RICORSO N. 64 DEL 15 GIUGNO 2015 (DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 15 giugno 2015.

(GU n. 31 del 5.8.2015)

 

Ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri (codice fiscale 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, rappresentata e difesa per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato (codice fiscale 80224030587), presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12 (fax 0696514000 - PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it);   Ricorrente contro la regione Liguria, in persona del presidente della giunta regionale attualmente in carica resistente per l'impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 2, commi 1 e 3 - 3, comma 2 - 12, comma 1 - 14, comma 1 - 15, comma 1 - 17, comma 1 - 18, comma 1 - 27, comma 1 - 31, comma 1 - 34, comma 1 - 50, comma 1 - 51, comma 1 - 61, comma 6 - 68, comma 7 - 80, comma 1, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, avente ad oggetto «Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)», pubblicata sul BUR n. 11 del 9 aprile 2015.

La regione Veneto ha approvato ed emanato la legge n. 11/2015 con cui in ben ottantadue articoli ha introdotto modifiche a svariate norme della precedente legge regionale in materia urbanistica, la legge regionale n. 36/1997, praticamente sostituendola quasi del tutto.

La nuova legge, in sostanza, viene a costituire la vigente ed integrale disciplina urbanistica regionale.

Sennonche', ad avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri, molte di queste nuove norme sono in contrasto con la Costituzione in quanto invadono indebitamente la sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di pianificazione paesaggistica, competenza che come noto lo Stato ha esercitato con il decreto legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Altre norme, invece, pur appartenendo alla competenza legislativa regionale, non rispettano i principi fondamentali dettati dallo Stato nella specifica materia, e dunque si pongono ugualmente in contrasto con i criteri di riparto previsti dalla Costituzione.

Con il presente atto, pertanto, la Presidenza del Consiglio dei ministri deve impugnare la legge regionale in questione, limitatamente alle norme in epigrafe indicate, per il seguenti,

 

Motivi

 

1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, e degli articoli 14, comma 1, 15, comma 1, e 17, comma 1, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

La norma in considerazione, al comma 1, prevede che la pianificazione territoriale, gia' definita dall'art. 2 della legge regionale n. 36/1997 (che la novella va ad integrare), debba essere attuata nel rispetto delle competenze in materia di governo del territorio previste nell'ordinamento statale e regionale.

Sennonche', il successivo art. 14 della stessa legge regionale, nel sostituire con unico comma l'art. 13 della precedente legge n. 36/1997, attribuisce allo strumento di pianificazione territoriale - il PTR, Piano territoriale regionale - anche il valore di piano paesaggistico regionale.

Ed il procedimento per la formazione dello strumento pianificatorio in questione, come disciplinato dall'art. 15 delle legge regionale in sostituzione dell'art. 14 della precedente legge n. 36/1997, prevede solo la sua trasmissione al Ministero per i beni e le attivita' culturali al fine dell'espressione di un semplice parere.

Analogamente, l'art. 17 della legge regionale, che ha sostituito con unico comma l'art. 16 della precedente legge, prevede una procedura di variante al PTR che - richiamando le disposizioni dell'art. 14 della legge n. 36/1997 come sostituito dall'art. 15 della nuova legge - e' caratterizzata dalla mera partecipazione delle amministrazioni interessate, tra le quali evidentemente anche l'Amministrazione dello Stato.

Invece, ben diverso e' il ruolo dello Stato nella pianificazione paesaggistica secondo le norme statali. Gli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42/2004 prevedono infatti che la pianificazione paesaggistica avvenga con un atto elaborato congiuntamente dalla singola regione e dal Ministero, con modalita' disciplinate da apposite intese che riguardano anche le successive modifiche, revisioni ed integrazioni, prima della sua approvazione da parte della regione interessata.

In sostanza, la combinazione delle nuove norme comporta un'inammissibile alterazione delle competenze pianificatorie disciplinate in via esclusiva dalla legge statale, espropriando allo Stato (cui ora e' riconosciuta una semplice funzione consultiva alla quale e' relegato) la funzione di co-pianificazione paesaggistica.

Il che palesemente contrasta con il precetto di cui all'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, di cui il bene complesso ed unitario del paesaggio e' parte fondamentale ed integrante.

