RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI N. 7 DEL 17 LUGLIO 2015 (REGIONE PUGLIA)

Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria il 17 luglio 2015.

(GU n. 35 del 2.9.2015)

 

Ricorso per conflitto di attribuzione della Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale dott. Nicola Vendola, a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 1492 del 25 giugno 2015, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Marcello Cecchetti del Foro di Firenze (pec: marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it) ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Antonio Mordini n. 14, come da, mandato a margine del presente atto;   Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, per la dichiarazione che non spetta allo Stato, e per esso al Ministro dello sviluppo economico, il potere di adottare gli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell'art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale, n. 103 del 6 maggio 2015, in quanto contrastanti con gli articoli 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, nonche' con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 303 del 2003.

I. - Premessa. Il quadro normativo in cui si inserisce il decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015 e il contenuto delle disposizioni impugnate.

I.1. - Il decreto indicato in epigrafe contiene - per quel che e' qui di piu' prossimo interesse - una normativa di attuazione e sviluppo di quanto disposto dall'art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, ad opera della legge n. 164 del 2014, in tema di procedimento per il rilascio del titolo concessorio unico alle attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma, ed in particolare dei suoi commi 5 e 6.

I.2. - L'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, cosi' come risultante a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 190 del 2014, prevede che il Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predisponga un Piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, e che tale Piano, per le attivita' sulla terraferma, sia «adottato previa intesa con la Conferenza unificata», disponendosi altresi' che «in caso di mancato raggiungimento dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui all'articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239».

I.3. - Tale previsione e' stata impugnata dalla Regione Puglia con ricorso a questa Ecc.ma Corte costituzionale iscritto al Reg. ric. n. 40 del 2015 e pubblicato in G.U. n. 17 del 29 aprile 2015, per violazione degli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui, attribuendo al Ministro dello sviluppo economico il compito di predispone il suddetto Piano, prevede, quale strumento collaborativo, una previa intesa con la Conferenza unificata - per di piu' per le sole attivita' sulla terraferma - anziche' la necessaria acquisizione dell'intesa con ciascuna Regione territorialmente interessata ad ogni attivita', anche destinata a svolgersi nel mare continentale, a causa della lesione delle competenze legislative regionali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e di «governo del territorio», nonche' delle competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost.

I contenuti e le ragioni di tale censura possono essere in questa sede sommariamente richiamati.

Versandosi nel caso di specie nelle materie della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e del «governo del territorio», e' sufficiente ricordare che la ben nota sent. n. 303 del 2003 di questa ecc.ma Corte - seguita dall'altrettanto conosciuta sent. n. 6 del 2004 e da numerose pronunce successive - ha chiarito che la legge statale che intervenga ad avocare al centro funzioni amministrative in materie di competenza legislativa concorrente, provvedendo anche a regolarne l'esercizio, deve, per aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale, prevedere necessariamente l'intesa con la singola Regione interessata dal singolo intervento, non essendo al riguardo sufficienti diversi meccanismi collaborativi con la singola Regione o anche con il sistema delle Regioni considerato unitariamente.

La disposizione legislativa impugnata in quella sede, quindi, si pone in contrasto con l'art. 117, terzo comma, e con l'art. 118, primo comma, Cost., nella parte in cui prevede una previa intesa con la Conferenza unificata, anziche' la necessaria acquisizione dell'intesa con ciascuna delle Regioni specificamente interessate dalle «attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale».

I.4. - La medesima disposizione e' stata censurata dalla odierna ricorrente anche per una seconda ragione.

Come sopra ricordato, l'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2004, nel testo sostituito dall'art. 1, comma 554, della legge n. 190 del 2014, ha inoltre previsto che nel caso in cui l'intesa (in Conferenza unificata) non venga raggiunta, «si provvede con le modalita' di cui all'articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239». La procedura di superamento della mancata intesa predisposta da tale norma, tuttavia, limitandosi a prevedere un ulteriore invito a provvedere entro trenta giorni, e - in fine - il semplice deferimento della decisione ad un atto unilaterale della Presidenza del Consiglio dei ministri, con la mera "partecipazione" della Regione interessata, non rispetta i criteri forniti al legislatore statale dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata. Alla medesima si puo' infatti fare ricorso, secondo la sent. n. 239 del 2013 di questa ecc.ma Corte, solo a fronte di «condotte meramente passive» della Regione, e non per superare autentiche divergenze tra le parti. Anche la previsione in parola e' stata dunque impugnata dalla Regione Puglia, in ragione del suo contrasto con gli ara. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

I.5. - A loro volta, i commi 5 e 6 dell'art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, che il decreto qui in discussione intende specificamente attuare, prevedono quanto segue.

Ai sensi del comma 5, «le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (...) sono svolte a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, prorogabile due volte per un periodo di tre anni nel caso sia necessario completare le opere di ricerca, a cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico, la fase di coltivazione della durata di trenta anni, prorogabile per una o piu' volte per un periodo di dieci anni ove siano stati adempiuti gli obblighi derivanti dal decreto di concessione e il giacimento risulti ancora coltivabile, e quella di ripristino finale». In base al comma 6, invece, il menzionato titolo concessorio unico viene accordato «a seguito di un procedimento unico svolto nel termine di centottanta giorni tramite apposita conferenza di servizi, nel cui ambito e' svolta anche la valutazione ambientale preliminare del programma complessivo dei lavori espressa, entro sessanta giorni, con parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare» (lett. a), con decreto ministeriale e «previa intesa con la regione o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per le attivita' da svolgere in terraferma» (lett. b).

In considerazione dell'appena menzionata previsione di una "intesa forte" con la singola Regione o Provincia autonoma interessata, l'odierna ricorrente - in sede di impugnazione dell'art. 38 del d.l. n. 133 del 2014 (nel testo risultante dalla conversione in legge), proposta con altro ricorso iscritto al n. 5 del Reg. ric. 2015 - non ha ritenuto di dover proporre alcuna censura nei confronti del procedimento di rilascio del titolo concessorio unico riferito alle attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi sulla terraferma, ritenendolo pienamente conforme alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale concernente l'avocazione in sussidiarieta' di funzioni in ambiti afferenti a materie di competenza concorrente.

I.6. - In attuazione delle specifiche disposizioni legislative appena richiamate sono stati adottati gli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015 indicato in epigrafe, i quali pero' mutano significativamente il quadro normativo della disciplina del procedimento in questione, in detrimento della posizione costituzionale della Regione. Tali disposizioni prevedono quanto segue.

