RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI N. 3 DEL 6 APRILE 2016 (REGIONE EMILIA ROMAGNA)

Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria il 6 aprile 2016.

(GU n. 19 del 11.05.2016)

 

Ricorso per conflitto di attribuzione della Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale, legale rappresentante pro tempore, sig. Stefano Bonaccini, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale progr. n. 264 del 29 febbraio 2016 (doc. 1), rappresentata e difesa per mandato speciale a margine dal prof. avv. Franco Mastragostino (C.F. MST FNC 47E07 A059Q; pec: francomastragostino@ordineavvocatibopec.it,) e dal prof. avv. Adriano Giuffre' (pec: adrianogiuffre@ordineavvocatiroma.org, C.F. GFF DRN 38R28 F512D), ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via dei Gracchi n. 39;   Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente in carica; per l'annullamento della nota della direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot n. 0001528 in data 1° febbraio 2016, trasmessa tramite pec in pari data alla direzione generale ambiente della Regione Emilia Romagna ed, in particolare, al dirigente dott. Giuseppe Bortone, e per conoscenza alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per il coordinamento amministrativo, con la quale, nel riscontrare l'istanza del Presidente della giunta della Regione Emilia Romagna PG. 2015/0888444 del 24 dicembre 2015, con cui si invitava la Presidenza del Consiglio dei ministri a ritirare la diffida nei confronti della Regione e ad identificare correttamente e legittimamente la Amministrazione tenuta all'adempimento relativamente alla bonifica della discarica del «sito Razzaboni», ha comunicato che «non paiono sussistere elementi di fatto e di diritto tali da giustificare una rettifica della diffida del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 novembre 2015».

 

Premesso in fatto

 

Con atto di diffida del Presidente del Consiglio dei ministri 26 novembre 2015, emanato ai sensi dell'art. 8, comma.1, della legge n. 131 del 2003, e dell'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, rivolto sia al comune di San Giovanni in Persiceto, sia alla Regione Emilia Romagna, relativamente alla «discarica abusiva ubicata nel comune, di San Giovanni in Persiceto, in localita' V. Samoggia n. 26 (sito Razzaboni), oggetto della sentenza di condanna della Corte di giustizia del 2 dicembre 2014 nella causa C-196/13, in ordine alla applicazione delle direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE», si imponeva alla Regione Emilia Romagna «di rilasciare entro 30 giorni dal ricevimento del presente atto il provvedimento di conclusione del procedimento ai sensi dell'art. 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152», con l'avvertimento che: «in caso di mancato adempimento, da parte di codesti enti, entro il termine assegnato, il Consiglio dei ministri adotta i provvedimenti necessari di cui all'art. 8 della citata legge 5 giugno 2003, n. 131», venendosi a prefigurare l'uso del potere sostitutivo dello Stato.

A seguito di tale diffida, la Regione ha ritenuto di rispondere sul piano dei rapporti di leale collaborazione, con una istanza del Presidente della Giunta regionale, inoltrata in data 24 dicembre 2015 alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con la quale, sul presupposto che la Regione Emilia Romagna «non e' Amministrazione procedente tenuta all'adempimento, ai sensi dell'art. 250 del d.lgs. n. 152/2006») invitava, da un lato, ad identificare correttamente e legittimamente la Amministrazione tenuta all'adempimento e a revocare dunque la diffida nei confronti della Regione, apparendo essa formulata del tutto al di fuori dei presupposti giustificativi dell'esercizio del potere sostitutivo e su basi fattuali erronee, dall'altro ad avviare procedure di leale collaborazione per individuare le modalita' di adempimento alle istanze della Commissione europea.

