute, direttamente o indirettamente, dalle amministrazioni pubbliche alla data di entrata in vigore del presente decreto in societa' non riconducibili ad alcuna delle categorie di cui all'art. 4, commi 1, 2 e 3, ovvero che non soddisfano i requisiti di cui all'art. 5, commi 1 e 2, o che ricadono in una delle ipotesi di cui all'art. 20, comma 2, sono alienate o sono oggetto delle misure di cui all'art. 20, commi 1 e 2. A tal fine, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ciascuna amministrazione pubblica effettua con provvedimento motivato la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute alla medesima data di entrata in vigore del presente decreto, individuando quelle che devono essere alienate. L'esito della ricognizione, anche in caso negativo, e' comunicato con le modalita' di cui all'art. 17 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. Le informazioni sono rese disponibili alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi dell'art. 5, comma 4, e alla struttura di cui all'art. 15.

Per le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 611, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il provvedimento di cui al comma 1 costituisce aggiornamento del piano operativo di razionalizzazione adottato ai sensi del comma 612 dello stesso articolo, fermi restando i termini ivi previsti. Il provvedimento di ricognizione e' inviato alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi dell'art. 5, comma 4, nonche' alla struttura di cui all'art. 15, perche' verifichi il puntuale adempimento degli obblighi di cui al presente articolo.

L'alienazione, da effettuare ai sensi dell'art. 10, avviene entro un anno dalla conclusione della ricognizione di cui al comma 1.

In caso di mancata adozione dell'atto ricognitivo ovvero di mancata alienazione entro i termini previsti dal comma 4, il socio pubblico non puo' esercitare i diritti sociali nei confronti della societa' e, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la medesima e' liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti all'art. 2437-ter, secondo comma, e seguendo il procedimento di cui all'art. 2437-quater del codice civile».

La diposizione del quinto comma prevede, per il caso di omessa adozione dell'atto di ricognizione straordinaria delle partecipazioni societarie, la sanzione del divieto di esercizio dei diritti sociali e l'automatica messa in liquidazione della partecipazione societaria.

Tale sanzione appare, nel suo contenuto disciplinatorio e afflittivo, irragionevole e sproporzionata. Irragionevole, in quanto, in caso di mancata adozione dell'atto ricognitivo, non e' dato capire come potrebbero essere individuate le societa' rispetto alle quali debba operare il divieto di esercizio dei diritti sociali e la conseguente liquidazione della partecipazione. Ne' si puo' superare tale difficolta', ritenendo in via di interpretazione che la sanzione debba estendersi a tutte le societa' partecipate, il che infatti rafforzerebbe e non eliderebbe l'irragionevolezza della norma.

Sproporzionata in quanto, alla mancata adozione di un atto meramente ricognitivo, si fanno derivare conseguenze incidenti in senso limitativo sulla capacita' di agire del socio pubblico, il che determina peraltro non solo una lesione dell'autonomia regionale, ma anche conseguenze negative in termini di buon andamento dell'agire pubblico, laddove e' in grado di impedire all'amministrazione pubblica di esercitare i poteri gestori spettanti al socio a detrimento degli interessi pubblici curati per il tramite del veicolo societario.

Il che determina una lesione degli articoli 3, 97, 117, comma IV e 118 Cost. Peraltro tale regime sanzionatorio, come gia' rilevato nel precedente motivo di impugnazione, contraddice il disegno istituzionale della Repubblica italiana che attribuisce pari dignita' a tutte le compagini territoriali che la costituiscono. Di fronte all'inerzia regionale, e' legittimo prevedere un regime sostitutivo, non certo un regime sanzionatorio afflittivo in grado di produrre effetti pregiudizievoli nei confronti dei cittadini e in contraddizione con il buon andamento dell'agire pubblico. Si ritiene percio' che la disposizione impugnata sia costituzionalmente illegittima anche per violazione degli articoli 5 e 114 Cost., in uno con gli articoli 3 e 97, a cagione degli effetti di irragionevole detrimento degli interessi pubblici.

 

6) Impugnazione dell'art. 18, lettere a), b), c), e), i), 1) e m), punti da 1 a 7, della legge 7 agosto 2015, n. 124.

Si rileva, conclusivamente, che la Regione del Veneto ha impugnato l'art. 18, lettere a), b), c), e), i), 1) e m), punti da l a 7, della legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.

In particolare la lesione della competenza costituzionalmente riservata alle Regioni in materia di organizzazione regionale ex art.

117, comma IV Cost e la violazione dei limiti consustanziali alla materia «tutela della concorrenza» e «coordinamento della finanza pubblica», fatti valere nel pendente giudizio di costituzionalita', hanno trovato concretizzazione nelle disposizioni di legge oggetto della presente impugnazione e adottate in «attuazione» dei principi declinati dalla legge delega.

La violazione, poi, del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., fatta valere in relazione alla previsione della legge delega, getta una oscura ombra sulle tutte le disposizioni impugnate in questa sede e, in generale, sull'intero decreto delegato, il cui procedimento di formazione ha previsto la partecipazione delle autonomie territoriali in termini di mera consultazione. Cio' ha consentito alle stesse di fornire un apporto collaborativo parziale e insufficiente in un contesto di sovrapposizione «materiale» che invece esigeva una partecipazione rinforzata che si sarebbe dovuta sostanziare nella previsione di un'intesa intergovernativa, la quale non si limita a prevedere un contributo «tecnico» delle autonomie territoriali, ma invece impone che esse e lo Stato svolgano un dialogo paritario e strutturato. Che nel caso di specie non e' stato compiuto.

 

P. Q. M.

 

La Regione del Veneto chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 9, art. 11, comma 3, art. 14, comma 5, art. 20, comma 7 e art. 24, comma 5 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante «testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 210 dell'8 settembre 2016 per violazione degli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119, anche in relazione anche agli articoli 3, 5, 97 e 114 Cost., oltreche' del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.

Si depositano:   1) deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 1774 del 7 novembre 2016, di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale.

Venezia-Roma, 7 novembre 2016

Avv. Zanon - Avv. Manzi