VII legislatura

 

Seduta straordinaria di giovedì 12 ottobre 2006

 

In memoria dell’Onorevole Francesco Fortugno

Presidenza del Presidente Giuseppe Bova

La seduta inizia alle 11,00

PRESIDENTE

Diamo inizio alla seduta straordinaria.

L’onorevole Alessandro Tesini, coordinatore dell’Assemblea dei Presidenti del Consiglio delle Regioni italiane ringrazia per l’invito, sottolineando l’impegno suo e degli altri Consigli regionali e si scusa che impegni precedentemente assunti gli impediscono di essere presente. Non possono essere altresì presenti il sindaco della città di Reggio Calabria, il dottore Scopelliti, l’onorevole Marilina Intrieri, il senatore Fuda, l’onorevole Donato Veraldi, deputato al Parlamento europeo ed il senatore Valentino.

Fra poco sarà presente ai lavori anche il Viceministro all’interno, onorevole Marco Minniti.

Possiamo dare inizio a questa Assemblea solenne.

Uomini del Governo nazionale, onorevoli parlamentari, autorità civili e religiose, signor Presidente della Regione, colleghi, siamo qui, nell'aula del Consiglio regionale intitolata al compianto Vicepresidente Franco Fortugno e a tutte le vittime di mafia in Calabria. Siamo qui per ricordarli ed onorarli, per riflettere assieme su quali ulteriori iniziative assumere, perché su quel delitto politico-mafioso e sugli altri delitti di mafia nella Locride e nell'intera regione sia fatta verità, tutta e fino in fondo.

Adesso, come segno del nostro profondo rispetto verso Franco e tutte le altre vittime di mafia, vi chiedo di alzarvi in piedi tutti e di osservare un minuto di raccoglimento.

(L’Aula osserva un minuto di silenzio)

Sia questo gesto, per tutti noi, simbolo di unità e di impegno comune per l'accertamento della verità, per sollecitare un sommovimento delle coscienze che ripudi la ‘ndrangheta e che abbia l’obiettivo prioritario di sradicare dalla nostra terra la malapianta mafiosa.

Manca, ormai, solo qualche giorno al compiersi di un anno da quella terribile sera del 16 ottobre, quando a Locri, in pieno centro, a palazzo Nieddu, un killer mascherato stroncò la vita di Franco con cinque colpi di pistola.

Allora giurammo, di fronte a sua moglie, ai figli, ai parenti, agli amici, al cospetto dell'opinione pubblica del Paese che seguiva attonita i funerali, che avremmo fatto di tutto, proprio di tutto, perché la verità fosse accertata.

Non ci illudevamo che sarebbe stata una battaglia dagli esiti scontati, né tanto meno breve o facile, ma anche di fronte a nuove e scellerate azioni di mafia, ci impegnammo a ribattere colpo su colpo, a fare di questo e dell'accertamento della verità la ragione prima del nostro agire.

Per questo abbiamo chiesto all'Italia di non essere lasciati soli.

In quel momento due eventi straordinari determinarono un vero e proprio sussulto: da un lato, la spontanea mobilitazione degli studenti locridei, che con quel loro striscione bianco furono capaci di esprimere un senso profondo di ribellione che emozionò l'Italia intera; dall'altro, l'alta sensibilità civile del Presidente Ciampi che, accorrendo immediatamente in Calabria, rese onore a Franco Fortugno, espresse piena solidarietà alla famiglia, sostenne ed incitò le istituzioni e i calabresi a resistere e a reagire. Indicò chiaramente qual era la missione che ci affidava e si affidava. Senza questo, difficilmente avremmo potuto fronteggiare le difficoltà assai pesanti che si sarebbero frapposte al nostro cammino.

Così un anno è passato: alcuni risultati sono venuti; il vicecapo della Polizia, prefetto De Sena, è stato chiamato a ricoprire delicate funzioni in Calabria, su cui ci sono già riscontri positivi; le indagini hanno dato un volto al presunto killer e ai mandanti di primo livello, ma sul resto è buio fitto.

Il senso di questa giornata e di questa adunanza, allora, non è solo, come è certamente doveroso, ricordare e onorare, assieme a Franco, tutte le vittime della mafia in Calabria, come Gianluca Congiusta, i cui cari chiedono a gran voce giustizia, giustizia sino ad oggi negata.

Noi siamo qui soprattutto per mettere a fuoco e rilanciare la missione indicataci da Carlo Azeglio Ciampi, tutta imperniata sulla capacità di resistere unitariamente alla sfida lanciata dalla ‘ndrangheta e di infliggere alla stessa un colpo mortale con l'accertamento della verità, tutta e fino in fondo.

Non è un caso che proprio “resistenza e verità” siano le parole d'ordine affidate ai giovani di Locri attraverso il forum “Fo.re.ver.”.

Così l'invito che sento il dovere di rivolgere a tutti i presenti e, attraverso loro, alle istituzioni che rappresentano è quello di rinnovare un patto e rilanciare la sfida contro il nemico mortale della democrazia e della convivenza civile nella nostra regione, che è la ‘ndrangheta. Una sfida che le istituzioni e la politica debbono assumere apertamente e senza tentennamenti.

La ‘ndrangheta e poteri oscuri e deviati, attraverso l'uccisione di un politico mite ed onesto, hanno lanciato un messaggio inquietante: quello che nella Locride e in Calabria nulla può né deve cambiare, pena la morte.

E cosa sono, ancora, se non la prosecuzione per altre vie del medesimo terribile messaggio, la denigrazione e la delegittimazione preventive delle istituzioni calabresi e dei suoi uomini. Come dire, hanno tentato di ucciderci due volte: prima con l'agguato di palazzo Nieddu, e poi cercando di colpire al cuore la possibilità di cambiare la società calabrese radicalmente e nel profondo attraverso la politica.

Ormai non passa giorno che qualcuno non insinui il sospetto dei venti e più consiglieri regionali “indagati”, senza che ci si sforzi di dire chi siano, per che cosa vengono perseguiti o a quali partiti o coalizioni, di maggioranza o minoranza, appartengano.

Ora si parla degli “indagati”, ieri del ritiro dei passaporti, salvo poi averne pubblica ed autorevole smentita da parte del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, che ha bollato quella notizia come una vera e propria “bufala”.

Occorre, invece, rimboccarsi le maniche e testimoniare nella vita pubblica, come sostengono i vescovi calabresi, “una maggiore robustezza amministrativa e legislativa”.

La risposta da dare sta nell'assolvere ciascuno al proprio compito, facendo fino in fondo il proprio dovere, la politica regionale il suo, ma lo Stato pure. Questo significa sapere quali cosche hanno autorizzato l'omicidio Fortugno e soprattutto chi lo ha ordinato, impiegare le professionalità più alte e preparate nel delicato lavoro di intelligence, investire risorse umane ed economiche nella sicurezza e nella giurisdizione in Calabria.

Lo ripeterò quando verrà il Viceministro Minniti, in questo momento è presente il sottosegretario Li Gotti, a loro come uomini del Governo, così come al Presidente della Regione, dico questo: qualora non ci siano in Finanziaria le risorse necessarie per quello di cui ho parlato, tutto ciò dovrà costituire oggetto di uno specifico accordo di programma quadro da definire ed attuare con urgenza tra la Regione Calabria e il Governo del Paese. Come dire, se i soldi in Finanziaria non ci sono, siamo pronti a metterli noi, ma l’obiettivo della sicurezza e della capacità di intervenire non può essere solo declamato.

Quella calabrese, allora, potrebbe non essere una missione impossibile. A tal fine il Consiglio deve puntare su un'attività legislativa di qualità, alta ed inedita, ripartendo da un’attenta verifica dello stato d'attuazione del “progetto d'urto” per la locride che in maniera solenne abbiamo votato con lo strumento finanziario di previsione alla fine del 2005, che prevedeva cosa fare per l’anno in corso. Assieme a questo, nuove leggi regionali finalizzate a determinare un moderno sistema di incentivi alle imprese sane, fondati su criteri oggettivi ed automatici, su meccanismi sicuri quali il credito d'imposta. Ed ancora, leggi che prevedano norme assai rigorose in materia di appalti pubblici, centralizzando, a livello regionale e in ogni singola provincia, la stazione appaltante e prevedendo l’istituzione di un Osservatorio regionale con la funzione di monitorare le imprese e garantire che ditte in odore di mafia non si introducano nei cantieri anche attraverso i subappalti.

Serve, in pari luogo, produrre una legislazione a sostegno della confisca dei beni ai mafiosi, anche attraverso adeguate poste in bilancio che sono state già votate nella Finanziaria di assestamento, agevolando poi percorsi che favoriscano il riutilizzo dei beni da parte della comunità calabrese nel più breve tempo possibile.

In questo quadro, tuttavia, il primo passo è quello di rafforzare percorsi di educazione alla legalità, intesi non solo come esercizi didattici condotti nelle scuole di ogni ordine e grado ‑ che pure sono importanti – ma soprattutto come processi di apprendimento permanente per gli adulti, al fine di rafforzare la consapevolezza in ciascun calabrese del proprio essere cittadino, titolare di diritti garantiti dalla legge.

Dagli uffici regionali all'accoglienza negli ospedali, ai tempi e ai modi di risoluzione di una pratica, le cose dovranno cambiare nella forma e nella sostanza. I calabresi dovranno percepire questo cambiamento, un fiume di diritti che travolga gli argini dell'omertà e della mentalità mafiosa.

La politica, dal canto suo, dovrà ulteriormente cambiare registro e farlo subito, tagliando in modo drastico i propri costi ed investendo con forza sulle nuove generazioni, sui giovani talenti calabresi, ancora troppo spesso costretti ad emigrare in cerca di fortuna lontano dalla nostra terra.

Non v'è dubbio che la `ndrangheta ed altri poteri illegali abbiano assestato alla politica un colpo durissimo. Ma noi non ci siamo arresi e d'ora innanzi la nostra risposta alla sfida in atto dovrà essere ancora più avveduta, più incisiva, più sistematica e più radicale. A tal fine l'investimento più efficace riguarda tutti quegli obiettivi in grado di far rinascere la speranza e di alimentare un clima di fiducia. Per questo serve chiarezza e verità, tutta e fino in fondo, a partire dall'omicidio Fortugno. Ma questa, come abbiamo già detto, non è più la battaglia della sola Calabria, è la guerra di un Paese per difendere un pezzo di se stesso.