Solo in via cautelativa, la Presidenza della Regione disponeva, altresi', di promuovere conflitto di attribuzione per far valere comunque le sue ragioni, nell'ipotesi che la procedura di leale collaborazione non avesse avuto esito felice. Con conflitto di attribuzione reg. ric. n. 1/2016, la Regione Emilia Romagna ha, quindi, impugnato per violazione dell'art. 117, 2° comma, lettera s), Cost., quanto alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni in materia di «ambiente», nonche' per violazione dell'art. 120, 2° comma Cost., come attuato dall'art. 8, 1° comma legge n. 131/2003, e dell'art 117, 5° comma Cost., come attuato dall'art. 41 della legge n. 234/2012, per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere sostitutivo, sia la diffida, che il silenzio serbato sull'istanza di rettifica/revoca inoltrata dal Presidente della giunta regionale, a cui non veniva dato riscontro, almeno nei termini entro i quali la stessa diffida imponeva alla Regione i sopra descritti adempimenti (30 gg), decorsi i quali sarebbe scattato il potere sostitutivo.

Ed in effetti l'avviata procedura di leale collaborazione non sortiva esito alcuno. Nelle more della notifica del ricorso, in data 1° febbraio 2016 perveniva, invece, alla Regione Emilia Romagna - Direzione generale ambiente, alla attenzione del dirigente, dott. Bortone, la nota prot. n. 0001528 della Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, avente ad oggetto: «Diffida del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 novembre 2015 relativa alla discarica abusiva sita nel comune di San Giovanni in Persiceto (Bologna). Riscontro nota prot PG. 2015.0888444 del 24 dicembre 2015», con la quale si ribadisce la responsabilita' della Regione (per la mancata conclusione del procedimento di bonifica, oggetto delle richieste della Commissione europea e dell'inadempimento ascritto allo Stato italiano) e l'impossibilita' di procedere alla rettifica/revoca della diffida; il tutto sulla base di una ancora piu' marcata erronea lettura delle disposizioni costituzionali e legislative del riparto di attribuzioni fra Stato e Regione in materia di ambiente.

La Regione Emilia Romagna e', pertanto, costretta a promuovere questo ulteriore ricorso, consequenziale a quello gia' proposto, con cui si chiede alla ecc.ma Corte costituzionale di procedere all'annullamento anche della precitata nota della DG per i rifiuti e l'inquinamento presso il Ministero ambiente, previa affermazione che:   1) non spetta allo Stato, tramite la Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero ambiente, tutela del territorio e del mare, rispondere con lettera inviata al dirigente della Direzione generale ambiente della Regione Emilia Romagna, ad una richiesta inoltrata alla Presidenza del Consiglio dei ministri dal Presidente della Regione, volta alla rettifica/revoca della diffida e con l'invito a procedere con il metodo della leale collaborazione;   2) non spetta allo Stato, per il tramite della Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero ambiente, tutela del territorio e del mare, respingere la richiesta di rettifica/revoca della diffida inoltrata in esercizio del potere sostitutivo alla Regione Emilia Romagna, insistendo su una erronea interpretazione del riparto delle competenze ed attribuzioni in materia di bonifica dei siti inquinati;   3) non spetta allo Stato decidere unilateralmente di non impugnare la nota della Commissione UE di ingiunzione della sanzione, benche' si fosse giunti, con la Regione, all'accordo di promuovere l'impugnazione (nell'incontro del 2 settembre 2015) e cio' nonostante addossare alla Regione la responsabilita' per l'inadempimento dell'obbligo comunitario accertato con la predetta sentenza, nonche' con la nota della Commissione prot. n. 1303 del 10 febbraio 2016, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri e Min. ambiente, concernente ingiunzione di pagamento della penalita' a seguito della sentenza della CGUE 2 dicembre 2014 - Causa C-196/13 - secondo semestre successivo alla sentenza.

E cio' per i seguenti motivi di:     Diritto    1) Quanto al primo punto delle conclusioni: violazione dell'art. 120, 2° comma Cost. e dell'art. 8 della legge n. 131/2003. Violazione delle procedure di leale collaborazione. Incompetenza e difetto di attribuzione dell'organo che si e' pronunciato sull'istanza del Presidente della Regione.

Lo Stato ha avviato una procedura di sostituzione secondo le disposizioni di cui all'art. 120, 2° comma Cost. e all'art. 8 della legge n. 131/2003: quindi, attraverso un atto del Presidente del Consiglio dei ministri, organo politico per eccellenza, rivolto all'organo politico della Regione, cioe' al Presidente della giunta regionale.