L'art. 3, comma 12, del decreto dispone che «il procedimento unico per il conferimento del titolo concessorio unico e' svolto nel termine di 180 giorni, tramite apposita conferenza di servizi, nel cui ambito e' svolta la valutazione ambientale preliminare del programma lavori complessivo espressa, entro sessanta giorni, con parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il rilascio dell'intesa di cui al comma 6». Tale intesa e' - per l'appunto - quella della singola Regione o Provincia autonoma territorialmente interessata dal rilascio del titolo concessorio unico prevista dall'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014, e richiamata dal menzionato comma 6 dell'art. 3 del decreto in esame.

In base all'art. 17, comma 1, di tale decreto, inoltre, «nei procedimenti del presente decreto in cui e' richiesta l'intesa con le Regioni, in caso di mancato raggiungimento della stessa, si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis della legge 23 agosto 2004, n. 239, nonche' con le modalita' di cui all'art. 14-quater, comma 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241».

Tali previsioni devono ritenersi costituzionalmente illegittime e lesive della posizione costituzionale della Regione - e, pertanto, non spettanti al potere normativo dello Stato - per i seguenti motivi di

 

Diritto

 

II. - Sull'ammissibilita' del presente conflitto.

II.1 - In generale.

Come e' noto, nella sede del conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale non possono essere invocati profili di vulnerazione delle competenze regionali che si atteggino quali mere attuazioni, prive di autonoma attitudine lesiva, di quanto gia' previsto dalla legge nella quale l'atto in esame trovi il proprio fondamento di legittimita'.

Certamente, dunque, non possono essere proposte in questa sede ne' censure corrispondenti a quelle gia' individuate e fatte valere nell'ambito del giudizio in via principale proposto avverso la sopra citata disposizione del d.l. n. 133 del 2014, ne', in ogni caso, lesioni derivanti da previsioni del decreto indicato in epigrafe non contenenti autentici margini di innovativita' rispetto alle previsioni legislative corrispondenti. Possono viceversa essere denunciate soltanto quelle parti del sopra citato decreto che rappresentino un novum rispetto alle disposizioni legislative di cui costituiscono attuazione, ossia nella misura in cui, limitatamente a tale novum, siano in grado di determinare una lesione della sfera competenziale di livello costituzionale della Regione che risulti ulteriore e autonoma rispetto alle predette disposizioni legislative.

II.2. - Il novum delle impugnate disposizioni del decreto ministeriale 25 marzo 2015 rispetto alle previsioni legislative. Dalla lettura degli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, sopra richiamati, risulta chiaramente che il quid novi determinato nell'ordinamento dall'approvazione del decreto in esame puo' essere indicato - per quel che qui specificamente interessa - nei due seguenti aspetti:   a) la previsione secondo la quale l'intesa della specifica Regione o Provincia autonoma territorialmente interessata deve essere assunta nella sede della conferenza di servizi;   b) la previsione secondo la quale, nel caso di mancato raggiungimento di tale intesa, per superare la situazione di stallo siano applicabili i meccanismi previsti dall'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239, e dall'art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Che l'intesa prescritta dall'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014 debba necessariamente essere acquisita nella sede della conferenza di servizi di cui alla precedente lett. a) del medesimo comma 6, evidentemente, non rientra nel contenuto precettivo delle disposizioni legislative appena menzionate, le quali, anzi, prescrivono chiaramente che all'interlocuzione con la Regione debba essere data autonoma evidenza, dovendo quest'ultima intervenire a valle dello svolgimento della conferenza di servizi e a ridosso del decreto ministeriale di rilascio del titolo concessorio. Tanto meno vi rientra, ovviamente, la prescrizione secondo la quale in caso di dissenso con la Regione espresso nella predetta conferenza debba applicarsi la procedura di cui all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990. Come accennato piu' sopra, l'odierna ricorrente non aveva ritenuto di dover proporre alcuna censura - sotto i predetti profili - nei confronti dei commi 5 e 6 dell'art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, ritenendo tali disposizioni rispettose delle proprie prerogative costituzionali con riferimento al rilascio dei titoli per le attivita' di ricerca e coltivazione sulla terraferma (cfr. il gia' richiamato ricorso n. 5 del 2015, censura n. IX). Le novita' introdotte dalle citate norme del decreto ministeriale in epigrafe determinano invece, come si mostrera' di seguito, chiare lesioni a tali prerogative. Da qui l'ammissibilita' delle censure, di seguito esposte, nei confronti degli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, di tale decreto.

III. - Sulla illegittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015.

III.1. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell'art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), per violazione degli articoli 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., in quanto, prevedendo la necessita' di acquisire l'intesa con la Regione per il rilascio del titolo concessorio unico in conferenza di servizi, assieme alla possibilita' di superare il suo mancato raggiungimento «con le modalita' di cui all'articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239, nonche' con le modalita' di cui all'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241», ledono le competenze legislative della Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e di «governo del territorio», nonche' le competenze amministrative che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta' ex art. 118, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sent. n. 303 del 2003. Violazione dell'art. 38, comma 6, lettere a) e b), del d.l. n. 133 del 2014. Violazione dell'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990.

Non spettanza allo Stato del potere di adottare le menzionate disposizioni.

III.1.1. - Come si e' visto, l'art. 3, comma 12, del decreto del Ministro per lo sviluppo economico che qui si contesta prevede che l'intesa della singola Regione o Provincia autonoma interessata dal titolo concessorio unico prevista dall'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014, e richiamata dal menzionato comma 6 dell'art. 3 del decreto in esame, venga rilasciata nella sede della conferenza di servizi, mentre l'art. 17, comma 1, del medesimo decreto dispone che, in caso di' mancato raggiungimento dell'intesa, debbano essere attivate le procedure di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 e del gia' menzionato art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990.

Ambedue tali previsioni sono - innanzi tutto - ictu oculi illegittime, per contrasto evidente con le norme legislative che ne costituiscono il fondamento. Tale illegittimita', peraltro, ridonda anche in una lesione della posizione costituzionalmente garantita della Regione, ed in una illegittimita' costituzionale delle medesime previsioni, come tale rilevante nella sede del presente giudizio per conflitto di attribuzione tra enti.

