RICORSO N. 19 DEL 10 MARZO 2016 (DELLA REGIONE VENETO)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 10 marzo 2016.

(GU n. 17 del 27.04.2016)

 

Ricorso ex art. 127 Cost. e art. 32 l. n. 87 del 1953 nell'interesse della Regione Veneto, C.F. 80007580279 - P. IVA 02392630279, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, Dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), con sede in 30123 - Venezia, Palazzo Balbi - Dorsoduro, 3901, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 160 del 23 febbraio 2016. (All. A), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, unitamente e disgiuntamente dagli Avv.ti Ezio Zanon (C.F. ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, Prof. Luca Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del foro di Milano, Prof.ssa Isabella Loiodice, del foro di Bari (C.F. LDCSLL67B47L328X, P.E.C.: loiodice.isabella@avvocatibari.legalmail.it, Fax: 080-5219187) e Prof. Stelio Mangiameli, del foro di Roma (C.F.: MNGSTL54D16C351N, P.E.C.: steliomangiameli@ordineavvocatiroma.org, Fax: 06-5810197) ed elettivamente domiciliata in Roma, Via A. Poerio n. 56, presso lo Studio professionale di quest'ultimo;   Contro   - la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente in carica, nella propria nota sede in 00187 - Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna n. 370;   - la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente in carica, presso l'Avvocatura generale dello Stato, in 00186 - Roma, Via dei Portoghesi n. 12,  per la declaratoria di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 302 del 30 dicembre 2015:   1) art. 1, comma 239, per contrasto con gli articoli 3; 97; 117, comma 2,1ett. s), e comma 3; 118 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione e del principio di ragionevolezza;   2) art. 1, comma 240, lett. b), per contrasto con gli articoli 117, comma 1, Cost., in combinato disposto con la Direttiva 94/22/CE; 117, commi 3 e 4; 118, comma 1 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.;   3) art. 1, comma 240, lett. c) per contrasto con gli articoli 3; 9; 97; 117, commi 3 e 4; 118, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e del principio di ragionevolezza.

Premesso che   a - Occorre, anzitutto, precisare l'occasio legis delle modifiche normative di cui col presente ricorso si chiede la dichiarazione di illegittimita' costituzionale.

Con Deliberazioni dei Consigli regionali di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise erano state formulate sei richieste referendarie ex art. 75 Cost., rispettivamente riguardanti:   (1) l'art. 38, comma 1 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133;   (2) l'art. 38, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133;   (3) l'art. 38, comma 5, del decreto-legge 12 settembre 2014 n. 133;   (4) l'art. 57, comma 3-bis, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5;   (5) l'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239;   (6) l'art. 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

b - L'Ufficio Centrale per il Referendum della Corte di Cassazione, con Ordinanze del 26 novembre 2015, dichiarava conformi alla legge le sei richieste referendarie, previa assegnazione delle relative denominazioni.

c - Notificate le predette Ordinanze ai delegati regionali e comunicate altresi' agli altri organi cui la legge lo impone, l'Ecc.ma Corte costituzionale fissava la discussione del giudizio di ammissibilita' dei sei quesiti referendari per la Camera di consiglio del 13 gennaio 2016 (Reg. Ref. nn. 163-168), nelle cui more, tuttavia, il quadro legislativo su cui si basavano le richieste referendarie era mutato per effetto dell'approvazione della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)", entrata in vigore il 1° gennaio 2016.

d - L'Ufficio Centrale per il Referendum, valutata l'incidenza di tali modifiche normative nella Seduta straordinaria del 7 gennaio 2016 con ordinanza di pari data, ha disposto che per tutti i quesiti le operazioni referendarie non avessero piu' corso, fatta eccezione per il sesto, concernente l'art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale e' stato trasferito sulla nuova formulazione della stessa norma (recata dal comma 239 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, oggi impugnato) e, in particolare, sulle parole "per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale".

e - Dal canto proprio, l'Ecc.ma Corte costituzionale, con le sentenze nn. 16 e 17 del 2 febbraio 2016, ha, per un verso dichiarato ammissibile la richiesta referendaria appena richiamata e, per altro verso, dichiarato estinti i giudizi di ammissibilita' concernenti gli altri cinque quesiti.

f - Nondimeno, il 25 gennaio 2016 sei Consigli regionali promotori (Basilicata, Liguria, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto), ritenendo che le modifiche legislative di cui alle lett. b) e c) del comma 240 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 (oggi impugnate), non solo non fossero satisfattive della seconda e della terza richiesta referendaria, ma menomassero le facolta' loro costituzionalmente attribuite ex art. 75 Cost., hanno proposto due distinti ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

g - Col primo ricorso (concernente il secondo quesito referendario), i Consigli regionali ricorrenti concludevano nel senso di richiedere:   "- l'annullamento dell'art. 1, comma 240, lett. b), della legge n. 208 del 2015, per violazione degli articoli 3 e 75 Cost., al fine di determinare la reviviscenza dell'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 e di consentire lo svolgimento delle operazioni referendarie nei termini originariamente deliberati dai Consigli regionali indicati in epigrafe, gia' considerati legittimi dalla Corte di cassazione;   - l'annullamento dell'Ordinanza dell'Ufficio Centrale per il Referendum della Corte di Cassazione del 7 gennaio 2016 nella parte in cui dichiara che per il quesito de quo le operazioni elettorali non abbiano piu' corso".

h - Col secondo ricorso (concernente il terzo quesito referendario), i Consigli regionali ricorrenti concludevano nel senso di richiedere:   "- l'annullamento dell'Ordinanza dell'Ufficio Centrale per il Referendum della Corte di Cassazione del 7 gennaio 2016, nella parte in cui dichiara che per il quesito de quo le operazioni elettorali non abbiano piu' corso".

i - Dal canto proprio, la Regione oggi ricorrente, latrice del diverso e peculiare interesse a che le leggi dello Stato non ledano le proprie prerogative costituzionalmente attribuite, ritiene che le disposizioni impugnate siano costituzionalmente illegittime, per i seguenti

 

Motivi

 

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, per violazione degli articoli 3; 97; 117, comma 2, lett. s), e comma 3; 118 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione e del principio di ragionevolezza   L'art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 interviene sull'art. 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che, nel testo sostituito dall'art. 35, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, aveva - prima della novella oggi censurata - la seguente formulazione:   «Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtu' di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea e internazionali sono vietate le attivita' di ricerca, di prospezione nonche' di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto e' altresi' stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi nonche' l'efficacia dei titoli abilitativi gia' rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attivita' di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Le predette attivita' sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attivita' di cui al primo periodo, fatte salve le attivita' di cui all'art. 1, comma 82-sexies, della legge 23 agosto 2004, n. 239, autorizzate, nel rispetto dei vincoli ambientali da esso stabiliti, dagli uffici territoriali di vigilanza dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, che trasmettono copia delle relative autorizzazioni al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Dall'entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma e' abrogato il comma 81 dell'art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239. (...)».

