RICORSO N. 22 DEL 25 MARZO 2016 (DELLA REGIONE LOMBARDIA)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 25 marzo 2016.

(GU n. 18 del 04.05.2016)

 

Ricorso nell'interesse della Regione Lombardia (C.F. 80050050154), con sede in Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia, n. 1, in persona del Presidente pro tempore, Roberto Maroni, rappresentata e difesa, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della Deliberazione di Giunta regionale n. 4931 del 14 marzo 2016 dall'avv. Piera Pujatti (PJTPRI62C51C722G) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del Prof. Avv. Francesco Saverio - Marini del foro di Roma (CF. MRNFNC73D28H501U; pec: francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.orgfax. 06.36001570), presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli, 48, ha eletto domicilio.

Ricorrente contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei Portoghesi, 12.

Resistente per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 49 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie generale del 18 gennaio 2016 n. 13.

1. La legge 28 dicembre 2015, n. 221 detta «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali.».

2. L'art. 49 della detta legge reca la rubrica «Miscelazione dei rifiuti» e risulta cosi' formulato: «All'art. 187 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e' aggiunto, in fine, il seguente comma: «3-bis. Le miscelazioni non vietate in base al presente articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai sensi degli articoli 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge».

3. L'art. 187 del decreto legislativo n. 152/06 dispone, al primo comma, che «E' vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosita' ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.» Al secondo comma la norma contempla le deroghe al suddetto divieto. Il comma 3-bis, oggetto della presente impugnazione «liberalizza» le miscelazioni non vietate (quindi quelle relative a rifiuti con uguali caratteristiche di pericolosita' oppure non pericolosi), disponendo anzi l'impossibilita' di sottoporre l'operazione di miscelazione a limitazioni in sede autorizzatoria.

4. In pratica la norma sottrae l'operazione di miscelazione alle prescrizioni dettate con le autorizzazioni e di conseguenza al controllo dell'Autorita' competente.

5. In proposito si deve rilevare che la Direttiva 2008/98/CE dispone, all'art. 23, I comma, che «Gli Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l'autorizzazione dell'autorita' competente. Tali autorizzazioni precisano almeno quanto segue: a) i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da prendere; d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione; e) le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie.». L'obbligo di munirsi di autorizzazioni contenenti prescrizioni e misure precauzionali e di sicurezza subisce deroga, ai sensi dell'art. 24 della Direttiva 2008/98/CE, solo in presenza di attivita' di smaltimento dei propri rifiuti non pericolosi nei luoghi di produzione o di recupero dei rifiuti.

6. Pertanto, la norma sottrae al regime autorizzatorio, cosi' come individuato dalla Direttiva, una serie di operazioni, ossia tutte le operazioni di miscelazione di rifiuti non pericolosi o con uguale indice di pericolosita', che avvengano al di fuori dei luoghi di produzione e non dirette al recupero.

7. L'art. 2 della Legge n. 205/2010 ha modificato l'art. 178 del decreto legislativo n. 152/06, in attuazione della direttiva 2008/98/CE e ha disposto che «La gestione dei rifiuti e' effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilita', di proporzionalita', di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonche' del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti e' effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicita', trasparenza, fattibilita' tecnica ed economica, nonche' nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali».

8. L'art. 29-sexies, comma 9, del decreto legislativo n. 152/06, inoltre, stabilisce che «L'autorizzazione integrata ambientale puo' contenere ulteriori condizioni specifiche ai fini del presente decreto, giudicate opportune dell'autorita' competente. Ad esempio, fermo restando l'obbligo di immediato rispetto dei precedenti commi e in particolare del comma 4-bis, l'autorizzazione puo' disporre la redazione di progetti migliorativi, da presentare ai sensi del successivo art. 29-nonies, ovvero il raggiungimento di determinate ulteriori prestazioni ambientali in tempi fissati, impegnando il gestore ad individuare le tecniche da implementare a tal fine. In tale ultimo caso, fermo restando l'obbligo di comunicare i miglioramenti progettati, le disposizioni di cui all'art. 29-nonies non si applicano alle modifiche strettamente necessarie ad adeguare la funzionalita' degli impianti alle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale».