III.1.2. - Come risulta chiaramente da quanto osservato piu' sopra, l'art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014 stabilisce, ai fini del rilascio del titolo concessorio unico per le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma, la necessarieta' dell'acquisizione dell'intesa con la Regione interessata, senza prevedere alcun possibile meccanismo di superamento della mancata intesa, a tutela della posizione costituzionale della Regione. Al contrario, la citata previsione di cui all'art. 3, comma 12, del decreto indicato in epigrafe comporta "in automatico" l'applicabilita' della disciplina che la legge n. 241 del 1990 detta, in via generale, per la conferenza di servizi ai suoi artt. 14 e ss. In particolare, per quel che qui piu' specificamente interessa, comporta l'applicabilita' al caso de quo dell'art. 14-quater della medesima legge generale sul procedimento amministrativo.

Tale disposizione, come e' noto, prevede, per il caso di motivato dissenso espresso nella sede della conferenza «da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza», un procedimento nel cui ambito sono necessarie articolate trattative, destinato tuttavia a concludersi, nel caso di permanenza del dissenso, con una «deliberazione del Consiglio dei ministri» da adottare «con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate».

E' dunque evidente che, nonostante l'attenzione prestata dall'art. 14-quater alla collaborazione con la Regione interessata, l'art. 3, comma 12, del d.m. in questione rinvia, implicitamente ma chiaramente, alla possibilita' di un superamento sostanzialmente unilaterale della mancata intesa. Cio' in palese violazione del disposto, piu' sopra citato, dell'art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014, nel cui contesto la mancanza dell'intesa risulta chiaramente non superabile.

Tale illegittimita' "ordinaria", tuttavia, comporta evidentemente anche una illegittimita' costituzionale della disposizione in questione, con conseguente lesione della posizione costituzionale della Regione, innanzi tutto per violazione degli articoli 117, comma terzo, e 118, commi primo e secondo, Cost., cosi' come interpretati da questa ecc.ma Corte a partire dalla ben nota sent. n. 303 del 2003.

III.1.3. - Per illustrare tale censura conviene prendere le mosse dalla individuazione delle materie sulle quali intervengono le norme prese in esame. Esse, disciplinando il procedimento di rilascio del titolo concessorio unico per le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma, rientrano chiaramente nelle materie della «produzione, tra porto e distribuzione nazionale dell'energia» e del «governo del territorio», affidate dall'art. 117, terzo comma, Cost., alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni.

Come e' ampiamente noto, la sent. n. 303 del 2003 e la successiva sent. n. 6 del 2004 di questa ecc.ma Corte hanno affermato che condizione imprescindibile di legittimita' costituzionale della legge statale che intervenga ad avocare al centro funzioni amministrative in materie di competenza legislativa concorrente, provvedendo anche a regolarne l'esercizio, e' quella della previsione dell'intesa con la Regione specificamente interessata dal singolo intervento. In attuazione di questo precetto costituzionale, l'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014 ha infatti previsto che, per il rilascio del titolo concessorio unico sopra menzionato, sia necessaria l'acquisizione di una tale intesa. In considerazione di cio', l'odierna ricorrente, che pure - come gia' ricordato - ha contestato la legittimita' costituzionale di altre parti del citato art. 38 nella sede del giudizio di legittimita' costituzionale in via principale (Reg. ric. n. 5 del 2015), non ha ritenuto di proporre censure avverso il comma 6 di tale disposizione sotto tale profilo, limitandosi a contestare la mancata estensione del medesimo regime procedimentale alle attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi da svolgersi nel mare continentale.

La possibilita' di superare la mancata acquisizione dell'intesa a mezzo della procedura di cui all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 - implicata, come si e' visto, dall'art. 3, comma 12, qui in discussione - comporta invece la lesione dei parametri costituzionali sopra richiamati.

Nella sent. n. 33 del 2011 questa ecc.ma Corte ha infatti evidenziato -come gia' in alcuni casi precedenti (cfr. sentt. nn. 383 del 2005 e 278 del 2010) - che il legislatore statale puo' predisporre meccanismi di superamento del mancato raggiungimento dell'intesa dovuto a divergenze sostanziali tra le parti. Questa stessa Corte ha tuttavia ritenuto che tali meccanismi possono aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo ove garantiscano lo svolgimento di reiterate trattative tra le parti in un generale contesto di paritarieta' tra di esse, al limite devolvendo la decisione ad un organo terzo. In particolare, la normativa allora scrutinata e' stata ritenuta non contrastante con le norme costituzionali rilevanti sul punto solo in quanto predisponeva «l'attivazione di un procedimento volto a consentire lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di un soggetto terzo nominato dalle parti in modo paritario».

Ebbene, non vi e' chi non veda come i requisiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale perche' i meccanismi di superamento dell'intesa necessaria nell'ambito dell'istituto della c.d. "sussidiarieta' legislativa" siano costituzionalmente legittimi non ricorrono nel caso di specie.

Certamente, in base all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, le Regioni che esprimono dissenso nella conferenza di servizi devono essere coinvolte in un procedimento di articolate trattative da parte dell'amministrazione statale. Tale coinvolgimento, tuttavia, non e' affatto sufficiente a far si' che la disposizione de qua possa passare indenne il vaglio di legittimita' costituzionale. Appare dirimente al riguardo la considerazione secondo la quale in questo caso, ove permangano le divergenze, la decisione e' infine attribuita a un atto unilaterale dello Stato, adottato con una deliberazione del Consiglio dei ministri, con la mera «partecipazione» del Presidente dell'ente regionale (o provinciale speciale) specificamente interessato. In tale ipotesi, dunque, la previsione di una procedura di "superamento unilaterale" della mancata intesa rappresenta - in realta' - una vera e propria negazione della medesima. I requisiti richiesti dalla giurisprudenza costituzionale (ed in particolare dalla gia' citata sent. n. 33 del 2011) affinche' la disciplina volta al superamento della mancata intesa superi il vaglio di costituzionalita' non sono dunque rispettati, poiche' l'attribuzione della decisione finale a un atto unilaterale dello Stato rende del tutto inesistente quel "contesto di paritarieta'" richiesto da tale giurisprudenza. In particolare, non vi e' chi non veda come la norma qui contestata predisponga un procedimento per nulla «volto a consentire lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di un soggetto terzo nominato dalle parti in modo paritario», come invece richiede la sent. n. 33 del 2011.