La modifica normativa recata dalla legge di stabilita' ha sostituito i periodi secondo e terzo. Per l'effetto, ora la norma ha il seguente tenore letterale (in neretto la parte novellata):   «Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale in virtu' di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea e internazionali sono vietate le attivita' di ricerca di prospezione nonche' di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto e' altresi' stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi gia' rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attivita' di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonche' le operazioni finali di ripristino ambientale».

1.1. Occorre, anzitutto, stabilire l'ambito materiale cui la disposizione e' riconducibile e, poiche' essa impone un divieto di svolgimento di attivita' di prospezione, di ricerca e di coltivazione di idrocarburi nella fascia di tutela delle 12 miglia marine, riguarda prevalentemente la competenza legislativa concorrente fra Stato e Regioni in materia di "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia".

Diversamente dalla precedente formulazione, che, oltre ai titoli abilitativi gia' rilasciati, faceva salvi i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 128 del 2010 (che aveva introdotto ex novo l'art. 6, comma 17 del d.lgs. n. 152 del 2006 in una diversa formulazione), l'attuale tenore letterale si limita a fare in modo che il divieto non interessi i titoli abilitativi gia' emessi.

Tuttavia, nel farlo, lede le competenze regionali in materia di energia, unitamente all'art. 118, comma 1, Cost. e al principio di leale collaborazione, poiche' per tali titoli - che pure interessano il mare territoriale dove si spiega la competenza regionale (ad es. in materia di pesca) - non si e' mai attuata alcuna partecipazione regionale.

Onde prevenire una capziosa obiezione, si segnala sin da subito che a nulla varrebbe eccepire che la procedura per il rilascio del titolo abilitativo ora fatto salvo fosse contenuta in una normativa (ormai abrogata) per la quale e' spirato il termine di impugnazione, dal momento che "l'esistenza di una disciplina contenuta in un precedente testo normativo non impedisce l'impugnazione in via principale di una successiva legge che, novando la fonte, riproduca la medesima disciplina" (cfr. sentenza n. 9 del 2010).

Nel caso de quo, si verte esattamente in tale ipotesi, atteso che il legislatore, novando la fonte, farebbe salvi e stabilizzerebbe nel tempo (peraltro, sine die) gli effetti di una precedente normativa, che comunque continuerebbe a spiegare i propri effetti per i rapporti giuridici sorti sotto il suo vigore.

Cio' posto, non e' chi non veda come il generalizzato divieto imposto nella fascia di tutela delle 12 miglia marine si scontrerebbe con una del pari generalizzata "salvezza" dei procedimenti in corso, non assistiti dalla partecipazione regionale.

Ne' si potrebbe opporre che, per effetto dell'ormai avvenuta definizione del procedimento amministrativo, si tratti di c.d. "rapporti esauriti", la cui sussistenza dipende invece da altri elementi (ad es., formazione del giudicato, prescrizione o decadenza dal far valere il diritto, ecc.).

Nel merito della censura, deve osservarsi che, come affermato da codesta Ecc.ma Corte nella sentenza n. 383 del 2005, l'attrazione in sussidiarieta' di funzioni amministrative e' subordinata al procedimento con due intese: a) con il sistema delle Autonomie; b) con la Regione interessata (in questo caso, peraltro l'atto collaborativo dovrebbe assumere il carattere dell'intesa in senso forte), non essendo invece sufficiente la sola consultazione degli Enti locali (come prevedeva la precedente normativa).

La giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte ha pertanto ammesso la chiamata in sussidiarieta' da parte dello Stato purche' la legislazione statale sia idonea e proporzionale e venga assicurato il rispetto del principio di leale collaborazione:   nella sentenza n. 182 del 2013 si legge che "questa Corte, anche in specifico riferimento alla materia di potesta' concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», ha costantemente affermato che «la previsione dell'intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una "drastica previsione" della decisivita' della volonta' di una sola parte, in caso di dissenso» (ex plurimis, sentenza n. 165 del 2011), ma che siano invece necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (ex plurimis, sentenze n. 278 e n. 121 del 2010), come presupposto fondamentale di realizzazione del principio di leale collaborazione (ex plurimis, sentenze n. 117 del 2013, n. 39 del 2013, n. 24 del 2007 e n. 339 del 2005).

E' invero con le Regioni che si realizza la leale collaborazione necessaria ai fini dell'attrazione in sussidiarieta', visto che e' la loro competenza legislativa in materia di energia a essere lesa per effetto di tale meccanismo.

Ne deriva che la disposizione impugnata, nel prorogare l'efficacia dei titoli abilitativi gia' rilasciati, lede la competenza regionale in materia di energia, nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi gia' rilasciati siano fatti salvi, previa intesa con le Regioni poste in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere protette e dalla linea di costa.

E' doveroso evidenziare come, proprio in tema proroga unilaterale di titoli abilitativi, Codesta Ecc.ma Corte sia gia' intervenuta per censurare la normativa statale. Infatti, con sentenza n. 1 del 2008 e' stata dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 1, comma 485 della legge finanziaria 2006 secondo il quale le grandi concessioni di derivazioni idroelettriche in corso alla data di entrata in vigore della legge sono prorogate di dieci anni rispetto alle date di scadenza, e si sospendono, di conseguenza, per il corrispondente periodo di tempo, le relative gare, mirando al miglioramento delle prestazioni energetiche degli impianti di produzione e ad una piu' elevata tutela delle condizioni ambientali. Trattasi, secondo la Corte, di disciplina che, se non puo' che essere ricondotta che alla competenza concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, va dichiarata costituzionalmente illegittima laddove "e' lesiva delle competenze regionali, in quanto la previsione di una proroga di dieci anni delle concessioni in atto costituisce una norma di dettaglio (v., ex multis, sentenze n. 181 del 2006 e 390 del 2004)". In senso conforme la successiva pronuncia n. 205 del 2011 che ha ribadito che le norme statali che "attengono alla durata ed alla programmazione delle concessioni di grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico, si ascrivono alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», attribuita alla competenza legislativa concorrente", se "pongono un precetto specifico e puntuale - prevedendo la proroga automatica di dette concessioni (...) si configurano quali norme di dettaglio" e come tali lesive delle competenze regionali e dunque costituzionalmente illegittime.

Occorre aggiungere che il vizio di legittimita' costituzionale, ora rilevato, gia' inficiava la pregressa normativa, poiche' differenziava - in punto di partecipazione regionale - i procedimenti per il rilascio dei titoli abilitativi in terraferma, per i quali si prevedeva il rilascio dell'intesa da parte della Regione (art. 1, comma 7, lett. n, della legge n. 239 del 2004), e quelli concernenti il mare (anche territoriale), in riferimento ai quali non veniva prescritta alcuna partecipazione regionale, bensi' la sola consultazione degli Enti locali (secondo le precedente formulazione dell'art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006).