9. La norma, impugnata, pertanto, contrasta con la Direttiva 2008/98/CE e impedisce alle Regioni di svolgere il proprio ruolo in sede di rilascio delle autorizzazioni allo smaltimento di rifiuti.

10. Tutto cio' premesso, con il presente ricorso, la regione Lombardia, come in atti rappresentata e difesa, impugna l'art. 49 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, in quanto lesivo delle proprie attribuzioni, costituzionalmente garantite, in merito alla materia di tutela per l'ambiente (rispetto alla quale le Regioni possono stabilire anche livelli di tutela piu' elevati rispetto allo Stato al fine di disciplinare nel modo migliore gli oggetti delle loro competenze - cfr. Corte cost. n. 61/2009 - 303/2013), di tutela della salute, di tutela e sicurezza del lavoro.

 

Diritto

 

1. Prima di esporre i singoli motivi di gravame, appare opportuno formulare brevi cenni sulla normativa in esame, per poi soffermarsi sulla legittimazione e sull'interesse al ricorso della Regione.

2. Cominciando dall'illustrazione del quadro normativo di riferimento, la miscelazione dei rifiuti e' l'unione di diversi rifiuti aventi diverso CER, al fine di inviate la miscela ottenuta ad un impianto di smaltimento o recupero. Essa costituisce una delle operazioni di smaltimento e di gestione dei rifiuti e, pertanto, e' disciplinata all'interno dell'autorizzazione all'esercizio dell'impianto, con proprie prescrizioni.

La direttiva 2008/98/CE sottopone tali operazioni (art. 23) ad autorizzazioni che precisino: «a) i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da prendere; d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione; e) le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie». La medesima Direttiva prevede una deroga, all'art. 24, per le sole attivita' di smaltimento dei propri rifiuti non pericolosi nei luoghi di produzione o di recupero dei rifiuti.

Fino all'entrata in vigore dell'art. 49 legge n. 221/2015, pertanto, le Regioni (o gli enti dalle stesse delegati), nell'emanare le autorizzazioni, potevano stabilire delle condizioni di esercizio «impianto specifiche» per garantire l'attuazione dei principi di precauzione, prevenzione, sostenibilita' ai fini della protezione dell'ambiente e della salute umana, secondo quanto dispone l'art. 29-sexies, comma 9 del decreto legislativo n. 152/06. Del resto, l'art. 3-quinquies del decreto legislativo n. 152/06, in linea con la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte stabilisce che «i principi contenuti nel presente decreto legislativo costituiscono le condizioni minime ed essenziali per assicurare la tutela dell'ambiente su tutto il territorio nazionale. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente piu' restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purche' cio' non comporti un'arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali.»   In attuazione dei principi suddetti, la Regione Lombardia ha adottato, con proprie deliberazioni, degli atti generali per il rilascio delle autorizzazioni di miscelazione dei rifiuti (DGR n. 8571/2008; DGR n. 3596/2012; DGR n. 127/2013), al dichiarato fine di garantire la tutela dell'ambiente, della salute pubblica e della sicurezza dei lavoratori, considerato che la miscelazione indiscriminata puo' comportare rischi a causa di reazioni impreviste o di emanazioni di sostanze tossiche.

3. Dal quadro normativo sopra illustrato, emerge con chiarezza che la norma statale impugnata incide, direttamente e indirettamente, su una pluralita' di' attribuzioni regionali.

Sul piano delle competenze legislative, vengono in rilievo l'art. 117, commi 2 e 3. La norma statale preclude alla Regione la possibilita' - piu' volte riconosciuta dalla Corte - di incidere sulla materia ambientale, pur di competenza esclusiva dello Stato, fissando livelli di tutela piu' elevati di quelli definiti dal legislatore nazionale, ove cio' sia fatto nell'esercizio di competenze proprie della Regione: in questo caso, tutela della salute e tutela e sicurezza del lavoro. Allo stesso tempo, la norma censurata impedisce anche il pieno esercizio delle due competenze da ultimo menzionate. Il tutto, peraltro, in diametrale contrasto con quanto sancisce il diritto europeo, al cui rispetto, ex articoli 11 e 117 comma 1 Cost., la legge dello Stato, come quella regionale, e' vincolata.

