RICORSO N. 17 DELL'8 MARZO 2016 (DELLA REGIONE VENETO)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'8 marzo 2016.

(GU n. 16 del 20.04.2016)

 

Ricorso proposto dalla regione Veneto (C.F. 80007580279 - P.IVA 02392630279), in persona del Presidente della Giunta regionale dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C9570), autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 160 del 23 febbraio 2016 (all. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (C.F. ZNNZE157L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano e Luigi Manzi (C.F. MNZLGU34E15HS01V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org), contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2015 - Suppl. Ordinario n. 70:   1) articolo 1, comma 26;   2) articolo 1, comma 219;   3) articolo 1, comma 228;   4) articolo 1, comma 241;   5) articolo 1, comma 363;   6) articolo 1, commi 524, 525, 526, 527, 528, 529, 531, 532, 533, 534, 535 e 536;   7) articolo 1, commi 553 e 555;   8) articolo 1, comma 568;   9) articolo 1, comma 574;   10) articolo 1, commi 680, 681 e 682;   11) articolo 1, comma 754.

 

Motivi

 

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 26, per violazione degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione.

L'art. 1, comma 26, sancisce per l'anno 2016 la sospensione dell'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali, nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015.

La disposizione quindi blocca, per quanto qui interessa, il potere delle Regioni di' aumentare le aliquote dei tributi e delle addizionali rispetto a quelle deliberate, entro la data del 30 luglio 2015, per l'esercizio 2015.

Al contempo, pero', l'art. 1, ai commi 553 e 555, sottostima l'impatto finanziario dei nuovi LEA e, al comma 574, riduce drasticamente il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre lo Stato per il 2016 (si vedano, rispettivamente, i punti 6 e 8 del presente ricorso). Diverse altre disposizioni (ad esempio i commi 67, 121 e 182), inoltre, riducono - vuoi introducendo imposte sostitutive, vuoi modificando le relative discipline - le basi imponibili de tributi regionali come l'Irap e l'addizionale Irpef.

Da una parte, dunque, il legislatore statale impedisce alle Regioni di aumentare le aliquote relative a tutti i tributi propri derivati, dall'altra sotto finanzia i nuovi LEA, riduce il finanziamento del Fondo sanitario e rimodula al ribasso le basi imponibili dei tributi propri derivati regionali.

E' evidente che in questo contesto normativo le Regioni si trovano a dover garantire il servizio sanitario regionale, anche con prestazioni aggiuntive (i nuovi LEA), con risorse statali ridotte e insufficienti, venendo nel contempo private della possibilita' di esercitare uno sforzo fiscale.

Risulta pertanto di immediata evidenza l'irragionevolezza e la mancanza di proporzionalita' della disciplina dettata dall'art. 1, comma 26.

Ma vi e' di piu'.

A tale situazione gia' critica, si aggiunge la previsione, da parte del comma 723, di pesanti sanzioni per il caso di mancato conseguimento di un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali da parte dell'ente.

In particolare, per quanto riguarda le Regioni, l'art. 1, comma 723, stabilisce che nell'anno successivo alla violazione: «b) la regione e' tenuta a versare all'entrata del bilancio dello Stato, entro sessanta giorni dal termine stabilito per la trasmissione della certificazione relativa al rispetto del pareggio di bilancio, l'importo corrispondente allo scostamento registrato. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale. Trascorso inutilmente il termine dei trenta giorni dal termine di approvazione del rendiconto della gestione per la trasmissione della certificazione da parte della regione, si procede al blocco di qualsiasi prelievo dai conti della tesoreria statale sino a quando la certificazione non e' acquisita;   c) l'ente non puo' impegnare spese correnti, per le regioni al netto delle spese per la sanita', in misura superiore all'importo dei corrispondenti impegni effettuati nell'anno precedente a quello di riferimento;   d) l'ente non puo' ricorrere all'indebitamento per gli investimenti; i mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti o le aperture di linee di credito devono essere corredati da apposita attestazione da cui risulti il conseguimento dell'obiettivo di cui al primo periodo relativo all'anno precedente.

L'istituto finanziatore o l'intermediario finanziario non puo' procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in assenza della predetta attestazione;   e) l'ente non puo' procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E' fatto altresi' divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione;   f) l'ente e' tenuto a rideterminare le indennita' di funzione ed i gettoni di' presenza del presidente, del sindaco e dei componenti della giunta in carica nell'esercizio in cui e' avvenuta la violazione, con una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2014. Gli importi di cui al periodo precedente sono acquisiti al bilancio dell'ente».

E' questo dunque il contesto complessivo all'interno del quale deve essere considerata la norma impugnata.

Lo scrivente patrocinio evidentemente non ignora che il blocco provvisorio dell'aumento delle addizionali e dei tributi propri derivati, in precedenti occasioni, non e' stato ritenuto illegittimo dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte (sentt. nn. 381/2004, 284/2009 e 298/2009). E' dirimente pero' evidenziare che tale valutazione si inseriva in contesti normativi radicalmente diversi da quello attuale, in cui non solo non si prefigurava i) un definanziamento del Fondo sanitario e ii) un obbligo di garanzia di nuovi LEA con un finanziamento evidentemente sottostimato, ma dove, soprattutto, iii) nell'ambito del Patto di stabilita' interno alle Regioni veniva solo imposto un mero tetto di spesa, che, sebbene sanzionato in termini analoghi a quello attuale, rimaneva del tutto indifferente (riguardando solo il versante della spesa e non quello dell'entrata) rispetto alla possibilita' di un autonomo sforzo fiscale regionale.

Ora, invece, con il superamento del Patto di stabilita' interno alle Regioni e' imposto un pareggio contabile di bilancio, il cui mancato conseguimento - che comporta sanzioni come il divieto dell'indebitamento per la spesa di investimento - potrebbe trovare direttamente causa nel blocco dell'autonomia fiscale regionale, che appunto preclude alle Regioni la possibilita' di pareggiare il bilancio attraverso un proprio sforzo fiscale.

Di qui l'evidente irragionevolezza della norma che, da un lato, impedisce uno sforzo fiscale, dall'altro lo impone in quanto i) incrementa i LEA e ii) decrementa il finanziamento statale.

In altre parole, proprio per effetto della sospensione della possibilita' di manovra sui tributi propri derivati disposta dal legislatore statale, in contrasto con il principio autonomistico, con il comma 26, la Regione potrebbe trovarsi esposta, se non riduce la spesa per i servizi ai cittadini - in particolare quella relativa alla sanita', che costituisce il capitolo piu' rilevante e penalizzato dalle ultime manovre statali, a danno quindi del diritto alla salute -, al mancato conseguimento del suddetto, pareggio di bilancio.

Si configura, quindi, con tutta evidenza una situazione normativa profondamente diversa da quella in altre occasioni giudicata non illegittima dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte che determina il contrasto della disposizione con gli arti. 3, 5, 32 e 97 della Costituzione, che ridonda sulle prerogative costituzionali delle Regioni, con violazione, anche diretta, degli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 Cost.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 219, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

Il comma 219 sancisce - nelle more dell'adozione di alcuni decreti legislativi della c.d. legge Madia (Legge n. 124/2015) e dell'attuazione di altre disposizioni della legge di stabilita' per il 2015 (Legge n. 190/2014) - l'indisponibilita' dei posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche che risultano vacanti alla data del 15 ottobre 2015, tenendo comunque conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o con incarico di studio e del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa. Prevede, inoltre, fatti salvi alcuni casi espressamente previsti, la cessazione di diritto, con risoluzione dei relativi contratti, al primo gennaio 2016 degli incarichi dirigenziali conferiti dopo il 15 ottobre 2015 e dispone che in ciascuna amministrazione possano essere conferiti incarichi dirigenziali solo nel rispetto del numero complessivo dei posti resi indisponibili.

Poiche' la norma si applica alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, decreto legislativo n. 165/2001 e successive modificazioni, essa interessa anche il personale dirigenziale delle Regioni e, da questo punto di vista, si pone in contrasto con la Costituzione sotto molteplici profili.

Da un lato, infatti, occorre constatare che, benche' contenuta in una legge di stabilita', la disposizione impugnata, come rileva la Relazione tecnica (1) . non comporta infatti «effetti sui saldi di finanza pubblica» e pertanto non puo' essere legittimamente annoverata tra gli interventi statali rivolti al coordinamento della finanza pubblica di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. Inoltre, essa presenta in ogni caso un carattere puntuale ed esaustivo, che non lascia alcuno spazio aperto alla autonomia regionale, perche' definisce uno specifico temporale di applicazione, precise categorie dirigenziali incluse ed escluse, puntuali conseguenze sui rapporti gia' in essere. Pertanto, anche a volerla ritenere una norma di coordinamento della finanza pubblica, riveste in ogni caso un alto grado di dettaglio, incompatibile con gli standard minimi richiesti dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte costituzionale per superare il test di costituzionalita' (ex plurimis sentenza n. 182 del 2011).

Dall'altro, la norma impugnata indebitamente incide sulla materia «ordinamento e organizzazione amministrativa» delle Regioni, all'interno della quale «la costante giurisprudenza di questa Corte» (sentenza n. 149 del 2012) ha collocato la disciplina dei profili «pubblicistico-organizzativi» dell'impiego pubblico, che «quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione (ex multis, sentenze n. 63 del 2012, nn. 339 e 77 del 2011, n. 233 del 2006, n. 2 del 2004)» (cfr., in termini analoghi, sentenza n. 100 del 2010).

Posto, inoltre, che la disciplina impugnata e' stabilita, per quanto riguarda le Regioni, «Nelle more dell'adozione dei decreti legislativi» attuativi degli articoli 11 («Dirigenza pubblica») e 17 («Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche») della c.d. Legge Madia, si deve oltretutto constatare che mentre quest'ultima, nelle disposizioni citate, perlomeno prevede forme di concertazione con le Regioni (ancorche' insufficienti, tanto che la regione Veneto con il ricorso reg. ric. n. 94/2015 ha impugnato le citate disposizioni dinanzi a Codesta Ecc.ma Corte), nella disciplina in oggetto manca invece ogni forma di raccordo con le stesse.

Per i motivi sopra indicati, la norma impugnata, data l'interferenza con le competenze regionali, evidentemente non risolvibile con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale, si pone in contrasto con gli articoli 117, III e IV comma, e 118 Cost., nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

Ma non solo.