Tale irragionevole differenziazione, che non e' stata fatta valere nei termini di impugnazione previsti dall'art. 127 Cost., viene nondimeno riprodotta e persino consolidata dall'art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, il quale arriva a perpetrare la violazione della competenza regionale e il mancato ricorso a procedure di leale collaborazione senza alcun termine finale ("per la durata di vita utile del giacimento") per giunta operando una legificazione dei provvedimenti de quibus.

Si chiede pertanto che l'art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 venga dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi gia' rilasciati siano fatti salvi, previa intesa con le Regioni in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere protette e dalla linea di costa.

1.2. L'accoglimento dell'appena articolata censura di costituzionalita', procedimentalizzando la clausola di salvezza e la (altrimenti legificata) proroga ivi prescritta, sarebbe peraltro in grado di incidere anche su un altro vizio di legittimita' costituzionale della disposizione impugnata.

Infatti, se - come questa difesa ritiene - la previsione normativa deve essere intesa nel senso di disporre una proroga ex lege dei titoli abilitativi gia' rilasciati, deve essere allora rilevato il contrasto della medesima con una serie di disposizioni costituzionali e, piu' in generale, con il principio che la dottrina costituzionale risalente individuava nella distinzione tra "generale disporre e concreto provvedere", il quale riguarderebbe non solo i rapporti tra legislazione e giurisdizione, ma anche (e, per certi aspetti, soprattutto) tra legislazione e amministrazione fondandosi cosi' - sulla base del principio di legalita' - una riserva di amministrazione, anche alla luce dell'effettivita' delle forme di tutela costituzionale avverso gli atti amministrativi.

Anzitutto, nella misura in cui la proroga richiederebbe una nuova ponderazione degli interessi (pubblici e privati) coinvolti, vi sarebbe una palese lesione dell'art. 97 Cost. e dei principi ivi sanciti del buon andamento e dell'imparzialita' della Pubblica Amministrazione, dal momento che a quest'ultima sarebbe preclusa ogni valutazione di merito nel rilascio della proroga, con la conseguenza che un bene pubblico verrebbe sine die lasciato nella disponibilita' di un'impresa privata.

All'Amministrazione competente non sarebbe solo preclusa la riponderazione degli interessi in gioco in sede di proroga, ma le sarebbe altresi' inibito persino il potere di autotutela. Infatti, dinanzi a una chiara disposizione legislativa che conferisce un'indeterminata efficacia temporale ai titoli abilitativi, non vi sarebbe alcuno spazio per un eventuale esercizio del potere di revoca (in caso di mutamento dello stato di fatto che ha condotto al rilascio del titolo), a meno di non incorrere in un provvedimento amministrativo contra legem, poiche' adottato in violazione della nuova formulazione dell'art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006.

Peraltro, tale legificazione della proroga dei titoli abilitativi non configura solamente una lesione dell'art. 97 Cost., bensi' integra nuovamente una violazione degli articoli 117, comma 3 e 118, comma 1, della Costituzione, unitamente al principio di leale collaborazione, poiche' esclude la partecipazione regionale anche nel momento del rilascio della proroga.

Ne' potrebbe essere altrimenti ai sensi del tenore letterale della norma impugnata, se si considera che la legificazione della proroga, escludendo la necessita' di qualunque procedimento amministrativo rivolto al rilascio di quest'ultima, estromette in re ipsa la Regione, la cui partecipazione, invece, dovrebbe realizzarsi proprio nel procedimento amministrativo.

E' invece necessario che la Regione sia nuovamente coinvolta in sede di rilascio della proroga, in ragione del fatto che essa, secondo la giurisprudenza amministrativa prevalente, configura un "nuovo" provvedimento. Diversamente, si verificherebbe la paventata violazione del principio di leale collaborazione, cui e' subordinato l'esercizio della competenza attratta in sussidiarieta'.

Pertanto, l'intesa (in senso forte) con la Regione stessa dovrebbe essere collocata in un procedimento amministrativo, che non potrebbe che essere quello previsto all'uopo dalla legge n. 9 del 1991 la quale, in riferimento al permesso di ricerca, al comma 5 dell'art. 6, prevede che «Il titolare del permesso ha diritto a due successive proroghe di tre anni ciascuna, se ha adempiuto agli obblighi derivanti dal permesso stesso».

Quanto alla concessione di coltivazione, prevede poi, al comma 8 dell'art. 9, che «Al fine di completare lo sfruttamento del giacimento, decorsi i sette anni dal rilascio della proroga decennale, al concessionario possono essere concesse oltre alla proroga prevista dall'art. 29 della legge 21 luglio 1967, n. 613, una o piu' proroghe, di cinque anni ciascuna se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione o dalle proroghe».

La disposizione impugnata deve allora essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi gia' rilasciati possano si' essere oggetto di provvedimenti di proroga, ma conformemente ai procedimenti previsti dalla legge n. 9 e, comunque, previa intesa con le Regioni poste in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere protette e dalla linea di costa.

Quand'anche si ritenesse che il disposto dell'art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 non importi una proroga ex lege, bensi' presupponga l'esperimento dei procedimenti previsti dalla legge n. 9 del 1991 ora richiamati, la disposizione sarebbe comunque incostituzionale nella misura in cui non preveda che si dia luogo all'intesa con la Regione anche in sede di proroga, che comunque costituisce un nuovo provvedimento amministrativo, la cui adozione implica una ri-ponderazione degli interessi pubblici in gioco, fra cui quelli di cui e' titolare la Regione (in primis, le competenze in materia di energia, oltre a quelle sulla pesca e sul governo del territorio).

Si badi che, nel caso di specie, proprio alla luce della generale interdizione delle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nella fascia delle 12 miglia, la nuova ponderazione degli interessi pubblici coinvolti diviene ancora piu' pregnante, poiche' in sede di proroga occorre svolgere un'attenta valutazione concernente la persistente "sostenibilita'" della deroga legislativa cosi' disposta per i titoli abilitativi gia' rilasciati.

Se quindi la normativa impugnata puo' essere intesa nel senso di consentire astrattamente la prorogabilita' dei titoli abilitativi, essa pero' incorre nella violazione delle norme costituzionali richiamate, poiche' esclude la valutazione della concreta prorogabilita' dei medesimi, integrata con l'intesa regionale.