Bisogna crederci, avere fiducia e andare avanti.

(Applausi)

La parola al Presidente della Regione, onorevole Agazio Loiero.

Agazio LOIERO, Presidente della Giunta regionale

Autorità civili, militari, religiose, colleghi, rivolgo un saluto a tutti i presenti in quest’Aula e uno in particolare a Maria Grazia, Anna, Giuseppe e a tutti i familiari del compianto amico Fortugno.

Da un anno Franco non è più con noi, manca sicuramente ai familiari prima di tutto, manca a me, manca a questo Consiglio che lo ha avuto impegnato Vicepresidente, manca alla Locride e alla Calabria degli onesti, manca alla democrazia, perché la sua morte, il suo assassinio – lo ribadisco dopo un anno – è stato un attentato alla democrazia.

Coloro che questo delitto hanno deciso, voluto, commissionato, avevano un chiaro obiettivo destabilizzante, un progetto criminale che puntava a condizionare le istituzioni, troncando la vita di un politico, di un medico, di un uomo perbene, per sedersi – come si dice in gergo giornalistico – al tavolo delle decisioni. Ci auguriamo che essi siano stanati dall’ombra, al più presto, con indagini martellanti e capaci di scardinare tutte le porte sbarrate sulla via della verità. Nessuno può pensare che ci siano livelli di intoccabili, santuari inviolabili. Se la mafia ha inteso dimostrare quello che è capace di fare, è tempo che lo Stato dimostri di poter violare l’impenetrabilità delle cosche, facendo luce totale su questo delitto e su tutti gli altri che hanno insanguinato la Calabria.

Sappiamo che, mentre siamo qui, c’è un padre che piange suo figlio e che ha cominciato lo sciopero della fame. Noi abbiamo avuto più iniziative – lo dico qui pubblicamente – col ministro Mastella, dobbiamo rivederlo in questi giorni perché sia data una soluzione a questo problema che comprendiamo e a cui siamo vicini, e lo dico a nome di tutto il Consiglio.

Franco è morto, in quel tragico pomeriggio di ottobre davanti a un seggio elettorale delle primarie, ma il progetto dei clan è fallito: la Calabria non si è fatta piegare dal terrorismo mafioso. E’ fallito anche perché il sacrificio di quest’uomo mite ha fatto alzare, nel suo nome e nel suo ricordo, il livello di autodifesa della società, delle istituzioni e della democrazia, con il preciso intento di rendere impermeabili i processi decisionali da qualsiasi tentativo di intromissione di forze oscure.

Ci hanno dato una mano in tanti nella costruzione di queste dighe antimafia, ci siamo sostenuti vicendevolmente. Ci ha sostenuto la ribellione civile dei giovani di Locri, il grido di tanti ragazzi e tante ragazze che, all’indomani del delitto, hanno manifestato con i loro striscioni bianchi, simbolo di una protesta che non ha bisogno di slogan e di parole per farsi ascoltare, tanto essa è carica di tensioni emotive e di giuste rivendicazioni. Ci ha sostenuto la loro speranza, l’affermazione di un’antimafia che non si esaurisce nella reazione emotiva al delitto, ma tenta di costruire un sistema di legalità che il delitto lo prevenga. Ci ha sostenuto la loro invocazione di una normalità possibile, dovuta, cui non bisogna rinunciare, normalità in cui i rapporti non siano regolati dalle armi, in cui non debba più scorrere il sangue. E non dico, badate, “sangue innocente”, l’aggettivo è inutile, perché è insopportabile che solo in quell’area, non solo per le pietre cariche di storia e di memoria, ci siano tanti delitti e, soprattutto, tanti delitti insoluti, sui quali la giustizia degli uomini sembra arrendersi. Quei giovani non si arrendono, non si sono arresi, non si arrendono i familiari e noi – io, voi e i calabresi che rappresentiamo – non possiamo e non dobbiamo arrenderci e dobbiamo sostenere con tutti gli sforzi possibili nell’invocare un’esigenza di verità.

Ci hanno sostenuto, ancora, i ragazzi di Locri verso i quali abbiamo un obbligo di attenzione non altalenante, e con loro il grande movimento degli studenti del Mezzogiorno e dell’intero Paese, le organizzazioni sindacali, scese a Locri al massimo livello per celebrare tutti assieme il 1° maggio, ci ha sostenuto il mondo della cultura, la stessa stampa che, finalmente, ha mostrato di avere verso la Calabria un atteggiamento meno condizionato da storici pregiudizi e da logori luoghi comuni.

Non siamo alla fine dell’omertà e della paura, non è così, non siamo alla fine della ‘ndrangheta e dell’illegalità, non siamo, insomma, usciti dalla palude che ha tentato di inghiottire le aspirazioni di un territorio e della sua gente, ma tanti gesti, tante iniziative sviluppatesi nel territorio della Locride o altrove, ma per la Locride, ci inducono a ritenere che la vita di Franco Fortugno non è stata sprecata e che la reazione delle coscienze avvenuta nel suo ricordo ha fatto fare un grande passo in avanti su quella strada che, necessariamente, dovrà condurci alla definitiva sconfitta della criminalità delle coppole storte e dei colletti bianchi, per consentire alla locride una nuova possibilità di giustizia sociale e una nuova democrazia capace di affrontare e risolvere i problemi esistenti.

Sappiamo che tutto questo non avverrà in tempi brevi, perché nessuno dispone di una bacchetta magica, ma io credo che questo sia il seme giusto che è stato seminato per avere nel tempo i risultati.

Stupisce un elemento – lo voglio dire con grande franchezza in quest’Aula – sul quale invito tutti a riflettere: neanche un delitto così, platealmente condannato da tutti e in ogni angolo d’Italia, abbia aiutato un processo di pacificazione vera – consentitemi la parola – di una classe politica e di un territorio in cui si vivono problemi complessi che avrebbero bisogno di unità d’intenti per essere finalmente risolti.

Quello che abbiamo alle spalle è stato l’anno di Franco Fortugno, non tanto e non solo per le commemorazioni, magari significative, ultima delle quali l’altro giorno alla presenza del Presidente del Consiglio Romano Prodi, che a Locri è tornato più di una volta dopo il delitto. La data della morte di Franco, per certi versi, è stato l’undici settembre della locride e della Calabria, infatti quel 16 ottobre di un anno fa è cambiato anche il corso della storia di questa regione. E si parla, si discute, quasi che ci sia un prima e un dopo Fortugno.

Tutto quello che si è fatto in direzione della legalità, della trasparenza, nell’interesse dei giovani, dello sviluppo dell’area, in un certo senso lo si è fatto anche alla luce di quel sacrificio che ha sconvolto noi e il Paese, lo si è fatto come risposta all’offensiva mafiosa, a quel delitto politico-mafioso che avrebbe dovuto far abbassare la testa agli onesti, ma paradossalmente ha esaltato le qualità positive, la forza di volontà, l’orgoglio della legalità di quella gente di Calabria che il potere criminale avrebbe voluto mettere ancora di più sotto scacco.

La Locride, insomma – lo abbiamo visto in questo mesi – non è un luogo immateriale, né tanto meno il fantasma della nostra modernità incompiuta, è invece un distillato di emergenze economiche e sociali che vanno dall’isolamento all’abbandono, dai trasporti inadeguati, a un’agricoltura che non decolla, al turismo sognato, ma ancora non sviluppato, al diritto alla salute spesso negato, ai bisogni culturali insoddisfatti e chi più ne ha più ne metta, tutto aggravato da una criminalità da primato, ma proprio perché la Locride può essere considerata il paradigma del sottosviluppo non può essere lasciata al proprio destino.

Non è più il tempo delle analisi socio-politiche, né di solenni dichiarazioni d’intenti, è il tempo di fare, il tempo di mettere in campo progetti e idee fattibili, capaci di avviare sul serio un progetto di cambiamento, trasformare il territorio e avvicinarlo alla normalità, al Paese, all’Europa. Chi può, a ogni livello, ha l’obbligo di fare. Il governo regionale ha iniziato a fare alcune cose ma cose concrete, investimenti corposi in diversi settori strategici, materiali e immateriali, in grado poi di modificare – ripeto – nel tempo alcuni equilibri.

Metto in conto il rischio concreto che l’aridità delle cifre potrà turbare la solennità di questa seduta del Consiglio regionale, chiamato a ricordare il suo Vicepresidente a un anno dal barbaro omicidio, ma ho l’obbligo di rendere edotta questa Assemblea, e dunque i calabresi, di quanto, sempre sullo sfondo di una regione debole, è stato fatto ed è stato messo in cantiere per dare alla Locride, ai suoi giovani e alla sua gente le risposte attese.

Non vi fa farò un elenco della spesa, questa sì rischierebbe anche di tediarvi, bensì cercherò di sottolineare alcune evidenze significative, partendo proprio dai temi più “caldi”, i giovani, il lavoro, la legalità, la lotta alla criminalità, quella che un governo regionale, un Consiglio regionale può fare.

Dico subito dei quasi 2 milioni di euro destinati in bilancio – un bilancio disastrato – al fondo antiusura e antiracket, perché sappiamo tutti che sono le prime e più violente forme di oppressione sociale da parte dei clan mafiosi, soprattutto nella Locride, dove il vescovo Bregantini – che non mi stanco mai di ringraziare per la sua opera di apostolato che svolge in questo territorio difficile – in passato ha dato vita per questo ad una fondazione antiusura. Altri fondi sono stati destinati al recupero dei beni confiscati alle cosche per metterli a disposizione delle comunità interessate.

Aggiungo subito che la delicata situazione del disordine amministrativo nell’Asl di Locri è stata affrontata assieme al prefetto De Sena, che sta svolgendo anche lui un’opera importantissima nel coordinamento dell’azione dello Stato contro le cosche, col quale abbiamo concordato l’implementazione del sistema informativo dell’azienda sanitaria, nel quadro dell’accordo di programma quadro sicurezza.