III.1.4. - Come si accennava piu' sopra, anche l'art. 17, comma 1, del decreto in epigrafe e' caratterizzato da una evidente illegittimita' "ordinaria" che ridonda in una sua illegittimita' costituzionale, con conseguente lesione della posizione costituzionale della Regione. Il menzionato art. 17, comma 1, e' strettamente legato al precedente art. 3, comma 12, approfondendo peraltro le lesioni derivanti da tale ultima disposizione. Cio' per i motivi di seguito illustrati.

L'art. 17, comma 1, del decreto qui contestato prevede che, in caso di mancata acquisizione dell'intesa della Regione o Provincia autonoma interessata dalla rilascio del titolo concessorio unico, si debba procedere «con le modalita' di cui all'articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239, nonche' con le modalita' di cui all'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241».

L'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, d'altra parte, cosi' dispone: «Fatte salve le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7 e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonche' nel caso di mancata definizione dell'intesa di cui al comma 5 dell'articolo 52-quinquies del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessata». Come si vede, si tratta di un meccanismo di superamento della mancata intesa caratterizzato da accenti di unilateralita' ben piu' forti di quello - comunque insoddisfacente dal punto di vista del diritto costituzionale, come piu' sopra evidenziato - di cui all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990.

Ebbene, ove si ritenesse - nonostante le considerazioni sopra esposte - che l'intesa di cui all'art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014, in base alla stessa disciplina legislativa in questione, debba essere acquisita nell'ambito della conferenza di servizi, cio' comporterebbe, per ogni caso di mancata acquisizione della medesima, l'applicazione del sopra richiamato art. 14-quater, e non la possibilita' di applicare in talune circostanze la drastica e unilaterale procedura di cui all'art. 8-bis della legge n. 239 del 2004. Da qui, dunque, l'illegittimita' "ordinaria" dell'art. 17, comma 1, del decreto in epigrafe.

III.1.5. - Risulta evidente, peraltro, che tale illegittimita' "ordinaria" ridonda automaticamente in una illegittimita' costituzionale della disposizione de qua. L'art. 17, comma 1, infatti, intervenendo anch'esso nelle materie della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e del «governo del territorio», affidate dall'art. 117, terzo comma, Cost. alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, approfondisce la violazione ai parametri costituzionali piu' sopra richiamati (artt. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.) e la conseguente lesione alla posizione costituzionale della Regione.

La prima ragione che sostiene questa affermazione e' talmente evidente che e' sufficiente, in questa sede, limitarsi ad esporla.

Gia' si e' mostrato piu' sopra come la possibilita' di superare la mancata acquisizione dell'intesa della singola Regione interessata tramite la procedura di cui all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 rappresenti una chiara violazione dei parametri costituzionali sopra richiamati in quanto non rispondente agli approdi della giurisprudenza costituzionale in tema di "chiamata in sussidiarieta'", a causa della sostanziale "unilateralita'" del procedimento. Dal momento che le modalita' di cui all'art. 8-bis sopra menzionato sono, come si e' visto, ancor meno "collaborative" di quelle contemplate dall'art. 14-quater, e' chiaro che la loro possibile utilizzazione di per se stessa rende piu' grave e profonda la violazione sopra denunciata.

Il punto merita pero' di essere approfondito, tramite la individuazione dei casi in cui, in base all'art. 17, comma 1, qui contestato, sarebbe necessario fare ricorso alla procedura di cui all'art. 8-bis, e i casi in cui, invece, bisognerebbe ricorrere alle modalita' dell'art. 14-quater.

Una prima soluzione interpretativa che e' possibile fornire al riguardo fa leva sul riferimento, contenuto nell'ultima disposizione citata, ai casi in cui «venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita'». Cio' potrebbe essere ritenuto limitativo del campo di applicazione - almeno nel contesto dell'art. 17, comma 1, del decreto che qui si impugna - dell'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990.

In tale quadro, una lettura combinata delle norme evocate potrebbe essere la seguente:   i) la norma generale, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa in relazione al singolo procedimento concessorio unico sarebbe quella che fa rinvio all'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004;   ii) la norma speciale, da applicare solo ed esclusivamente nei casi in cui le Regioni intendano far valere proprie funzioni amministrative incidenti sulla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, sul patrimonio storico-artistico o sulla tutela della salute e della pubblica incolumita', prescriverebbe invece l'applicazione della procedura disciplinata dall'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990.

Tale assetto normativo deve ritenersi incostituzionale e lesivo delle attribuzioni costituzionali della Regione per le seguenti ragioni.

Come si ricordava piu' sopra, secondo la giurisprudenza costituzionale ormai consolidata, negli ambiti materiali affidati alla competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni, quali quelli che in questa circostanza vengono in rilievo, e' possibile per lo Stato istituire e allocare a se stesso una funzione amministrativa, disciplinandone al contempo l'esercizio, solo a condizione di prevedere che l'esercizio di detta funzione debba essere portato a termine attraverso l'acquisizione di una intesa con la Regione specificamente interessata dal singolo provvedimento (sentt. nn. 303 del 2003 e 6 del 2004). Ebbene, tanto la norma generale sub i) che la norma speciale sub ii), violano tali prescrizioni.

III.1.6. - In relazione alla prima, e' possibile osservare quanto segue.

Come si e' visto piu' sopra, la procedura di superamento della mancata intesa qui considerata si limita a prevedere in primo luogo un ulteriore invito a provvedere entro trenta giorni, e successivamente il drastico deferimento della decisione ad un atto unilaterale della Presidenza del Consiglio dei ministri, adottato con la mera "partecipazione" della Regione specificamente interessata. Tale norma non rispetta i criteri imposti al legislatore statale dalla giurisprudenza costituzionale ai fini della disciplina di una mancata intesa ove questa sia resa necessaria dal paradigma della c.d. "sussidiarieta' legislativa", a causa della sua forte unilateralita', e pertanto deve ritenersi in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.

In particolare, rileva qui innanzi tutto la gia' citata sentenza della Corte costituzionale n. 239 del 2013, che ha scrutinato proprio il meccanismo di superamento dell'intesa di cui al menzionato art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, cui fa rinvio la norma che qui si contesta. Tale decisione ha chiarito, al di la' di ogni possibile dubbio, che il procedimento "a forte unilateralita'" di cui sopra, culminante in una decisione del Presidente del Consiglio dei ministri, si deve ritenere costituzionalmente legittimo solo in quanto non venga predisposto al fine di superare mere «divergenze» tra le parti, bensi' a far fronte ai casi - che gia' di per se stessi rappresentano una violazione, da parte regionale, del principio di leale collaborazione - in cui la Regione interessata si limiti ad adottare «condotte meramente passive».