1.3. La legificazione della proroga comporta inoltre, la violazione dell'art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione. Infatti, la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte e' consolidata (sin dalla sentenza n. 407 del 2002) nel senso di ritenere che, pur essendo la tutela dell'ambiente, una competenza esclusiva dello Stato, non possono escludersi interventi regionali. Infatti, "riguardo alla protezione dell'ambiente non si (e') sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato" (sent. n. 407 del 2002).

Ne deriva che la Regione ricorrente, vista la riconducibilita' della disciplina de qua nell'ambito della potesta' legislativa concorrente in materia di energia, ben puo' dolersi della violazione degli interessi ambientali funzionalmente collegati all'esercizio di detta competenza.

Nel caso di specie la salvezza dei titoli abilitativi gia' rilasciati per la durata di vita utile del giacimento e' si' disposta "nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale, ma non implica, poiche' non lo dispone espressamente che si dia luogo a una rinnovazione della procedura di valutazione di impatto ambientale in sede di proroga, ne' impone che ad essa debba esser stato soggetto (almeno originariamente) il titolo abilitativo prorogato.

Percio', il rinvio al rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale rischia di rimanere lettera morta, nel caso in cui il titolo abilitativo non sia mai stato oggetto di valutazione di impatto ambientale (con le relative prescrizioni). Cio' non e' invero da escludere se si considera che la durata della concessione di coltivazione e' pari a 30 anni (salve successive proroghe) e che solo con la legge n. 349 del 1986 si e' dato avvio all'istituzione della procedura di valutazione dell'impatto ambientale, compiutasi pero' solo due anni dopo, con i D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 327, e 27 dicembre 1988, con cui, si e' data attuazione all'art. 6 della legge richiamata, che tale procedura prevedeva.

Per giunta, anche laddove una tale valutazione si sia svolta (magari in un tempo piuttosto risalente), non si vede per quale ragione le prescrizioni ivi disposte dovrebbero "cristallizzarsi" nel tempo in nome di una disciplina legislativa che prevede una proroga ex lege e sine die e che - per altro verso - dispone invece un divieto assoluto di attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nella fascia di tutela delle 12 miglia marine.

E' percio', irragionevole che la disposizione impugnata escluda la procedimentalizzazione amministrativa della proroga, includendovi peraltro la valutazione di impatto ambientale.

Si verifica pertanto una violazione del combinato disposto dell'art. 117, comma 2, lett. s), Cost. e dell'art. 117, comma 3, Cost., nella misura in cui l'attrazione in sussidiarieta' delle competenze regionali in materia di energia, non solo non avviene prevedendo adeguati strumenti di leale collaborazione (v. supra), ma per giunta viola gli stessi standard di tutela ambientale stabiliti dal legislatore, in conformita' al diritto europeo.

Se infatti la deroga al divieto assoluto posto dal legislatore nell'ambito delle 12 miglia marine vuole superare il vaglio di ragionevolezza e rispettare davvero gli standard ambientali, non limitandosi a cristallizzare quelli eventualmente gia' previsti illo tempore e non facendo di quest'ultimo richiamo una vuota petizione di principio deve allora essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma censurata, nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi gia' esistenti siano fatti salvi, a condizione che siano stati oggetto di una valutazione di impatto ambientale in sede di rilascio e che, comunque, questa venga rinnovata in sede di proroga.

1.4. Da ultimo, l'art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 viola l'art. 3 Cost. e il principio di ragionevolezza, ridondando altresi' nella lesione delle competenze regionali che vengono in rilievo nel caso di specie, nella parte in ui la norma fa salvi, oltre alle concessioni di coltivazione, anche i permessi di prospezione e di ricerca di idrocarburi, in assenza di alcuna tutela del legittimo affidamento del beneficiario, il quale anzi verrebbe paradossalmente a sorgere proprio per effetto dell'esito delle ricerche e degli investimenti presupposti.

Al fine di argomentare adeguatamente la censura ora brevemente dedotta, occorre precisare che i titoli abilitativi di cui la disposizione impugnata proroga l'efficacia sono tutti quelli previsti dalla legge n. 9 del 1991 e, percio', i permessi di prospezione e di ricerca rivolti ad analizzare - secondo varie tecniche - i fondali marini per verificare la probabilita' di rinvenirvi idrocarburi liquidi e gassosi, e le concessioni di coltivazione, con cui l'impresa titolare viene autorizzata allo sfruttamento del pozzo rinvenuto.

I due titoli sono funzionalmente collegati tra loro e lo sono, invero, anche dal punto di vista "soggettivo" se si considera che, ai sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n. 9 del 1991, "Al titolare del permesso che, in seguito alla perforazione di uno o piu' pozzi, abbia rinvenuto idrocarburi liquidi o gassosi e' accordata la concessione di coltivazione se la capacita' produttiva dei pozzi e gli altri elementi di valutazione geo-mineraria disponibili gustificano tecnicamente ed economicamente lo sviluppo del giacimento scoperto".

E', percio', agevole riscontrare una posizione privilegiata del titolare del permesso di ricerca nell'accesso alla coltivazione del giacimento. Cio', peraltro, puo' essere anche ritenuto ragionevole, se si considera che questi ha effettuato consistenti investimenti per verificare l'esistenza di idrocarburi nel sottosuolo o nei fondali marini.

Se, percio', pare assolutamente verosimile che la clausola di salvezza contenuta nella norma censurata sia stata formulata in nome del principio del legittimo affidamento del concessionario di coltivazione di idrocarburi (che ha ormai effettuato le ricerche e i conseguenti investimenti e che sta gia' sfruttando il giacimento), tale ratio legis appare sfumare nel caso - pure previsto dalla norma, perche' si riferisce indiscriminatamente a tutti i titoli abilitativi - del mantenimento sine die del permesso di ricerca.

Anzi, proprio ci si trova ancora nella fase di ricerca, il titolare del permesso di ricerca non ha ancora sostenuto alcun significativo investimento economico che giustifichi la tutela della propria posizione.

Paradossalmente, e' proprio dal mantenimento del permesso di ricerca e dall'espletamento delle attivita' connesse, con i conseguenti investimenti (ad es., nel caso della fascia marina interessata, l'analisi dei fondali tramite la tecnica dell'air-gun), che deriverebbero posizioni giuridiche tali da far sorgere una qualche forma di affidamento, per la cui tutela, pero', a quel punto occorrerebbe spingersi fino a riconoscere al titolare il diritto di ottenere la concessione di coltivazione di idrocarburi (ove emergesse la loro presenza nei fondali marini).

Percio', se la norma esclude che possano essere rilasciati "nuovi" titoli abilitativi dunque, nuove concessioni di coltivazione), e' del tutto irragionevole che la stessa in nome del principio del legittimo affidamento, disponga nel senso della salvezza dei permessi di ricerca visto che non potrebbero mai essere convogliati verso la fase successiva della coltivazione.