Ai giovani e alla scuola della Locride, in questo lasso di tempo, è stata dedicata un’attenzione particolare. Non è poca cosa la destinazione di 2 milioni e mezzo di euro all’anno per 25 anni, per contrarre un mutuo di 40 milioni di euro destinati alla realizzazione di un Polo scolastico a Locri. Il sindaco mi diceva, poc’anzi, che si può vedere di finalizzarlo diversamente, visto che alcune strutture là esistono. Sempre per la scuola, vi fornisco altre cifre erogate dall’assessorato competente: 2.865 mila euro – scusate l’aridità delle cifre, ma voglio lasciare in memoria queste cose – a sostegno delle famiglie; 888 mila euro per musei, teatri, biblioteche, promozione culturale, fondazioni e archivi; 805 mila euro per il diritto allo studio.

Ma con priorità per i giovani, ancora, sono stati destinati fondi rilevanti per l’alta formazione e master; il bando, nell’Apq “Sicurezza e legalità”, è già stato fatto; e vorrei ricordare quel “ponte Lazio-Calabria”, col gemellaggio tra il liceo scientifico di Locri e il “Cannizzaro” di Roma, nonché la visita della Kennedy a Locri.

E vorrei segnalare, ancora, due progetti Equal, finanziati con 1 milione e 100 mila euro. Essi riguardano un progetto della cooperativa Valle del Bonamico, tendente all’integrazione sociale e lavorativa di ex detenuti; e un altro progetto del Goel di Gioiosa Ionica, riguardante la promozione e l’assistenza allo sviluppo di cooperative sociali nella Locride. Entrambi i progetti sono in fase attuativa, come altri sulla riemersione del lavoro nero in collaborazione con la Field. In cantiere, poi, c’è un progetto per 4 milioni di euro per l’inserimento lavorativo di giovani disoccupati di lunga durata nelle imprese.

Sono tutte misure, come è facile intuire, indirizzate a dare una risposta complessiva all’emergenza del territorio di cui stiamo parlando.

Abbiamo pensato, ancora, ai beni culturali, che nella Locride sono un patrimonio inestimabile, da mantenere e rendere più fruibili, 2 milioni 360 mila euro sono stati destinati per il teatro coperto di Locri, 850 mila euro per Gerace, 1 milione per Polsi, 1 milione e 400 mila per il castello e il borgo fortificato di Bovalino.

L’ambiente è un altro patrimonio e nella Locride sono stati destinati 1 milione e mezzo per la sua difesa e 1 milione e 378 mila per la raccolta differenziata nei comuni che ne hanno fatto richiesta.

Il problema delle infrastrutture e dei trasporti è stato affrontato nella sua globalità, visto l’isolamento della Locride: 5 milioni di euro sono stati investiti nei trasporti ferroviari e su gomma per facilitare la mobilità e l’accessibilità; sono stati potenziati i collegamenti tra la locride e l’Università della Calabria, tra la locride e Reggio sulla trasversale Ionio-Tirreno; sono stati istituiti collegamenti stabili quotidiani con la stazione ferroviaria di Rosarno, garantendo così l’integrazione ferroviaria verso la rete primaria di lunga percorrenza.

Avrei altre cose da aggiungere ma mi fermo qua, lascio però in memoria qui alla Presidenza del Consiglio il dattiloscritto del mio intervento.

Questo è stato, insomma, il nostro modo di agire, anche se – voglio dirlo con estrema chiarezza – quelli elencati ed altri sono provvedimenti che avviano un cambiamento, ma non sono risolutivi rispetto alla gravità, alla qualità e alla quantità dei problemi che ci troviamo ad affrontare. Abbiamo reagito, però, la Calabria intera ha reagito, raccogliendo lo stimolo – lo diceva poc’anzi il Presidente Bova – di Carlo Azeglio Ciampi, che venne in quest’Aula come Presidente della Repubblica per onorare il povero Franco Fortugno.

Anche se non sempre e non tutta l’Italia è stata con noi, come aveva assicurato il Presidente della Repubblica, noi non ci siamo dati per vinti. Certo, l’opinione pubblica nazionale, dopo il delitto, ha dovuto prendere atto dell’esistenza di una Calabria inedita e confrontarsi con una nuova coscienza tipica dei calabresi, ben espressa dai movimenti giovanili.

Questa Calabria, diversa dopo il sacrificio di Fortugno, ha tratto una forte lezione di legalità combinata con altrettanta forte sete di giustizia che non fosse più soltanto quella dei tribunali e delle sentenze, bensì una giustizia sociale, direi perequativa, che sola potrebbe finalmente permettere a questa terra, alla locride e alla Calabria, segnate dalle emergenza, di avere pari opportunità sulla via dello sviluppo, della crescita e dunque del lavoro, obiettivi che ancora inseguiamo con affanno, per avere i quali non intendiamo desistere, proprio nel nome e nel ricordo di Fortugno.

A un anno dalla sua morte, siamo ancora segnati dallo sconforto, piegati, ma non ci vogliamo arrendere. Anche per lui, allora, dobbiamo trovare il coraggio e la forza di resistere, governare in legalità e trasparenza, che sono le nostre stelle polari, per dare un’occasione viva e vera alla locride e alla Calabria.

(Applausi)

PRESIDENTE

Prima di dare la parola al primo degli iscritti, alcune brevi comunicazioni. Abbiamo concordato con i colleghi Presidenti dei gruppi di fare una seduta sobria, in cui sia dato tutto lo spazio necessario alle personalità, alle autorità, ai parlamentari qui presenti, lasciando a noi consiglieri l’impegno di proseguire in una seconda parte della seduta stessa. Il tutto con l’obiettività e l’equilibrio di forze che scrivono al plurale e leggono in maniera unitaria l’impegno contro il nemico mortale di cui stiamo parlando. Ancora: molti mi hanno pregato di ricordare che saranno costretti a rientrare a Roma o laddove sono impegnati, quindi la seduta, perlomeno la prima parte, dovrà compiersi in tempi abbastanza ristretti, per cui raccomando di tenere gli interventi nell’ambito dei cinque-sette minuti.

Con questo spirito, chiamo a parlare Annamaria Pancallo, ieri studentessa della scuola media superiore, ora neoiscritta alla facoltà di giurisprudenza presso l’università “La Sapienza” e comunque, ieri come oggi, espressione del forum “Fo.re.ver.” di Locri.

Annamaria PANCALLO, rappresentante forum “Fo.re.ver.” di Locri

Buongiorno a tutti a nome dei ragazzi del forum “Fo.re.ver.”

Un anno fa un efferato omicidio ha stravolto la Locride, la Calabria, l’Italia. Era un tranquillo pomeriggio di domenica, quel giorno si votava per le primarie dell’Unione, quel giorno di Franco Fortugno ci è rimasto solo il ricordo del suo sorriso, dei suoi gesti, del suo buon cuore. Rivoli di sangue innocente hanno bagnato le strade della Locride: Fortunato Correale, Vincenzo Grasso, due tra gli eroi locresi, vennero uccisi perché non si piegarono al volere mafioso. Nessuna tutela e, a più di dieci anni dalla loro morte, ancora nessuna giustizia. Ricordo i commenti, gli articoli, le parole di chi si fermò, un anno fa, ad osservare la realtà calabrese, tutti con l’intento di confezionare ricette perché si cambiasse rotta, registro, al fine di restituire dignità ad una regione dilaniata, più che compromessa, da eventi criminali.

Si è scoperta la pericolosità della ‘ndrangheta e la sua feroce capacità di farsi potere forte, di determinare la vita di un territorio, è stata riconosciuta come la più pericolosa organizzazione a livello internazionale. Lo scenario che abbiamo di fronte è drammatico e la Calabria versa ancora in una situazione critica; anche se negli ultimi tempi sono stati fatti dei notevoli passi in avanti, è necessario attuare provvedimenti ancora più seri per arginare, contrastare e sconfiggere il sistema mafioso.

Si sbaglia se si considera la Calabria un’emergenza e si sbaglia ancor di più se le misure precauzionali o repressive attuate sono di tipo emergenziale; le nostre sono vere e proprie tare storiche, macigni che ci portiamo dietro da più di centocinquant’anni.

Spesso nel Mezzogiorno lo Stato è rimasto troppo distante dai bisogni dei cittadini. Già all’indomani dell’unità d’Italia il modello sociale, politico ed economico che venne impiantato nelle regioni del Sud poco aveva a che fare con le tradizioni, i costumi, i bisogni, le necessità del popolo meridionale. E’ bene dire – e lo ribadisco – che nel tempo sono stati fatti dei passi in avanti, ma capita ancora di invocare lo Stato quasi come se si trattasse di un’entità astratta, forse perché troppo spesso si è dimostrato lontano dalle nostre reali esigenze.

Non abbiamo chiesto la pietà di nessuno, abbiamo rivendicato la nostra dignità e alla politica chiediamo che assolva al suo ruolo di interprete, che comprenda le nostre speranze, per poter schiudere nuove prospettive di cambiamento. Chiediamo – e non possiamo che essere soddisfatti di quelli già attuati – interventi seri per la crescita dei nostri territori: una fiscalità di vantaggio, delle certezze in ambito finanziario, linee di intervento mirate per le regioni del meridione. Vi è una carenza nei trasporti e il tasso della disoccupazione è ancora troppo alto. Le nostre sono carenze forse anche strutturali, ma nei momenti di maggiore sconforto mi ritorna in mente una frase, quella di don Pino Puglisi: “Ognuno di noi deve fare qualcosa”, e noi dobbiamo farlo.

Noi giovani, speranza presente prima che futura, siamo diventati il megafono di tutti coloro che in Calabria, quotidianamente, spesso anche lontano dalla ribalta, tentano di scrollarsi di dosso tutte le “ingiurie” che l’emarginazione, il malgoverno, le “onorate società”, una cospicua dose di fatalismo e di vittimismo, hanno cucito addosso ai calabresi. A Locri, mettendo a dura prova cuore, muscoli e tendini, abbiamo avuto la forza di indignarci con passione, determinazione e coraggio e stiamo provando a definire in Calabria nuovi traguardi di civiltà. Lo stiamo facendo all’interno della nostra organizzazione, il forum “Fo.re.ver.”, un vero e proprio laboratorio di futuro, una fucina di proposte, luogo di crescita, di incontro per le giovani generazioni della locride.