A sua volta, il Presidente della giunta regionale, per le motivazioni esposte nel precedente conflitto (e riassunte nelle premesse in fatto) dava corso ad una procedura di leale collaborazione, come previsto dallo stesso art. 120, 2° comma Cost., chiedendo al Presidente del Consiglio dei ministri di revocare un atto che appariva non fondato in punto di diritto. A questa richiesta non ha fatto, tuttavia, riscontro una replica della Presidenza del Consiglio dei ministri, come ci si sarebbe atteso, ma e' stata inoltrata una risposta negativa alla richiesta del Presidente della giunta regionale per via meramente amministrativa/burocratica, che ha cosi' interrotto, di fatto, la procedura di leale collaborazione. Il fatto stesso che questa risposta negativa sia stata inoltrata da un organo amministrativo e non dall'organo politico di rappresentanza dello Stato appare lesivo delle prerogative della Regione e degli obblighi promananti dal principio di leale collaborazione. Con specifico riferimento alla procedura di sostituzione, regolata dall'art. 120, secondo comma, Cost. e dalla disciplina di attuazione dettata dall'art. 8 della legge n. 131/2003, e' previsto che ogni atto sia deciso dal Consiglio dei ministri e che non possa essere «declassato» il rapporto con la Regione al piano delle relazioni tra uffici amministrativi. La procedura seguita non rispetta invece queste regole basilari. Alla richiesta formulata dal Presidente della giunta di revocare/rettificare la diffida inviata dal Presidente del Consiglio dei ministri, e' stato viceversa risposto con una nota di un apparato amministrativo del Ministero, non sottoposta all'approvazione del governo e non fatta propria dal Presidente del Consiglio. Con tutto cio' che ne consegue in termini di invalidita' ed inidoneita' della nota stessa.

2) Quanto al secondo punto delle conclusioni: violazione dell'art. 117, 2° comma, lettera s), Cost., in ordine alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni in materia di «ambiente». Falso ed erroneo supposto di fatto e di diritto nella individuazione della Regione quale Amministrazione responsabile della bonifica e, di conseguenza, dell'inadempimento eccepito a livello comunitario, per erronea interpretazione delle competenze regionali come risultanti dagli artt. 196, 199 e 250 del d.lgs. n. 152/2006. Violazione dell'art. 119 Cost.

Gia' nel precedente conflitto si era ricostruito il quadro delle attribuzioni fra Stato e regioni in materia di ambiente e, in particolare, di «bonifica dei siti inquinati», evidenziando che la disciplina dei rifiuti e della bonifica dei siti contaminati rientra sicuramente a pieno titolo nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, 2° comma, lett. s), Cost. (sent. 96 e 312/2003, 161 e 62/2005, per citarne alcune).

Tuttavia, poiche' alle ragioni esposte nell'istanza inviata dal Presidente della giunta regionale al Presidente del Consiglio dei ministri, la Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento presso il Ministero ambiente ha risposto ribadendo una lettura inaccettabile della legislazione italiana in materia di fissazione di obblighi e responsabilita' in capo ai soggetti interessati, per quanto concerne la bonifica dei siti inquinati, la Regione Emilia Romagna si vede costretta, di conseguenza, a riproporre una lettura della legislazione vigente conforme a Costituzione.

I dati imprescindibili appaiono i seguenti:   a) il risanamento dei siti inquinati rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente. La legislazione statale ha, pero', affidato alle regioni e alle Amministrazioni locali una vasta gamma di funzioni amministrative di esecuzione delle leggi statali. In particolare, l'art. 196, comma 1, lettera c) del d.lgs. n. 152/2006 attribuisce alla Regione la competenza ad elaborare il piano per la bonifica delle aree inquinate, secondo i contenuti indicati all'art. 199, comma 6. L'art. 199 attribuisce alla Regione la competenza a predisporre ed adottare, altresi', il piano regionale di gestione dei rifiuti, del quale, ai sensi del comma 6 dell'art. 199, e' parte integrante il piano per la bonifica delle aree inquinate. Quest'ultimo deve prevedere:   a) l'ordine di priorita' degli interventi, basato su un criterio di valutazione del rischio elaborato dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);   b) l'individuazione dei siti da bonificare e delle caratteristiche generali degli inquinamenti presenti;   c) le modalita' degli interventi di bonifica e risanamento ambientale, che privilegino prioritariamente l'impiego di materiali provenienti da attivita' di recupero di rifiuti urbani;   d) la stima degli oneri finanziari;   e) le modalita' di smaltimento dei materiali da asportare.