In questa prima soluzione interpretativa l'art. 17 del decreto ministeriale in esame dispone invece l'applicabilita' di queste procedure a carattere unilaterale a tutti i casi in cui manchi un'intesa, e dunque anche al superamento dello stallo derivante da divergenze tra le parti, non imputabili in alcun modo a comportamenti meramente "inerti" della Regione, configurandole anzi quali procedure generali per far fronte al mancato raggiungimento dell'intesa, rimanendo esclusi solo i casi della "norma speciale" sub ii).

Come si ricordava piu' sopra, nella sent. n. 33 del 2011, questa Corte ha evidenziato che il legislatore statale puo' predispone meccanismi di superamento del mancato raggiungimento dell'intesa dovuto a divergenze sostanziali tra le parti, ritenendo tuttavia che tali meccanismi possono essere ritenuti costituzionalmente legittimi solo a condizione di garantire lo svolgimento di reiterate trattative tra le parti in un contesto di paritarieta' tra di esse, al limite devolvendo la decisione ad un organo terzo. Non vi e' dubbio che la disposizione introdotta dall'art. 17 del decreto ministeriale in esame non risponde a tali caratteristiche. Da qui, dunque, la ridondanza della illegittimita' "ordinaria" di tale norma in illegittimita' costituzionale, e la conseguente lesione delle prerogative costituzionali della Regione.

III.1.7. - In relazione alla norma speciale sub ii), si impongono invece le seguenti considerazioni.

Non si puo' non riconoscere che, nel contesto di questa prima soluzione interpretativa, in base alla normativa qui presa in esame le Regioni dovrebbero essere coinvolte in un procedimento di piu' articolate trattative da parte dell'amministrazione statale, in considerazione della peculiare rilevanza degli interessi incidenti sulla tutela ambientale e paesaggistico-territoriale, sul patrimonio storico-artistico o sulla tutela della salute e della pubblica incolumita' di cui in ipotesi siano portatrici. Come si argomentava piu' sopra, tuttavia, tale "maggior coinvolgimento", tuttavia, non e' affatto sufficiente a far si' che la disposizione de qua possa legittimamente considerarsi spettante alla potesta' normativa dello Stato. Appare dirimente al riguardo la considerazione secondo la quale, anche in questo caso, ove permangano divergenze tra lo Stato e la Regione interessata, la decisione e' infine attribuita ad un atto unilaterale dello Stato, adottato con una deliberazione del Consiglio dei ministri, con la mera «partecipazione» del Presidente dell'ente regionale (o provinciale speciale) specificamente interessato.

Anche in questa ipotesi, dunque, la previsione di una procedura di "superamento unilaterale" della mancata intesa rappresenta - in realta' - una vera e propria negazione della medesima. Nonostante la disposizione in esame preveda lo svolgimento di "reiterate trattative", a differenza di quanto accade per la "norma generale" sub i), i requisiti richiesti dalla giurisprudenza costituzionale (ed in particolare dalla gia' citata sent. n. 33 del 2011) affinche' la disciplina volta al superamento della mancata intesa superi il vaglio di costituzionalita' non sono rispettati, poiche' l'attribuzione della decisione finale ad un atto unilaterale dello Stato rende del tutto inesistente quel "contesto di paritarieta'" richiesto da tale giurisprudenza. In particolare, e' del tutto evidente come la norma qui contestata predisponga un procedimento per nulla «volto a consentire lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di un soggetto terzo nominato dalle parti in modo paritario», come invece richiede la sent. n. 33 del 2011.

III.1.8. - Deve tuttavia essere segnalato come l'utilizzazione degli strumenti dell'interpretazione adeguatrice potrebbe consentire di individuare una seconda soluzione interpretativa in grado di sanare, anche se solo parzialmente, i vizi di legittimita' costituzionale denunciati sin qui con riguardo all'art. 17 del decreto impugnato. Conformemente alle indicazioni, gia' ricordate, reperibili nella sentenza di questa ecc.ma Corte n. 239 del 2013, infatti, si potrebbe ritenere che il riferimento alla procedura di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, vada inteso quale norma speciale, rilevante solo con riguardo ai casi in cui la mancanza dell'intesa dipende da una inerzia regionale contrastante con l'obbligo di leale cooperazione tra gli enti che compongono la Repubblica, e non ai casi in cui, invece, vi sia un autentico ed effettivo dissenso sul merito della scelta da adottare. In questo quadro, la norma generale per il superamento del dissenso, nell'ambito dell'art. 17, comma 1, del decreto in epigrafe, dovrebbe essere rinvenuta nel richiamo all'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990, conformemente del resto al quadro normativo sopra ricostruito in relazione alla previsione dell'art. 3, comma 12, del medesimo decreto.

Ove si optasse per tale ricostruzione interpretativa, evidentemente, l'odierna ricorrente non avrebbe ragioni di doglianza in relazione al rinvio, contenuto nell'art. 17, comma 1, qui impugnato, alla procedura di cui al comma 8-bis sopra citato, che andrebbe correttamente ritenuta applicabile ai soli casi di comportamenti meramente "inerti" della Regione. Permarrebbero invece del tutto immutate le ragioni di incostituzionalita' sopra esposte in relazione al rinvio, contenuto nella medesima disposizione, all'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990.

III.2. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell'art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 33, convertito, con modificazioni; dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), per violazione degli articoli 117, terzo comma, 118, primo e secondo comma, nonche' del principio di legalita', secondo quanto precisato, con riguardo alla "chiamata in sussidiarieta'", dalla sent. n. 303 del 2003, anche in riferimento all'art. 97, secondo comma, Cost., in quanto, ponendo norme di rango secondario concernenti le modalita' di superamento della mancata intesa necessaria ai fini della legittima "avocazione in sussidiarieta'" della funzione amministrativa di cui all'art. 38, commi 5 e 6, del d.l. n. 133 del 2014, contrastano con il precetto secondo il quale l'esercizio delle funzioni amministrative avocate in sussidiarieta' deve essere regolato dalla legge.

Non spettanza allo Stato del potere di adottare le menzionate disposizioni.