Quell’omicidio, quella ribellione, hanno segnato un momento di svolta. La ‘ndrangheta ha alzato il tiro, ma noi abbiamo saputo reagire con forza e determinazione. “Ci siamo, ma non ci stiamo”, è questo lo striscione che raccoglie il senso di un anno di lotte - un anno, sì - durante il quale abbiamo ideato progetti per tutte le scuole di ogni ordine e grado, abbiamo fatto conoscere il volto pulito, positivo della nostra terra, stiamo facendo rete con tutti i giovani d’Italia, collaboriamo anche con il ministero dell’istruzione.

Noi del forum “Fo.re.ver.” non siamo i pupazzi di Locri, come qualcuno vorrebbe far credere, non facciamo proclami, non abbiamo bisogno delle telecamere per operare, tentiamo di costruire percorsi di legalità per la nostra terra, ci confrontiamo con la politica, senza voler fare polemica a tutti i costi, e a voi chiediamo pulizia, trasparenza e risposte certe, altrimenti la pubblica amministrazione rischia di diventare un potente volano della criminalità.

Siamo qui contro la schiavitù della mafia che spesso, troppo spesso, riempie le lacune dello Stato e si propone come istituzione alternativa. Stiamo muovendo i primi passi  e - saranno più di cento - li stiamo muovendo nella giusta direzione. Il 16 ottobre saremo nuovamente in piazza e noi ragazzi del forum “Fo.re.ver.” abbiamo chiamato a raccolta tutti coloro che ci hanno sostenuto da ogni parte d’Italia.

Un anno di vero impegno, di confronti, dialoghi, un anno di progetti, sogni, idee, un anno di semina e ci aspettiamo un ricco raccolto. Amiamo la nostra terra e resistiamo per essa, per il suo presente, per il suo futuro. Questi siamo noi, i ragazzi del forum “Fo.re.ver.” di Locri e della locride, giovani uomini e donne che si impegnano nel quotidiano. E questa, signori, come diceva san Paolo, è la nostra “buona battaglia”.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola all’onorevole Maria Grazia Laganà Fortugno, moglie di Franco.

Maria Grazia LAGANA’, vedova Fortugno e parlamentare

Onorevole Presidente, onorevoli consiglieri regionali, onorevole Presidente della Giunta, autorità, civili e militari, è mio primo dovere ringraziare tutti voi per l'affettuosa vicinanza in occasione della tragedia che mi ha colpito: ringrazio il Presidente di questo Consiglio, onorevole Giuseppe Bova, e tutto l'Ufficio di Presidenza, anche per l'austera e solenne organizzazione della cerimonia funebre di un anno fa, che ha dato l’idea della grande dignità del Consiglio regionale della Calabria; ringrazio il Presidente Agazio Loiero e tutta la Giunta regionale per essere stati vicini alla mia famiglia nei momenti più difficili; così come ringrazio ancora il Presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che con la sua presenza qui di un anno fa ha onorato mio marito e, con lui, le istituzioni calabresi e tutte le vittime della mafia.

Ringrazio, ancora, i segretari nazionali dei partiti e i sindacati; un ringraziamento ai magistrati, che hanno svolto fin qui le indagini; a sua eccellenza il prefetto, alle forze dell'ordine, all'Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato e alla Guardia di Finanza; all'allora ministro degli interni, onorevole Pisanu, che nell'immediatezza del fatto ha inviato sul territorio forze speciali per affiancare i colleghi del posto. Ringrazio tutti e specialmente i ragazzi di Locri che hanno dato vita ad un coraggioso movimento spontaneo di riscatto e di affrancamento dal pesante giogo dei poteri criminali, anche se, ancora oggi, dobbiamo constatare che con spudorata spavalderia la criminalità continua a manifestare la sua azione delinquenziale a Locri come in altri centri della Calabria, uccidendo ancora, bruciando macchine, sparando, minacciando amministratori, imprenditori e commercianti.

Io mi chiedo: ma come si fa a combattere la mafia senza una strumentazione legislativa adeguata, per come viene continuamente invocata da magistrati valorosi, che sperimentano sul campo la presenza dei vincoli giuridici, che impediscono o addirittura svuotano gli impianti accusatori? Anche loro non vanno abbandonati, ma vanno sostenuti dal ministro della giustizia e dai cittadini.

Onorevole Presidente, l'ottima iniziativa che lei ha voluto prendere a Locri nei mesi scorsi, attraverso il “Fo.re.ver.”, deve essere meglio attrezzata e deve finalmente decollare come centro d'incontro di tutti i giovani che si vogliono impegnare a ribaltare la cultura mafiosa, ma queste non sono cose difficili da realizzare, conoscendo il pensiero e la volontà del nostro Presidente Bova.

Si riscontra, purtroppo, maggiore difficoltà nel realizzare il comando gruppo dei Carabinieri con la nuova caserma a Locri. Il gruppo di investigatori venuto da fuori sta progressivamente andando via, come se avesse finito il suo lavoro; si è ancora in attesa che il Procuratore nazionale antimafia affianchi la Procura distrettuale di Reggio Calabria, tutto ciò deve far supporre che l'indagine sull'uccisione del Vicepresidente del Consiglio regionale voglia terminare? Si è fatto tutto? Si è indagato sulla provenienza del denaro che è andato nelle mani dei killer e di quanti altri hanno preso parte alla spedizione di morte? Si è indagato in modo approfondito sul tentato omicidio dell'onorevole Zavettieri e sulle connessioni con l'omicidio di Franco?

C’è chi mette in giro voci che, in fondo, mi sarei rassegnata perché risarcita dell'omicidio con un posto in Parlamento, a simili affermazioni rispondo con la quotidiana battaglia per affermare in Calabria quei principi di legalità, trasparenza e lotta alla mafia, che erano propri di Franco. Ho vissuto e condiviso con lui, giorno per giorno, i suoi impegni e la sua passione, continuo a subire tentativi di distorsioni strumentali della verità, sembra che alcuni operino per non arrivare all'affermazione della verità, altri per delegittimare le vittime del reato.

Mi domando se tutto ciò avviene per bassezza d'animo o gelosia, oppure perché si persegue l’interesse di creare un'atmosfera di confusione nella quale diventa sempre più difficile individuare le complicità, le collusioni e i colpevoli. Io, fin dal primo momento, ho costantemente chiesto che si indagasse in ogni direzione e ad ogni livello, specificatamente sui rapporti tra mafia e politica. Devo riconoscere, però, che accanto a queste piccole amarezze sono stata sostenuta da una marea di solidarietà ed affetto, che mi ha dato forza e incitato ad andare avanti.

Oggi qui non parlo solo come la vedova del Vicepresidente del Consiglio regionale, ma come un parlamentare della Repubblica che invoca e pretende giustizia, non solo per Franco Fortugno, ma anche, e allo stesso modo, per tutti i morti ammazzati dalla mafia rimasti finora nel dimenticatoio. Penso a Emilio Sgambetterra, consigliere comunale di Canolo; a Francesco Panzera, docente del Liceo di Locri; a Vincenzo Grasso, a Stefano Carnuccio, alla carissima Maria Speziali, moglie dell'ex sindaco di Locri; ma anche al meccanico Correale, ucciso perché aveva visto e denunciato un aggressione mafiosa ai carabinieri; al medico Fortunato Larosa, a Massimiliano Carbone, a Gianluca Congiusta; tutti, e tanti altri ancora decine e decine di lutti, dormono nei loro cimiteri, dimenticati dallo Stato.

Si può andare avanti cosi? Dov'è la lotta alla mafia, se tutto resta come prima? Lo chiedo al ministro degli interni ed aspetto una risposta, aspetto di sapere se i fascicoli chiusi, per casi irrisolti, vengano riaperti e le indagini riprese. Gli impegni che il Presidente Prodi ha assunto a Locri sulla lotta alla mafia ci sostengono nella speranza che le cose possano cambiare, siamo sicuri che manterrà le promesse.

A noi, alla politica, serve un risveglio di massa sempre crescente, una partecipazione reale che segni una svolta culturale e morale rispetto al passato, serve un atto di coraggio e di ribellione, così come si è verificato nel mondo giovanile. Nessuno deve rimanere solo in questa guerra e nessuno può pensare di farcela da solo, portando avanti battaglie coraggiose in solitudine. Occorre stare tutti insieme, senza gelosie, senza riserve, sapere che la guerra alla mafia si vincerà se ciascuno farà la sua parte.

La lotta alla mafia interessa tutti i partiti, noi non possiamo non apprezzare e collaborare con quanti da anni portano avanti battaglie coraggiose e rischiose per difendere i diritti dei cittadini onesti e le nostre comunità dall'invadenza mafiosa: al Viceministro Minniti, al sottosegretario Li Gotti, chiediamo di interpretare e rappresentare, fino in fondo, il ruolo fondamentale di governo nel potenziamento e nel confronto di tutte le forze in campo attestate sul nostro fronte. Mi rivolgo anche ai cari ragazzi di Locri per dire che non sono soli, occorre che tutte le associazioni, i movimenti culturali e del volontariato partecipino con tutti i mezzi a disposizione al processo di liberazione dalla servitù mafiosa.

Un grande ruolo nel rinnovare dal di dentro la società lo esercita la Chiesa calabrese, presente anche attraverso la parola profetica e le iniziative sociali e coraggiose di monsignor Bregantini. Un grande ruolo possono averlo, lo devono avere, gli enti locali, assumendo una intransigente iniziativa che protegga dalle infiltrazioni mafiose tutta la pubblica amministrazione e producendo politiche sociali idonee per elevare la coscienza civica.