Trattasi, con tutta evidenza, di una competenza programmatoria e pianificatoria degli interventi da effettuare. L'esame della normativa sopra riportata evidenzia che il piano regionale di bonifica e', in sostanza, lo strumento di programmazione e pianificazione attraverso cui la Regione provvede ad individuare i siti da bonificare presenti sul proprio territorio, a definire un ordine di priorita' degli interventi sulla base di criteri elaborati a livello statale e di una valutazione comparata del rischio ed a stimare gli oneri finanziari necessari per le attivita' di bonifica. Tale competenza e' stata da tempo esercitata dalla Regione Emilia Romagna (il primo piano di bonifica dei siti inquinati e' stato approvato con delib. GR n. 637/1995; il primo programma degli interventi e' stato approvato con delib. del Consiglio regionale n. 1058/1998; il piano degli interventi urgenti e' stato approvato con delib. GR n. 1849/2011, a cui e' stata data attuazione con la delib. GR n. 1512/2012; quanto al piano regionale di gestione dei rifiuti, ai sensi dell'art. 199, esso e' stato adottato con delib. GR n. 103/2014; e' seguita la proposta all'assemblea legislativa con decisione sulle osservazioni presentate e l'approvazione del PRGR con delib. GR n. 1 dell'8 gennaio 2016, sulla quale dovra' intervenire l'approvazione definitiva dell'assemblea legislativa);   b) il sistema normativo che regola, invece, le procedure operative ed amministrative per la realizzazione in concreto degli interventi di bonifica (cfr. artt. 242 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006) attribuisce alla Regione (unitamente a province e comuni) funzioni autorizzatorie e di presidio degli interventi di bonifica, mentre i soggetti a vario titolo chiamati a rispondere per la bonifica sono il privato responsabile dell'inquinamento, il proprietario o il conduttore del fondo non responsabili, ovvero il terzo interessato. Qualora non provvedano i predetti soggetti obbligati, o non vi siano soggetti interessati, sorge l'obbligo di intervento sostitutivo del comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, spetta alla Regione la funzione di intervento sostitutivo in luogo dei privati che non adempiono ai loro obblighi di bonifica ma e' chiaro che non e' la Regione l'amministrazione responsabile della bonifica, sibbene «il comune territorialmente competente». Ed in effetti, il procedimento di bonifica che e' stato avviato ed eseguito e' radicato in capo al comune di San Giovanni in Persiceto; al quale unicamente la diffida doveva essere rivolta (ammesso e non concesso che ne ricorrano i presupposti anche con riferimento a tale amministrazione); amministrazione che - lo si ribadisce - e' quella preposta agli adempimenti in materia, avendo la Regione espletato, come si e' gia' rappresentato nel precedente conflitto, nel caso di specie e del tutto provvidenzialmente, in assoluta carenza di un intervento finanziario dello Stato, un mero ruolo di ente finanziatore, oltretutto erogando risorse proprie.

Appare, quindi, evidente che non esiste alcun nesso fra la competenza alla pianificazione di cui agli articoli 196 e 199 e la responsabilita' in ordine alla effettiva realizzazione degli interventi di bonifica. A ritenere diversamente si arriverebbe al paradosso di affermare che dalla competenza alla pianificazione del sistema di gestione dei rifiuti sul territorio regionale discenda anche la responsabilita' circa il corretto smaltimento dei rifiuti, cioe' la stessa responsabilita' che grava sull'impresa di smaltimento, la cui attivita' e', come noto, sottoposta ad autorizzazione.