2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, della legge della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

Inoltre, sotto altro aspetto, il comma 3 della norma qui censurata confligge con la Costituzione nella misura in cui subordina il Piano territoriale regionale (PTR) ai piani di bacino e ai piani per le aree protette. Il che, se fosse strettamente limitato alla materia del governo del territorio, potrebbe anche non essere discutibile; ma certamente non e' legittimo per quella parte dello strumento cui la stessa legge regionale conferisce anche valore paesaggistico, dal momento che la norma statale che deve regolare in via esclusiva la materia (l'art. 145, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004) prevede che le disposizioni dei piani paesaggistici siano comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli altri atti di pianificazione territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette.

E quindi e' evidentemente illegittima la norma che conferisce allo strumento pianificatorio territoriale un ruolo subordinato - inconcepibile per la parte di valenza paesaggistica - ad altri strumenti di pianificazione settoriale.

Ed anche in questo caso, in cui la legge regionale detta una disciplina palesemente difforme da quella dettata dallo Stato con il Codice dei beni culturali e del paesaggio, si deve dedurre la violazione della norma costituzionale che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia.

3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

L'art. 3, comma 2, della legge regionale qui censurata sostituisce, modificandone il contenuto, il comma 3 dell'art. 3 della precedente legge regionale n. 36/1997.

Esso prevede che il Piano territoriale regionale (PTR) e' elaborato in coerenza con gli obiettivi e i contenuti degli atti di programmazione regionale, secondo le modalita' partecipative previste nell'art. 6.

Questa norma disciplina la conferenza di pianificazione, a cui partecipano gli enti territoriali e le altre pubbliche amministrazioni coinvolte, che in quella sede espongono le proprie osservazioni, proposte e valutazioni destinate ad essere verbalizzate e ad essere tenute in considerazione nel processo di pianificazione.

Ora, per la valenza che il PTR ha, per effetto delle legge regionale, anche sotto il profilo paesaggistico, la norma si presta a fondata censura di incostituzionalita' perche' (laddove include fra le «altre pubbliche amministrazioni» anche il Ministero dei beni culturali ed ambientali e gli assegna un mero ruolo partecipativo/propositivo) urta con la legge statale che prevede ben altro ruolo per il Ministero preposto alla tutela dell'ambiente e del paesaggio.

Come gia' ricordato sopra, infatti, allo Stato spetta un potere non di semplice partecipazione, ma un vero e proprio potere di co-pianificare mediante la elaborazione congiunta dello strumento pianificatorio; e tale potere, in quanto attribuito da una norma statale (articoli 135 e 143 del decreto legislativo n. 42/2004) nell'esercizio di una competenza legislativa esclusiva, non puo' essere eliso ne' ridimensionato.

In quanto lesiva di questa competenza, dunque, anche la norma qui censurata deve essere ritenuta illegittima per contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

L'art. 12 sostituisce con unico comma l'art. 11 della precedente legge regionale n. 36/1997 ed attribuisce al quadro strutturale la disciplina di tutela, salvaguardia, valorizzazione e fruizione del paesaggio in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti territoriali che lo costituiscono, espressamente demandando al PTGcm e al PTC provinciale l'integrazione e lo sviluppo di alcuni elementi di tale disciplina secondo le indicazioni all'uopo fornite dal PTR.

Anche in questo caso va lamentata la lesione delle prerogative dello Stato nella regolazione legislativa della materia del paesaggio, perche' la disciplina regionale contrasta con le norme statali che escludono che gli strumenti di pianificazione territoriale (che nella logica della regola statale sono ad esso sotto ordinati) possano sostituirsi al Piano paesaggistico, ed anzi devono a questo adeguarsi e conformarsi ai sensi degli articoli 143, comma 9, e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

In quanto contrastante con la norma statale, ed anzi lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela del paesaggio, la disposizione qui censurata deve essere dichiarata illegittima per la violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

L'art. 18 della legge regionale n. 11/2015 ha introdotto nella precedente legge regionale n. 36/1997 l'art. 16-bis, che prevede che il PTR sia attuato mediante progetti a scala urbanistica o edilizia, costituenti strumenti operativi da promuovere o da approvare da parte della regione con deliberazione della giunta regionale, sentito il comitato tecnico regionale per il territorio nei novanta giorni successivi al ricevimento dei pareri ed assensi previsti dalla vigente legislazione in materia.