L'intervento statale si traduce poi in una compressione illegittima delle funzioni amministrative regionali. Infatti, esso esclude - in contrasto con l'art. 118 Cost., ma anche con il principio di buon andamento dell'art. 97 Cost. - la possibilita' per la Regione e per gli enti da essa eventualmente delegati di sottoporre a particolari regimi autorizzatoti o a specifiche prescrizioni talune operazioni di smaltimento dei rifiuti, avvertite come particolarmente delicate per gli interessi territoriali coinvolti.

Per i motivi suesposti, deve ritenersi integrata la legittimazione della Regione a invocare la violazione di parametri - nella specie, gli articoli 11, 97 e 118 - anche diversi da quelli attinenti il riparto delle competenze legislative, essendovi una ridondanza sulle attribuzioni regionali. Come piu' volte chiarito da codesta Ecc.ma Corte, infatti, «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione di parametri diversi da quelli relativi al riparto delle competenze legislative ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative (ex plurimis, sentenze n. 128 e n. 33 del 2011, n. 156 e n. 52 del 2010).» (cfr. sent. n. 236 delle 2013).

Tanto esposto, a meri fini di inquadramento, si procede all'esposizione dei motivi di ricorso.

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n. 221/2015 per violazione degli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione alla Direttiva 2008/98/CE, e dell'art. 117, commi 2 e 3 della Costituzione.

La direttiva 2008/98/CE, all'art. 23, sottopone le operazioni di trattamento rifiuti ad autorizzazioni che precisino: «a) i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da prendere; d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione; e) le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie». La medesima Direttiva prevede una deroga, all'art. 24, per le sole attivita' di smaltimento dei propri rifiuti non pericolosi nei luoghi di produzione o di recupero dei rifiuti.

E' evidente che la norma statale impugnata sottrae alla autorizzazione - e alle prescrizioni ad essa connesse - una serie di operazioni di miscelazione.

Inoltre, nello stabilire che, al di fuori dei divieti espliciti, le operazioni di miscelazione «non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai sensi degli articoli 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge» sottrae le suddette operazioni a quel regime precauzionale che la Direttiva riferisce a ciascun tipo di operazione. In altri termini nella prospettazione della normativa comunitaria non si puo' prescindere dalle considerazioni ed eventuali prescrizioni specifiche per ciascun impianto, cosi' come non si puo' prescindere dal monitoraggio.

La violazione della predetta Direttiva puo' essere apprezzata anche sotto altro profilo: l'art. 17 dispone che «Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinche' la produzione, la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti pericolosi siano eseguiti in condizioni tali da garantire la protezione dell'ambiente e della salute umana, al fine di ottemperare le disposizioni di cui all'art. 13, comprese misure volte a garantire la tracciabilita' dalla produzione alla destinazione finale e il controllo dei rifiuti pericolosi al fine di soddisfare i requisiti di cui agli articoli 35 e 36.». Si rileva pertanto che, consentendo la miscelazione priva di autorizzazione e di controllo di rifiuti con uguale indice di pericolosita', l'art. 49 legge n. 221/2015 ne inibisce la tracciabilita', posto che l'operazione di miscelazione termina con l'unione di diversi rifiuti. Del resto, che la tracciabilita' dei rifiuti sia un caposaldo della tutela ambientale e' riconosciuto dalla stessa legislazione nazionale che, all'art. 118-bis del decreto legislativo n. 150/06, riconosce la tracciabilita' come elemento che contribuisce allo smaltimento dei rifiuti senza pericolo per la salute dell'uomo.

Ponendosi in violazione chiara e manifesta della Direttiva, la norma viola l'art. 117, 1 comma, laddove si prevede che la potesta' legislativa, esercitata dallo Stato e dalle Regioni, e' esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. La formulazione dell'art. 117, 1 comma, ha «costituzionalizzato» la scelta comunitaria accogliendone integralmente i suoi principi fondamentali e consolidati, primo fra tutti la diretta applicabilita' del diritto comunitario. In tal modo la Costituzione ha confermato la previsione, previgente, dell'art. 11, ponendo il principio del primato della normativa comunitaria.