La disposizione impugnata si pone in contrasto anche con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, dal momento che fra l'altro determina una illegittima reformatio in peius del regime vigente per i dirigenti assunti dopo la data del 15 ottobre 2015 e prima dell'entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, colpiti dalla risoluzione di diritto del proprio contratto, con una palese violazione del principio del legittimo affidamento (cfr. quanto affermato da Codesta Ecc.ma Corte nella sentenza n. 160 del 2013) e del buon andamento della Pubblica amministrazione. Si realizza quindi una violazione degli articoli 3 e 97 Cost., che, incidendo sull'autonomia organizzativa della Regione, ridonda in una lesione delle competenze regionali di cui agli articoli 117, III e IV comma, e 118 Cost.

3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 228, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione.

Il comma 228 qui censurato, attraverso il richiamo alle amministrazioni di cui all'alt. 3, comma 5, decreto-legge n. 90/2014, prevede che le Regioni e gli enti locali possano procedere, per il triennio 2016-2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25% di quella relativa al medesimo personale cessato nell'anno precedente.

Con riferimento invece al personale collocato in mobilita' degli enti di area vasta destinato a funzioni non fondamentali (come individuato dall'art. 1, comma 421, della legge n. 190/2014), il comma de quo prosegue confermando per questo le percentuali stabilite dal succitato art. 3, comma 5, decreto-legge n. 90/2014 (ovvero: 80% della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente per gli anni 2016 e 2017 e 100% per il 2018).

La disposizione in esame, infine, dispone la disapplicazione per il biennio 2017-2018 della possibilita' di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato nel limite del 100% della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente, prevista dall'art. 3, comma 5-quater, decreto-legge n. 90/2014, per Regioni ed enti locali «virtuosi» (ossia con un'incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente pari o inferiore al 25%; tra questi rientra la regione Veneto, che registra una spesa corrente di euro 10.203.628.274 e di euro 146.042.452 di spesa per il personale - dati Copaff 2014: http://www.mef.gov.it/ministero/commissioni/copaff/documenti/I_bilanc i_delle_regioni_in_sintesi_2014.pdf).

Il comma qui impugnato, quindi, blocca, per il biennio 2017-2018, la possibilita' per le Regioni e gli enti locali «virtuosi» di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato prescindendo dal limite del 25% del personale cessato nell'anno precedente.

Anche per gli enti virtuosi varranno, dunque, i limiti di cui ai primi due periodi del comma 228, ovvero: i) 25% della spesa per il personale di ruolo cessato l'anno precedente per le nuove assunzioni e ii) fino al 2017 compreso, 80% di tale spesa per il personale in mobilita' (a decorrere dal 2018 il limite e innalzato al 100%).

Sebbene finalizzata alla legittima esigenza di assorbire innanzitutto il personale riallocato degli enti di area vasta, tale disposizione di coordinamento della finanza pubblica stabilisce tuttavia un illegittimo automatismo legislativo, non proporzionato e incongruente sotto il profilo della connessione razionale e della necessita', dal momento che la nonna, senza «tenere conto della situazione dell'ente pubblico dal punto di vista della dotazione di personale» (Corte cost. sent. n. 272 del 2015), limita la capacita' organizzativa di una Regione «virtuosa» in misura non giustificata dall'esigenza di riassorbire il personale riallocato degli enti di' area vasta.

Si realizza quindi una violazione degli articoli 3 e 97 Cost., che ridonda nella lesione dell'autonomia costituzionalmente garantita alla Regione dagli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 Cost.

4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 241, per violazione dell'art. 117, III e IV comma, 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 della Costituzione.

Il comma 241 modifica il comma 3-bis dell'art. 57 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35), rubricato «Disposizioni per le infrastrutture energetiche strategiche, la metanizzazione del mezzogiorno e in tema di bunkeraggio».

Tale norma, nella versione previgente, disponeva: «In caso di mancato raggiungimento delle intese, si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239, nonche' con le modalita' di cui all'art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241».

La disposizione che qui si impugna espunge dal disposto in esame le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, legge n. 239/2004, sicche' rimane, ad oggi, il solo riferimento alle modalita' di cui all'art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Appare utile riportare il contenuto dell'art. 1, comma 8-bis, legge n. 239/2004, che disciplina le modalita' per superare l'eventuale mancata espressione, da parte della Regione, degli atti di assenso o di intesa, qui richiamati in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio per le infrastrutture energetiche strategiche. Tale norma recita infatti: «Fatte salve le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui al comma 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonche' nel caso di mancata definizione dell'intesa di cui al comma 5 dell'art. 52-quinquies del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessata. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai procedimenti amministrativi in corso e sostituiscono il comma 6 del citato art. 52-quinquies del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001».

E' evidente che la soppressione operata dalla disposizione impugnata elimina un meccanismo diretto ad assicurare il coinvolgimento della Regione nell'ipotesi del mancato conseguimento dell'intesa nella materia attinente a infrastrutture e insediamenti energetici strategici (ovvero: stabilimenti di lavorazione e stoccaggio di oli minerali; depositi di oli minerali; oleodotti, impianti per l'estrazione di energia geotermica), nonche' alle opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi.

Attenendo quindi alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», il comma 241 si pone in violazione della competenza regionale in materia di energia di cui all'art. 117, III e IV comma, e 118 Cost. e viola altresi' il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 363, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV, e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

Il comma 363, «al fine di rilanciare le spese per investimenti degli enti locali», dispone che i Comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, nel cui territorio ricadono interamente i siti di importanza comunitaria (S.I.C.), effettuino le valutazioni di incidenza ex art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1997 di taluni interventi minori. Si tratta, in particolare, degli interventi di: manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, anche con incrementi volumetrici o di superfici coperte inferiori al 20 per cento delle volumetrie o delle superfici coperte esistenti, opere di sistemazione esterne, realizzazione di pertinenze e volumi tecnici.

In questi termini la norma interviene in un ambito attinente non solo alla tutela dell'ambiente, ma anche a diverse materie di competenza concorrente e residuale regionale quali il governo del territorio, la tutale della salute, la valorizzazione dei beni ambientali, il turismo.

Si tratta quindi di un ambito «intrinsecamente trasversale», al cui riguardo Codesta Ecc.ma Corte ha evidenziato: «la materia tutela dell'ambiente ha natura intrinsecamente trasversale, con la conseguenza che, in ordine alla stessa, si manifestano competenze diverse che ben possono essere anche di tipo regionale» (sentenza n. 398 del 2006), precisando che alle Regioni e' in ogni caso riconosciuta, nell'esercizio delle loro competenze che interferiscano con la tutela dell'ambiente, la potesta' di determinare una elevazione del grado di tale tutela (sent. n. 93 del 2013).

La disposizione impugnata, invece, nel fare salve alcune previsioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1997, non menziona l'art. 5, comma 5, che recita: «Ai fini della valutazione di incidenza dei piani e degli interventi di cui ai commi da 1 a 4, le regioni e le province autonome, per quanto di propria competenza, definiscono le modalita' di presentazione dei relativi studi, individuano le autorita' competenti alla verifica degli stessi, da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all'allegato G, i tempi per l'effettuazione della medesima verifica, nonche' le modalita' di partecipazione alle procedure nel caso di piani interregionali».

Quest'ultima disposizione viene quindi derogata dalla norma impugnata, la quale attribuisce invece direttamente ai Comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti la competenza a effettuare la valutazione di incidenza degli interventi «minori».

Proprio in attuazione del citato art. 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1997 invece, la regione Veneto ha disciplinato compiutamente le verifiche di incidenza di interventi relativi - tra gli altri - a siti di importanza comunitaria, definendo gli aspetti procedurali e le linee di indirizzo per la stesura del documento di valutazione di incidenza, dettando linee guida per lo svolgimento di dette verifiche e individuando le autorita' competenti in materia. Con la D.G.R. n. 2299 del 2014 - con la quale da ultimo e' stata disciplinata la procedura della valutazione di incidenza - la regione Veneto ha infatti rimesso il compito di effettuare la prescritta valutazione di incidenza all'autorita' pubblica competente all'approvazione del piano, progetto o intervento», ossia all'autorita' che di volta in volta e' competente ad approvare l'intervento il cui impatto sull'habitat deve essere sottoposto a valutazione ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1997.

E' utile peraltro rilevare che la disposizione de qua e' pressoche' identica alla norma contenuta nell'art. 57, comma 1, della legge n. 221 del 28 dicembre 2015, entrata in vigore lo stesso giorno della legge di stabilita' per il 2016. Sennonche' il suddetto art. 57 fa espressamente salva - a differenza dell'art. 1, comma 363, della legge di stabilita' per il 2016 - la facolta' delle sole Regioni a statuto speciale, e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, di riservarsi con apposita norma la competenza esclusiva in materia (2)   La suddetta deroga non risulta quindi disposta a favore delle Regioni a statuto ordinario, che risultano invece completamente private della competenza precedentemente loro attribuita di disciplinare la materia, individuando «le modalita' di presentazione dei relativi studi», «le autorita' competenti alla verifica degli stessi», «i tempi per l'effettuazione della medesima verifica», «nonche' le modalita' di partecipazione».

Nel dispone l'assegnazione di detti compiti ai soli Comuni il legislatore statale ha, peraltro, agito senza nessun coinvolgimento delle Regioni, nonostante si versasse in un ambito che indubbiamente intreccia competenze anche regionali.

Sebbene Codesta Ecc. ma Corte abbia rilevato, nella sent. n. 38 del 2015, che «la disciplina della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette ai sensi di «Natura 2000», contenuta nell'art. 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, deve ritenersi ricompresa nella «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», rientrante nella competenza esclusiva statale», cio' era funzionale, nel caso deciso, a «escludersi che il legislatore regionale possa legittimamente adottare una disposizione come quella in esame, che esenta alcune tipologie di interventi dalla valutazione di incidenza ambientale, con conseguente affievolimento della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema».

Diverso e' l'obiettivo della nonna impugnata, solo finalizzata a «rilanciare le spese per investimenti degli enti locali» e quindi senza alcuna considerazione, ne' degli interessi ambientali, ne' di quelli, e' tra gli altri, del governo del territorio o della valorizzazione dei beni ambientali rimessi alla competenza regionale.

Da questo punto di vista la norma dispone una irragionevole - interferenza, lesiva anche del principio del buon andamento della. Pubblica Amministrazione, con le competenze e la discipline regionali, non essendo per nulla dimostrato che i Comuni possano garantire, rispetto a quanto previsto dalla disciplina regionale, una maggiore tutela degli interessi complessivamente coinvolti nella valutazione di incidenza ambientale.

Nei termini sopra illustrati, la disposizione di cui al comma 363 lede dunque gli articoli 3 e 97 della Costituzione, con una violazione che ridonda sulle competenze regionali relative al governo del territorio, alla valorizzazione dei beni ambientali, alla tutela della salute, al turismo di cui agli articoli 117, III e IV comma, e 118 Cost., e si pone in contrasto con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cast.