Dobbiamo prendere coscienza del fatto che nella società si è costituita una vera e propria borghesia mafiosa, che è sempre più difficile sconfiggere senza la civile partecipazione di tutti, senza una forte azione culturale che parta da ogni luogo d'istruzione, dalle scuole, dai partiti, dai sindacati, dalle chiese, da tutte le agenzie educative. Per rompere il cerchio di collusione tra mafia e politica, bisogna interrompere il sistema d'impunità che contribuisce a solidificare il sistema della borghesia mafiosa, che tende ad appropriarsi anche del potere politico per rafforzare il suo potere economico e sociale.

Auspico – ne sono convinta – che il Presidente Loiero si muova in questa direzione. A fronte di una Calabria vecchia, dominata dall'economia mafiosa, che si estende oramai anche nel campo delle professioni, per invadere un poco alla volta tutti i campi della società, alterando il mercato del lavoro e delle istituzioni, i partiti politici devono riprendere il grande ruolo che affida loro l'articolo 49 della Costituzione, si devono interrogare sulle loro responsabilità, soprattutto quando selezionano la loro classe dirigente.

Per concludere, alla Regione chiedo che venga rifinanziata la legge contro la cosiddetta “fuga dei cervelli”. Abbiamo bisogno che i migliori giovani restino in Calabria e le nostre università aperte alla migliore meritocrazia calabrese. E' urgente, nello stesso tempo, predisporre un piano straordinario per il lavoro dei giovani della locride e della Calabria, perché non corrano il rischio di cadere nella disperazione della scelta mafiosa, spinti dal bisogno economico. In questo caso ne saremmo, anche se indirettamente, corresponsabili.

Dopo un anno dal delitto, che è stato definito il più devastante avvenuto in Calabria, certamente non rimaniamo appagati da suggestive manifestazioni, siamo mossi esclusivamente dalla pretesa che tutta la verità venga accertata. Concludo, però, con un pensiero di speranza: come diceva Tertulliano per i cristiani, “il sangue dei martiri possa far nascere i fiori della giustizia attraverso quella verità che sola ci renderà liberi”.

(Applausi)

PRESIDENTE

Noi faremo tutto quello che siamo in grado di fare  e continueremo a farlo.

La parola all’onorevole Tassone, vicesegretario nazionale dell’Udc.

Mario TASSONE, vicesegretario nazionale dell’Udc

Signor Presidente del Consiglio regionale, signori consiglieri regionali, signor Presidente della Giunta, colleghi, partecipanti a questa manifestazione di cordoglio e di ricordo, voglio rinnovare alla famiglia Fortugno e alla collega Maria Grazia Laganà i sentimenti di sincera solidarietà. Ho apprezzato moltissimo quello che ha ci detto poc’anzi Maria Grazia e ritengo che tutti siamo qui questa mattina con l’intento di ricordare anche questo passaggio, che questo di oggi  non sia semplicemente un’occasione di ricordo, un incontro di commemorazione, altrimenti molti di noi avrebbero evitato di essere presenti, avrebbero evitato di occupare spazi anche con i propri interventi.

Certo, quest’Aula di Consiglio regionale più volte ha avuto occasione di parlare di sicurezza e di criminalità anche nella nostra regione. Forse qualche tempo prima dell’uccisione di Fortugno, noi abbiamo avuto l’occasione per parlare e per intrattenerci su questo fenomeno. Ritengo che, dopo un anno, dobbiamo capire quali siano stati i percorsi e gli obiettivi raggiunti da parte di tutti. Se vi dicessi che abbiamo raggiunto dei grandi obiettivi, non sarei nel vero; con la mia solita franchezza, dico che la verità non è stata certamente acquisita, non è un patrimonio della storia della cultura di questa nostra regione.

Non sappiamo quali sono i mandanti, qual è la connessione. Certo, se volete, do un riconoscimento a coloro che si sono interessati, certamente alle forze dell’ordine che fanno il loro dovere, a tutti, ai magistrati, per carità, ma non c’è stata l’acquisizione di una verità che tutti quanti agogniamo, perché credo che tante cose sono state dette e questo delitto è stato anche indicato come un passaggio di una storia e di una svolta per quanto riguarda la nostra regione.

Quali sono le connessioni, quali sono le connivenze, quali sono le protezioni, quali sono gli stati di omertà?

In un’interpellanza, l’altro giorno, ho avuto modo di interrogare il Governo su una vicenda che per me è inquietante: il trasferimento del giudice  Creazzo. Non l’ho capito, non ne ho capito la motivazione: quando le indagini stavano proseguendo, Creazzo viene sostituito e trasferito a fare il vicecapo dell’ufficio legislativo del ministero della giustizia. Questo è un dato che, ovviamente, infonde qualche preoccupazione, al sottosegretario Li Gotti già l’ho detto con molta cortesia: non lo capisco.

Allora non c’è dubbio che questi devono essere dei momenti non soltanto di ricordo, ma occorre  operare per una grande iniziativa, una grande mobilitazione. Sono convinto che le rivoluzioni si facciano sul piano di una coscienza, di una consapevolezza, del recupero della dignità alla politica, certamente alle formazioni politiche, e certamente, anche dopo il delitto Fortugno, non credo che la politica calabrese e i partiti calabresi abbiano dimostrato una sintonizzazione riguardo l’importanza ed il significato anche del dramma che la Calabria viveva.

Vi è stata incertezza, confusione, anche le vicende che hanno riguardato le ultime storie della Giunta regionale non credo siano indicative di un processo, di un grado di maturazione sul piano politico.

Allora ognuno di noi deve fare la propria parte, deve fare il proprio dovere senza appelli, senza prediche, senza grida, senza concioni, ma con grande consapevolezza:  ognuno faccia il proprio dovere! Certo, vogliamo sapere qual è la connessione tra politica, mafia,ndrangheta, come oggi la realtà calabrese credo stia sopravanzando – come è stato ricordato – rispetto ad altre organizzazioni criminali, organizzazioni deviate, tutto quello che volete. La Calabria deve comprendere che i suoi mali sono determinati dai calabresi stessi, non c’è un destino cinico e baro. Per molti anni abbiamo detto che c’era un problema di soldi, di risorse economiche, oggi mancano i progetti e manca la capacità di spendere, di collocare. Nei primi anni della mia esperienza parlamentare c’era qualcuno che mi chiedeva sempre risorse, adesso le risorse ci sono, bisogna saperle spendere con grande rigore non cedendo alle suggestioni della clientela, senza essere condizionati dai 100 voti elettorali espressi, ma dimostrando soprattutto che la politica ha una sua dignità, una sua capacità di acquisizione e di dominare gli eventi.

Ritengo che ricordare Fortugno significhi acquisire questa vicenda delittuosa come un fatto nostro, non è un problema che riguarda la famiglia Laganà-Fortugno, è un problema della Calabria, è un dramma della Calabria, è un delitto che riguarda la Calabria.

Per recuperare una nostra cultura, noi diciamo di essere un popolo cristiano – non soltanto coloro che hanno fede, che si riconoscono nella religione cattolica –, con determinati valori che ci hanno accompagnato nell’infanzia, nel nostro lavoro, nella nostra attività, nella famiglia; questi valori hanno senso oggi, in questa Calabria che può diventare un momento forte nella sua essenza ed essere, quindi, famiglia, avere una grande forza di solidarietà, altrimenti le commemorazioni sono di occasione, sono un compitino svolto, più o meno bene, però non lasceranno alcuna  traccia perché il tempo, purtroppo, farà giustizia all’inverso.

Certo, l’impegno da parte delle forze dell’ordine, del prefetto De Sena, dei tanti altri sono scolpiti anche nella storia di questa Calabria. Ma pensate veramente che sia un problema di forze dell’ordine o di magistratura? Pensate veramente che sia un problema che riguarda alcuni e non riguarda tutti noi in merito a come ci rapportiamo all’interno della realtà calabrese?

Ritengo che questo sia il senso e soprattutto il messaggio che viene fuori dopo un anno dalla scomparsa di Fortugno. Ci furono tante storie e, vi dico con molta chiarezza – chi mi conosce lo sa-,  anche forzature strumentali. Certo, ho acquisito le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, di tutti gli esponenti maggiori, ho ascoltato in silenzio allora a Locri tutti coloro che hanno parlato alla manifestazione – non ebbi la possibilità di parlare –;  ecco, ritengo che qualche forzatura in meno ci debba essere e qualche capacità di essere tutti insieme  - e forse può essere questa l’occasione -  per riprendere un percorso in termini di grande unità e di grande solidarietà.

Bisogna capire dove è nato e come è nato il delitto, forse c’è un percorso, ma qualcuno lo vuole oscurare. Voi lo sapete, lo sappiamo tutti, c’è qualche situazione imperscrutabile, non so perché, ma certamente c’è una situazione condizionante; ecco il perché della mia inquietudine per il trasferimento di Creazzo, ecco perché altre inquietudini.

Allora, questo momento deve essere anche l’occasione per ripartire, perché non ci siamo dimenticati, non è un fatto semplicemente celebrativo o liturgico, ma è un fatto di una nuova presa di coscienza e fin quando non si farà luce su questo e altri delitti – c’è un padre che sta soffrendo – questa Calabria non imboccherà la via del progresso civile e della sua dignità.

(Applausi)

PRESIDENTE

Prima di dare la parola al sottosegretario alla giustizia, avvocato Li Gotti, e di invitare a prepararsi l’onorevole Fedele, parlamentare di Forza Italia che parlerà dopo di lui, voglio ringraziare anche a nome vostro la dottoressa Boda, che è qui presente, assistente del ministro della pubblica istruzione e che ha anticipato la presenza del ministro, il quale sarà nei prossimi giorni a Locri per rafforzare ulteriormente i percorsi di conoscenza e di legalità in quell’area. La ringraziamo e le chiediamo ringraziare e salutare anche per conto nostro il signor ministro.

La parola al sottosegretario alla giustizia, avvocato Li Gotti.

