RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI N. 8 DEL 23 LUGLIO 2015 (REGIONE BASILICATA)

Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria il 23 luglio 2015.

(GU n. 39 del 30.9.2015)

 

La Regione Basilicata (C.F.: 80002950766), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore dott. Maurizio Marcello Claudio Pittella (C.F.: PTTMZM62H04E483Y), rappresentata e difesa, in virtu' di pedissequa procura speciale, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati Antonio Pasquale Golia (C.F.: GLONNP49R05L126W); Maurizio Roberto Brancati (C.F.: BRNMZR59R21G942B) e Anna Carmen Possidente (PSSNCR65H70G942T), elettivamente domiciliata con gli stessi in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza dell'Ente, alla via Nizza n. 56 (PEC: ufficio.legale@cert.regione.basilicata.it - fax: 06/84556307);   Contro:   la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore;   il Ministero dello sviluppo economico nella persona del Ministro in carica e legale rappresentante pro tempore;   Avverso il decreto 25 marzo 2015 del Ministero dello sviluppo economico avente ad oggetto «Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell'articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164».

Con decreto del 25 marzo 2015 del Ministero dello sviluppo economico, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 103 - del 6 maggio 2015, sono stati adottati gli aggiornamenti al disciplinare tipo di cui al precedente decreto 4 marzo 2011 in materia di concessioni minerarie (modalita' di conferimento dei titoli concessori unici, dei permessi di prospezione, di ricerca e delle concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, nonche' di esercizio delle attivita' nell'ambito degli stessi titoli minerari).

Cio' in attuazione del disposto dell'art. 38, comma 7 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, in materia di disciplina del conferimento dei titoli concessori unici, il quale sancisce: «Con disciplinare tipo, adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sono stabilite, entro centoottanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le modalita' di conferimento del titolo concessorio unico di cui al comma 5, nonche' le modalita' di esercizio delle relative attivita'».

Il Ministero, tuttavia, ha ritenuto di abrogare e sostituire interamente il disciplinare tipo approvato con decreto 4 marzo 2011, cosi' come espressamente dichiara ai commi 1 e 2 del suo art. 19 (rubricato «Disposizioni transitorie e finali»), dettando, conseguentemente, nuove regole sia riguardo ai titoli minerari vigenti che ai procedimenti in corso o attivati successivamente alla pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale.

Tale decisione e' foriera di ricadute che danno luogo ad una menomazione delle competenze proprie della Regione ricorrente.

L'essersi determinati per una disciplina interamente sostitutiva della precedente e ultra legem conduce il Ministero a distinguere sostanzialmente tre ipotesi di gestione delle attivita' di coltivazione mineraria:   1) quella di chi possiede un permesso di ricerca o una concessione di coltivazione, rilasciati dopo il 2006, che puo' chiedere ad esso Ministero che il suo vecchio titolo venga convertito nel nuovo «titolo concessorio unico»;   2) quella di chi non ha ancora un titolo, ma avviato un procedimento per il rilascio di un permesso o di una concessione, che puo' chiedere che il procedimento in corso si converta nel nuovo procedimento previsto dallo «Sblocca Italia» per il rilascio del «titolo concessorio unico»;   3) infine, quella di chi non ha alcun titolo e che puo' instare perche' gli venga rilasciato il «titolo concessorio unico».

Orbene, le opzioni sub 1 e 2, cosi' come previsto dalla norma di legge, andavano consumate entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge anche se la effettiva sostituzione dei vecchi titoli minerari viene procrastinata nel tempo alla materiale adozione di decreti direttoriali (art. 3, comma 14 e art. 16, comma 6 del decreto).

Riguardo alla ipotesi «3», quella del neo-concessionario, manca invece il necessario coordinamento della disciplina col piano delle aree che pur ne dovrebbe costituire il presupposto legittimante.