6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 524, 525, 526, 527, 528, 529, 531, 532, 533, 534, 535 e 536, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118, 119 e 123, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione.

Le disposizioni contenute nei commi impugnati impongono alle Regioni, anche a quelle non sottoposte a Piano di rientro in sanita', complesse procedure di dettaglio relative all'adozione e attuazione di piani di rientro e, ancor prima, all'individuazione di enti sanitari inefficienti e insufficienti all'erogazione di determinati livelli di assistenza.

In particolare, il comma 524 dell'art. 1 prevede che le Regioni individuino con apposito provvedimento della Giunta regionale entro il 30 giugno di ciascun anno le Aziende Ospedaliere, le Aziende Universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici o altri enti che erogano prestazioni di ricovero e cura (ad eccezione delle ASL, per le quali i commi 535 e 536 recano una disciplina parzialmente diversa) che soddisfino una o entrambe le seguenti condizioni: 1) scostamento tra costi e ricavi pari o superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro; 2) mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualita' ed esiti delle cure.

In sede di prima applicazione, il successivo comma 525 anticipa al 31 marzo 2016 il termine per operare l'individuazione degli enti che presentano una o entrambe le condizioni di cui sopra, specificando quali dati utilizzare a tale scopo.

La metodologia di valutazione dello scostamento tra costi e ricavi di cui al comma 524, gli ambiti assistenziali ed i parametri di riferimento relativi a volumi, qualita' ed esiti delle cure e le linee guida per la predisposizione dei piani di rientro degli enti sono definiti, ai sensi del comma 526, con decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze e sentita la Conferenza Stato-Regioni.

Al comma 527 viene fissato al 31 dicembre 2016 il termine per provvedere all'aggiornamento previsto dall'art. 34, decreto legislativo n. 118/2011 degli schemi di contabilita' allegati al medesimo decreto.

Il comma 528 introduce, per gli enti cosi individuati dalla Regione, l'obbligo di presentare alla medesima un piano di rientro, entro i novanta giorni successivi all'emanazione del provvedimento regionale di individuazione. Tale piano deve riguardare un periodo di tempo non superiore al triennio e deve definire «le misure atte al raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e patrimoniale e al miglioramento della qualita' delle cure o all'adeguamento dell'offerta.»   Le Regioni non in piano di rientro valutano entro trenta giorni l'adeguatezza delle misure, la coerenza con la programmazione sanitaria e approvano i piani con provvedimento della Giunta. I piani cosi approvati sono immediatamente efficaci ed esecutivi (comma 529).

In base al comma 531, poi, la Regione che non si sia avvalsa della facolta' di istituire la gestione sanitaria accentrata ai sensi dell'art. 19, comma 2, lett. b), punto i), (decreto legislativo n. 118/2011 e dunque di gestire direttamente una quota del finanziamento del Servizio sanitario e' tenuta ora a istituirla a seguito dell'approvazione del piano di rientro. Quest'ultimo deve peraltro essere comunicato entro cinque giorni dal provvedimento che lo approva ai tavoli tecnici di cui agli articoli 9 e 12 dell'Intesa sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in data 23 marzo 2005. La gestione sanitaria accentrata iscrive, dunque, nel proprio bilancio una quota del Fondo sanitario regionale corrispondente alla somma degli eventuali scostamenti negativi di cui ai piani di rientro.

Il successivo comma 532 precisa che gli interventi previsti nei piani di rientro sono vincolanti per gli enti interessati e che le misure in essi contenute possono comportare effetti di variazione dei provvedimenti amministrativi, ivi compresi quelli gia' adottati dagli enti in materia di programmazione e pianificazione aziendale.

Alla Regione e' inoltre demandato il compito (comma 533) di verificare trimestralmente l'adozione e la realizzazione delle misure previste dai piani di rientro. Qualora le verifiche trimestrali diano esito positivo, una (non meglio precisata) quota delle risorse iscritte nella gestione sanitaria accentrata puo' essere erogata, a titolo di anticipazione, agli enti de quibus. In caso di verifica trimestrale negativa, invece, la Regione adotta le misure per la riconduzione in equilibrio della gestione, nel rispetto dei livelli di assistenza, come individuati nel piano di rientro dell'ente. Infine, al termine di ogni esercizio, i risultati economici dei singoli enti devono essere pubblicati sul sito della Regione e raffrontati agli obiettivi del piano di rientro.

Il comma 534 prevede l'automatica decadenza del direttore generale dell'ente interessato nei seguenti casi: a) mancato adempimento dell'obbligo di trasmissione del piano di rientro (la disposizione contiene - peraltro - un evidente errore posto che fa riferimento alla «mancata trasmissione del piano di rientro all'ente interessato»); b) esito negativo della verifica annuale dello stato di attuazione del medesimo piano di rientro. Piu' precisamente, la disposizione prescrive che «tutti i contratti dei direttori generali, ivi inclusi quelli in essere», prevedano tale decadenza automatica, imponendo l'ulteriore onere di modificare i suddetti rapporti contrattuali.

A decorrere dal 2017, la disciplina illustrata trova applicazione, ai sensi del comma 535, anche alle ASL e ai relativi presidi a gestione diretta, nonche' agli altri enti pubblici (individuati da leggi regionali) che eroghino prestazioni di ricovero e cura, qualora presentino «un significativo scostamento tra costi e ricavi ovvero il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualita' ed esiti delle cure».

La definizione dei parametri quantitativi e degli altri elementi che costituiscono le condizioni per l'adozione del piano di rientro per i suddetti enti sono demandate, dal successivo comma 536, ad un decreto del Ministro della Salute, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, entro il 30 giugno 2016. La medesima disposizione stabilisce, inoltre, che con successivo decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, da adottarsi entro il 31 dicembre 2016, sono apportati i necessari aggiornamenti ai modelli di rilevazione dei costi dei presidi ospedalieri a gestione diretta delle aziende sanitarie.

Tale complesso normativo, mentre non presenta profili di criticita' costituzionale in relazione alle Regioni assoggettate a piano di rientro, si dimostra chiaramente lesivo dell'autonomia regionale nella misura in cui pretende di applicarsi anche alle Regioni in equilibrio finanziario.

Il presupposto della applicazione dei piani di rientro, infatti, e' sempre stato - sia dall'art. 1, comma 180, della legge n. 311/2004 che nelle successive evoluzioni: legge n. 266/2005 (art. 1, commi 278 e 281), legge n. 296/06 (art. 1, comma 796, lett. b), decreto-legge n. 159/2007 (art. 4), legge n. 191/2009 (art. 2, commi 80 e 95) - una situazione di grave disavanzo dell'intero comparto della spesa sanitaria di una determinata Regione, che, comportando il rischio del mancato rispetto dei vincoli di stabilita' interni ed esterni, ha imposto la necessita' di un accordo con lo Stato al fine di vincolare la Regione interessata sia al rientro dalla situazione di disavanzo, sia alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza.

E' solo in presenza del presupposto di una grave situazione di disavanzo nella complessiva spesa sanitaria di una determinata Regione che la giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte ha legittimato l'inevitabile compressione dell'autonomia regionale che deriva dalla imposizione di un piano di rientro, le cui disposizioni spesso risultano molto piu' dettagliate di quanto dovrebbe essere proprio delle norme di principio. E' solo quindi per il rischio che il disavanzo si ripercuota sull'intero sistema finanziario nazionale che il vincolo solidaristico, che lega tutti gli enti che compongono uno Stato unitario, impone a ciascuno di essi di accettare limitazioni della propria sfera di competenza per non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi comuni e il rispetto dei vincoli finanziari imposti a livello sia nazionale che europeo.

In assenza di una situazione di grave disavanzo finanziario o addirittura in presenza di una situazione di certificato (dallo stesso Stato) equilibrio finanziario (come nel caso della regione Veneto: si veda il doc. n. 2, pag. 20) e addirittura nel caso di una Regione, come il Veneto, scelta dallo stesso Ministero della Salute come una delle cinque Regioni benchmarck al fine dell'applicazione dei costi standard nella sanita', ai sensi dell'art. 27 del decreto legislativo n. 68/2011, (3) mancano, invece, del tutto i presupposti per cui il legislatore statale e' autorizzato ad intromettersi nella gestione della spesa sanitaria regionale fino ad imporre l'adozione di piani di rientro, specificando in modo arbitrario i livelli di scostamento tra costi e ricavi e gli altri parametri rivolti a vincolare singoli enti del Servizio sanitario regionale.

In questo caso la menomazione della competenza regionale destabilizza gravemente l'equilibrio complessivo assicurato dalla Regione, all'interno della quale possono esistere, in presenza di adeguate ragioni, particolari e singole situazioni di Aziende ospedaliere in disavanzo (si noti bene) non inefficiente, ma giustificato, in questo particolare caso, da decisioni rimesse alla autonomia politica regionale. Un esempio per chiarire: l'Azienda ospedaliera di Padova presenta quasi strutturalmente un disavanzo annuo intorno ai 25 milioni di euro, ma e' dovuto al fatto che la stessa rappresenta una eccellenza a livello europeo in determinati settori, come quello dei trapianti, con migrazioni sanitarie da tutta Europa, cui fa fronte con D.r.g. fissati dal Ministero in misura notoriamente sottostimata. Si tratta quindi di una situazione particolarissima, dove il disavanzo deriva dalla eccellenza della struttura e dalla sottostima dei D.r.g..

Imporre a tale Azienda ospedaliera, come vorrebbero le norme qui impugnate, un piano di rientro fino a ridurre il disavanzo entro i 10 milioni di euro (piano di rientro il cui mancato rispetto sarebbe oltretutto sanzionato con la decadenza automatica del direttore generale) produrrebbe un gravissimo danno al sistema sanitario complessivo della Regione e alla capacita' di cura dello stesso, con lesione del diritto alla salute, in quanto la Regione sarebbe costretta a depotenziare l'operativita' di una indubbia struttura di eccellenza nell'ambito delle alte specializzazioni.

Al contrario, nell'attuale assetto, senza compromettere la situazione di equilibrio del comparto complessivo della spesa sanitaria regionale, che, come detto, risulta certificato dagli stessi organi statali, la regione Veneto ha potuto identificare un punto di equilibrio nella programmazione e gestione della spesa sanitaria, che consente di fare fronte al deficit non inefficiente dell'Azienda ospedaliera di Padova.