La nota del Ministero ambiente impugnata afferma, invece, di avere indirizzato la diffida anche alla Regione in quanto la stessa sarebbe da ritenersi «responsabile», oltre che ai sensi dell'art. 250, anche ai sensi degli articoli 196 e 199 del d.lgs. n. 152 del 2006; in tal modo il Ministero pone una connessione fra le competenze pianificatorie regionali, gli interventi di bonifica dei siti contaminati (che competono al responsabile dell'inquinamento) e quelle di intervento sostitutivo, facendo intendere che l'intervento di bonifica rientri nella competenza della Regione, sulla base di una insostenibile ed errata equazione che equipara le competenze di pianificazione con la responsabilita' dell'inquinamento e, quindi, in ultima analisi con la realizzazione concreta delle operazioni di bonifica. Cosa che non e' e non puo' essere, pena l'illegittimita' costituzionale dello stesso art. 250. Il quale, infatti, non potrebbe delegare alla Regione una competenza - nel caso ad effettuare a carico del suo bilancio interventi di bonifica - senza garantire una adeguata copertura finanziaria. Tanto e' vero che il medesimo art. 250 e' chiaro nel precisare che la Regione potrebbe trovarsi ad «anticipare le somme per i predetti interventi», istituendo «appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilita' di bilancio» lasciando chiaramente comprendere come ovvia conseguenza che questi interventi devono essere finanziati dallo Stato. Se non si accedesse a questa interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 250, esso risulterebbe in palese violazione del principio fissato dall'art. 119 Cost. e recentemente ribadito dalla sentenza di questa ecc.ma Corte cost. n. 10/2016, a mente della quale «la quantificazione delle risorse in modo funzionale e proporzionato alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente diventa fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell'amministrazione, cui lo stesso legislatore si deve attenere puntualmente».

Non avendo previsto stanziamenti di somme adeguate all'esercizio delle funzioni delegate in materia di bonifica, la legislazione dello Stato appare del tutto carente e, quindi, e' lo Stato che si e' reso inadempiente rispetto alle eccepite violazioni della normativa comunitaria (si consideri che le risorse finanziarie da trasferire alle regioni, ai fini dell'esercizio delle funzioni ad esse conferite in materia ambientale, sono state inizialmente disposte in attuazione del D.Lgs. n. 112/1998, per le funzioni di cui agli articoli 70, 73, 74, 78, 81 e 84 del medesimo D.Lgs. n. 112/1998; a partire dai 2001 sono stati effettuati a favore della Regione Emilia Romagna trasferimenti di risorse da parte della Ragioneria generale dello Stato per l'esercizio delle predette deleghe ambientali. Fra il 2003 e il 2010 sono stati trasferiti circa 25 milioni l'anno. Tali fondi hanno, peraltro, contribuito in misura determinante ad avviare l'implementazione del piano triennale regionale per la tutela ambientale, istituito con la l.r. n. 3/99. Dal 2010 piu' nulla e sul D.Lgs. n. 152/2006 non risultano fondi stanziati a favore delle regioni).

Le considerazioni appena svolte sulla «latitanza» dello Stato, in materia, trovano conferma nel fatto che il legislatore statale, consapevole di tale lacuna, ha in altri contesti, invece, previsto specifici stanziamenti.

Precisamente la legge di stabilita' 2016 ha istituito un fondo con una dotazione di 300 milioni di euro (150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017) finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della c.d. «terra dei fuochi» (e cioe' per le province di Napoli e Caserta) per la realizzazione dei necessari interventi di bonifica e per il superamento delle procedure di infrazione che per tale motivo hanno coinvolto i citati territori (procedura 2003/2077 relativa alle discariche illegali - cioe' la stessa procedura di infrazione che ha riguardato anche il sito Razzaboni, e la procedura di infrazione 2007/2195 relativa alla gestione dei rifiuti). Ferme restando le competenze esclusive dello Stato in materia e l'attribuzione alle regioni di specifiche funzioni amministrative di tipo programmatorio e di intervento sostitutivo, e' chiaro che spetta allo Stato garantire la copertura finanziaria di interventi che possono essere, come nel caso sono, molto onerosi.