Non vi e' alcuna previsione di coinvolgimento del Ministero dei beni culturali ed ambientali nell'esame della conformita' degli strumenti attuativi alle disposizioni del Piano paesaggistico regionale, ne' vi e' alcun raccordo tra gli strumenti di attuazione (peraltro, non previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio) ed il processo di pianificazione paesaggistica congiunta.

La mancata o non adeguata partecipazione degli organi ministeriali a procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica contrasta con l'art. 145 del decreto legislativo n. 42/2004 e, quindi, con la norma della Costituzione che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di paesaggio.

Tale e' anche l'orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale che anche recentemente, peraltro su una scia assolutamente consolidata, ha confermato la necessita' di tale partecipazione e della sua pienezza affinche' siano rispettati i dettami della Carta in tema di riparto delle competenze (Corte Cost. sentenza 64/2015).

La stessa norma regionale qui censurata non chiarisce affatto la sua portata sotto questo aspetto, in quanto il procedimento di approvazione degli strumenti attuativi da parte della giunta regionale non e' dato comprendere se preveda l'acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica in conformita' con le procedure previste dall'art. 146 del Codice, ovvero sia sostitutivo della stessa, oppure ancora - in alternativa - intenda sostituire il parere previsto dagli articoli 16 e 28 della legge n. 1150/1942.

Tale contenuto porta ad affermare che anche la norma qui censurata contrasta con l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione e deve pertanto essere dichiarata illegittima.

6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 1, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

L'art. 27, comma 1, della legge regionale n. 11/2015 sostituisce integralmente l'art. 23 della precedente legge regionale n. 36/1997, prevedendo che il PTC provinciale possa essere variato, anche su proposta degli enti locali interessati, con le procedure di cui all'art. 22, nonche', nelle ipotesi previste dagli articoli 57, 58, comma 6, e 61, comma 1, della legge n. 36/1997 e con le procedure ivi rispettivamente previste.

La stessa norma, altresi', prevede - sempre nel testo novellato dell'art. 23 della legge n. 36/1997 - che decorsi cinque anni dalla approvazione del PTC provinciale il consiglio provinciale ne accerti l'adeguatezza, alla luce anche del PTR e degli esiti delle verifiche effettuate in attuazione del programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di VAS.

Anche tale disposizione, che prevede che le procedure di approvazione delle varianti del PTC provinciale e verifica di adeguatezza, non contempla la partecipazione del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo alle attivita' di verifica dell'adeguatezza del PTC provinciale al PTR, in contrasto con le previsioni di cui all'art. 145, comma 5, del Codice di settore, secondo cui «La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo». Pertanto, anche a questa norma si estendono le censure di incostituzionalita' sopra specificate e relative alla violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 1, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 3 della Costituzione.

L'art. 34, comma 1, della legge regionale n. 11/2015 ha inserito nel corpo della precedente legge regionale n. 36/1997 ben ulteriori quattro articoli: 29-bis, 29-ter, 29-quater e 29-quinquies.

L'art. 29-ter in particolare prevede che il piano urbanistico comunale (PUC) possa «individuare negli ambiti e nei distretti di trasformazione gli edifici o complessi di edifici esistenti suscettibili di riqualificazione edilizia o urbanistica caratterizzati da: ... a) condizioni di rischio idraulico o di dissesto idrogeologico; b) condizioni di incompatibilita' per contrasto con la destinazione d'uso dell'ambito o del distretto di trasformazione o per la tipologia edilizia; ... d) situazioni di interferenza con la previsione di realizzazione di servizi pubblici o infrastrutture pubbliche». Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce che «Ove gli interventi di cui al comma 1 prevedano la demolizione totale o parziale dei fabbricati, il PUC stabilisce i parametri per l'utilizzazione del corrispondente credito edilizio in funzione della destinazione d'uso degli edifici da demolire ed individua gli ambiti e i distretti nei quali tale credito puo' essere trasferito, anche con tempistiche di utilizzo differite, fissando le relative percentuali di utilizzo per l'attuazione degli interventi previsti nei distretti e negli ambiti secondo la rispettiva disciplina». Al comma 3 si chiarisce che «Non possono dar luogo al riconoscimento del credito edilizio gli edifici realizzati in assenza od in difformita' dai prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, se non previa loro regolarizzazione».