La violazione, da parte della norma statale, della direttiva comunitaria e' violazione di un vincolo che deve informare di se' l'intera produzione legislativa e si traduce in violazione di parametri (articoli 117, 1 comma e 11 Cost.) di legittimita'. E che ridonda sulle attribuzioni regionali in tema di tutela dell'ambiente che fanno si' che la Regione possa e debba prevedere livelli di tutela adeguati alle norme comunitarie, attraverso la propria legislazione e la propria attivita' amministrativa.

Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 49 della legge n. 221/2015, venga dichiarato incostituzionale per contrasto con l'art. 117, commi 1, 2 e 3, Cost., nonche' con l'art. 11 Cost.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n. 221/2015 per violazione dell'art. 117, comma 2 e comma 3, perche' non consente di garantire i livelli ulteriori di tutela ambientale della Regione ai sensi dell'art. 3-quinquies comma 2 del decreto legislativo n. 152/06, e inibisce la tracciabilita' dei rifiuti.

La violazione della norma comunitaria (dir. 2008/98/CE) si riverbera sulle attribuzioni regionali in materia di ambiente che, pur se oggetto di legislazione esclusiva, vedono l'intervento regionale quale garante di livelli di tutela ulteriori, al fine di disciplinare nel modo migliore gli oggetti delle loro competenze (Corte cost. n. 61/2009 - 303/2013 citate).

La norma impugnata inibisce alla Regione l'esercizio di questa attivita' di garanzia ad ulteriore protezione dell'ambiente, liberalizzando un'attivita' che e' potenzialmente dannosa per l'ambiente, se non contenuta in limiti, prescrizioni e controlli che solo l'autorizzazione puo' garantire.

Tale posizione e' stata riconosciuta da codesta ecc. ma Corte: «secondo la giurisprudenza costituzionale (ex plurimis sentenze n. 285 del 2013, n. 244 del 2011, n. 249 del 2009, n. 62 del 2008), la disciplina dei nfiuti «si colloca [...] nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (cosi', in particolare, la sentenza n. 249 del 2009)» (sentenza n. 259 del 2014). Quindi, «"non puo' riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell'ambiente", anche se le Regioni possono stabilire "per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze livelli di tutela piu' elevati", pur sempre nel rispetto "della normativa statale di tutela dell'ambiente (sentenza n. 61 del 2009)" (sentenza n. 285 del 2013)» (Corte cost. n. 149/2015). Dunque, anche applicando la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte piu' restrittiva rispetto alle attribuzioni regionali in materia ambientale, pure si rileva come la norma impugnata sia contrastante con l'ordinamento costituzionale.

Infatti l'art. 49 inibisce alla Regione di intervenite nell'ambito che le e' proprio, ponendo livelli di tutela adeguati alla normativa comunitaria, in considerazione di particolarita' territoriali.

E' questo il ruolo delle autorizzazioni: garantire che si individuino eventuali specificita' del sito e dell'impianto e si impongano prescrizioni, indicazioni circa i rifiuti che possono essere trattati, requisiti tecnici degli impianti, metodi da utilizzare per le operazioni, monitoraggi e controlli. In sostanza, esattamente il ruolo che l'art. 23 della Direttiva rifiuti riconosce alle autorizzazioni e che l'art. 208 del decreto legislativo n. 152/06 rimette alla competenza delle Regioni. Come si e' precisato, la Regione Lombardia ha garantito il rispetto di elevati livelli di tutela anche attraverso atti generali, che forniscono linee guida alle Provincie.

La norma impugnata sottrae al regime autorizzato una serie di operazioni di trattamento rifiuti, in tal modo impedendo lo svolgersi del ruolo di garante di livelli elevati di tutela attraverso le autorizzazioni. Ruolo che, come si e' esposto, e' riconosciuto anche dall'art. 3-quinquies, comma 2, del decreto legislativo n. 152/016 e rimesso proprio ai provvedimenti di autorizzazione, quali atti che per loro natura attengono a condizioni specifiche dei siti e degli impianti.