La rilevata illegittimita' ridonda sulle competenze regionali in materia di energia e di governo del territorio, se si considera che l'attivita' di ricerca incide direttamente sul territorio regionale (nel caso di specie, sul mare territoriale), per effetto delle tecniche adottate (in primis, l'air-gun), senza che peraltro a tale sacrificio possa corrispondere il soddisfacimento di alcun altro interesse privato alla coltivazione del giacimento, il quale e' recisamente escluso dalla disposizione impugnata.

Ne deriva che la disposizione impugnata e' costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza, nella parte in cui fa salvi tutti i titoli abilitativi, anziche' le sole concessioni di coltivazione.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 240, lett. c), della legge n. 208 del 2015, per violazione degli articoli 3; 9; 97; 117, commi 3 e 4; 118 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e del principio di ragionevolezza.

Per ragioni di ordine sistematico, le censure di legittimita' costituzionale concernenti l'art. 1, comma 240, lett. c), della legge n. 208 del 2015 precedono quelle concernenti la lett. b) della medesima disposizione.

La norma prevede che il comma 5 dell'art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, sia sostituito dal seguente:   «5. Le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte con le modalita' di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, o a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trent'anni, salvo l'anticipato esaurimento del giacimento, nonche' la fase di ripristino finale».

In sostanza, la norma prevede che - ad libitum del richiedente - si possa applicare o il regime previsto dalla legge n. 9 del 1991 (destinato, invece, a scomparire secondo la precedente formulazione dell'art. 38 e, in particolare, della disposizione transitoria contenuta nell'ora abrogato comma 1-bis) o la disciplina del c.d. titolo concessorio unico, integralmente contenuta nello stesso art. 38.

Occorre, altresi', premettere che le doglianze qui articolate muovono dalla gia' motivata riconducibilita' della disciplina de qua nell'ambito della competenza concorrente fra Stato e Regioni in materia di energia, su cui ridondano anche le invocazioni dei parametri costituzionali formalmente estranei al riparto delle competenze.

Cio' posto, si ritiene che il nuovo disposto normativo del comma 5 dell'art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 sia viziato da illegittimita' costituzionale, dal momento che (1) in violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. (e, in particolare, della competenza regionale in materia di energia), dell'art. 118, comma 1, Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost., non viene prevista alcuna partecipazione regionale per i titoli abilitativi che riguardano il mare; (2) in violazione dell'art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza, diversifica irragionevolmente il regime della durata dei titoli abilitativi (a seconda che seguano la procedura di cui alla legge n. 9 del 1991 o quella per il rilascio del titolo concessorio unico), pur in assenza di alcun elemento di sostanziale diversita'.

2.1. Inoltre, occorre precisare che la disposizione in esame, pur innovando il disposto del comma 5 dell'art. 38 del d.l. n. 133/2014, mantiene tuttavia la previsione di un titolo concessorio unico per la ricerca e la produzione di idrocarburi, in luogo di due titoli distinti (rispettivamente il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione).

La regione Veneto ha gia' impugnato nel ricorso reg. ric. n. 10/2015 la previsione di un titolo concessorio unico, per le ragioni ivi ampiamente illustrate, che si confermano e rafforzano nella disposizione cosi' modificata.

Confermando la disciplina del titolo concessorio unico, infatti, si continuano ad attribuire poteri concessori alle pubbliche amministrazioni coinvolte ben prima della dimostrazione dell'utilita' generale dell'attivita', in quanto tale provvedimento e' adottato quando ancora non e' stato scoperto il giacimento di idrocarburi. Inoltre, il contenuto del programma dei lavori, che deve essere predisposto prima dell'attivita' di ricerca difficilmente potra', specificare in maniera puntuale le singole aree interessate dalla ricerca e dalla successiva coltivazione, giacche' il programma verra' stilato in una fase in cui l'estensione le caratteristiche e l'esistenza stessa del giacimento non sono note. Di qui un evidente vizio di irragionevolezza della normativa che, confermando sostanzialmente la disciplina del comma 5 dell'art. 38 del d.l. n. 133/2014 sul titolo concessorio unico, viola gli articoli 3, 9 e 97 della Costituzione per un difetto di ragionevolezza che ridonda nella violazione delle numerose competenze regionali di cui all'art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione in materia di governo del territorio, protezione civile, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, produzione di energia.

2.2. Si deve poi aggiungere che, come gia' si e' rilevato nell'ambito delle censure riguardanti il comma 239 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, la normativa di settore applicabile non prevede alcuna partecipazione regionale per i titoli abilitativi riguardanti il mare.

Infatti, l'art. 1, comma 7, lett. n), della legge n. 239 del 2004 richiede che le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi (ivi compresi i titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991) siano adottate, per la sola terraferma, di intesa con le regioni interessate. Del pari, l'art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, nel disciplinare la procedura volta al rilascio del titolo concessorio unico, richiede l'intesa regionale solo per le richieste riguardanti le terraferma (cfr. comma 6).

Quanto alla fascia di tutela delle 12 miglia marine, su cui ora vige il divieto assoluto di attivita' di prospezione, di ricerca e di coltivazione di idrocarburi, valgono i rilievi concernenti la partecipazione regionale gia' svolti che qui possono intendersi integralmente richiamati.

Peraltro, anche per quanto riguarda le dette attivita' che si svolgono al di la' della fascia di tutela delle 12 miglia marine e, percio', fuori dal mare territoriale, valgono rilievi analoghi, nella misura in cui gli effetti delle medesime siano in grado di interessare anche la richiamata area di interdizione.

Non si puo' infatti ritenere che vi possa essere (soprattutto in mare) un rigido confine in grado di assicurare la mancata propagazione degli effetti delle attivita' concernenti gli idrocarburi nell'ambito della fascia di tutela. Indipendentemente dalla collocazione dell'attivita', cio' non si puo' escludere ne' nella fase di coltivazione ne' nella fase di ricerca.

Tale ultimo assunto e' stato, peraltro, gia' recepito dalla giurisprudenza amministrativa, la quale, con la sentenza del T.A.R. Lazio n. 8203 del 2012, ha affermato che la Regione ricorrente (Puglia) dovesse considerarsi direttamente interessata ai sensi del Codice dell'ambiente "anche se l'intervento si colloca al di fuori della fascia di rispetto di 12 miglia marine".

Cio', in quanto "la fascia di rispetto e' stabilita per delimitare un'area entro la quale vige il divieto assoluto delle attivita' di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi; mentre le attivita' che si svolgono a distanza maggiore non sono vietate a priori, bensi' assoggettate a una complessa valutazione, la quale non puo' non coinvolgere i prospicienti territori costieri (anche insulari) con le relative popolazioni, attesa l'unitarieta' dell'ecosistema con le potenziali e attuali interrelazioni che esso presenta (cfr. la nozione di impatto ambientale di cui all'art. 5, comma 1, lettera c) del D.Lgs. n. 152/2006). E infatti la L. n. 9/91 fa riferimento anche alle attivita' di prospezione che si svolgono sulla piattaforma continentale; mentre la primaria responsabilita' dello Stato a tale riguardo, rilevante per il diritto internazionale, non esclude che nell'ordinamento interno acquistino rilevanza anche le posizioni delle articolazioni territoriali della Repubblica, in considerazione del particolare rango costituzionale delle stesse.