Il complesso meccanismo predisposto dalle norme impugnate, in quanto applicabili anche alle Regioni non sottoposte a piano di rientro, rappresenta quindi un maldestro ed inefficace tentativo di spending review disposto in violazione del principio di proporzionalita', dal momento che difetta la stessa legittimita' dello scopo delle normative che pretendono di applicarsi anche a Regioni in equilibrio finanziario, rispetto alle quali difetta completamente il presupposto che, invece, ha sempre legittimato l'imposizione di piani di rientro. Difettano poi anche la connessione razionale e la necessita', dal momento che sconvolgendo la programmazione regionale non e' detto che la misura comporti un efficientamento qualitativo e quantitativo della spesa; piuttosto, e' molto probabile, o addirittura certo in determinati casi come quello proposto, il contrario.

E' quindi del tutto evidente la mancanza, nelle disposizioni impugnate, degli standard minimi richiesti dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte costituzionale per la legittimita' costituzionale delle norme statali di coordinamento della finanza pubblica.

Come messo in rilievo in molteplici occasioni da Questa Corte, se il legislatore statale puo' «con una disciplina di principio, legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti», tuttavia «questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 217 del 2012, n. 182 del 2011, nonche' sentenze n. 297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007) e «siano rispettosi del canone generale della ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato» (sentenza n. 22 del 2014).

Nel caso di specie, invece, viene meno il rispetto di quello «spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale» (ex plurimis sentenza n. 182 del 2011) che costituisce la condizione necessaria perche' il coordinamento della finanza pubblica non si traduca in una menomazione, irragionevole e non proporzionata al fine, dell'autonomia politica della Regione e della sua capacita' di programmazione.

Non viene inoltre nemmeno rispettato il principio di leale collaborazione, dal momento che i decreti diretti a definire la metodologia di valutazione dello scostamento tra costi e ricavi, gli ambiti assistenziali ed i parametri di riferimento relativi a volumi, qualita' ed esiti delle cure e le linee guida per la predisposizione dei piani di rientro degli enti sono definiti, ai sensi del comma 526, con decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, solo «sentita», la Conferenza Stato-Regioni, senza nemmeno che sia prevista un'intesa. Addirittura, in relazione alle ASL e ai relativi presidi a gestione diretta, tali decreti dovranno definire i parametri - al cui verificarsi si impone l'obbligo del piano di rientro - di un, del tutto generico, «significativo scostamento tra costi e ricavi», anche in questo caso solo «sentita» la Conferenza Stato-Regioni, entro il 30 giugno 2016.

Con riferimento specifico ai commi 524, 525 e 529 si rileva inoltre la violazione di quanto stabilito dalla giurisprudenza di Questa Ecc.ma Corte (sentenza n. 293/2012 e, nello stesso senso, sentenze n. 387/2007, n. 95/2008 e n. 22/2012) in relazione agli ambiti rimessi all'organizzazione interna della Regione, dal momento che impongono che l'individuazione degli enti inefficienti (di cui ai commi 524 e 525) e. l'approvazione dei piani di rientro (comma 529) avvengano con «provvedimento della Giunta regionale», posto invece che l'individuazione dell'organo regionale titolare di una funzione amministrativa rientra nella normativa di dettaglio attinente all'organizzazione interna della Regione.

Le norme impugnate si dimostrano, stante quanto sopra esposto, disposte in violazione degli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione, la cui violazione ridonda nelle competenze costituzionalmente garantite alla Regione in termini di autonomia amministrativa, legislativa, finanziaria e programmatoria; le stesse violano altresi' gli articoli 117, III e IV comma, 118, 119 e 123 della Costituzione, nonche' gli articoli 5 e 120 della Costituzione con riguardo al principio di leale collaborazione.

7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 553 e 555, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e degli articoli 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013.

Il comma 553 prevede che all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria di cui al d.P.C.M. 29 novembre 2001 si provveda entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilita', disponendo che tale aggiornamento debba avvenire «in misura non superiore a 800 milioni di euro annui».

Il comma 555 finalizza poi per l'anno 2016 lo stesso importo di (soli) 800 milioni per i nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA), facendone valere il finanziamento sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale.

Nel merito va precisato che non e' intervenuta una preventiva Intesa sul relativo livello di finanziamento, in contrasto quindi con quanto previsto dall'art. 10, comma 7 del Patto per la Salute 2014-2016 (4) e che l'istruttoria e' stata contraddittoria e inadeguata.

Infatti:   i) lo stesso Ministro della Salute aveva stimato «adeguato» per la revisione dei LEA uno stanziamento di 900 milioni di euro. (5)   ii) alle Regioni e' stato solo presentato uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 febbraio 2015, integralmente sostitutivo del d.P.C.M. 29 novembre 2001 recante «Definizione dei Livelli essenziali di assistenza», ma mai si e' pervenuto ad una intesa in merito alla quantificazione finanziaria dei nuovi LEA e successivamente a quella data non e' stata piu' sottoposta alle stesse alcuna ulteriore versione del suddetto decreto.

In definitiva, le suddette disposizioni stabiliscono, in modo del tutto arbitrario e persino contraddittorio, in 800 ml l'importo destinato all'aggiornamento dei LEA; inoltre, tale finanziamento non e' aggiuntivo, ma semplicemente quantifica le risorse nell'ambito del finanziamento gia' predeterminato.

Sebbene poi la procedura di cui al comma 554 preveda un'intesa per l'emanazione del decreto, tuttavia, la stessa e' vincolata al limite massimo di finanziamento stabilito (individuato come detto senza alcuna forma di collaborazione con le Regioni) dal comma 553.

In questo modo, la previsione di nuovi LEA, il cui impatto finanziario e' quindi decisamente sottostimato (solo a titolo di esempio e' sufficiente, in questa sede, ricordare che la citata bozza di d.P.C.M. stimava in 1 mln di euro l'importo per la fecondazione eterologa (6) quando la sola regione Sicilia aveva stanziato 3,8 mln al riguardo (7) non comporta, come invece dovrebbe, un finanziamento aggiuntivo rispetto al concorso statale al finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN), ma avviene a valere sulla quota indistinta dello stesso.

Se cio' e' conforme a quanto stabilito dall'art. 1, comma 3, del Patto per la Salute 2014-2016 (che prevede che l'aggiornamento dei LEA avvenga nell'ambito delle disponibilita' complessivamente considerate), in realta', considerata la pesante riduzione che l'art. 1 della legge di stabilita' al comma 568 (si veda il punto seguente del ricorso) attua rispetto alla previsione stabilita nello stesso Patto di un livello di finanziamento pari a 115.444.000.000 euro per il 2016, e' evidente la sostanziale violazione di quanto concordato tra Stato e Regioni: l'ammontare delle disponibilita' che nel Patto avrebbe potuto sostenere i nuovi LEA e', infatti, stato ridotto di oltre 5 mld, peraltro anche violando le procedure di concertazione previste dallo stesso Patto in caso di variazione degli importi originari.

E' quindi singolare dover constatare che l'occasione per l'aggiornamento dei livelli essenziali delle prestazioni (la cui determinazione e' stata prevista in Costituzione per garantirne una tutela a livello centrale) sia quindi paradossalmente divenuta un'occasione per introdurre ulteriori misure di contenimento finanziario in grado di compromettere quegli stessi livelli.

In cio' contraddicendo quanto affermato da Codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 10 del 2016: «la quantificazione delle risorse in modo funzionale e proporzionato alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente diventa fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell'amministrazione, cui lo stesso legislatore si deve ottenere puntualmente».

In questi termini, le disposizioni impugnate si pongono in contrasto, per irragionevolezza, difetto di istruttoria e di proporzionalita', con gli articoli 3, 32 e 97 Cost., contrasto che ridonda in una violazione, anche diretta, delle competenze legislative, amministrative e finanziarie regionali, nonche' con gli articoli 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

Ma non solo.

Oltre che con i parametri gia' invocati, la norme impugnate si pongono in violazione con quanto dispongono rispettivamente l'art. 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) (8) e l'art. 11 della legge n. 243 del 2013 (Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali). (9) E' evidente, infatti, che tali disposizioni rafforzano, perlomeno in via di principio e pur nella dinamica dell'equilibrio di bilancio, l'impegno della Repubblica nella garanzia dei livelli essenziali, riconosciuti come imprescindibile livello di garanzia dei principi fondamentali di eguaglianza e solidarieta'. Tuttavia, nella disposizione impugnata non solo non traspare alcuna verifica effettuata al riguardo, ma le suddette nonne sono rimaste pienamente inattuate. Di qui il contrasto delle disposizioni impugnate con i presupposti minimi che la dinamica dell'equilibrio di bilancio deve in ogni caso considerare, con evidente ricaduta, anche in questo caso, sull'autonomia costituzionalmente riconosciuta alle Regioni, che subisce un definanziamento senza che, in nessuna sede, siano state nemmeno minimamente prese in considerazione le ipotesi specificate negli articoli di cui si denuncia la violazione.

8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 568, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli articoli 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013.

L'art. 1, comma 568, riduce, senza che sia previamente intervenuta un'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni (10) il fabbisogno sanitario nazionale standard per il 2016 fissandolo in 111.000 milioni di euro, quando era invece stato precedentemente stabilito dalla legge di stabilita' 2015 (commi 167 e 556, dell'art. 1, legge n. 190/2014) e dal c.d. decreto legge Enti territoriali (art. 9-septies, decreto-legge n. 78/2015) che il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN) cui concorre lo Stato per il 2016 fosse fissato in 113,097 milioni di euro.

E' opportuno precisare che il fabbisogno sanitario nazionale standard e' stato finora sempre determinato sulla base di un sistema di accordi tra Stato e Regioni, recepiti annualmente in disposizioni di legge. In particolare, l'Intesa del 10 luglio 2014 sul Patto per la Salute per il triennio 2014-2016 ha definito il quadro finanziario per il triennio di' vigenza e ha precisato, all'art. 30, comma 2, che, in caso di modifiche degli importi relativi al finanziamento del SSN, la stessa Intesa sul Patto per la Salute deve essere oggetto di revisione (11)   E' quindi dirimente considerare che, per quanto riguarda l'ammontare del fabbisogno sanitario nazionale standard, il Patto per la Salute 2014-2016 aveva determinato il livello di finanziamento del SSN a cui concorre lo Stato come segue: 109.928.000.000 euro per il 2014; 112.062.000.000 euro per il 2015; 115.444.000.000 euro per il 2016.

La legge di stabilita' per il 2015 (legge n. 190/2014) aveva confermato il livello di finanziamento per il biennio 2015-2016 nei suddetti termini: 112.062.000.000 euro per il 2015; 115.444.000.000 euro per il 2016.