Ne' puo' porsi in dubbio che le operazioni di miscelazione rientrino nella categoria del trattamento rifiuti. Le linee guida della Commissione europea per l'attuazione della Direttiva 2008/98/CE affermano (pag 58) che la miscelazione di rifiuti e' una pratica comune in UE ed e' riconosciuta come un'operazione di trattamento all'allegato I e II della direttiva quadro sulle acque. Si tratta della traduzione dall'originale inglese: «the mixing of waste is common practice in eu and is recognised as a treatment operation by Annex I and II to the WFD (see footnotes to operations D13/R12). In many field of; waste management, mixing of; waste is everyday practise.» Del resto, l'allegato I della Direttiva, nella versione inglese, riportano fra le «disposal operations» (operazioni di smaltimento), al punto D 13 «blending or mixing prior to submission to any operations numbered D1 to D12» , che nella versione italiana e' stato tradotto come «D 13 Raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni indicate da D 1 a D 12».

Non solo, ma la violazione di un altro principio fondamentale della Direttiva, quello della tracciabilita' (art. 17 Direttiva 2008/98/CE e art. 188-bis decreto legislativo n. 152/06), inibisce anche sotto questo aspetto la realizzazione delle funzioni di garanzia di elevati livelli di tutela ambientale, in termini di prevenzione e trasparenza. La sottrazione alle autorizzazioni e ai conseguenti monitoraggi di una serie di operazioni di miscelazione, infatti, comporta la pratica perdita delle tracce di una serie di rifiuti che, mescolati, danno origine ad un nuovo rifiuto.

Ne' a dire che la ampia nuova disciplina statale sia a presidio di altri valori costituzionalmente rilevanti: anzi, il titolo della legge mostra la ratio di garantire la cd green economy e il contenimento delle risorse naturali. Tutto il contrario rispetto a quanto disposto con l'impugnato art. 49.

Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 49 della Legge n. 221/2015, venga dichiarato incostituzionale per contrasto con l'art. 117, comma 2 e comma 3, Cost., perche' non consente di garantire i livelli ulteriori di tutela ambientale della Regione ai sensi dell'art. 3-quinquies comma 2 e perche' ostacola la tracciabilita' dei rifiuti.

3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n. 221/2015 per violazione dell'art. 117, comma 3, in relazione alla potesta' legislativa concorrente in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro.

La miscelazione, priva di prescrizioni «impianto specifiche» puo' comportare rischi per la salute pubblica e la sicurezza dei lavoratori a causa di reazioni impreviste o emanazione di sostanze tossiche; in tal senso la norma impugnata viola l'art. 117, comma 3, laddove riconosce la potesta' legislativa regionale concorrente nella materia della tutela della salute e tutela e sicurezza del lavoro.

E' noto come le Regioni siano titolari di una serie di competenze concorrenti, intrecciate con la materia dell'ambiente. In questo ambito, alle Regioni e' consentito legiferare - oltre che esercitare le proprie funzioni amministrative - purche' in melius rispetto alla tutela ambientale (cfr. sent. Corte cost. n. 407/2002). Per giurisprudenza consolidata di codesta ecc. ma Corte le norme dettate dallo Stato in materia ambientale possono essere modificate dalle Regioni, nell'esercizio della loro potesta' legislativa concorrente, nella direzione dell'innalzamento del livello di tutela ambientale (ex plurimis, sentenze Corte cost. n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012).

Pertanto, pur ritenendo che la materia dell'ambiente, attesa la sua natura trasversale, assuma carattere prevalente e funga, quindi, da limite alla disciplina che le Regioni possono dettare in forza della competenza in materia di salute o di tutela e sicurezza del lavoro, pure l'ambito di competenza si riespande pienamente ove la materia ambientale venga tutelata attraverso livelli di tutela piu' elevati di quelli garantiti dal legislatore nazionale.

La norma impugnata, nel prevedere che la miscelazione non vietata non sia soggetta ad autorizzazione e alle relative prescrizioni sito specifiche, detta una disciplina di dettaglio che non tiene conto che la miscelazione indiscriminata di rifiuti puo' comportare rischi per la salute pubblica e la sicurezza dei lavoratori dell'impianto, a causa di reazioni impreviste o emanazioni di sostanze tossiche. Le autorita' competenti non possono ora, applicando la legislazione statale, vietare la miscelazione di rifiuti che possano dare origine a sviluppo di gas tossici o molesti oppure reazioni esotermiche e di polimerizzazione.

In tema di miscelazione dei rifiuti la tutela della salute e del lavoro e' indubitabilmente ora compressa dalla normativa statale, che non consente alcuna prescrizione inerente le autorizzazioni. La norma impugnata incide negativamente nei confronti di valori costituzionali che la Regione hanno il diritto-dovere di tutelare nella loro effettivita', quali il valore della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 49 della legge n. 221/2015, venga dichiarato incostituzionale per contrasto con l'art. 117, comma 3, in relazione alla potesta' legislativa concorrente in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro.