Alla stregua di queste premesse, sarebbe formalistico ritenere che il prescritto coinvolgimento delle regioni nel procedimento di VIA, alla stregua degli artt. 24 e 25 del D.Lgs. n. 152/2006, riguardi solamente le attivita' incluse nel territorio e nelle acque territoriali, ma non la piattaforma continentale destinata allo sfruttamento economico delle risorse.

Con riferimento al caso in esame e' sufficiente considerare che, considerate le notorie caratteristiche del Mare Adriatico, una distanza della sede dell'intervento di poche decine di chilometri dalle Isole Tremiti - che rientrano nel territorio della Regione Puglia - non puo' con ogni evidenza non considerarsi significativa al fine di coinvolgere la medesima regione nel procedimento di VIA, in quanto l'impatto potenziale sull'ecosistema marino e sulle attivita' connesse alla pesca riguarda tutte le zone circostanti e non solamente quelle dell'Abruzzo.

La giurisprudenza ha gia' avuto modo di evidenziare come l'utilizzo della tecnica dell'air gun sia foriero di conseguenze che si ripercuotono anche a distanza, attesa la natura delle onde acustiche e le modalita' tecniche dell'operazione, quantomeno con riferimento alla possibile migrazione della fauna marina in luoghi diversi da quelli direttamente interessati dal passaggio della nave (cfr. TAR Puglia - Lecce, sez. I, 14 luglio 2011, n. 1341). E in questa sede e' sufficiente rimarcare il riferimento al carattere potenziale dell'impatto ambientale, in quanto non si tratta - con riferimento alle censure a carattere procedimentale - di pervenire a una valutazione in concreto sull'assenza di pregiudizio ambientale, ma piu' semplicemente di prefigurare, alla stregua di una considerazione prima facie, quali siano i territori anche soltanto potenzialmente coinvolti dalle conseguenze dell'intervento".

Pertanto, non potendosi escludere - in via di principio - l'interessamento della fascia di tutela delle 12 miglia marine anche quando le attivita' si svolgono oltre la stessa, la disposizione richiamata - per i motivi esposti - deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. (e, in particolare, della competenza regionale in materia di energia), dell'art. 118, comma 1, Cost. e del principio di leale collaborazione nella parte in cui nonprevede che anche per il mare i titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991 oppure i titoli concessori unici debbano essere preceduti dall'intesa con la Regione (prospicente) interessata.

2.3. Per comprendere la censura riguardante la violazione dell'art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza, in ragione dell'immotivata diversificazione del regime della durata dei titoli abilitativi (a seconda che seguano la procedura di cui alla legge n. 9 del 1991 o quella per il rilascio del titolo concessorio unico), occorre richiamare la formulazione delle previsioni legislative prima delle modifiche introdotte dalla legge di stabilita' 2016.

Secondo la pregressa formulazione, avente essenzialmente carattere di semplificazione, al fine di accelerare le attivita' minerarie inerenti agli idrocarburi (si veda, al riguardo, anche il comma 6 della medesima disposizione), il titolo concessorio unico veniva a prendere il posto dei diversi titoli minerari previsti dalla legge 9 gennaio 1991 n. 9; e per questo venivano previsti tempi di durata ("in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, .... a cui seguono la fase di coltivazione della durata di trenta anni") e possibilita' di proroghe (per la prima fase "due volte per un periodo di tre anni" e per la seconda fase "per una o piu' volte per un periodo di dieci anni").

Con la legge n. 208 del 2015, art. 1, comma 240, lettera c, al fine di paralizzare la richiesta referendaria avanzata dai Consigli regionali e dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione, con la quale si voleva eliminare il regime delle proroghe, il legislatore statale ha sconvolto la disciplina e la logica che aveva condotto alla previsione del titolo concessorio unico, che - secondo la ratio di semplificazione e di accelerazione delle procedure - sarebbe dovuto diventare l'unico titolo abilitativo in materia di idrocarburi.

In particolare, il legislatore del 2015, pur mantenendo la previsione di detto atto e, per di piu', eliminando ogni possibilita' di proroga per le diverse fasi, cosi' apparentemente mostrando di accogliere la richiesta regionale, inseriva nel testo della nuova disposizione un regime di concorrenza dei titoli abilitativi - chiaramente evidenziato dalla disgiuntiva "o" - tra lo stesso titolo concessorio unico e il sistema originario dei titoli previsti dalla legge n. 9 del 1991, comprensivo del regime delle proroghe che risultava eliminato, conseguentemente, solo per il titolo concessorio unico.

In questo modo, per un verso, veniva disattesa la ratio originaria del decreto "sblocca Italia", quella della semplificazione, e, per l'altro, veniva aggirata la richiesta regionale dell'eliminazione dei regimi di proroga. Si tratta di un modo di legiferare non caratterizzato, sul piano istituzionale, dal principio di leale collaborazione e che, per di piu' e soprattutto, rende problematica e priva di ordine razionale la disciplina dei titoli abilitativi nella materia degli idrocarburi.

Di qui le censure di costituzionalita'.

E' interesse della Regione ricorrente, percio', impugnare la disposizione, per il superficiale obiettivo perseguito dal legislatore e, soprattutto, per la totale disarticolazione nella disciplina dettata dei titoli abilitativi e per la loro mancata razionalizzazione. Detta mancata razionalizzazione e' alla base dell'irragionevolezza che inficia il comma 5 dell'art. 38, che ridonda in violazione della competenza regionale in materia di energia.

Infatti, non si comprende per quale ragione, in presenza di procedure che determinano i medesimi effetti e che sono circondate delle medesime garanzie, le due tipologie di titoli minerari si diversifichino, poi, per la differente efficacia temporale, senza che risulti comprensibile la ratio della divergenza.

In particolare, il titolo concessorio unico avrebbe una durata di 6 anni per la fase di ricerca e di 30 anni per la fase di coltivazione, mentre i titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991, conservando il proprio regime, avrebbero una durata di 6 anni per il permesso di ricerca (ma prorogabile due volte per 3 anni) e di 30 anni per la concessione di coltivazione (ma prorogabile una prima volta per 10 anni e infinite volte per 5 anni).

In assenza di qualunque ragionevole elemento in grado di giustificare tale disparita', si chiede, pertanto, che codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 240, lett. c), della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui non prevede il limite temporale ivi stabilito (6 anni per la ricerca e 30 anni per la coltivazione) si applichi anche ai titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991.