Contestualmente, la legge di stabilita' per il 2015 aveva anche stabilito che l'ammontare delle risorse destinate alla sanita' potesse essere rideterminato in base al contributo aggiuntivo che le Regioni devono assicurare alla finanza pubblica per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018. La stessa legge di stabilita' per il 2015 aveva, inoltre, previsto che gli ambiti di spesa da cui attingere le risorse necessarie all'ammontare del contributo aggiuntivo avrebbero dovuto essere individuati entro il 31 gennaio 2015 con una intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. L'Intesa, poi sancita il 26 febbraio 2015, ha previsto, con riferimento alla quota di pertinenza delle Regioni a statuto ordinario, una riduzione delle risorse destinate al SSN per circa 2.000 milioni di euro (12) ma solo in relazione all'anno 2015, per cui il finanziamento avrebbe dovuto assestarsi per il 2016 in 113.097 milioni di euro.

L'art. 1, comma 568, che qui si impugna, anche richiamando disposizioni che la regione Veneto ha impugnato con i ricorsi reg. ric. n. 31/2015 e n. 95/2015, riduce pertanto in via (13) in contrasto con quanto stabilito dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte costituzionale sul carattere necessariamente transitorio delle nonne che impongono obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica: ex plurimis le sentenze nn. 79 del 2014, 193 del 2012, 148 del 2012, 232 del 2011 e 326 del 2010) e senza che sia intervenuta l'intesa prescritta dall'art. 30, comma 2, del Patto per la Salute 2014-2016 il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato, peraltro con un taglio meramente lineare e senza alcuna considerazione ne' dei costi standard di cui agli articoli da 25 a 32 del decreto legislativo n. 68 del 2011, ne' dei livelli di spesa di Regioni virtuose che hanno gia' raggiunto elevati livelli di efficienza nella gestione della sanita'.

In questi termini, la norma, per nulla assistita da un'adeguata istruttoria sulla sostenibilita' del definanziamento, anzi determinando assurdamente una contrazione delle risorse a fronte di un aumento delle prestazioni da erogare (i nuovi LEA: si veda il punto precedente del ricorso), riduce sia in termini assoluti, sia rispetto al tendenziale di crescita il previsto livello di finanziamento della principale competenza attribuita alle Regioni, determinando sia una ingente compromissione dell'autonomia regionale sia la compromissione di quell'inviolabile diritto alla salute (degradato quindi sullo stesso piano di altri interessi) che la spesa sanitaria regionale e' diretta a tutelare.

La norma, peraltro, e' anche destinata ad incidere in modo permanente e indiscriminato non solo sulle realta' inefficienti, dove puo' ritenersi esista ancora una possibilita' di razionalizzazione, ma anche su quelle realta' efficienti, dove minimo e' il livello di spreco e quindi estremamente complessa la possibilita' di una ulteriore razionalizzazione della spesa senza mettere a repentaglio la garanzia del diritto alla salute.

Al riguardo, come affermato da Codesta Ecc.ma Corte nella sent. n. 10/2016, non resta che ricordare che: «in assenza di adeguate finti di finanziamento a cui attingere per soddisfare i bisogni della collettivita' di riferimento in un quadro organico e complessivo, e' arduo rispondere alla primaria e fondamentale esigenza di preordinare, organizzare e qualificare la gestione dei servizi a rilevanza sociale da rendere alle popolazioni interessate. In detto contesto, la quantificazione delle risorse in modo funzionale e proporzionato alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente diventa fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell'amministrazione, cui lo stesso legislatore si deve attenere puntualmente».

Altrimenti l'art. 3 della Costituzione risulta anche «violato sotto il principio dell'eguaglianza sostanziale a causa dell'evidente pregiudizio al godimento dei diritti conseguente al mancato finanziamento dei relativi servizi. Tale profilo di garanzia presenta un carattere fondante nella tavola dei valori costituzionali» (sent. n. 10/2016).

Per quanto detto, si realizza una arbitraria violazione, per irragionevolezza e difetto di proporzionalita', degli articoli 3, 32 e 97 Cost., che ridonda in una violazione delle competenze regionali, anche autonomamente considerate, di cui agli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli arti. 5 e 120 Cost.

Ma non solo.

La norma, determinando uno scollamento tra un livello di finanziamento che viene pesantemente ridotto e la necessita' di garantire i livelli essenziali, la cui quantificazione e' peraltro avvenuta, come evidenziato nel punto precedente del presente ricorso, in modo decisamente inadeguato e senza risorse aggiuntive, si pone altresi' in contrasto, con ricaduta sulla autonomia costituzionalmente garantita alla Regione, con quanto stabilisce l'art. 5, comma 1, lett. g), della legge cost. n. I del 2012 e l'art 11 della legge n. 243 del 2012 sulla necessita' del concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti sociali nelle fasi avverse del ciclo economico.

Se infatti esistono fasi avverse del ciclo economico che impongono una restrizione del livello del finanziamento del SSN cui concorre lo Stato (in ogni caso illegittima anche perche' non proporzionata e comunque avvenuta senza la prescritta intesa), e' altrettanto evidente che nel contempo si imporrebbe perlomeno l'attivazione del meccanismo previsto dalle suddette disposizioni.

Va aggiunto, infine, a ulteriore dimostrazione della violazione del principio di leale collaborazione e del difetto di istruttoria, che nessun coinvolgimento e' avvenuto della (pur istituita: la prima convocazione e' avvenuta il 10 ottobre 2013) Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, il cui coinvolgimento nella defmizione della manovre di finanza pubblica e' invece imposto dall'art. 5, comma 1, della legge n. 42 del 2009 (che attua il precetto costituzionale di leale collaborazione): «a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento; «e poi ribadito dall'art. 33 del decreto legislativo n. 68 del 2011 che la definisce quale «organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato».

9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 574, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione.

Il comma 574 modifica l'art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, fra l'altro disponendo alla lett. b), che: «(...) A decorrere dall'anno 2016, in considerazione del processo di riorganizzazione del settore ospedaliero privato accreditato in attuazione di quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70, al fine di valorizzare il ruolo dell'alta specialita' all'interno del territorio nazionale, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono programmare l'acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialita', nonche' di prestazioni erogate da parte degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a favore di cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilita' interregionale di cui all'art. 9 del Patto per la salute sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano con intesa del 10 luglio 2014 (atto rep. 82/CSR), e negli accordi bilaterali fra le regioni per il governo della mobilita' sanitaria interregionale, di cui all'art. 19 del Patto per la salute sancito con intesa del 3 dicembre 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 5 gennaio 2010, in deroga ai limiti previsti dal primo periodo».

In tal modo, la disposizione impugnata interviene nella disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), introducendo una irragionevole disparita' di trattamento tra IRCCS privati e IRCCS pubblici, a pregiudizio di questi ultimi.

In via generale, la capacita' operativa degli IRCCS pubblici e', infatti, limitata dalle numerose disposizioni di spending review statale che contingentano la spesa di tali istituti, imponendo ad essi di fatto un limite alla loro capacita' operativa. Tra queste misure e' sufficiente ricordare le disposizioni sul contenimento della spesa farmaceutica, che, fin dal 2002, hanno introdotto al riguardo tetti di spesa, sotto forma di percentuale sul finanziamento complessivo, sia per la spesa farmaceutica territoriale, in tutte le sue forme (convenzionata, diretta e per conto), sia per quella ospedaliera. Segnatamente, l'art. 15 del decreto-legge n. 95/2012 ha fissato tali percentuali rispettivamente al 13,1% e al 2,4% per il 2012 e all' 11,35% e al 3,5% a partire dal 2013. Ulteriori e notevoli vincoli statali per le strutture pubbliche sussistono, poi, in materia di costo del personale: l'art. 15, comma 21, del decreto-legge citato, infatti, prevede il rispetto di stringenti tetti di spesa per i[ personale. Inoltre, sussistono altrettanto gravosi limiti al turn over anche degli enti di ricerca (in tema si veda l'art. 3, comma 2, decreto-legge n. 90/2014).

L'insieme di queste misure di spending review che condiziona gli IRCCS pubblici, invece, non si applica in alcun modo, data la natura non pubblica, agli IRCCS privati, che mantengono una piena liberta' di spesa e organizzativa stante la loro natura privatistica.

Gli unici vincoli per gli IRCCS privati sono, invece, costituiti dai «tetti di spesa» derivanti dalla contrattazione con le Regioni e dalla misura di spending review che era stata introdotta dall'art. 15, comma 14, del decreto-legge n. 95/2012, il quale prevedeva che: «A tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell'esercizio 2012, ai sensi dell'art. 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l'assistenza specialistica ambulatoriale e per l'assistenza ospedaliera, si applica una riduzione dell'importo e dei corrispondenti volumi d'acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua, rispetto alla spesa consuntivata per l'anno 2011, dello 0,5 per cento per l'anno 2012, dell'1 per cento per l'anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall'anno 2014. (...)».

La norma in questione, dunque, stabiliva una riduzione della spesa annua per l'acquisto di prestazioni da soggetti privati accreditati, che, a decorrere dal 2014, sarebbe dovuta essere pari al 2% rispetto alla spesa consuntiva. Tale riduzione, pero', viene derogata a partire dal 2016 ad opera del comma 574, qui impugnato, che dispone il superamento del precedente tetto di spesa ammettendo l'acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialita', nonche' di prestazioni erogate da parte degli IRCCS a favore di cittadini residenti in Regioni diverse da quelle di appartenenza «in deroga ai limiti previsti dal primo periodo», ovvero in deroga ai limiti posti dall'art. 15, comma 14, primo periodo, del decreto-legge n. 95/2012.

Tale modifica, dunque, se prima facie appare applicabile genericamente a tutto il sistema degli IRCCS sia pubblici che privati, in realta', mentre mantiene intatte le limitazioni alla spesa degli IRCCS pubblici prima ricordate, deroga all'unico limite di spesa imposto dallo Stato a quelli privati. In questo modo, la nonna impugnata determina una disparita' di trattamento tra situazioni ragionevolmente uguali e dirotta di fatto sugli IRCCS privati - maggiormente abilitati ad intercettarla in forza della rimozione del limite - la mobilita' interregionale, alla quale si applicano i nuovi vincoli stabiliti dai previsti dall'art. 1, commi 575 e 576, della legge qui impugnata.

In questi termini, si determina il contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione con una violazione che ricade sulle competenze regionali in materia di organizzazione e programmazione sanitaria, anche direttamente considerate, di cui agli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione.

10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 680, 681 e 682, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118, 119 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli articoli 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013.