La disposizione, nel postulare la possibilita' di un riconoscimento di un credito edilizio a fronte della demolizione di edifici o complessi di edifici esistenti realizzati in assenza o in difformita' dai prescritti titoli abilitativi e paesaggistici «se non previa loro regolarizzazione», si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel testo unico dell'edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001), e in particolare con gli articoli 36 e 37, che subordinano il rilascio del titolo in sanatoria alla conformita' dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Si tratta del requisito della c.d. «doppia-conformita'» che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 101/2013 ha espressamente qualificato principio fondamentale della materia. Le condizioni degli edifici oggetto degli interventi di riqualificazione individuate dalle lettere a), b), c) e d) del comma 1, e soprattutto il fatto che lo stesso piano urbanistico postuli la necessita' di demolire questi edifici, sono intrinsecamente incompatibili con il requisito individuato dal testo unico per la sanatoria, ovvero che l'intervento per il quale si richiede la sanatoria «risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda». Pertanto, la disposizione censurata, travalica i limiti indicati dalla Corte costituzionale in materia di condono edilizio (sentenze n. 225/2012 e n. 290/2009) e contrasta con i principi generali in materia di «governo del territorio» sopra richiamati, violando l'art. 117, terzo comma, Cost. nella materia «governo del territorio».

8) Illegittimita' costituzionale degli articoli 31, comma 1, 50, comma 1, 51, comma 1, 68, comma 7 e 80, comma 1, lettera 13) della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) e comma 3, della Costituzione.

E' incostituzionale, per contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e con la normativa statale in materia di paesaggio contenuta nel decreto legislativo n. 42/2004, la disciplina dei «margini di flessibilita'» del PUC contenuta all'art. 31, comma 1 (nella parte in cui sostituisce l'art. 27 della legge regionale n. 36/1997, introducendo, al comma 1, lettera b), i c.d. «margini di flessibilita'» nel PUC), all'art. 50 (nella parte in cui sostituisce l'art. 43 della legge regionale n. 36/1997, rubricato «Flessibilita' e aggiornamento del PUC»); all'art. 51 (nella parte in cui prevede che «1. Costituiscono varianti al PUC le modifiche non rientranti nei margini di flessibilita' o nell'aggiornamento di cui all'art. 43»), all'art. 68 (nella parte in cui modifica l'art. 60, comma 5, lettera b) della legge regionale n. 36/1997, prevedendo che «5. In sede di approvazione dei progetti ... puo' essere demandata al comune: b) la facolta' di assentire direttamente in sede di titoli edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilita', da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi del progetto approvato»), all'art. 80, comma 1, lettera b) (nella parte in cui prevede che «1. Fino all'approvazione del PUC a norma della legge regionale n. 36/1997 come modificata dalla presente legge: ... b) per i comuni dotati di PUC gia' approvato a norma delle previgenti disposizioni della legge regionale n. 36/1997 si applicano le disposizioni di cui al titolo IV, capo III e IV, ed al titolo V della legge regionale n. 36/1997 come modificata dalla presente legge ...».

Ai sensi dell'art. 43, comma 1, della legge regionale n. 36/1997, come sostituito dall'art. 50, comma 1 della legge regionale n. 11/2015, le norme del PUC definiscano «i margini di flessibilita' entro cui le relative previsioni possono essere attuate senza ricorso ne' alla procedura di aggiornamento di cui al comma 3, ne' alla procedura di variante di cui all'art. 44».