Per giunta, la (prevedibile) opzione per i titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991 farebbe in modo che la partecipazione regionale [1] non avvenga affatto per quelli che interessano il mare (e su questo profilo si e' gia' articolata la relativa censura) [2] e si possa avere solo in sede di primo rilascio dei titoli per le richieste riguardanti la terraferma.

Tale unica partecipazione regionale farebbe, percio', in modo che un titolo abilitativo (e, in particolare la concessione di coltivazione) sia nella sostanza prorogabile all'infinito, senza che, nella nuova ponderazione degli interessi pubblici coinvolti, che deve essere svolta in sede di procedimento per il rilascio della proroga, si tenga in alcun modo in considerazione la posizione della Regione interessata, nonostante si verta in materia di competenza concorrente fra Stato e Regioni.

Cio' comporta, infine, la violazione delle regole che presiedono all'attrazione in sussidiarieta' delle competenze regionali e, specificamente, del principio di leale collaborazione.

Pertanto, in via subordinata, si chiede che la disposizione sia dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevede che la proroga del titolo abilitativo ai sensi della legge n. 9 del 1991 avvenga previa (nuova) intesa con la Regione.

3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 240, lett. b), della legge n. 208 del 2015, per violazione degli articoli 117, comma 1, Cost., in combinato disposto con la Direttiva 94/22/CE, 117, commi 3 e 4, 118, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

La legge 11 novembre 2014, n. 164, di conversione del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (decreto "Sblocca Italia"), aveva introdotto, all'art. 38 dello stesso decreto, il comma 1-bis con il quale si disponeva quanto segue: «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attivita' (di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi)».

Successivamente, l'art. 1, comma 554, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (pubblicata in G.U. 29 dicembre 2014, n. 300) ha sostituito il comma 1-bis dell'art. 38 del decreto "Sblocca Italia" con le seguenti disposizioni: «1-bis. Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attivita' (di prospezione ricerca e coltivazione di idrocarburi). Il piano per le attivita' sulla terraferma e' adottato previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239. Nelle more dell'adozione del piano i titoli abilitativi di cui al comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente diposizione».

Con la lett. b) dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, oggi impugnata, e' stata disposta l'abrogazione integrale del comma 1-bis.

3.1. Tale abrogazione tout court si pone in contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in combinato disposto con la Direttiva 94/22/CE, da cui si ricava che il legislatore italiano e' tenuto a varare una razionalizzazione delle aree aperte alle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, che si sarebbe realizzata grazie al c.d. piano delle aree e che, invece, e' ora esclusa per effetto dell'abrogazione.

Tale violazione, peraltro, ridondando sulla competenza concorrente fra Stato e Regioni in materia di energia, fonda l'interesse a sollevare la censura da parte, della Regione ricorrente.

Nello specifico, l'art. 2, part. 1, della Direttiva 94/22/CE dispone che "Gli Stati membri mantengono il diritto di determinare, all'interno del loro territorio, le aree da rendere disponibili per le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi".

Dal canto proprio, l'art. 3 disciplina le possibili procedure adottabili a tal fine dallo Stato membro, prevedendo che:   1. Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinche' le autorizzazioni siano rilasciate in esito a procedimenti nei quali tutti gli enti interessati possano presentare domanda ai sensi del paragrafo 2 o del paragrafo 3.

2. Questo procedimento e' avviato:   a) su iniziativa delle autorita' competenti, mediante avviso che invita a presentare domande da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee almeno 90 giorni prima della data limite per la presentazione delle domande; oppure   b) mediante un avviso che invita a presentare domande, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee dopo che un ente ha presentato una domanda, fatto salvo l'art. 2, paragrafo 1. Ogni altro ente interessato dispone di un termine di almeno 90 giorni a decorrere dalla data di pubblicazione per presentare una domanda.

L'avviso specifica il tipo di autorizzazione, l'area o le aree geografiche che sono o possono essere, in parte o interamente, oggetto della domanda, nonche' la data proposta o il termine ultimo per il rilascio dell'autorizzazione.

L'avviso specifica se e' prevista una preferenza per le domande presentate da enti costituiti da una singola persona fisica o giuridica.

3. Gli Stati membri possono rilasciare un'autorizzazione senza avviare un procedimento ai sensi del paragrafo 2 se l'area oggetto della domanda di autorizzazione:   a) e' disponibile in maniera permanente o   b) e' stata oggetto di un precedente procedimento ai sensi del paragrafo 2 che non si e' concluso con il rilascio di un'autorizzazione o   c) e' stata abbandonata da un ente e non rientra automaticamente nei casi di cui alla lettera a).

Uno Stato membro che intenda applicare il presente paragrafo provvede, entro tre mesi dall'adozione della presente direttiva o, nel caso degli Stati membri che non hanno ancora avviato tali procedimenti, senza indugio, alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee di un avviso in cui sono indicate le aree, situate all'interno del proprio territorio, disponibili ai sensi del presente paragrafo e i luoghi dove ottenere informazioni dettagliate al riguardo. Qualsiasi modificazione significativa di tali informazioni formera' oggetto di un avviso supplementare. (...)".

Gia' dal tenore letterale delle disposizioni riportate appare evidente che il diritto europeo impone agli Stati membri di addivenire a una razionalizzazione delle aree in cui e' possibile svolgere le attivita' di ricerca e di coltivazione di idrocarburi.

Una previa determinazione delle aree "chiuse" e delle aree "aperte" e' sottesa a tutto l'impianto normativo.

Ne' puo' portare a conclusioni difformi la differente fonte d'impulso prevista dalle lett. a) e b) dell'art. 3, par. 2.

Nel primo caso (lett. a), il procedimento si avvia d'ufficio ("su iniziativa delle autorita' competenti"). Pertanto, esso presuppone - nel caso italiano - la previa pianificazione delle aree "aperte" da parte del Ministero dello sviluppo economico e la successiva fase "concorrenziale" che si avvia per effetto della pubblicazione dell'avviso. In tal caso, non vi puo' essere alcun dubbio che le attivita' concernenti gli idrocarburi debbano essere precedute dall'adozione di un atto amministrativo generale.

Nondimeno una tale conclusione non puo' essere posta in dubbio neppure nel secondo caso (lett. b). Non sembra infatti che la mera circostanza che l'avviso pubblico abbia luogo dopo che un ente abbia presentato domanda esoneri lo Stato membro dalla previa pianificazione, soprattutto se si considera che la disposizione fa "salvo l'art. 2, paragrafo 1", secondo cui "Gli Stati membri mantengono il diritto di determinare, all'interno del loro territorio, le aree da rendere disponibili per le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi".