Le disposizioni di cui ai commi 680, 681 e 682 determinano le modalita' e l'entita' del concorso alla finanza pubblica delle Regioni e delle Province autonome per gli anni dal 2016 al 2019.

Piu' precisamente, il comma 680 stabilisce la misura del contributo alla finanza pubblica delle Regioni e delle Province autonome in 3.980 milioni di euro per l'anno 2017 e in 5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019. Rimette all'auto coordinamento regionale la facolta' di individuare gli ambiti di spesa da tagliare e i relativi importi, nel rispetto dei LEA, per poi stabilire che l'accordo cosi' raggiunto sia recepito con intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni entro il 31 gennaio di ciascun anno. In caso di mancata intesa, si stabilisce che provveda il Governo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, da adottarsi entro venti giorni dalla scadenza dei termini per l'intesa, assegnando i tagli alle singole Regioni «tenendo anche conto della popolazione residente e del PIL». Inoltre, in tal caso dovranno essere rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti di spesa individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato, considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del SSN.

Il comma 681 estende anche al 2019 il contributo delle Regioni a statuto ordinario gia' previsto dall'art. 46, comma 6, del decreto-legge n. 66/2014. E' appena il caso di precisare che tale contributo, stabilito inizialmente in 750 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, e' stato esteso anche al 2018 ed incrementato di 3,452 milioni di euro dalla legge di stabilita' per il 2015 (cfr. art. 1, comma 398, della legge n. 190/2014).

Il comma 682, sempre in relazione al contributo alla finanza pubblica richiesto alle Regioni ordinarie dall'art. 46, comma 6, del decreto-legge n. 66/2014 (cosi' come modificato dal comma 681 che qui si impugna), stabilisce che per il 2016 le modalita' di realizzazione del contributo dovranno essere concordate in sede di Conferenza Stato-Regioni entro il 31 gennaio 2016. Anche in questa ipotesi, in caso di mancata intesa troveranno applicazione le disposizioni contenute nel secondo periodo del citato art. 46, comma 6, decreto-legge n. 66/2014, vale a dire che gli importi attribuiti alle singole Regioni e gli ambiti di spesa dovranno essere determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi entro venti giorni dalla scadenza dei termini dell'intesa, tenendo anche conto del PIL e della popolazione residente. Con il medesimo d.P.C.M. dovranno inoltre essere rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti di spesa individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. Per gli anni 2017 e 2018, invece, la norma censurata precisa che si procedera' come stabilito al comma 680. Lo stesso comma 682 specifica inoltre che, ai fini della definizione delle modalita' di realizzazione del risparmio, alla cifra complessiva di 4.202 milioni di euro va sottratta la cifra corrispondente al risparmio realizzato in modo permanente con il taglio per 200 milioni di euro del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, attuato dagli articoli da 9-bis a 9-septies del decreto-legge n. 78/2015.

Le suddette disposizioni, in questi termini rappresentano il caotico precipitato di diverse manovre di taglio lineare alla spesa regionale che sono gia' state impugnate dell'odierna ricorrente avanti a Questa Ecc.ma Corte con i ricorsi reg. fic. n. 63 del 2014, n. 31 del 2015 e n. 95 del 2015 (rispettivamente relativi a: articoli 8, commi 4, 6, 10, e 46, comma 6, del decreto-legge n. 66/2014; art. 1, commi 398, lett. a), b) e c), 414 e 556, della legge n. 190/2014; articoli 9-bis, 9-ter, 9- quater e 9-septies, decreto-legge n. 78/2015).

Esse risultano viziate per i motivi che di seguito si espongono:   i) L'eccessiva misura e mancanza di proporzionalita' del taglio disposto, al punto di costringere materialmente le Regni a estendere, in sede di auto coordinamento, i tagli anche alla spesa sanitaria, dal momento che l'entita' degli stessi non trova ormai - paradossalmente - capienza all'interno dell'ammontare della spesa primaria (extra sanitaria) per beni e servizi disponibile delle Regioni. Tale mancanza di proporzionalita' era stata gia' peraltro sottolineata, ben prima che si susseguissero le altre, ulteriori, manovre, dalla Corte dei Conti nella delibera del 29 dicembre 2014, «Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali», chiaramente rimarcando come al compatto degli enti territoriali sia stato richiesto «uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entita' delle loro risorse», in base a scelte andate «a vantaggio degli altri comparti che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche» e auspicando (ma evidentemente non e' avvenuto) che «futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonche' delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali».

ii) Il carattere meramente lineare dei tagli che vengono imposti alla spesa regionale, con una indebita interferenza in ambiti inerenti a fondamentali diritti civili e soprattutto sociali (date le competenze, in materia di sanita' e di assistenza sociale, costituzionalmente assegnate alle Regioni), dove lo Stato dovrebbe, invece, esplicare la propria fondamentale funzione di coordinamento attraverso la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che invece in relazione ai cd. LIVEAS non e' mai avvenuta.

iii) Il difetto di istruttoria, dal momento che nessuna verifica di sostenibilita' dei tagli e' stata effettuata a livello centrale, con l'effetto di compromettere l'erogazione dei servizi soprattutto in quelle realta' regionali che hanno adottato da tempo misure di contenimento della spesa riducendola a livelli difficilmente comprimibili ulteriormente senza arrecare un vulnus al sistema dei servizi sociali.

iv) La totale mancanza, nei criteri di riparto del taglio sulla spesa sanitaria, ad ogni riferimento ai costi standard, tanto piu' grave quanto si consideri che per il riparto del Fondo sanitario nazionale, il decreto legislativo n. 68 del 2011, agli articoli da 25 a 32, impone l'espresso riferimento ai costi e ai fabbisogni standard regionali.

v) Lo scollamento che si realizza tra un livello di finanziamento del fondo sanitario che viene pesantemente ridotto e una determinazione dei livelli essenziali che e' stata rivista da parte dello Stato solo inserendo nuovi LEA, peraltro evidentemente sottostimati (si veda il p.to 6 del presente ricorso).

vi) L'elusione di quanto ripetutamente disposto da Codesta Ecc,ma Corte fin dalla sentenza n. 193 del 2012 sulla illegittimita', per violazione dell'art. 119 Cost., di «misure restrittive in riferimento alle Regioni ordinarie, alle Province ed ai Comuni senza indicare un termine finale di operativita' delle misure stesse», in quanto possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)». La sentenza aveva quindi fissato in un triennio il limite temporale massimo delle manovre di contenimento della spesa pubblica a carico delle Regioni. E' evidente che risulti del tutto elusiva di questa giurisprudenza la tecnica normativa adottata dal legislatore statale consistente nel fissare un termine triennale ai tagli, estendendolo poi, di anno in anno, con successivi interventi normativi: tale tecnica, infatti, rende tamquan non esset quel limite temporale che costituisce la condizione di legittimita' costituzionale dell'intervento statale di coordinamento della finanza pubblica. Nel caso di specie, quindi, le nonne impugnate si concretizzano: i) in un catalogo di tagli meramente lineari senza che sia definito alcun criterio effettivo di sostanziale riforma; ii) in misure che di fatto assumono un carattere sostanzialmente permanente.

vii) L'arbitrarieta' e irragionevolezza della previsione, in caso di mancata intesa entro il 31 gennaio, che i tagli vengano ripartiti dal Governo tenendo «conto della popolazione residente e del PIL» regionale, Tale previsione, infatti, indebolisce, in sede di auto coordinamento, la posizione «contrattuale» delle Regioni con un PIL piu' elevato rispetto alle altre Regioni, La norma, peraltro, non precisa in che misura verra' considerato, ai fini del riparto, il criterio del PIL, e non esclude che possa essere utilizzato dal Governo come criterio decisamente prevalente. Le Regioni con un PIL piu' elevato quindi, risultando esposte al rischio di dover accettare, in caso di mancata intesa, un maggiore impatto del taglio, si vedono indebolite rispetto alla possibilita' di contrastare le pretese avanzate dalle Regioni con un PIL meno elevato, che potranno imporre criteri di riparto del taglio a loro favorevoli. Tuttavia le Regioni con un PIL piu' elevato risultano essere quelle piu' efficienti sul lato della spesa pubblica, come emerge dalla scelta effettuata dal Ministero della Salute delle cinque regioni benchmarck al fine dell'applicazione dei costi standard nella sanita', ai sensi dell'art. 27 del decreto legislativo n. 68/2011, identificate, per l'anno 2014, nelle regioni Veneto, Emilia Romagna, Lombardia, Marche e Umbria (14) .Da questo punto di vista, l'utilizzo del criterio del PIL come parametro alternativo cui rapportare il taglio in caso di mancata intesa risulta del tutto irragionevole e lesivo del principio di proporzionalita'. Esso infatti non si dimostra congruo rispetto ai test di connessione razionale e di necessita': una semplice valutazione sul rapporto mezzi-fini e sul ricorso al mezzo meno restrittivo dimostra come sia stata, con tutta evidenza, travalicata la logica costituzionale che dovrebbe presiedere alla funzione statale di coordinamento della spesa pubblica, dovendo la stessa essere diretta a contenere innanzitutto la spesa inefficiente (la c.d. spesa cattiva) prima che la e.d. spesa buona (che finanzia i servizi ed e' funzionale alla garanzia dei diritti). Lo stesso PIL regionale, inoltre, non si traduce affatto in una isponibilita' di risorse a livello regionale, dai momento che alle Regioni vengono assegnate: i) solo una quota delle compartecipazioni ai tributi erariali riscossi sul territorio (si pensi ad esempio all'IVA, che peraltro ha una distribuzione regionale abbastanza uniforme su tutto il territorio nazionale); ii) tributi propri (che nel loro insieme costituiscono una parte senz'altro inferiore e marginale rispetto alle prime); iii) quote del Fondo perequativo per le realta' con minore capacita' fiscale. In questi termini non e' per nulla dimostrato che una Regione «povera» in termini di PIL disponga di risorse inferiori, a parita' di sforzo fiscale, di altre Regioni piu' ricche in termini di PIL (stante appunto la configurazione del sistema di finanza decentrata e l'effetto perequativo ordinario). Anzi, dai dati che emergono dal rapporto annuale della Ragioneria Generale dello Stato del 2015 sulla spesa statale regionalizzata risulta l'esatto contrario, dal momento che le cinque Regioni in cui la spesa finale e' stata inferiore sono esattamente le cinque Regioni assunte come benchmark per l'efficienza della spesa sanitaria! In Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Umbria la spesa finale per abitante e' stata pari rispettivamente a euro 2.478, 2.960, 2.974, 3.041, 3.214; invece, ad esempio nelle regioni Calabria, Campania, Abruzzo (in cui si registra un PIL inferiore alle cinque prima citate) e' stata invece pari rispettivamente a euro 4.132, 3.863, 4.920. Infine, quello del PIL regionale e' un criterio profondamente diverso da quello della capacita' fiscale previsto come unico criterio perequativo ordinario tra le autonomie territoriali ai sensi del terzo comma dell'art. 119 Cost. e che consiste nel gettito standardizzato dei tributi di competenza regionale. Pertanto, il criterio che stabilisce un maggiore impatto del taglio sulle Regioni con un PIL piu' elevato non appare conforme al dettato costituzionale anche sotto un altro punto di vista: esso introduce una misura di perequazione implicita (dal momento che il taglio si concretizza in una riduzione dei trasferimenti statali) in alcun modo riconducibile, come ha affermato Codesta Ecc.ma Corte nella sentenza n. 79/2014, all'art. 119, III e V comma, Cost. Infatti prescindendo dall'unico criterio consentito (quello della capacita' fiscale), si realizza, in tal modo, un indebito incameramento di risorse spettanti agli enti territoriali, che vengono genericamente assunte nel bilancio dello Stato e non destinate a quell'unica forma di perequazione consentita dal V comma dell'art. 119 Cost., ovvero: i) inerente a risorse aggiuntive, ii) in relazione a determinate Regioni;   viii) La mancata attuazione del disposto dell'art. 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) e dell'art. 11 della legge n. 243 del 2013 (Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali), dal momento che non risulta sia stato mai istituito nello stato di previsione del Ministero dell'Economia e delle Finanze il previsto Fondo straordinario per il concorso dello Stato, nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali, al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. Di qui il contrasto, anche a prescindere dalle procedure applicative dell'art. 11 citato, della disposizione impugnata con i presupposti minimi che la dinamica dell'equilibrio di bilancio deve in ogni caso considerare, con evidente ricaduta sulla autonomia costituzionalmente riconosciuta alle Regioni.