4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n. 221/2015 per violazione dell'art. 118 Cost., in relazione alla lesione del principio di sussidiarieta' nell'esercizio delle funzioni amministrative da parte delle Autorita' competenti e per contrasto con l'ordinato svolgimento delle attribuzioni regionali.

L'art. 118 della Costituzione, come noto, sancisce il principio di sussidiarieta', attribuendo all'organo competente del livello istituzionale piu' vicino agli interessati le funzioni amministrative.

Inoltre ogni intervento in tale materia deve rispettare, secondo la consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione.

Le funzioni amministrative regionali, anche ai sensi dell'art. 208 del decreto legislativo n. 152/06, ricomprendono le autorizzazioni allo smaltimento dei rifiuti ed hanno i corollari che si sono esposti nei precedenti punti, circa la possibilita' di introdurre misure di tutela in melius e di graduare le prescrizioni in considerazione delle specificita' degli impianti e dei siti.

La disposizione impugnata contrasta con il primo ed il secondo comma dell'art. 118 Cost., dal momento che sottrae alle Regioni - e agli enti delegati sulla base del principio di sussidiarieta' - la stessa possibilita' di emanare autorizzazioni per alcune operazioni di smaltimento rifiuti. Tale sottrazione, oltre a sostanziarsi nella diminuzione di tutela gia' messa in evidenza, contrasta con il principio di sussidiarieta', che vuole l'affidamento di funzioni amministrative all'ente piu' prossimo alla comunita' interessata dall'azione amministrativa e impedisce all'Autorita' competente di attuare, attraverso misure «sito specifiche» la realizzazione dei principi di precauzione, prevenzione, sostenibilita' ai fini della protezione dell'ambiente e della tutela della salute.

Si consideri che con DGR 8571/08, in seguito sostituita dalla DGR 3596/12 e recentemente modificata con DDS 1795/14, la Regione Lombardia ha inteso disciplinare le modalita' autorizzative e gestionali dell'operazioni di miscelazione rifiuti, sia quella ricadente nell'ambito del comma 2 (miscelazione in deroga), sia quella non vietata (ricadente nell'ambito sia essa in deroga o meno al divieto di cui all'art. 187, comma 1).

L'applicazione di tali determinazioni regionali nei procedimenti autorizzativi ha consentito negli anni di:   uniformare i criteri con cui vengono autorizzate le operazioni di miscelazione di rifiuti;   definire le modalita' di individuazione delle condizioni specifiche alle quali autorizzare la miscelazione in deroga ai sensi del 2° comma dell'art. 187 del decreto legislativo 152/06;   garantire una migliore tracciabilita' dei rifiuti, ai fini di una loro corretta gestione, la tutela dell'ambiente e della salute pubblica, la salvaguardia della sicurezza dei lavoratori;   impartire linee di indirizzo a contenuto generale per tutti i soggetti a qualunque titolo coinvolti nell'iter autorizzativo (Autorita' competenti, Autorita' di controllo, operatori di settore).

L'art. 49 impugnato comporta che le Autorita' competenti debbano disapplicare i contenuti (relativi alla miscelazione non in deroga) delle delibere in quanto in contrasto con la normativa nazionale. Il che significa tornare ad una situazione in cui le operazioni di miscelazione rifiuti saranno effettuate da soggetti privi di autorizzazione e dunque in maniera indiscriminata, senza tracciabilita' e senza controlli.

La collisione con l'ordinato svolgimento delle funzioni amministrative regionali puo' essere apprezzata anche sotto altro profilo.

L'art. 49 e' norma che, contrastando con l'ordinamento comunitario, genera rapporti e situazioni giuridiche incerte e passibili di annullamento.

Le Autorita' competenti - Regioni e gli enti delegati sulla base del principio di sussidiarieta', secondo quanto dispone il decreto legislativo n. 152/06 - si trovano di fronte ad una scelta: o disapplicare direttamente la norma statale ovvero violare la Direttiva comunitaria. Nell'uno e nell'altro caso si crea una situazione di incertezza rispetto a situazioni giuridiche che incidono direttamente sia sugli operatori economici che sulla cittadinanza.