Si ricorda (come e' gia' stato evidenziato con il precedente conflitto n. 1/2016, pag. 5 e come e' stato comprovato con la relativa documentazione ivi allegata) che la Regione Emilia Romagna ha gia' anticipato con deliberazione GR n. 1027/2014, un finanziamento con propri fondi pari ad € 3.604.902,00 per la realizzazione dell'intervento di messa in sicurezza dell'area interessata dai rinvenimenti del 2010 e del 2012 (subordinando la effettiva concessione del finanziamento alla acquisizione dell'area in proprieta' del comune) e che di fronte alla sua specifica richiesta, rivolta nel giugno 2014 al Ministero ambiente di poter ottenere, nell'ambito dei fondi previsti dalla legge di stabilita' 2014 per la regolarizzazione dei siti interessati dalla procedura di infrazione in esame, una quota di finanziamento da destinare al sito Razzaboni, si e' vista respinta ogni richiesta per aver il Ministero declassato l'area in questione, ponendola, in una scala di priorita' da 1 a 5, alla classe 4, con cio' facendo risultare l'area non idonea ad essere ammessa al finanziamento (cfr. D.M. n. 303 del 9 dicembre 2014) (cfr. pag. 17 del precedente conflitto, doc. all. 8 e qui riallegato come doc.). Ed una ulteriore richiesta di finanziamento, rinnovata dalla Regione Emilia Romagna al Ministero con nota del 21 luglio 2014 - dove si evidenziava che i fondi ministeriali, unitamente ai fondi regionali gia' stanziati/anticipati, avrebbero garantito la bonifica complessiva dell'area Razzaboni (come intenderebbe la commissione, nonostante la procedura di infrazione per cui e' stata emessa la condanna della Corte di giustizia e sorta la penalita' riguardi unicamente i rinvenimenti del 2001, peraltro gia' messi in sicurezza con nessun danno residuo per l'ambiente) - e' anch'essa rimasta senza esito, come e' rimasta priva di riscontro l'ultima istanza rivolta dalla Regione nel luglio 2015 per accedere ai Fondi ministeriali per lo sviluppo e la coesione (FSC).

Da cio' l'inevitabile conclusione che la responsabilita' del mancato adempimento degli obblighi comunitari grava esclusivamente sullo Stato, che non ha considerato urgente l'intervento (nonostante le due sentenze di condanna della Corte di giustizia n. C-135/05 del 26 aprile 2007 e C-196/13 del 2 dicembre 2014), che non ha predisposto gli strumenti finanziari per farvi fronte, e che ora pretenderebbe di far ricadere la responsabilita' sulla Regione!   Va inoltre osservato che nella recente nota del 10 febbraio 2016 della commissione (indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero ambiente), recante «notifica ingiunzione di pagamento della penalita' a seguito della sentenza Corte di giustizia C-196/2013 - secondo semestre successivo alla sentenza», si fa uno specifico riferimento critico alla inadeguatezza dello Stato italiano in ordine non tanto ad «un numerus clausus di discariche» quanto piuttosto rispetto ad un «problema generale e strutturale di mancato rispetto di determinate norme UE in materia di rifiuti».

In effetti, l'apparato normativo in materia e' lacunoso: non da' certezza agli operatori pubblici che sono chiamati ad intervenire in via d'urgenza e d'ufficio, non da' gli strumenti per adeguare gli interventi alle situazioni che vengono man mano poste in luce.

Non e' questa la sede per contestare la nota della commissione, riservandosi la Regione di esporre il suo punto di vista al Ministero, anche a questo fine servendo la procedura di leale collaborazione che si intendeva avviare.

Certo e' che le lacune normative ed il disinteresse finanziario manifestato nel caso in esame dimostrano la forte manchevolezza dello Stato che - lo si ribadisce - detiene, in materia, potesta' legislativa esclusiva, con conseguente violazione del riparto costituzionale delle competenze, nella misura in cui si pretende di addossare alla Regione responsabilita' discendenti unicamente dal trascurato esercizio di competenze di esclusiva pertinenza dello Stato.

3) Quanto al terzo profilo delle conclusioni: violazione del principio costituzionale di leale collaborazione e dell'Accordo raggiunto con la Regione di proporre l'impugnazione della nota di ingiunzione della sanzione da parte della Commissione UE. Violazione dell'art. 24 Cost.