Stante quanto esposto, risulta evidente che le disposizioni impugnate travalicano la funzione del «coordinamento» della finanza pubblica e si concretizzano in misure di indiscriminato «contenimento», cosi' risultando pero' prive degli indispensabili elementi di razionalita', proporzionalita', efficacia e sostenibilita' che dovrebbero quantomeno informare la funzione di coordinamento della finanza pubblica.

Inoltre, data l'entita' dei tagli attuati dal Governo sulla spesa regionale, assume rilevo, nella valutazione della legittimita' costituzionale dei commi qui impugnati, quanto affermato da Questa Ecc.ma Corte nella sentenza n. 188/2015: «Le possibilita' di ridimensionamento incontrano tuttavia dei limiti. Vale in proposito il costante orientamento di questa Corte, secondo cui «possono aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni di risorse per la Regione ..., purche' non tali da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni. Cio' vale tanto piu' in presenza di un sistema di finanziamento [che dovrebbe essere] coordinato con il riparto delle funzioni, cosi' da fiar corrispondere il piu' possibile [...] esercizio di funzioni e relativi oneri finanziari da un lato, disponibilita' di risorse [...] dall'altro» (sentenza n. 138 del 1999 e, piu' di recente, sentenza n. 241 del 2012). ... Una dotazione finanziaria cosi' radicalmente ridotta, non accompagnata da proposte di riorganizzazione dei servizi o da eventuale riallocazione delle funzioni a suo tempo trasferite, comporta dunque una lesione del principio in considerazione. Cio' proprio in ragione del fatto che a determinarla non e' la riduzione delle risorse in se', bensi' la sua irragionevole percentuale, in assenza di correlate misure che ne possano giustificare il dimensionamento attraverso il recupero di efficienza o una riallocazione di parte delle funzioni a suo tempo conferite» (cfr., inoltre, sent. n. 10/2016).

Di qui l'evidente contrasto delle norme impugnate con gli articoli 3, 32, 97 Cost., che ridonda in una violazione delle competenze regionali indebitamente compresse di cui agli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, anche autonomamente considerati, del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost., nonche' del disposto di cui articoli 5, comma 1, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013.

Va aggiunto, infine, anche in questo caso a ulteriore dimostrazione della violazione del principio di leale collaborazione e del difetto di istruttoria, che nessun coinvolgimento e' avvenuto della (pur istituita: la prima convocazione e' avvenuta il 10 ottobre 2013) Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, il cui coinvolgimento nella definizione della manovre di finanza pubblica e' imposto dall'art. 5, comma 1, della legge n. 42 del 2009 (in attuazione del principio costituzionale di leale collaborazione): «a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento;» e poi ribadito, dall'art. 33 del decreto legislativo n. 68 del 2011 che la definisce quale «organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato».

11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 754, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

Il comma 754 attribuisce un contributo a favore di Province e Citta' metropolitane delle Regioni a statuto ordinario «finalizzato al finanziamento delle spese connesse alle finzioni relative alla viabilita' e all'edilizia scolastica.»   L'importo complessivo di tale contributo e' pari a 495 milioni di euro per l'anno 2016, 470 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 e 400 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021.

Il contributo e' cosi' ripartito: a favore delle Province, 245 milioni di euro per l'anno 2016, 220 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 e 150 milioni di curo annui a decorrere dall'anno 2021. A favore delle Citta' metropolitane, sono invece destinati 250 milioni di curo a decorrere dal 2016.

Per il riparto del contributo tra gli enti, la nonna rinvia ad un decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro delegato per gli affari regionali, da adottarsi entro il 28 febbraio 2016, sentita la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, che dovra' anche tenere conto degli impegni relativi alle voci di spesa connesse alle funzioni di viabilita' ed edilizia scolastica, come desunti dagli ultimi tre rendiconti disponibili.

Sebbene la diposizione stanzi risorse in un settore effettivamente in grave sofferenza e nel quale e' senz'altro necessario intervenire prontamente, essa si presenta tuttavia viziata sotto diversi profili, che ne inficiano anche la stessa efficacia.

L'edilizia scolastica, infatti, rientra per espressa ammissione di Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, nella competenza concorrente (sent. n. 62 del 2013) in virtu' dell'intersecarsi in tale ambito di diverse competenze, come il «governo del territorio», la «protezione civile», l'istruzione», ecc.

Difatti, la legislazione nazionale riconosce alle Regioni una esplicita competenza programmatoria e di coordinamento con l'art. 4, comma 1-ter, della legge n. 23 del 1996 (Norme per l'edilizia scolastica) (15)   Anche l'art. 10, del decreto-legge n. 104 del 2013 (Mutui per l'edilizia scolastica e per l'edilizia residenziale universitaria e detrazioni fiscali), piu' recentemente ha confermato la necessita' dell'intervento delle Regioni in materia di edilizia scolastica, prevedendo la necessita' di un'intesa in sede di Conferenza unificata.

La disposizione censurata, con riferimento alle modalita' di ripartizione delle risorse de quibus, prescinde, invece, totalmente dal coinvolgimento delle Regioni, dal momento che prevede che sia solo «sentita la conferenza Stato-citta' e autonomie locali», quando invece la potesta' programmatoria riconosciuta in materia alle Regioni imponeva la previsione di un'intesa in sede di Conferenza unificata (cfr. senta n. 62 del 2013 dove Codesta Ecc.ma Corte afferma che: «Deve, inoltre, sottolinearsi che l'art. 53, comma 1, prevede, ai fini dell'approvazione del piano di edilizia scolastica da parte del CIPE, il massimo coinvolgimento delle Regioni mediante il meccanismo dell'intesa. Gli interessi regionali, dunque, trovano adeguata tutela»).

Ne' vale obiettare che l'art. 1, comma 85, della legge n. 56/2014 elenca, tra le funzioni fondamentali delle Province (e di conseguenza delle Citta'; Metropolitane in forza del rimando di cui al comma 44 dell'art. 1 della legge n. 56 del 2014) la «gestione dell'edilizia scolastica», facendo, pertanto, venir meno qualsiasi riferimento alle scuole secondarie superiori prima stabilito dall'art. 3, comma 1, lett. b), della citata legge n. 23/1996 (16)   E' infatti chiaro che la suddetta novella non ha affatto attribuito alla sola competenza delle Province tutta la materia dell'edilizia scolastica. Difatti, come concludono anche ANCI e UPI nel documento predisposto il 3 luglio 2014 (17) e come viene peraltro messo in luce dal Dossier legge di stabilita' 2016 redatto a cura del Servizio studi di Camera e Senato (18) , da una lettura sistematica delle disposizioni sulle funzioni fondamentali dei Comuni e delle Province, si evince che restano in capo alle Province (solo) le competenze in materia di gestione dell'edilizia scolastica delle scuole secondarie di secondo grado.

Delineato in questi termini il quadro competenziale in materia di edilizia scolastica, appare evidente che la norma impugnata prescinde in modo del tutto irragionevole dalle competenze regionali in materia di programmazione e coordinamento dell'edilizia scolastica, che sole potrebbero permettere una - gestione - dei fondi organica e funzionale alle effettive e complessive esigenze dell'intero territorio regionale, configurando, conseguentemente, una lesione degli articoli 3, 97 117, III e IV comma, 118 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

Ma vi e' di piu'.

La norma impugnata, infatti, stabilendo un vincolo di destinazione «al finanziamento delle spese connesse alle funzioni relative alla viabilita' e all'edilizia scolastica», si pone - secondo la costante giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte (sentenze n. 79 del 2014, n. 273, n. 254 e n. 46 del 2013, n. 176 e n. 71 del 2012), ribadita anche di recente nella sent. n. 189/2015 - in violazione dell'art. 119 della Cost., dal momento che il contributo: i) finanzia il normale esercizio delle funzioni; ii) si rivolge indistintamente a tutte le Province e Citta' metropolitane.

La circostanza rende ancora piu' evidente l'illegittimita' costituzionale derivante dal mancato coinvolgimento delle Regioni, dal momento che, stante l'indubbio intreccio di competenze, solo la previsione di un'intesa nell'ambito della Conferenza unificata varrebbe a rendere costituzionalmente legittimo, in virtu' del processo di concertazione e condivisione, il contributo a destinazione vincolata (in tal senso, sentt. nn. 16 del 2010, 79 del 2011, 201 del 2007, 219 del 2005 e 50 del 2005).