Luigi LI GOTTI, sottosegretario alla giustizia

Cara onorevole Laganà Fortugno, gentili autorità, come calabrese avverto che voi, come me e l’intera regione oggi, ci  sentiamo ancora una volta profondamente feriti. Non è soltanto per l’occasione della celebrazione per l’anno trascorso dal delitto, è perché avvertiamo che quel delitto ha rappresentato una ferita profonda per noi tutti. Ciò che non condivido è il ritenere che quella ferita così attuale sia espressione di qualcosa che improvvisamente abbia squarciato la nostra normalità: era scritto nella storia anche della nostra terra che saremmo arrivati a questo livello di scontro, perché la storia che abbiamo sotto i nostri occhi in altre regioni d’Italia dimostra questo, che il crimine cresce ed aggredisce e noi saremmo diventati come altre regioni sono diventate, subendo una serie di pesantissimi insulti. Era, quindi, scritto, era inevitabile che ciò accadesse, nel momento in cui una regione manifesta segnali di risveglio era inevitabile che ciò accadesse, quindi, non è stata una folgore a ciel sereno.

Quando noi diciamo – e condivido – che abbiamo  attese, quando noi diciamo che vogliamo la verità su questo delitto, una prima verità già la conosciamo: anche in Calabria lo scontro è diventato pesantissimo, lo scontro tra la classe politica, la classe dirigente e la classe, purtroppo, dominante criminale è una realtà con la quale dobbiamo fare i conti.

Vedete, la straordinarietà del movimento dei ragazzi di Locri sta nella loro domanda di normalità, non dicono nulla di eccezionale, si limitano a chiedere riconoscimento di diritti, rispetto del lavoro, onestà, correttezza, libertà di agire ed operare, cose normalissime che molti Paesi conoscono e ritengono condizioni basilari del comune vivere civile.

Cosa c’è di straordinario nella richiesta di pulizia? Noi siamo ridotti, invece, in queste condizioni.

Allora, la domanda che dobbiamo porci è: possiamo, come calabresi, chiedere a noi stessi di essere normali, non eccezionali, normali? Ma cosa c’entra il parallelismo cattiva amministrazione e delitto? Ma cosa c’entra nella democrazia? Esiste la cattiva amministrazione, ma questo non significa delitto. Il delitto è un’altra cosa, è il contrario della democrazia, perché nella democrazia l’incapacità amministrativa ha, attraverso il voto dei cittadini, le sue sanzioni democratiche.

L’altra elemento di attenzione da tenere presente, nel momento in cui cerchiamo normalità, è quello di non cadere ancora una volta nella sindrome dei figli e dei figliastri. Lo Stato può e deve, lo Stato è e sarà presente, ma molto dipende da noi.

Noi abbiamo vissuto e continuiamo a vivere una fase di emigrazione della coscienza, abbiamo trasferito la nostra coscienza altrove, spesso su qualche alibi. Riappropriamoci della coscienza, il nostro impegno dovrebbe essere quello di impegnarci nel concretizzare uno slogan, “togliere l’acqua ai pesci”. Ma l’acqua siamo noi! Il crimine nasce, si sviluppa, si manifesta anche per poi esplodere al nostro interno e noi qualche segnale, qualche volta, lo avvertiamo, ma siamo distratti, chiudiamo gli occhi, voltiamo la testa. Riappropriarsi della coscienza significa questo. Dobbiamo pretendere dallo Stato, non con le dietrologie che non fanno bene, perché vede, onorevole Tassone, io le ho già risposto alla Camera: quando noi ipotizziamo che dietro l’assunzione di altre funzioni delicatissime da parte del dottor Creazzo ci sia una strategia, vogliamo dire che il dottor Creazzo che accettò il trasferimento, il Consiglio giudiziario che valutò positivo il trasferimento, il capo dell’ufficio che accettò il trasferimento, il Consiglio superiore della magistratura che lo autorizzò, il ministro che avviò la procedura, sarebbero tutti complici di un delitto, perché dire che quel trasferimento è anomalo significa questo.

Allora normalizziamo anche questo fatto e non assegniamogli un significato che non ha, solo questo volevo dire, perché anche le parole hanno il loro peso; non assegniamo a questo fatto un significato che non ha, perché in questo modo aumenta nei cittadini la sfiducia nello Stato e i cittadini hanno bisogno di avere fiducia. Anche noi dobbiamo assumerci le responsabilità per far crescere la fiducia nello Stato, fiducia e risposte concrete anche da parte nostra, quindi, dello Stato e ognuno di noi deve impegnarsi a fare di più, ma come calabresi pensiamo anche alle nostre lacune.

L’insulto violento che come calabresi abbiamo vissuto sia di stimolo a non cadere vittime delle celebrazioni, ma a trovare le ragioni di un riscatto e di un recupero di dignità. Essere orgogliosi della nostra terra significa capire che la nostra terra vuole essere onesta e leale e non vuole le contaminazioni con il crimine e non accetta di averlo al suo fianco. Essere coerenti con questo postulato significa rendere omaggio a chi ha perso la vita facendo il proprio lavoro e significa rendere omaggio a tutte le altre vittime che questa terra ha avuto.

(Applausi)

PRESIDENTE

Prima di dare la parola all’onorevole Fedele, come avevo anticipato, voglio comunicarvi e ringraziare il Viceministro onorevole Minniti che, come lo stesso aveva anticipato, è appena giunto in Aula con un certo ritardo dovuto ad impegni collegati alla Finanziaria, alle incombenze che riguardano un Viceministro dell’Interno.

Do la parola all’onorevole Fedele.

Luigi FEDELE, parlamentare

Signor Presidente del Consiglio, Presidente della Giunta, autorità tutte, Viceministro,  sottosegretario, colleghi parlamentari, consentitemi di lasciare per ultimi i colleghi, permettetemi di chiamarvi ancora così, consiglieri regionali, questa è la prima occasione che ho di parlare pubblicamente dopo la mia elezione al Parlamento e quindi voglio salutarvi – l’avevo già fatto con una lettera al Presidente del Consiglio – anche in maniera diretta, auguro un buon lavoro sicuramente all’onorevole Borrello, che ieri è stato eletto Vicepresidente del Consiglio regionale, all’onorevole Vilasi che prende il mio posto all’Ufficio di Presidenza e salutare i colleghi Serra, che prende il posto del collega Morrone, e il collega Alessandro Nicolò che entra in Consiglio regionale al mio posto.

Devo confessare di provare una certa emozione per questo, ma consentitemi di dire anche una emozione più grande perché proprio l’anno scorso, di questi giorni,  tornavamo da una missione all’estero insieme al collega Fortugno e alla, allora, signora Laganà, oggi collega deputato. E dopo alcuni giorni di lavoro, ma anche di spensieratezza in cui Franco era veramente molto sereno, molto tranquillo, a distanza di qualche giorno è successo quello che tutti noi sappiamo e per cui oggi siamo qui.

Quindi, non volevo assolutamente mancare a questo appuntamento per ricordare non tanto un collega, ma – consentitemi di dire – per quanto mi riguarda un carissimo amico.

Certo, quel momento, l’anno scorso, ha turbato tutti, ha turbato l’opinione pubblica calabrese, l’Italia, continua a farlo anche adesso, sicuramente è giusto essere qui oggi, dovrà essere un appuntamento anche per il futuro, ma non vorrei che, alla fine diventasse, man mano che passa il tempo, una consuetudine in cui tutti noi ritorniamo a dire le stesse cose.

Ho sentito degli interventi molto interessanti, fra tutti quello della collega Maria Grazia Laganà, che certamente da vedova, ma lei stessa ha voluto specificare anche da parlamentare, chiede con forza la verità su questo caso, verità che ancora al 100 per cento non sappiamo e che sarebbe indispensabile sicuramente per lei, ma per tutti i calabresi, per noi che siamo qui, per questo Consiglio regionale, ma anche per tutta l’Italia e insieme a quella verità – lo ricordava lei stessa – le tante verità che riguardano altri omicidi meno illustri, ma sicuramente non meno dolorosi per questa regione, per questa terra e per i familiari.

Confesso che, dopo le elezioni scorse, abbiamo salutato con grande fiducia, con grande serenità, ma anche con piacere la nomina a Viceministro del nostro corregionale Marco Minniti, perché conoscendo le sue capacità e la delega specifica che ha avuto, abbiamo visto in quella nomina un segnale nuovo per questa terra. Certamente non è facile, l’onorevole Minniti lo sa, però la sua presenza speriamo possa veramente dare dei frutti maggiori, onorevole Minniti, glielo dico al di là delle posizioni e delle parti, perché dopo la sua nomina, almeno la Calabria, Reggio Calabria, ma la Calabria in genere avrà un riferimento ancora più forte. Speriamo, però, che la sua opera possa intensificare ancora di più l’attività che la magistratura sta portando avanti, che le forze dell’ordine o il prefetto De Sena, ma tutte le forze dell’ordine stanno portando avanti, ma che – alcuni colleghi lo ricordavano prima di me – sicuramente non basta.

Noi, abbiamo bisogno di sapere la verità su questo caso, su altri casi, ma abbiamo bisogno di vivere in una regione normale, non eccezionale, purtroppo fino ad ora non è stato possibile. L’immagine della Calabria, in questi ultimi periodi non è buona, sia a livello nazionale che a livello internazionale, e questo non ci aiuta.

Credo che anche le risposte – il Presidente Loiero ha detto qualcosa nel suo intervento – che la Locride, ma la Calabria in genere si attendeva forse erano ancora, dovrebbero essere state forse ancora più incisive, ancora più forti e al di là di quello che già c’è stato, non sicuramente per un territorio, ma per tutta questa nostra regione; Presidente Loiero, credo che lei si stia sforzando insieme a questa maggioranza, che qualche problema a livello di compattezza, pare di dimostrarlo ancora oggi dopo la verifica. Quindi, credo che lo sforzo debba essere ancora maggiore per potersi muovere nella direzione che lei stesso, poco fa, nel suo intervento ha tracciato.

Anche il Consiglio regionale, subito dopo la morte del collega Fortugno, aveva preso delle iniziative, approvando anche una legge ad hoc che riguardava la locride, proprio la città di Locri, ma ancora non mi pare che la stessa abbia avuto gli effetti sperati.