I «margini di flessibilita'» consistono, nei «distretti di trasformazione», in «indicazioni alternative degli elementi di cui all'art. 29, comma 3, con esclusione della definizione del perimetro del distretto di cui alla relativa lettera a)». Tali elementi includono, «c) la disciplina urbanistico-edilizia, paesistica e geologica e vegetazionale» (art. 29, comma 3, come sostituito dall'art. 33, comma 4, legge regionale n. 11/2015). Negli «ambiti di conservazione, di riqualificazione e di completamento» i margini di flessibilita' sono costituiti da «indicazioni alternative rispetto ai contenuti stabiliti all'art. 28, comma 4, che non incidano sul carico urbanistico e sul fabbisogno di standard urbanistici». Tali elementi, per cui possono essere definite «indicazioni alternative», comprendono «b) la disciplina urbanistico-edilizia degli interventi ammessi, anche in applicazione delle misure di cui agli articoli da 29-bis a 29-quinquies, e la disciplina paesistica e geologica».

Benche' la norma regionale persegua evidenti finalita' di semplificazione, deve, tuttavia, rilevarsi che il concetto di «margine di flessibilita'» dei piani urbanistici non e' definito dalla vigente legislazione statale in materia urbanistica. Legislazione che, ai sensi l'art. 82 comma 2, lettera a) (secondo cui «... le disposizioni della presente legge ... sostituiscono ... 1) il titolo I, il titolo II, capi I, II, III e IV - articoli 33, 34, 35 e 36 - e il titolo IV - articoli 41-quater e quinquies, 42, 43, 44 - della legge 17 agosto 1942, n. 1150 ...») e' quasi interamente sostituita dalle disposizioni regionali.

Per effetto del combinato disposto delle disposizioni regionali richiamate, dunque, un indeterminato numero di fattispecie, che interessano anche la disciplina paesaggistica e geologica, sono sottratte alle ordinarie procedure di varianti e, conseguentemente, agli obblighi di partecipazione e pubblicita' e procedimentalizzazione che scaturiscono dall'applicazione del principio generale per cui il procedimento di variante e' analogo a quello necessario per la formazione dell'atto variato. Inoltre, introducendo la possibilita' per il comune di modificare unilateralmente la disciplina paesistica contenuta nel PUC, senza contestualmente prevedere la partecipazione dei competenti organi ministeriali, risulta essere violato anche l'art. 145 del decreto legislativo n. 42/2004, perche' non si prevede la conformita' di queste modifiche alla pianificazione paesaggistica, da un lato, e, dall'altro, non si assicura, ai sensi di quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo, la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di variante.

E questo lede senza dubbio la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare la materia in questione.

Inoltre, per effetto delle disposizioni censurate, gli interventi realizzati in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia contenuta in PUC approvati possano successivamente essere legittimati sotto il profilo urbanistico ed edilizio. In questo modo, le disposizioni sopra riportate introducono una surrettizia forma di condono edilizio, andando cosi' ad invadere la competenza legislativa statale. Pertanto, anche in questo caso, con le citate disposizioni sono stati travalicati i limiti indicati dalla Corte costituzionale in materia di condono edilizio (sentenza n. 225/2012 e n. 290/2009, cit.). Al riguardo, e' utile rammentare che le modifiche della disciplina urbanistica non hanno effetto retroattivo (cfr. Consiglio di Stato, IV, n. 32/2013), e che la Corte costituzionale nella sentenza n. 101/2013 ha definitivamente individuato nella cd. «doppia conformita'», ex art. 36 del TUE un principio fondamentale nella materia «governo del territorio». Si rileva, pertanto, che le norme in questione sono state adottate in contrasto con gli articoli 36 e 37 (cd. doppia conformita') e con l'art. 30, comma 1 (lottizzazione abusiva) del TUE, e quindi in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. nella materia «governo del territorio».

Un ulteriore effetto del combinato disposto delle disposizioni impugnate e' la previsione della facolta' per i comuni di assentire direttamente in sede di titoli edilizi, varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilita', da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi del progetto approvato. Al riguardo, emerge un evidente contrasto con l'art. 22, comma 2-bis del TUE (inserito dall'art. 17, comma 1, lettera m), n. 2), del decreto-legge n. 133/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164/2014) con il quale si prevede che «2-bis. Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio attivita' e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore». Anche per tale aspetto, si rileva la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. nella materia «governo del territorio».

9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 6, della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera l) e comma 3, della Costituzione.