III.2.1. - Un ulteriore profilo di incostituzionalita' grava sia sull'art. 3, comma 12, che sull'art. 17, comma 1, del decreto del Ministro per lo sviluppo economico indicato in epigrafe, prescindendo anche dall'interpretazione che si ritenga di offrire di tale ultima disposizione. Per illustrarlo e' ancora un volta necessario prendere le mosse dalla sent. n. 303 del 2003.

In tale decisione, infatti, si afferma che «il principio di legalita' impone che anche le funzioni assunte per sussidiarieta' siano organizzate e regolate dalla legge»: cio' che conduce a ritenere che «solo la legge statale possa» attendere al compito di «organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale». Questa ecc.ma Corte, dunque, con la sentenza citata, ha avuto modo di precisare la specifica portata che assumono il principio di legalita' dell'azione amministrativa e la riserva di legge di cui all'art. 97, secondo comma, Cost., con particolare riguardo al fenomeno della c.d. "chiamata in sussidiarieta'" da parte dello Stato di funzioni amministrative in materie diverse da quelle affidate alla competenza legislativa esclusiva di quest'ultimo.

Cosa comporta, con specifico riferimento al caso de quo, l'affermazione secondo la quale la legge deve «regolare» l'esercizio delle funzioni in questione?   Al riguardo, non si puo' che ritenere che anche le modalita' di eventuale superamento della mancanza dell'intesa facciano parte di quegli aspetti che solo la legge puo' «regolare», poiche', come e' evidente, si tratta del punto centrale della normativa statale di avocazione delle funzioni in sussidiarieta', alla cui corretta configurazione e' subordinata la legittimita' costituzionale dell'intero intervento legislativo. In sintesi, trattandosi del "cuore" della legge che effettui la "chiamata in sussidiarieta'", l'acquisizione dell'intesa e le modalita' del suo eventuale superamento non possono mai, in nessun caso, essere disciplinate da una fonte regolamentare, essendo viceversa sempre necessaria la fonte primaria.

Anche la giurisprudenza costituzionale successiva, del resto, ha in piu' di una occasione confermato tali assunti.

In tutti i casi in cui questa ecc.ma Corte ha evidenziato l'opportunita' di meccanismi volti ad evitare il formarsi di situazioni di stallo, ha contestualmente ribadito la necessarieta' della fonte legislativa per disciplinare tali meccanismi. Cosi', ad esempio, nella sent. n. 383 del 2005, secondo la quale «l'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potra' (...) ispirare l'opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte facolta' a conseguire l'intesa». In senso analogo possono essere richiamate la sent. n. 278 del 2010 - che auspica «una puntuale disciplina legislativa delle modalita' di esercizio dell'intesa e delle eventuali procedure per ulteriormente ricercarla in caso di diniego o comunque per supplire alla sua carenza» - e la sent. n. 331 del 2010, che in una materia di competenza legislativa concorrente (come quelle delle quali in questa sede si discute) afferma che «determinare le forme ed i modi della collaborazione, nonche' le vie per superare l'eventuale stallo ingenerato dal perdurante dissenso tra le parti, caratterizza, quale principio fondamentale, l'assetto normativo vigente e le stesse opportunita' di efficace conseguimento degli obiettivi prioritari, affidati dalla Costituzione alle cure del legislatore statale».

III.2.2. - In sintesi, da questo punto di vista, sia l'art. 3, comma 12, che l'art. 17, comma 1, del decreto del Ministro per lo sviluppo economico 25 marzo 2015 indicato in epigrafe, sono da ritenere costituzionalmente illegittimi perche' disciplinano, con norme di rango regolamentare, le procedure di superamento della mancata intesa mentre - a prescindere dalle specifiche procedure prescelte - tali temi possono essere regolati esclusivamente dalla legge o da atti aventi forza di legge, secondo quanto previsto dalla statuto costituzionale della "chiamata in sussidiarieta'" elaborato dalla giurisprudenza di questa ecc.ma Corte.

III.3. - Gli effetti delle diverse interpretazioni dell'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014 sui prospettati profili di illegittimita' costituzionale e di lesione della posizione costituzionale della Regione.

III.3.1. - Come gia' evidenziato, gli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto del Ministro per lo sviluppo economico che qui si contesta intendono attuare l'art. 38, comma 6, del d.l. n. 133 del 2014. Tale disposizione, tuttavia, e' suscettibile di due differenti interpretazioni. L'accoglimento dell'una o dell'altra avrebbe significativi effetti sia sui profili di illegittimita' costituzionale del decreto indicato in epigrafe appena prospettati, sia sulle questioni proposte dall'odierna ricorrente, nella sede del giudizio in via principale, in relazione al comma 1-bis del citato art. 38 (cfr. ricorso n. 40 del 2015). Trattandosi di due aspetti strettamente legati tra loro, si passa ad illustrarli congiuntamente.

A questo fine, e' opportuno richiamare brevemente la ricostruzione del quadro normativo gia' piu' sopra accennata.

Il comma 1-bis dell'art. 38 del d.l. n. 133 prevede che il Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predisponga un Piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, senza prevedere al riguardo la necessaria intesa delle singole Regioni interessate dalle attivita' del Piano. Il successivo comma 5 prevede invece che «le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi» siano «svolte a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico» che, in base al comma 6, viene accordato (per quel che qui specificamente rileva) «previa intesa con la regione o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata, per le attivita' da svolgere in terraferma» (lett. b).

A) La prima ipotesi interpretativa di tale ultima disposizione e' quella secondo la quale la singola Regione o Provincia autonoma interessata puo' sempre rifiutare l'intesa concernente il rilascio del titolo concessorio unico, in base ad una valutazione affidata al suo indirizzo politico-amministrativo, a prescindere dalla collocazione dello specifico intervento de quo in una delle aree individuate nel Piano di cui al comma 1-bis del medesimo art. 38. In tale ottica, la Regione potrebbe dunque negare l'intesa in ragione, ad esempio, di una diversa destinazione d'uso che intendesse imprimere al suolo nell'area interessata.

B) In base ad una seconda ipotesi interpretativa, invece, la previa individuazione delle aree nelle quali realizzare gli interventi di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi mediante il Piano di cui al comma 1-bis e' in grado di pregiudicare la destinazione d'uso delle prime, finalizzandole ai secondi, e impedendo quindi che la Regione neghi l'intesa al rilascio del titolo concessorio unico in ragione - ad esempio - dell'intento di imprimere una diversa destinazione d'uso al suolo di tali aree. Il rilascio o il diniego dell'intesa, dunque, potrebbe avvenire solo in considerazione delle specifiche caratteristiche dell'intervento considerato.