Non e' chi non veda come la determinazione delle aree disponibili non possa essere conseguenza di un'istanza (privata) di parte, cui seguirebbe l'obbligo dello Stato membro di dare corso alla pubblicazione dell'avviso.

Piuttosto, lo Stato membro, dopo aver operato tale determinazione in via astratta, potrebbe scegliere di ricorrere non a un avviso pubblico "generale" (lett. a), bensi' a un avviso pubblico "puntuale" (lett. b) concernente un'area per la quale sia stato manifestato interesse da parte di un ente.

Diversamente, si giungerebbe al paradosso che lo Stato membro sia tenuto ad aprire la fase "ad evidenza pubblica" in tutti i casi in cui vi sia stata una domanda a istanza di parte. E' invece evidente che quest'ultima non puo' che inquadrarsi nell'ambito di un previo atto pianificatorio che delimiti le aree "aperte" su cui gli enti possono manifestare il proprio interesse.

Se sistematicamente compresa, la disposizione esclude un tale meccanismo in ogni sua parte tanto e' vero che anche per il caso previsto dal par. 3 vi e' la necessita' di un "avviso in cui (siano) indicate le aree (...) disponibili".

D'altro canto non puo' che rilevarsi come un meccanismo che operi a istanza di arte, non solo per determinare l'avvio della fase "ad evidenza pubblica", ma anche per la delimitazione dell'area che potrebbe essere interessata dalle manifestazioni di interesse provocherebbe la totale irragionevolezza del sistema, il quale allora dovrebbe promuovere giocoforza la fase concorrenziale prima ancora di poter decidere in ordine all'"apertura" o meno di una certa area alle attivita' de quibus.

Se si segue questa impostazione, nel caso di cui alla lett. b) del par. 2, si arriverebbe al paradosso che la determinazione di "apertura" dell'area da parte dello Stato membro si avrebbe all'esito di una defatigante procedura che dovrebbe comunque avviarsi.

Infatti, prima delle manifestazioni di interesse da parte di eventuali altri concorrenti (oltre a colui che ha dato impulso al procedimento), sarebbe esclusa ogni valutazione della domanda, proprio in nome del principio di concorrenza che deve assistere la procedura e che porta a escludere che la "prima istanza" possa essere oggetto di esame - anche solo di "ammissibilita'" (lato sensu) - senza che siano giunte le altre domande.

Pertanto, tale complessa procedura potrebbe essere inutiliter data, laddove lo Stato, all'esito della stessa (e, percio', a posteriori, piuttosto che a priori, come avverrebbe con un atto pianificatorio) ritenga che la domanda non si possa neppure esaminare nel merito, perche' l'area interessata e' "chiusa" alla attivita' concernenti gli idrocarburi.

Dal tenore letterale delle norme esaminate e dalla palese irragionevolezza di un'interpretazione diversa da quella qui sostenuta deriva che in tutti i casi previsti dall'art. 3 della Direttiva 94/22/CE la procedura volta al rilascio dei titoli abilitativi debba essere preceduta da un atto pianificatorio generale da parte dello Stato membro.

Pertanto l'abrogazione tout court del comma 1-bis dell'art. 38 si pone in contrasto col diritto europeo, escludendo la pianificazione dallo stesso prevista e annullando, percio', la recente e positiva acquisizione che lo Stato italiano stava ponendo in essere con la previsione del c.d. piano delle aree.

La violazione del diritto europeo cosi' verificatasi deve, percio', essere censurata dall'ordinamento interno e si chiede quindi che l'Ecc.ma Corte adita voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 240, lett. b), della legge n. 208 del 2015, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con cui le si richieda se il diritto europeo osta a una normativa nazionale in materia di attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi che, al posto di prevedere un atto pianificatorio generale delle aree "aperte", determina quest'ultime per effetto delle domande pervenute dagli Enti abilitati.

Rimane peraltro inteso che la Regione ricorrente e' portatrice, nel caso di specie, di un pregnante interesse suo proprio, nella misura in cui, in presenza della revisione di tale atto pianificatorio, essa avrebbe dovuto essere coinvolta nella sua predisposizione per effetto del riparto interno delle competenze in materia di energia, partecipando alla fase costitutiva dell'atto attraverso forme adeguate di collaborazione come insegna la costante giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte.

3.2. Inoltre, con la soppressione del comma 1-bis ad opera della disposizione impugnata viene meno lo strumento di raccordo con le Regioni, prima previsto: le attivita' sulla terraferma erano consentite solo nelle aree individuate dal Ministro dello sviluppo economico con decreto da emanarsi sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e previa intesa con la Conferenza unificata.

Con la soppressione del comma 1-bis ad opera della disposizione impugnata, dunque, scompare la necessita' della previa intesa e il relativo coinvolgimento delle Regioni.

Da cio' emerge con immediata evidenza la violazione della competenza legislativa regionale, dal momento che il legislatore statale interviene nell'ambito delle attivita', di ricerca e di coltivazione di idrocarburi e gassosi, che, in quanto tali, si collocano nell'ambito della competenza regionale di cui al terzo comma dell'art. 117 della Costituzione («produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»).

Occorre ricordare, infine, che codesta Ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 383 del 2005 ha stabilito, in ogni caso anche in questo ambito, la necessita' di un'"intesa in senso forte" (cfr. da ultimo sentenza n. 7 del 2016) per giustificare un'attrazione nella competenza statale quale quella disposta dalla norma impugnata. Cosi', piu' recentemente, la Corte ha precisato che nel caso di "chiamata in sussidiarieta'" l'intervento del legislatore statale e' legittimo se "siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni interessate nello svolgimento delle funzioni allocate in capo agli organi centrali, in modo da contemperare le ragioni dell'esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni stesse (ex plurimis, sentenze n. 179 e n. 163 del 2012, n. 232 del 2011). Piu' in particolare, la legislazione statale di questo tipo «puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (sentenze n. 278 del 2010, n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003)" (sentenza n. 261/2015).

Di qui l'illegittimita' della norma impugnata che, eliminando ogni forma di coinvolgimento delle Regioni in un ambito riservato alle loro competenze, viola gli artt. 117, commi 3 e 4, e 118 della Costituzione e il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

 

P.Q.M.

 

La Regione Veneto, in persona del Presidente in carica, come sopra rappresentata e difesa, chiede, previa eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, che venga dichiarata l'illegittimita' costituzionale dei commi 239 e 240, lett. b) e c), dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 nei termini indicati in narrativa e per le ragioni ivi dedotte.

Si allegano:   A) Deliberazione della Giunta regionale n. 160 del 23 febbraio 2016.

Roma, 27 febbraio 2016

Avv. Ezio Zanon - Prof. Avv. Luca Antonini - Prof. Avv. Isabella Loiodice - Prof. Avv. Stelio Mangiameli