L'art. 61 della legge regionale n. 11/2015 aggiunge la lettera d-bis) al comma 1 dell'art. 53 della precedente legge regionale n. 36/1997. Tale norma dispone che i P.U.O. sono considerati conformi al PUC anche qualora, oltre i margini di flessibilita' previsti dal PUC e dal PUO, comportino «d-bis) la fissazione di distanze tra fabbricati inferiori a quelle stabilite dal PUC che risultino idonee ad assicurare un equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e dell'allineamento degli immobili gia' esistenti, fermo restando comunque il rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e paesaggistico. Tale riduzione e' applicabile anche nei confronti di edifici ubicati all'esterno del perimetro del PUO». La prevista possibilita' di ridurre le distanze tra edifici anche nei confronti di edifici ubicati all'esterno del perimetro del PUO, incide sulla disciplina della distanza tra edifici che appartiene, come noto, all'ordinamento civile che e' nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.

A cio' si aggiunga che, in base all'art. 82, comma 1, lettera a), n. 3), salvo quanto stabilito in via transitoria agli articoli 79, 80 e 81, le disposizioni della legge regionale in esame sostituiscono il decreto ministeriale n. 1444/1968. Vi e' un potere derogatorio attribuito alle regioni dall'art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 come introdotto nel 2013, che pero' lascia espressamente ferma la competenza statale in materia di ordinamento civile, con riferimento al diritto di proprieta' ed alle connesse norme del codice civile e alle sue disposizioni integrative.

Ora, come ha gia' ripetutamente chiarito la giurisprudenza costituzionale, la disciplina delle distanze minime tra le costruzioni rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in quanto attinente all'ordinamento civile (Corte Cost. 21 maggio 2014, n. 134; Corte Cost. 16 gennaio 2013, n. 6; Corte Cost. 7 maggio 2012, n. 114; Corte Cost. 15 maggio 2005, n. 232).

La stessa Corte ha tuttavia precisato, sulla scorta della considerazione che le distanze tra gli edifici possono anche incidere sull'assetto del territorio, e quindi fuoriuscire dai limiti dei rapporti tra privati, che la loro disciplina possa essere oggetto pure di legislazione concorrente regionale quando essa possa essere funzionale agli interessi pubblici legati al governo del territorio. Ed in questa ottica il potere legislativo regionale puo' anche operare in deroga alle norme statali, purche' tale discostamento persegua finalita' di carattere urbanistico destinate ad assicurare «un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio».

D'altra parte, la stessa inderogabilita' dei (soli) limiti di distanza era stata dallo stesso Stato attenuata ammettendo la possibilita' di distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968). Quindi, la legittimazione a derogare per ragioni urbanistiche era principio gia' presente nella normativa statale.

Nel caso di specie, pero', la regione Liguria non ha utilizzato in modo corretto la facolta' derogatoria concessagli dall'interpretazione costituzionale ora ricordata, ed ha pertanto invaso per l'eccessiva ampiezza della previsione la competenza dello Stato.

La norma qui censurata infatti contiene previsioni urbanistiche (e di contenuto di strumenti urbanistici) del tutto generali e generiche, che non contengono alcun riferimento a quelle particolari e specifiche esigenze legate al territorio - a quel particolare territorio, con quelle particolari caratteristiche dettate da ragioni naturali e storiche (cosi' Corte Cost. 134/2014 in parte motiva) - che consentirebbe una disciplina delle distanze diversa da quella inderogabilmente fissata dal legislatore statale. Non e' sufficiente, infatti, una generica motivazione urbanistica per legittimamente derogare ai limiti di matrice statale in tema di distanza tra edifici (se si ragionasse cosi', e' evidente che ogni strumento urbanistico, in quanto tale, potrebbe farlo), ma occorre una specifica motivazione di omogeneita', complessivita' ed unitarieta' che giustifichi per determinate zone una eccezionale - nel senso che fa eccezione - previsione di assetto fisico.

 

P. Q. M.

 

Per tutte le esposte ragioni, la Presidenza del Consiglio dei ministri come sopra rappresentata e difesa conclude affinche' la Corte costituzionale voglia accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle norme delle legge regionale Liguria n. 11/2015 in epigrafe elencate e nel presente atto specificamente censurate per contrasto con l'art. 117, comma 2, lettere l) e s) e comma 3, della Costituzione.

Roma, 8 giugno 2015

L'avvocato: Corsini