Va premesso che la procedura di infrazione che, come e' noto, si sviluppa in una fase precontenziosa, una giudiziaria e una esecutiva, disciplinata dagli articoli 258-260 TFUE, evidenzia che l'unico soggetto legittimato ad intervenire di fronte alla commissione o alla Corte di giustizia e' lo Stato membro, mentre nessuna facolta' di rapportarsi direttamente con le istituzioni comunitarie per giustificare le proprie modalita' di adempimento agli obblighi comunitari e' riconosciuta agli enti sub statali, fra cui la Regione; la responsabilita' per la violazione del diritto comunitario e' attribuita esclusivamente allo Stato membro.

Occorre pero' considerare che, sempre il diritto comunitario, pone l'obbligo vincolante di cooperazione (art. 4.3 TUE) di tutti gli organi dello Stato membro e, quindi, anche della Regione, al fine di assicurare il rispetto della normativa comunitaria.

Sul piano del diritto interno, l'obbligo di adottare, negli ambiti di competenza, ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria e' ribadito dall'art. 43 della legge n. 234 del 2012, che pone altresi' i presupposti per l'esercizio dell'azione di rivalsa da parte dello Stato nei confronti delle regioni e degli altri enti pubblici che si siano resi responsabili di violazioni del diritto comunitario.

Sulla base di tale specifica previsione, fra L'altro, nelle more della redazione del presente conflitto, e' avvenuto che la Ragioneria generale dello Stato ha inviato, con nota prot. n. 20508 in data 11 marzo 2016, una comunicazione - per il momento indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero ambiente, ma destinata a precedere la richiesta di rivalsa di cui all'art. 43 della legge n. 234/2012 - con la quale, si precisa che le specifiche sanzioni pecuniarie, collegate alla procedura di infrazione comunitaria per le discariche abusive e comminate in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia del 2 dicembre 2014, sono, state anticipate dal Ministero dell'economia e delle finanze, ma verranno recuperate a carico delle singole «Amministrazioni responsabili delle violazioni» (seguono Tabelle dove risultano indicati i siti abusivi, Regione per Regione, con la imputazione delle sanzioni liquidate e pagate in anticipazione, fra i quali c'e' anche la discarica sita in comune di San Giovanni in Persiceto).

Senonche' occorre fare un passo indietro.

La previsione di una responsabilita' anche patrimoniale delle regioni per mancato adempimento del diritto comunitario e la mancata legittimazione a livello comunitario di intervenire in propria difesa e' stata risolta, a livello di normativa interna, tramite la stipula di un Accordo, concluso con il Governo in sede di Conferenza unificata, il 24 gennaio 2008, che disciplina le modalita' di coinvolgimento delle regioni nelle varie fasi delle procedure di infrazione.

In particolare, l'art. 4, comma 2 di detto Accordo dispone che nei casi in cui sia proposto ricorso alla Corte di giustizia le regioni collaborano con il Ministero nell'impostazione della strategia difensiva, fornendo elementi di propria competenza utili alla predisposizione degli atti difensivi e partecipano ad eventuali riunioni di coordinamento a tal fine convocate.

A tale proposito, nella riunione del 2 settembre 2015 presso il Ministero dell'ambiente, come risulta chiaramente dal relativo verbale (doc n. 3 allegato al presente ricorso) e' stata condivisa, su proposta della Regione, una strategia difensiva con il Ministero, volta all'impugnazione della nota di ingiunzione della sanzione comminata dalla sentenza della Corte di giustizia del 2 dicembre 2014, dove si rilevavano argomenti tecnici e giuridici per contrastare evidenti erronee affermazioni e fraintendimenti della commissione sullo stato della procedura di bonifica e sugli interventi gia' eseguiti con riferimento agli adempimenti che la commissione riteneva fossero ancora da eseguire per assicurare la sicurezza ambientale e che, invece, risultano essere gia' stati eseguiti (vedi All 6 depositato nel primo conflitto, che qui si riallega come doc n. 4). In proposito, si e' gia' dato conto della circostanza che la Regione aveva trasmesso la documentazione concordata nella riunione e che, per contro, il Ministero non avesse proceduto ad impugnare la sentenza, venendo meno agli accordi presi.