Certo, l’impegno ci vuole, ma ho sentito poco fa anche l’intervento della giovane studentessa che rappresenta il “Fo.re.ver.”, quel movimento di giovani inizialmente nato spontaneamente, ma poi – consentitemi di dire, ma lo dico con grande franchezza – un po’, credo – dico un po’ per non dire molto – strumentalizzato, tanto che adesso, se dobbiamo essere sinceri, si è un po’ indebolito, si è un po’ diviso, ci sono delle divisioni anche all’interno nei diversi settori, non c’è quella spontaneità, non c’è quella partecipazione che noi all’inizio abbiamo ammirato. Queste cose dobbiamo anche dircele.

Mi auguro che il movimento “Fo.re.ver.” possa riacquistare la spontaneità iniziale, perché aveva portato una boccata di ossigeno a tutti noi, l’entusiasmo di quei giovani, di quei ragazzi che certamente, in quel momento, è stato indispensabile, poi, andando avanti in quest’anno, si è un po’ perso. Non credo che le sedi da noi stessi istituite adesso siano frequentate come lo erano i primi mesi e i primi giorni. Questo credo vada detto, al di là delle polemiche e al di là di tutto credo sia una cosa molto grave, perché forse parte di questa responsabilità è imputabile a tutti noi, a me per primo, ma alla classe dirigente in modo particolare, perché forse, Presidente Loiero e Presidente Bova, avremmo dovuto fare di più, le dico “avremmo”, al plurale, quindi non soltanto una parte, ma tutti

Credo che ancora ci sia la possibilità di non far morire anche l’entusiasmo di questi ragazzi che era stato trascinante, era stato un entusiasmo che si era allargato ad altre parti d’Italia e anche a noi stessi, ma se l’entusiasmo comincia a diminuire e diminuisce nei giovani, non credo sia cosa buona. Infatti, credo che anche l’ultima visita del Presidente del Consiglio nei giorni scorsi, fatta a Locri, non mi pare abbia avuto quell’enfasi, non mediatica, perché forse quella l’ha avuta, ma quell’accoglienza che forse avrebbe dovuto avere.

Certo, anche il Presidente Prodi mi pare abbia avuto, almeno leggendo sui giornali, qualche difficoltà, nel senso che certamente grandi promesse non poteva fare, grandi risposte ancora non ci sono state da parte di questo Governo, il tempo è stato poco, quindi siamo convinti che, andando avanti, le risposte ci saranno, questa non vuole essere polemica, ma mi auguro che ci siano quelle risposte che tutta la regione si aspetta.

Lei è un interlocutore molto diretto, Presidente Loiero, molto valido, ha anche rapporti personali tali che possono consentire di spingere ancora di più, affinché ci siano le risposte verso questa regione. Certo, devo dire non per polemica, non per presa di posizione, che gli ultimi atti – e mi riferisco a qualche infrastruttura molto importante –, il fatto che il centro-sinistra, il Governo l’abbia voluta bloccare, non credo vadano  nella giusta direzione, perché l’altro ieri proprio sul “Corriere della Sera” un economista che certamente non è l’ultimo in Italia, Mario Monti, diceva che per sviluppare e portare avanti l’economia, c’è bisogno delle infrastrutture. Non mi pare – diceva lui stesso – che in questa direzione si stia andando in questo momento, specie al Sud, specialmente in una regione come la nostra e come la Sicilia, credo che le infrastrutture siano indispensabili.

Noi vigileremo – e anche lei lo farà, di questo ne sono sicuro – affinché i fondi che erano destinati a questa infrastruttura – avete capito tutti, mi riferisco al ponte sullo Stretto – vengano destinati anche alla nostra regione, perché non vorremmo che al danno si aggiungesse anche la beffa.

Io credo che la migliore risposta all’omicidio di Franco Fortugno sarebbe stata, fino adesso forse non c’è stata, una maggiore presa di posizione del Consiglio regionale, che ingiustamente, molte volte, viene attaccato dalla stampa come chissà quale covo. Invece è un luogo dove i colleghi lavorano, hanno sempre lavorato con grande dignità e con grande determinazione. Ma io credo, che la migliore risposta che Franco potesse avere da tutti noi era un maggiore impegno del Consiglio regionale, della Giunta regionale, ma anche del Parlamento e delle istituzioni verso questa regione che è diventata l’ultima, ma noi sicuramente, essendo calabresi, non ci sentiamo secondi a nessuno.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola all’onorevole Morrone.

Ennio MORRONE, Segretario questore della Camera dei Deputati

Signor Presidente, Presidente della Giunta, consiglieri regionali, autorità, sono visibilmente emozionato perché, per la prima volta, ritorno in quest’Aula non più da consigliere regionale, ma come ospite, anche se parlamentare, poi sono doppiamente emozionato perché palare del mio amico Fortugno ogni volta mi riempie di commozione, per questo ho preferito per la prima volta in quest’Aula scrivere e non parlare a braccio, come di solito facevo.

Per me non è facile, senza rischiare di ripetere cose già dette, ricordare Franco Fortugno, del quale in quest'anno che è trascorso dalla sua morte tutti hanno parlato, ricordando le sue indiscusse doti umane e professionali e ricostruendo e commentando il tragico attentato di cui è stato vittima.

Partiamo dal giorno dell'omicidio, che era cominciato, per noi dell'Unione, come un dì di festa ed un importante banco di prova – peraltro chiaramente positivo fin dalle prime ore del mattino – per coalizione considerato il coraggioso esperimento delle primarie, partito proprio in Calabria nelle precedenti elezioni regionali. Questo era il nostro stato d'animo, fin quando, come un fulmine a ciel sereno, è giunta la terribile notizia e tutta l’Italia puntò gli occhi sulla Calabria, insanguinata dall'ennesimo delitto di mafia.

Non era una novità, non è stata certo la prima volta, ma l’omicidio di Franco Fortugno è, fin da subito, sembrato un fatto eccezionale, diverso dagli altri tanti assassini cui la ‘ndrangheta ci ha costretto ad assistere negli ultimi anni, negli ultimi decenni, e per più d'una ragione, innanzitutto per il luogo in cui il crimine è stato commesso: nella piazza centrale di Locri, davanti a centinaia di persone e, soprattutto, davanti al seggio delle primarie dove Fortugno, fedele al suo dovere di cittadino ed illustre esponente della Margherita calabrese, stava andando a votare.

Che in Italia si possa uccidere un uomo in pieno giorno, mentre sta per compiere un gesto tanto significativo, in particolar modo in una regione come la Calabria, è un fatto terribile, la cui gravità nessuno ha mancato di sottolineare fin da subito. E’ evidente che chi ha compiuto lo spregevole gesto, oltre a ritenersi così forte da poter sfuggire a qualsivoglia indagine – per fortuna, non è stato così – ha voluto lanciare un chiaro segnale di onnipotenza e sfida alle istituzioni, unico baluardo dei cittadini onesti contro gli abusi e le violenze della criminalità organizzata.

Ma a colpire è anche la personalità della vittima: se, infatti, sul piano umano tutti i morti hanno lo stesso peso, è evidente che su quello politico, certamente meno importate, non è affatto così. Franco Fortugno, al momento della sua uccisione, oltre ad essere – come ho già detto – illustre rappresentante della Margherita calabrese, era anche il Vicepresidente del Consiglio regionale, quindi uno degli uomini più rappresentativi della nostra martoriata regione. Chi ha commesso l'infame delitto, dunque, ha deciso di colpire le istituzioni in una duplice maniera, scegliendo un luogo rappresentativo di un bel momento della democrazia italiana e uccidendo un alto rappresentante delle istituzioni regionali.

Di grande importanza per ricordare la figura di Franco e, forse, anche per capire meglio i perversi meccanismi che hanno portato alla sua uccisione, è il suo trascorso lavorativo, i suoi anni di lavoro prima di entrare in politica. L’istinto farebbe ritenere che vittime della criminalità organizzata siano soprattutto imprenditori, giudici e pubblici amministratori, invece il caso Fortugno smentisce questa tesi. Egli, infatti, era primario del pronto soccorso dell'ospedale della stessa Locri e, nel nosocomio oggi oggetto di vive polemiche, aveva speso tante e tante energie lavorative, sempre impegnato in un settore di difficilissima gestibilità.

Il pronto soccorso è, infatti, il reparto dell'urgenza, quello dove si salvano le vite in immediato pericolo e dove nei paesi del Sud capita, non di rado, di cercare di salvare qualche vittima di agguati che nessuno ha il coraggio di denunciare. Ma, a quanto sembra dalle indagini che vanno avanti ed hanno portato all'arresto degli esecutori materiali dell'infame gesto, l'ospedale di Locri, come forse anche altri della Calabria, è anche un centro dove si scontrano quanti vogliono fare sporchi affari ai danni della sanità pubblica e di pochi, come Franco Fortugno, che nell'interesse dello Stato, dei cittadini e dell'onestà, fanno di tutto per combattere queste realtà, ed impedire che, come purtroppo avviene anche in altre regioni del Mezzogiorno, la malavita organizzata lucri sulla salute degli italiani.

Franco Fortugno, dunque, aveva per anni operato con diligenza, impegno, grande coraggio e determinazione in questa difficile realtà prima di prendere la decisione di mettersi in aspettativa e dedicarsi alla politica, dove, oltre a portare la sua grande esperienza maturata nel difficile contatto con il pubblico calabrese, aveva cercato di portare la sua onestà e la sua intransigenza, scelta che, come purtroppo sappiamo, gli è stata fatale.

Come si è detto e come tutti sanno, gli autori materiali, quelli che hanno materialmente sparato, sono stati arrestati e ci auguriamo che, naturalmente nel rispetto della giustizia, vengano condannati a pene severe, esemplari.

Il problema, comune a molti altri delitti, è che, però, i cosiddetti pesci grossi, i mandanti, quelli che impiegheranno ben poco a trovare altri killer, non vengono neanche identificati. Il muro d'omertà e di paura che li difende, infatti, non si riesce a buttarlo giù con facilità, così i veri assassini di Fortugno, quelli che hanno deciso la sua morte e che, magari, quand'era in vita avevano tentato di ostacolare il suo esemplare e limpido operato di medico e uomo politico, sono liberi, liberi di vivere quella vita che a Fortugno è stata strappata via e liberi di continuare a delinquere ed ostacolare il riscatto della Calabria.