Non solo, ma la mancata autorizzazione da parte della Regione colliderebbe con lo stesso ordinamento interno che, all'art. 2 della legge n. 205/2010 (di modifica dell'art. 178 del decreto legislativo n. 152/06), in attuazione della direttiva 2008/98/CE stabilisce che «La gestione dei rifiuti e' effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilita', di proporzionalita', di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonche' del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti e' effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicita', trasparenza, fattibilita' tecnica ed economica, nonche' nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali.». Ci si chiede come potrebbe la Regione, titolare del potere autorizzatorio, garantire tali principi in assenza della possibilita' di individuare prescrizioni e misure per i singoli impianti.

L'art. 49, non prevedendo, contrariamente a quanto sancito dall'art. 117, commi 2 e 3, in combinato con l'art. 118, della Costituzione, alcuna forma di controllo da parte della Regione sulle operazioni di miscelazione, viola cosi' il principio di leale collaborazione, ostacolando l'esercizio delle potesta' regionali e invadendone le competenze. Il tutto senza alcuna valutazione dell'interesse pubblico e senza assicurare alcuna procedura per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo alle Regioni.

Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 49 della legge n. 221/2015, venga dichiarato incostituzionale per contrasto con l'art. 118 Cost., in relazione alla lesione del principio di sussidiarieta' nell'esercizio delle funzioni amministrative da parte delle Autorita' competenti per violazione e in relazione alla lesione dell'ordinato svolgimento delle attribuzioni regionali.

5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n. 221/2015 per violazione dell'art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione sotto il profilo della certezza del diritto e della chiarezza normativa.

La norma impugnata viola anche l'art. 97 Cost.: e' noto come al principio di buon andamento dell'amministrazione la giurisprudenza costituzionale riconosca il valore di parametro di legittimita' delle scelte discrezionali effettuate dal legislatore nella organizzazione degli apparati e dell'attivita' amministrativa, effettuati secondo principi di sussidiarieta' e adeguatezza.

Le considerazioni riportate nei precedenti punti sottolineano la incertezza nelle situazioni giuridiche causata dall'art. 49 legge n. 221/15, che sopprime la potesta' autorizzativa, lasciando all'iniziativa individuale di stabilire le modalita' di smaltimento rifiuti. In tal modo viene violato il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., sotto il profilo della certezza del diritto e della chiarezza normativa, in riferimento alle attribuzioni costituzionali spettanti alla Regione ai sensi degli articoli 117, primo, secondo e terzo comma, e 118 Cost., in quanto la disciplina ivi contenuta impedirebbe alla Regione, senza alcuna ragionevole giustificazione, di espletare le proprie funzioni amministrative e di stabilire prescrizioni, in armonia con la direttiva comunitaria 2008/98/CE.

Codesta ecc. ma Corte si e' gia' pronunciata su una disciplina normativa foriera di incertezza nel regolare l'azione amministrativa, riscontrando la violazione dell'art. 97 Cost. (sentenza 364/2010) e ha evidenziato come la mancanza di chiarezza possa determinare un cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione.

E' necessario che la tecnica normativa risponda ai canoni della chiarezza, razionalita', logicita', coerenza anche fra le diverse discipline di una medesima fattispecie, affinche' vi sia sicurezza circa i comportamenti da adottare e i rapporti giuridici da far valere.

Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 49 della legge n. 221/2015, venga dichiarato incostituzionale per contrasto con l'art. 97 Cost. e con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione sotto il profilo della certezza del diritto e della chiarezza normativa.

 

P .Q. M.

 

Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 49 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie generale del 18 gennaio 2016, n. 13.

Milano, 16 marzo 2016

Avv. Piera Pujatti

Si depositera', unitamente al presente ricorso notificato, Delibera di Giunta Regionale n. 4931/2016, unitamente ai seguenti documenti:   1. Testo inglese della Direttiva 2008/98/CE.

2. Linee guida per l'attuazione della Direttiva 2008/98/CE.

3. DGR 8571/2008.

4. DGR 3596/2012.

5. DDS 1795/2014.

Milano, 16 marzo 2016.

Avv. Piera Pujatti