A questa determinazione concordata con la Regione, lo Stato non si e' attenuto, male utilizzando la sua competenza esclusiva di relazione con le istituzioni comunitarie. Non solo, ma anche nei rapporti con la commissione - che, con tutta probabilita', erroneamente ha nuovamente ritenuto la sussistenza dei presupposti dell'inadempimento - lo Stato, invece di avvalersi delle argomentazioni fornite dalla Regione, che avrebbe fondato una opposizione ragionata alle contestazioni della commissione, ha riversato totalmente sulla Regione medesima la responsabilita' del preteso rilevato inadempimento che - se fosse sussistente - sicuramente non e' ad essa imputabile.

E' evidente, pertanto, anche sotto tale profilo, la palese violazione, oltre che del principio di leale collaborazione, che avrebbe dovuto caratterizzare la gestione complessiva della vicenda e che, se rispettato, avrebbero condotto ad una gestione ben diversa della situazione, anche del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Costituzione, nella misura in cui alla Regione non e' stata data, a causa del mancato rispetto di quanto era stato stabilito nell'accordo con lo Stato nella riunione del 2 settembre 2015, la possibilita' di contrastare adeguatamente le erronee argomentazioni recate nella valutazione della Commissione circa lo stato di attuazione della bonifica nel sito in esame.

In definitiva, la situazione e' precipitata per una sostanziale sine cura e inadeguatezza dello Stato a fronteggiare, con la dovuta diligenza, con i dovuti mezzi e assunzioni di responsabilita', quanto richiedeva la situazione emersa. Ed oggi la questione e' aggravata dall'avviato esercizio della rivalsa, come si e' visto in relazione alla nota della Ragioneria generale dello Stato che preme sul fronte del recupero delle somme corrisposte dallo Stato (MEF) per le sanzioni pecuniarie irrogate dalla Commissione Eu, per le quali la Regione Emilia Romagna, sulla base di tutto quanto esposto con i conflitti promossi, non ritiene, invece, sussista responsabilita' alcuna a titolo di «Amministrazione responsabile delle violazioni».

 

P. Q. M.

 

Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale adita, annullare il provvedimento impugnato, citato in epigrafe, per tutti i motivi e i profili evidenziati nel ricorso e sulla base delle conclusioni formulate in epigrafe.

Unitamente al ricorso si depositano:   1) nota della Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot n. 0001528 in data 1° febbraio 2016, trasmessa tramite pec in pari data alla Direzione generale ambiente della Regione Emilia Romagna - provvedimento impugnato;   2) accordo tra il governo, le regioni e le province, i comuni e le comunita' montane sulle modalita' di attuazione degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'UE e sulle garanzie di informazione da parte del governo prot. 31 CU del 24 gennaio 2008;   3) verbale riunione del 2 settembre 2015 fra Regione ER e Ministero su sentenza Corte giustizia del 2 dicembre 2014;   4) nota RER per l'impugnazione della nota di ingiunzione della sanzione emessa a seguito sentenza Corte giustizia del 2 dicembre 2014 e relativa lettera di trasmissione al Ministero ambiente (cfr All. 6 precedente conflitto);   5) ingiunzione alla Presidenza Cons. ministri di pagamento della sanzione - secondo semestre, del 10 febbraio 2016;   6) D.M. n. 303/2014 di approvazione Piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate dalle competenti autorita' statali, in relazione alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2077 e classificazione priorita' degli interventi (cfr. All. 8 precedente conflitto);   7) nota prot. n. 20508 in data 11 marzo 2016 della Ragioneria generale dello Stato, di avvio della richiesta di rivalsa;   8) deliberazione della giunta regionale progr. n. 264 del 29 febbraio 2016, di autorizzazione alla promozione del conflitto e di conferimento del mandato;   9) verbale del Cons. ordine avvocati BO del 30 maggio 2009, di autorizzazione alla notifica tramite registro cronologico.

Bologna-Roma, 22 marzo 2016

Prof. avv. Franco Mastragostino - Prof. avv. Adriano Giuffre'