Ebbene, ove si accogliesse l'interpretazione sub A), le doglianze di incostituzionalita' proposte dalla Regione Puglia con il ricorso n. 40 del 2015 nei confronti dell'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014 (come novellato dalla legge n. 190 del 2014) verrebbero a cadere, poiche' la predisposizione del Piano delle aree non pregiudicherebbe le politiche regionali volte a destinare quella parte del proprio suolo inclusa in tali aree ad usi diversi dalla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. Appare pero' evidente che, ove si accedesse a tale ipotesi interpretativa, la conformita' a Costituzione dell'intera disciplina considerata dipenderebbe in tutto e per tutto dall'intesa di cui al comma 6, lett. b), dell'art. 38 de quo, ed in particolare dal suo carattere di intesa forte, la cui assenza non potrebbe in alcun modo ritenersi superabile mediante procedimenti che non assicurino la paritarieta' delle parti coinvolte. In tale contesto, dunque, non si potrebbe che concludere nel senso accennato piu' sopra, ossia per la radicale incostituzionalita' delle previsioni contenute nell'art. 3, comma 12, e nell'art. 17, comma 1, del decreto ministeriale in esame, con conseguente non spettanza allo Stato del potere di adottare tali norme. Ove, invece, si accogliesse l'interpretazione sub B), il quadro sarebbe parzialmente differente. Sarebbe, infatti, da ritenere senz'altro costituzionalmente illegittimo l'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, per le ragioni prospettate nel ricorso in via principale e sopra sinteticamente richiamate. La evidente situazione di incostituzionalita' in cui si verserebbe, tuttavia, sarebbe ulteriormente aggravata e approfondita dagli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto ministeriale in esame. Quella residua potesta' di controllo del proprio territorio connessa alla previsione dell'intesa sul rilascio del titolo concessorio unico per i singoli interventi che, nonostante tutto, ancora rimane in capo alle Regioni - potesta' fortemente dimidiata, e gravemente impoverita a seguito della possibilita', per lo Stato, di predisporre il Piano delle aree senza acquisire il consenso regionale - verrebbe, infatti, definitivamente e irrimediabilmente compromessa dal novum introdotto dal decreto indicato in epigrafe, consistente, come si e' visto, nella possibilita' di superare in via unilaterale il mancato conseguimento dell'intesa di cui all'art. 38, comma 6, lett. b), del d.l. n. 133 del 2014.

III.4. - Conclusioni.

III.4.1. - In chiusura del presente ricorso la Regione Puglia ritiene opportuno precisare quali effetti si dovrebbero produrre, sul testo normativo oggetto del presente giudizio, nel caso in cui questa ecc.ma Corte ritenesse di condividere i profili di illegittimita' costituzionale del medesimo cosi' come sopra prospettati, precisando anche il petitum dell'odierna ricorrente in relazione a ciascuno di essi.

III.4.2. - Ove si ritenesse fondata la censura esposta ai precedenti parr. III.1.1-III.1.3. in relazione all'art. 3, comma 12, del decreto in epigrafe, sarebbe necessario dichiarare che non spetta allo Stato adottare la disposizione da ultimo citata in relazione alle parole «e il rilascio dell'intesa di cui al comma 6», annullando conseguentemente il citato art. 3, comma 12, limitatamente a tali parole.

III.4.3. - Ove si ritenesse fondata la censura esposta ai precedenti parr. III.1.4-III.1.8 in relazione all'art. 17, comma 1, del decreto in epigrafe, sarebbe invece necessario procedere come segue.

Nel caso in cui si ritenesse condivisibile la prima delle due interpretazioni offerte di tale disposizione - quella a mente della quale il rinvio alle modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239, rappresenta la norma generale da seguire in caso di mancata intesa, e il rinvio all'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 la norma speciale - sarebbe necessario procedere senz'altro a dichiarare che non spetta allo Stato adottare il menzionato art. 17, comma 1, e, conseguentemente, procedere al suo annullamento.

Ove invece si ritenesse preferibile l'interpretazione costituzionalmente orientata del rinvio all'art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239, ritenendo utilizzabile la procedura ivi disciplinata solo per il caso di "inerzia colpevole" della Regione, e qualificando, viceversa, il rinvio all'art. 14-quater quale norma generale in caso di mancata intesa, sarebbe invece necessario dichiarare che non spetta allo Stato adottare l'art. 17, comma 1, del decreto de quo con riferimento alle parole «nonche' con le modalita' di cui all'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241», annullando conseguentemente il citato art. 17 limitatamente a tali parole.

III.4.4. - Infine, ove si ritenesse fondata la censura esposta piu' sopra al par. III.2., sarebbe necessario dichiarare che non spetta allo Stato adottare l'art. 3, comma 12, in relazione alle parole «e il rilascio dell'intesa di cui al comma 6», annullando conseguentemente il citato art. 3, comma 12, limitatamente a tali parole, e che non spetta allo Stato adottare il menzionato art. 17, comma 1, e, conseguentemente, procedere al suo completo annullamento. IV. - Istanza per l'esercizio del potere cautelare di cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953.

IV.1. - Infine, in ragione di quanto sin qui esposto e argomentato, l'odierna ricorrente chiede a questa ecc.ma Corte che, nell'esercizio del potere cautelare di cui dispone in forza dell'art. 40 della legge n. 87 del 1953, sospenda, in pendenza del giudizio, l'efficacia delle norme statali impugnate con il presente ricorso.

Nel caso di specie, infatti, sussistono senza ombra di dubbio le «gravi ragioni» che legittimano, ai sensi del richiamato art. 40, l'attivazione di tale potere cautelare. In particolare, ricorre sia il presupposto del fumus boni iuris che quello del periculum in mora.

In ordine al primo, e' sufficiente riportarsi alle considerazioni svolte nell'ambito delle censure proposte avverso gli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto ministeriale indicato in epigrafe che sono state prospettate nei paragrafi precedenti.

IV.2. - In relazione, invece, al periculum in mora, e' possibile osservare quanto segue.