Peraltro Codesta Ecc.ma Corte «ha dichiarato costituzionalmente illegittime norme che disciplinavano i criteri e le modalita' ai fini del riparto o della riduzione di fondi e trasferimenti destinati ad enti territoriali, nella misura in cui, rinviando a fonti secondarie di attuazione, non prevedevano «a monte» lo strumento dell'intesa con la Conferenza unificata non solo in caso di intreccio di materie, riconducibili alla potesta' legislativa statale e regionale (ex plurimis, sentenza n. 168 del 2008), ma anche in caso di potesta' legislativa regionale residuale (ex plurimis, sentenze n. 27 del 2010; nonche', in specifico riferimento al trasporto pubblico locale, n. 222 del 2005), affermando costantemente la necessita' dell'intesa (tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013)» (sent. n. 273 del 2013).

Per le ragioni suesposte, la disposizione di cui al comma 754 si pone in contrasto con gli articoli 3, 97, la cui lesione ridonda nella violazione delle competenze regionali di cui agli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 Cost., anche autonomamente considerati, nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.

(1) Cfr. Relazione tecnica alla legge di stabilita' 2016 - legge 28 dicembre 2015, n. 208, scaricabile al seguente link: http://www.rgs.mef.gov.it/Documenti/VERSIONE-I/Attiviti/Bilancio_ di_previsione/Legge_di_stabilit/2016/RT_definitiva AS_2111-B_Legge_di stabilita_2016.pdf., pag. 66

(2) Art. 57, comma 1, legge n. 221 del 28 dicembre 2015: «Al fine di semplificare le procedure relative ai siti di importanza comunitaria, come definiti dall'art. 2, comma 1, lettera m), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, fatta salva la facolta' delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano di riservarsi, con apposita norma, la competenza esclusiva, sono effettuate dai comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, nel cui territorio ricade internamente il sito, le valutazioni di incidenza dei seguenti interventi minori: manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, anche con incrementi volumetrici o di superfici coperte inferiori al 20 per cento delle volumetrie o delle superfici coperte esistenti; opere di sistemazione esterne, realizzazione di pertinenze e volumi tecnici. L'autorita' competente al rilascio dell'approvazione definitiva degli interventi di cui al presente comma provvede entro il termine di sessanta giorni».

(3) Emerge, infatti, dalla nota metodologica del Ministero della Salute del 21 giugno 2013, applicativa della delibera del Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2012, recante «Definizione dei criteri di qualita' dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza per la scelta delle regioni di riferimento ai fini della determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 135 dell'11 giugno 2013, che le Regioni benchmarck sono state identificate nelle regioni Veneto, Emilia Romagna, Lombardia, Marche e Umbria.

(4) Patto della salute 2014 - 2016, art. 10, comma 7: «Con il decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato Regioni, da adottarsi entro il 31 dicembre 2014, si provvede all'aggiornamento del decreto del 12 dicembre 2001, di cui all'art. 9, comma 1 del decreto legislativo n. 56/2000 e all'approvazione della metodologia di monitoraggio del sistema di garanzia per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria».

(5) Cfr. audizione del Ministro Lorenzin in 12a Commissione al Senato del 2 ottobre 2015 (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame jsp?tipodoc=SommComm&leg= I 7&id=94043 3).

(6) Cosi Relazione tecnica allo Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante Nuova definizione dei divelli essenziali di assistenza sanitaria, 2 febbraio 2015, p. 16. Il documento e' scaricabile al seguente link: http://www.osservatorioaic.it/1-abbandono-deilea-alle-regioni-pma -e-ivg-084.html.

(7) Si veda il decreto dell'Assessore per la Salute della Regione siciliana del 15 aprile 2015, recante «Modifiche ed integrazioni del decreto 28 gennaio 2015 concernente tariffe per le prestazioni di fecondazione eterologa e relative quote di compartecipazione» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, parte 1, n. 18 del 30 aprile 2015), reperibile al seguente link: http://www.gurs.regione.sicilia.it/Gazzette/g15-18/g15-18.pdf L'art. 1 del decreto stabilisce infatti: «Per quanto indicato in premessa, che qui si intende integralmente riportato, si dispone la ripartizione della somma di € 3.800.000,00, nella misura sotto riportata, alle aziende sanitarie provinciali di Palermo, Catania, Caltanissetta e Messina, da destinare al pagamento delle prestazioni rese dai centri di PMA pubblici e provati accreditati dal network regionale per le tecniche omologhe (D.A. n. 2283 del 26 ottobre 2012) ed eterologhe (D.A. n. 2227 de129 dicembre 2014 e D.A. n, 109 del 28 gennaio 2015), ricadenti nel bacino di propria competenza, come in premessa individuati, il cui utilizzo dovra' essere rendicontato dalle stesse aziende mediante idonea documentazione contabile e certificazione medica attestante l'avvenuta prestazione (..)».

(8) L'art. 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 prevede che la legge di cui all'art. 81, sesto comma, della Costituzione disciplini: «g) le modalita' attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi degli eventi eccezionali di cui alla lettera d) del presente comma, anche in deroga all'art. 119 della Costituzione, concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali».

(9) L'art. 11 della legge n. 243 del 2013, in vigore dal 30 gennaio 2013, specifica che: «1. E' istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il Fondo straordinario per il concorso dello Stato, nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali, al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, alimentato da quota parte delle risorse derivanti dal ricorso all'indebitamento consentito dalla correzione per gli effetti del ciclo economico del saldo del conto consolidato. L'ammontare della dotazione del Fondo di cui al presente comma e' determinato nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio, sulla base della stima degli effetti dell'andamento del ciclo economico, tenendo conto della quota di entrate proprie degli enti di cui all'art. 10, comma 1, influenzata dall'andamento del ciclo economico».

(10) La circostanza e' confermata da Camera dei deputati Senato della Repubblica, Dossier legge di stabilita' 2016, Schede di lettura, A.C. 3444, novembre 2015, p. 325 http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00950746.pdf).

(11) L'art. 1, del Patto per la Salute 2014-2016 (rubricato «Determinazione del fabbisogno del Servizio sanitario nazionale e dei fabbisogni regionali- costi standard e Livelli Essenziali di Assistenza») cosi dispone: «1. Al fine di garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2014-2016, il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato: e' confermato in 109.928.000.000 euro per l'anno 2014; e' fissato in 112.062.000,000 euro per l'anno 2015 e in 115.444.000.000 euro per l'anno 2016, salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico, nel qual caso si rimanda a quanto previsto all'art. 30 comma 2. (Omissis)». L'art. 30 del medesimo Patto (rubricato «Norme finali») dispone poi: «1. Il Governo, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, si impegnano ad adottare ogni necessario provvedimento normativo ed amministrativo, in attuazione della presente Intesa, anche a modifica o integrazione o abrogazione di norme. 2. In caso di modifiche normative sostanziali e/o degli importi di cui all'articolo 1, ove necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico, la presente Intesa dovra' essere altresi' oggetto di revisione» (evidenziato ns.).

(12) L'Intesa del 2 luglio 2015 ha poi individuato gli ambiti sui quali operare un efficientamento della spesa sanitaria.

(13) La circostanza e' confermata anche da Camera dei deputati - Senato della Repubblica, Dossier legge di stabilita' 2016, Schede di lettura, A.C. 3444, novembre 2015, p. 326. http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00950746.pdf).

(14) Cosi emerge dalla nota metodologica del Ministero della Salute del 21 giugno 2013, applicativa della delibera del Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2012, recante «Definizione dei criteri di qualita' dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza per la scelta delle regioni di riferimento ai fini della determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 135 dell'11 giugno 2013. Le prime tre Regioni hanno un PIL pro capite superiore a quello della media delle Regioni italiane e vengono quindi potenzialmente esposte, nonostante il riconoscimento governativo dell'efficienza della spesa, al rischio di subire in misura maggiore l'impatto del taglio disposto dal Governo. La stessa contraddizione emerge riguardo alla spesa extra sanitaria: il dato di una maggiore efficienza delle Regioni con un PIL piu' elevato e' confermato da molteplici indicatori, primo fra tutti quello inerente alla spesa per il personale i cui eccessi in alcune Regioni (nelle quali eppure si registra un PIL meno elevato) sono noti da tempo al Governo in forza delle pubblicazioni Copaff sui bilanci regionali riclassificati in base alla previsione di cui all'art. 19-bis, decreto-legge n. 135/2009: certamente le stesse Regioni sono le piu' virtuose in termini di contenimento della spesa per il personale

(15) Art. 4, comma 1-ter, legge n. 23/1996: «La programmazione dell'edilizia scolastica si realizza mediante piani generali triennali e piani annuali di attuazione predisposti e approvati dalle regioni sentiti gli uffici scolastici regionali, sulla base delle proposte formulate dagli enti territoriali competenti sentiti gli uffici scolastici provinciali, che all'uopo adottano le procedure consultive dei consigli scolastici distrettuali e provinciali». La stessa norma prevede peraltro, al successivo comma 9, un potere sostitutivo in capo alle Regioni qualora gli enti locali non provvedano agli adempimenti necessari a dare attuazione alla programmazione regionale.

(16) Art. 3, comma 1, lett. b), legge n. 23/1996: «(...) provvedono alla realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici: b) le province, per quelli da destinare a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, di conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori per le industrie artistiche, nonche' di convitti e di istituzioni educative statali.»

(17) ANCI-UPI, L'attuazione della legge 56/14: il riordino delle funzioni delle Province e delle Citta' metropolitane e l'accordo in conferenza unificata, Roma, 3 luglio 2014, p. 3, reperibile al seguente link: http://www.upinet.it/docs/contenuti/2014/07/Nota_UNITARIA%20A nci%20Upi_%20funzioni_luglio%202014.pdf

(18) Camera dei deputati - Senato della Repubblica, Dossier legge di stabilita' 2016, Schede di lettura, A.C. 3444, novembre 2015, p. 474 (htip://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00950746.pdf.

 

P. Q. M.

 

la Regione del Veneto chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2015 - Suppl. Ordinario n. 70:   articolo 1, comma 26, per violazione degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione;   articolo 1, comma 219, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   articolo 1, comma 228, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione;   articolo 1, comma 241, per violazione dell'art. 117, III e IV comma, e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   articolo 1, comma 363, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV, e 118 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   articolo 1, »commi 524, 525, 526, 527, 528, 529, 531, 532, 533, 534, 535 e 536, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118, 119 e 123 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;   articolo 1, commi 553 e 555, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost, nonche' degli articoli 5, comma 1, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013;   articolo 1, comma 568, per violazione degli articoli 3, 32, 97,117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli articoli 5, comma 1, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013;   articolo 1, comma 574, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione;   articolo 1, commi 680, 681 e 682, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli articoli 5, comma 1, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013.

articolo 1, comma 754, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del principio di leale collaborazione.

Avv. EzioZanon - Avv. Luca Antonini - Avv. Luigi Manzi