Il comma 1-bis dell'art. 38 del decreto-legge n. 133/2014 convertito, chiarisce che le (nuove) attivita' di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi potranno essere esercitate sulla base del nuovo «titolo concessorio unico» solo previa adozione di «un piano delle aree in cui sono consentite le attivita'».

Detto piano, in verita', non risulta ancora elaborato e pertanto il decreto illecitamente declina l'esercizio delle prerogative che la Regione Basilicata puo' far valere in sede di Conferenza unificata.

Dispone, infatti, il precitato comma 1-bis, come modificato dal comma 554 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilita' 2015): «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di cui al comma 1. Il piano, per le attivita' sulla terraferma, e' adottato previa intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239. Nelle more dell'adozione del piano i titoli abilitativi di cui al comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente disposizione».

Il decreto de quo, quindi, finisce per vanificare l'obiettivo fissato dal legislatore: si autorizza la presentazione di richieste di rilascio del nuovo «titolo concessorio unico» in assenza del programma di razionalizzazione delle (nuove) attivita' petrolifere di cui al predetto piano.

Ma v'e' di piu'.

Le lettere a) e b) dell'art. 38, comma 6, dello «Sblocca Italia» stabiliscono che il «titolo concessorio unico» sia accordato:   a) a seguito di un procedimento unico svolto nel termine di 180 giorni tramite apposita conferenza di servizi, nel cui ambito e' svolta anche la valutazione ambientale preliminare del programma complessivo dei lavori espressa, entro 60 giorni, con parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;   b) con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Regione o la Provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per le attivita' da svolgere in terraferma, sentite la commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie e le Sezioni territoriali dell'Ufficio nazionale minerario idrocarburi e georisorse.

Orbene, se il legislatore ha inteso far riferimento a due distinte fasi del procedimento, chiamando la Regione ad esprimersi, con l'intesa, prima che il procedimento sia concluso e' illegittimo oltre che lesivo delle attribuzioni della Regione quanto previsto dal disciplinare tipo.

Il decreto ministeriale, all'art. 3, comma 12, dispone: «Il procedimento unico per il conferimento del titolo concessorio unico e' svolto nel termine di 180 giorni, tramite apposita conferenza di servizi, nel cui ambito e' svolta la valutazione ambientale preliminare del programma lavori complessivo espressa, entro 60 giorni, con parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio, del mare e il rilascio dell'intesa (della Regione) di cui al comma 6».

Trattasi di previsione che sembra voglia appiattire una manifestazione di consenso e/o dissenso essenzialmente politica (l'intesa con la Regione) al livello di un mero parere tecnico o nulla osta.

In verita', e cio' anche in ragione dell'espresso richiamo, come atto presupposto, che il disciplinare fa all'accordo sulle «modalita' procedimentali da adottare per l'intesa tra lo Stato e le Regioni» assunto nella Conferenza Stato-Regioni il 24 aprile 2001, l'intesa, da conseguirsi sin dall'avvio del procedimento, non dovrebbe mai confondersi con il parere che si esprime in sede conferenziale.

L'intesa regionale, in sostanza, ha natura politica e non tecnica: e' l'organo politico della Regione che deve esprimersi a conclusione del procedimento e non gia' il dirigente competente per materia (prendendo parte ad una conferenza di servizi alla stregua di qualsiasi amministrazione pubblica chiamata a rilasciare un qualsivoglia parere o nulla-osta).

Il decreto viola, pertanto, l'art. 120, ultimo comma della Costituzione.

Esso lede il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. come modificato dalla legge costituzionale 18 giugno 2001, n. 3.

Con detta legge costituzionale e' stata attuata la c.d. riforma del Titolo V della Costituzione, in virtu' della quale i rapporti tra lo Stato, le regioni, i comuni, le province e le citta' metropolitane non sono piu' declinati secondo il criterio della gerarchia, bensi' secondo quello della equiordinazione (cfr. art. 114 Cost.).

Il principio di leale collaborazione impone allo Stato ed alle Regioni un esercizio delle proprie competenze che non prevarichi quelli di controparte e contemperi invece interessi regionali e statali ogniqualvolta essi si contrappongono.