Ad oggi il decreto del Ministro dello sviluppo economico che qui si contesta e' pienamente vigente nell'ordinamento, dispiegando in toto la sua efficacia. Il che comporta che sin da subito potrebbero essere attivati i procedimenti di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 38 del d.l. n. 133 del 2014, volti al rilascio del titolo concessorio unico. Procedimenti che - a diritto vigente - potrebbero dunque senz'altro svolgersi mediante il (mero) tentativo di acquisire in conferenza di serviti l'intesa regionale e tramite il superamento della sua eventuale mancanza per mezzo delle modalita' di cui agli articoli 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, e 14-quater della legge n. 241 del 1990, secondo quanto espressamente consentito dagli articoli 3, comma 12, e 17, comma 1, del decreto in epigrafe.

Evidentemente, la possibilita' che si svolgano e si concludano, procedimenti amministrativi volti al rilascio del titolo concessorio unico per le attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma senta che sia rispettato il ruolo che l'ordinamento costituzionale riconosce alla Regione rischia di pregiudicare irreparabilmente le prerogative costituzionali di quest'ultima. Ben poco servirebbe infatti all'odierna ricorrente vedersi riconoscere la fondatezza delle proprie ragioni - nell'ipotesi di esito positivo del presente giudizio - ove tuttavia i titoli concessori siano stati in effetti nel frattempo rilasciati senza la dovuta partecipazione regionale, a causa della non tempestivita' della decisione definitiva di questa ecc.ma Corte.

Si consideri, inoltre, che a valle del rilascio del titolo concessorio unico sono destinate a prendere avvio le concrete operazioni di ricerca e coltivazione di idrocarburi: attivita' che sono in grado di incidere profondamente sulle caratteristiche del territorio nel quale si inseriscono, imponendovi trasformazioni estremamente significative e sovente non reversibili, o comunque reversibili soltanto a costi molto elevati e con tempi particolarmente lunghi, e giungendo anche ad impedire radicalmente alcune utilizzazioni dei medesimi territori. Cio' rappresenterebbe insieme una grave compromissione del suolo e del sottosuolo interessato dalle attivita' in questione ed una irreversibile lesione delle prerogative costituzionali della Regione concernenti - appunto - le decisioni circa l'utilizzazione del suolo e del sottosuolo.

IV.3. - Anche alla luce delle considerazioni da ultimo esposte, l'odierna ricorrente ritiene che sussistano senz'altro, nel presente caso, i requisiti tanto del fumus boni iuris quanto del periculum in mora, e dunque quelle «gravi ragioni» che, ai sensi dell'art. 40 della legge n. 87 del 1953, debbono supportare la decisione di questa ecc.ma Corte di esercitare il proprio potere cautelare sospendendo l'efficacia delle norme impugnate nelle more del presente giudizio.

Cio' nondimeno, in via subordinata, nell'ipotesi in cui si ritenga che dall'adozione di tale misura possa discendere il rischio - in senso uguale e contrario a quello appena prospettato - di pregiudizi analoghi a quelli che deriverebbero dall'applicazione delle norme censurate e non si ravvisi la prevalenza del danno derivante dal perdurare dell'efficacia delle medesime (cfr. ord. n. 107 del 2010, ancorche' pronunciata nella diversa sede del giudizio di legittimita' costituzionale in via principale), questa difesa, in considerazione della evidente sussistenza dei pericula sopra paventati, e della conseguente necessita' che la presente controversia venga risolta nel piu' breve tempo possibile, chiede che l'Ill.mo Presidente voglia quantomeno disporre, a titolo di misura cautelare minima, la fissazione della trattazione del merito del giudizio nel piu' breve termine possibile.

Tale potere cautelare, infatti, non puo' che considerarsi implicito nel piu' ampio potere di disporre la sospensione dell'esecuzione degli atti di cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953, poiche' rispetto a quest'ultimo costituisce indubbiamente un minus. Il potere di fissare la trattazione del merito del giudizio nel piu' breve tempo possibile, peraltro, discende altresi' dall'art. 22 della legge n. 87 del 1953, il quale, per i giudizi costituzionali diversi da quelli di accusa nei confronti del Capo dello Stato, rinvia, «in quanto applicabili», alle norme concernenti la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, ovvero, da ultimo, alle norme contenute nel codice del processo amministrativo adottato con il d.lgs. n. 104 del 2010. Tra queste, in particolare, viene in rilievo l'art. 55, comma 10, il quale prevede che «il tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita fissazione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione del ricorso nel merito. Nello stesso senso puo' provvedere il Consiglio di Stato, motivando sulle ragioni per cui ritiene di riformare l'ordinanza cautelare di primo grado; in tal caso, la pronuncia di appello e' trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la sollecita fissazione dell'udienza di merito». Si tratta, a ben vedere, di una disposizione pienamente compatibile con i giudizi per conflitto di attribuzione tra enti che si svolgono dinanzi a questa Corte e, di conseguenza, applicabile anche ad essi, laddove quest'ultima ritenga che le «gravi ragioni» di cui all'art. 40 della legge n. 87 del 1953 - nel bilanciamento con eventuali rischi speculari - possano essere sufficientemente scongiurati ricorrendo a tale strumento piuttosto che a quello della sospensione dell'esecuzione delle disposizioni del decreto ministeriale che nel caso di specie ha dato origine al conflitto.

In tale quadro, la Regione Puglia chiede inoltre che il Presidente di questa ecc.ma Corte, nell'esercizio dei poteri affidati al suo prudente apprezzamento, voglia fissare la trattazione del ricorso proposto dalla medesima Regione avverso il testo vigente dell'art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, come novellato dalla legge n. 190 del 2014 (Reg. ric. n. 40 del 2015) - ed eventualmente anche del ricorso proposto avverso il medesimo art. 38 nel testo risultante dalla conversione in legge (Reg. ric. n. 5 del 2015) - congiuntamente alla trattazione del merito del presente giudizio, in considerazione degli evidenti profili di connessione che legano tali impugnazioni.

 

P.Q.M.

 

La Regione Puglia, come sopra rappresentata e difesa, chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso e previa concessione di idonea misura cautelare ai sensi dell'art. 40 della legge n. 87 del 1953, dichiari che non spetta allo Stato - e per esso al Ministro dello sviluppo economico - l'adozione degli articoli 3, comma 12, limitatamente alle parole «e il rilascio dell'intesa di cui al comma 6», e 17, comma 1, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell'art. 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), e li annulli conseguentemente, nei limiti e nei termini sopra esposti.

Con ossequio.

Bari - Roma, 25 giugno 2015

Avv. prof. Marcello Cecchetti