Detto principio, pertanto, rappresenta la stella polare che deve guidare l'interprete in tutti quei casi in cui gli interessi regionali e quelli statali si trovino in antinomia.

La giurisprudenza costituzionale, del resto, individua il perimetro applicativo del principio di leale collaborazione senza circoscriverlo alla sola dimensione dei poteri sostituitivi di cui all'art. 120 Cost.

Ha chiarito che esso «deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni: la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti ...» (Corte costituzionale 8 febbraio 2006, n. 31).

Il mancato raggiungimento di un'intesa puo' in casi eccezionali, a garanzia dell'unitarieta' del sistema, essere superato, ma solo con procedure che facciano sempre salva la partecipazione regionale (Corte costituzionale n. 239 del 2013) e con assunzione di responsabilita' politica del Governo.

D'altra parte, con una recente sentenza la Corte costituzionale ha chiaramente statuito che «nei casi in cui sia prescritta una intesa «in senso forte» tra Stato e Regioni - ad esempio, per l'esercizio unitario statale, in applicazione del principio di sussidiarieta', di funzioni attribuite alla competenza regionale - il mancato raggiungimento dell'accordo non legittima, di per se', l'assunzione unilaterale di un provvedimento. Si tratta infatti di «atti a struttura necessariamente bilaterale», non sostituibili da una determinazione del solo Stato» (sentenza n. 39 del 2013 e sentenza n. 383 del 2005).

Nella medesima pronuncia n. 39 del 2013, la Corte ha inoltre precisato che «non e' sufficiente, in ogni caso, il formale riferimento alla necessaria osservanza del principio di leale collaborazione. Devono essere previste procedure di reiterazione delle trattative, con l'impiego di specifici strumenti di mediazione (ad esempio, la designazione di commissioni paritetiche o di soggetti «terzi»), ai quali possono aggiungersi ulteriori garanzie della bilateralita', come, ad esempio, la partecipazione della Regione alle fasi preparatorie del provvedimento statale», concludendo, sul punto, che «l'assunzione unilaterale dell'atto non puo' (...) essere prevista come «mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa», con sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla Regione e violazione, per l'effetto, del principio di leale collaborazione» (sentenza n. 39 del 2013 e le ivi citate sentenze n. 33 e n. 165 del 2011 e n. 179 del 2012).

Alla luce delle richiamate statuizioni, la Corte costituzionale ha fatto cadere l'art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2012, che prevedeva, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa richiesta con una o piu' Regioni per l'adozione di un atto amministrativo da parte dello Stato, il potere del Consiglio dei ministri - al ricorrere di gravi esigenze di interesse generale - di deliberare motivatamente l'atto medesimo, anche senza l'assenso delle Regioni interessate, decorso inutilmente il termine per la sua adozione da parte dell'organo competente. La Corte, non ritenendo possibile alcuna interpretazione costituzionalmente orientata della richiamata norma, ne ha dichiarato l'incostituzionalita'.

 

P. Q. M.

 

La Regione Basilicata, come rappresentata e difesa, ritenuto che nella fattispecie concreta venga perpetuata la lesione di una precisa prerogativa regionale a rilevanza costituzionale (il diritto ad essere sentita ed a collaborare nella decisione) da altro potere dello Stato (Ministero dello sviluppo economico) con atto non legislativo (decreto 25 marzo 2015), insta affinche' l'Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare che non rientra nelle attribuzioni dello Stato, e per esso del Ministero dello sviluppo economico, disporre in materia di rilascio del «titolo concessorio unico» senza che la Regione venga chiamata a esprimersi, con l'intesa, sin dall'avvio del procedimento unico di cui all'art. 38, comma 6, lettere a) e b) del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.

Potenza-Roma, 3 luglio 2015

Gli avvocati

Antonio Pasquale Golia

Maurizio Roberto Brancati

Anna Carmen Possidente