Sì, perché dietro a questi atroci fatti di sangue, che riempiono le prime pagine dei giornali prima di cadere nel dimenticatoio, c’è la difficile realtà calabrese, una realtà fatta di povertà, mancanza di infrastrutture, oppressione della malavita che rende oscuro e carico di paure il futuro dei giovani, sfiducia nei confronti della Stato.

Il calabrese è sempre, sfiduciato, fa fatica a credere nello Stato e nella reale possibilità di una rinascita della sua regione e nel momento in cui si presenta la possibilità, decide di abbandonare, ma non perché non la ami, no, il calabrese che emigra, la Calabria se la porta sempre nel cuore, ma è costretto a partire perché nella sua terra non intravede facili possibilità di lavoro.

La criminalità organizzata incide su questa realtà in due modi diversi: da un lato, infatti, soffoca ogni possibilità di sviluppo economico e fa fuggire gli imprenditori, dall'altro fa sembrare lo Stato lontano ed incapace di risolvere i secolari problemi del Sud. A quei parlamentari del centro‑destra che hanno parlato di “Questione del Nord” bisognerebbe rispondere regalandogli un biglietto ferroviario che li porti in giro nel Mezzogiorno, perché possano rendersi conto della difficile situazione in cui sono costretti a vivere i calabresi, i siciliani, i pugliesi, i campani.

Ma forse il sacrificio di Franco Fortugno a qualcosa è servito: il movimento e l’'impegno dei ragazzi di Locri, ai quali guarda con interesse ed affetto tutta l'Italia, sembra davvero aver smosso qualcosa, sembra che finalmente i calabresi abbiano avuto la forza di dire basta e che tutta l'Italia sia pronta ad ascoltarli. In questo senso, infatti, va giudicata la nomina a Prefetto di Reggio dello stimatissimo De Sena, simbolo della lotta alla criminalità organizzata e dello Stato che funziona e difende i cittadini.

Bisogna, dunque, nel ricordo di Franco Fortugno, continuare a sperare e a lottare per il futuro della Calabria e di tutto il Mezzogiorno, sconfiggendo i tanti stereotipi che, negli anni, si sono creati.

L’unico rammarico è che Franco Fortugno non può essere con noi a condividere questo grande impegno.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola all’onorevole Morelli.

Francesco MORELLI, consigliere regionale

Signor Presidente del Consiglio, autorità, signora Fortugno, Eccellenza reverendissima o, meglio, padre Giancarlo, le commemorazioni, come Tucidide aveva sostenuto nel discorso di Pericle in elogio alla democrazia quale, a quei tempi, originale forma istituzionale, necessitano di atti concreti che comportano conseguenze pratiche dimostrate con i fatti.

In questa occasione, a distanza di un anno, purtroppo, ancora non possiamo parlare, onorevole Laganà, di concretezza, non si intravedono significativi interventi, se non parate ed encomi solenni che nulla fanno presagire nella direzione tanto attesa di accertamento della verità.

Far luce sulla verità, è chiaro, significherebbe riscattarci e riscattare la Calabria da una etichetta di illegalità, malaffare, collusione che ci portiamo appiccicata addosso, quasi endemica condizione dell'essere calabresi.

Ribellarci non significa, verosimilmente, sulla scia emotiva del verificarsi, all'indomani di un evento criminoso, soltanto manifestare per combattere la ‘ndrangheta. Negli anni ci è stato insegnato che non si approda a nulla e a niente agendo così, poiché il solo riflesso mediatico si dissolve velocemente, occupa l’attenzione dello spazio di un mattino o della velocità con la quale un colpo di parabellum va a colpire l’obiettivo designato.

Comprendere i processi di questi farraginosi meccanismi non è cosa semplice, ma sicuramente compiere uno sforzo in questa direzione significherebbe incominciare a percorrere una strada possibile. Certo, è difficile, ma non impossibile.

E’ compito delle istituzioni farsi carico di grosse responsabilità nel tentare di smuovere le coscienze, non solo dei cittadini, attraverso quei processi culturali sicuramente indispensabili, i cui effetti, però, lentamente si delineano nel tempo. E’ da ricercare nelle istituzioni la dimostrazione della effettiva volontà di essere fautori di un sistema inquirente della magistratura calabrese a se stante, che incentra l'attività investigativa in modo coordinato e sistematico nella piena autonomia e con l'ausilio dello Stato, signor Viceministro, onorevole Minniti, signor Sottosegretario, onorevole Li Gotti, utilizzando corpi e mezzi speciali a sostegno delle indagini, a sostegno di sua eccellenza il prefetto De Sena, a sostegno dei tanti e bravi magistrati che pur in Calabria operano tra mille disagi e, a volte, in condizioni di grosse precarietà, se non di pericolo per la loro stessa incolumità fisica e personale.

Sicuramente, senza voler coltivare la superbia del giudizio, che non ci appartiene, ad esempio – mi perdoni il sottosegretario Li Gotti – può indurre a riflessione il cittadino calabrese che legge, e non sa tutti i fatti come si sono verificati, il trasferimento ad altra Procura del sostituto procuratore incaricato, con la palese implicazione di un arresto, se non addirittura l’azzeramento delle indagini.

Così come desta allarmante preoccupazione – mi sia consentito, con tutto il rispetto dovuto – la effettiva non presenza del Governo centrale che, fatte salve le parate con la turnazione di autorevoli rappresentanti sulla strada della distribuzione degli encomi solenni, di certo non ha concretamente dato attenzione alla nostra Calabria, altrimenti il Presidente del Consiglio, onorevole Prodi non avrebbe usato, lunedì scorso, dopo circa un anno, parole vuote e fuorvianti tendenti quasi alla affannosa ricerca di prendere tempo, come se il nostro fosse un male incurabile a cui ci si può solo stringere, costernati, nelle spalle, ossia in una sorta di rassegnazione.

E faccio salva la Finanziaria che penalizza di certo la Calabria quando prevede la soppressione di importanti presidi del territorio: mi riferisco alle prefetture, alle questure, ai presidi dei Vigili del fuoco nelle città al di sotto dei 200 mila abitanti.

Così come – perché non è giusto, per carità di patria e di Dio soprattutto – incomprensibili sono state le parole del ministro Pisanu e bene hanno fatto alcuni giovani di Locri a far sentire vibrata la loro voce di sdegno, unitamente alla denuncia e alla protesta di essere stati lasciati soli e abbandonati dall’istituzione calabrese dopo la costituzione del forum “Fo.re.ver.”.

E non basta certo, architetto Macrì, l’ottimismo della volontà della città di Locri a sostenere i forum, “non basta volare se non hai le ali”, ci insegna Padre Giancarlo Bregantini nel volume “La terra e la gente”. E tutto ciò se da un lato ingenera scoramento, sfiducia e confusione, dall'altro non fa altro che favorire un viatico sistematico, sicuro, certo dell'affermazione del radicamento delle attività malavitose.

E’ a tutto questo che dobbiamo dire no, con forza no perché questo è quello che a noi non serve.

Pertinente alla riflessione di oggi mi sia consentito di ricordare la fiction che ci riporta alla memoria un uomo come il giudice Falcone, il quale ci ha insegnato, attraverso un’acuta intuizione, che è necessario per sconfiggere le organizzazioni criminali assicurare agli inquirenti le condizioni più favorevoli sulle indagini relative ai delitti di mafia. Si costituì, allora, per questo il “pool antimafia”, sul modello delle equipe attive nel decennio precedente di fronte al terrorismo politico.

Il giudice Falcone era convinto assertore della struttura verticistica della cupola mafiosa e della connivenza tra apparati dello Stato e settori della illegalità, sostenitore del coordinamento nelle indagini nella lotta antimafia.

Forse anche per noi è ora, in questo particolare momento in cui sono state colpite al cuore le nostre istituzioni, in cui è sempre più palese una forte recrudescenza malavitosa, di prendere un autorevole ed intramontabile spunto dall'azione e dal sacrificio del giudice Falcone per riflettere in direzione di un possibile cambiamento, tenendo conto e sempre ben presente la lapidaria frase dello stesso magistrato: “Chi tocca certi fili muore!”.

Sempre non molti giorni addietro, il dottor Ayala, nel ricordare il suo amico Falcone, ha affermato che in quegli anni Palermo ha vinto la lotta contro la mafia solo ed esclusivamente perché i siciliani hanno avuto uno scatto di orgoglio e attraverso una rivoluzione culturale hanno sconfitto l'omertà e dimostrato che l'estenuante lavoro simbolo di un modo di essere magistrati temerari e coraggiosi ha dato una svolta nella storia della Sicilia ed è stato l’unico deterrente alla mafia.

Sempre il dottor Ayala afferma che, oggi come oggi, l’organizzazione che detiene il primato soprattutto in ambito internazionale è la ‘ndrangheta, proprio perché ha una maggiore libertà di azione ed agisce incontrastata nel silenzio più assoluto.

Questa è una affermazione allarmante, ma dobbiamo avere la consapevolezza e la coscienza di dire che è vera.

Con grande onestà intellettuale, è necessario convincersi che in modo flebile e comunque non persuaso si avverte quel forte segnale che coinvolge univocamente tutti su una problematica che oltrepassa i confini politici, per abbracciare quel benessere che appartiene a tutti noi.

Certo è cosa molto difficile, ma bisogna avere la forza di affermare una nuova cultura politica che superi le vecchie logiche, gli interessi, le domande, la cultura dell'assistenzialismo e del bisogno, che sia in grado di interpretare i fenomeni sociali, il loro movimento, la diversità delle istanze che provengono dalla società civile. E' necessario affermare, di contro, il principio della condivisione dei bisogni, il rispetto delle diversità ed è quanto mai opportuno e necessario ricercare la forza unificante di una sintesi più elevata di un progetto politico più alto che vede ricongiungersi e riconoscersi in esso tutti ed essere non solo portatori di denunce e proteste, ma di progetti e proposte.

Bisogna evitare l'affermarsi di interessi che tendono a ripiegare su se stessi nella difesa egoistica, corporativa o localistica del proprio “particolare”, perché questo attenua e addirittura cancella la consapevolezza delle possibili ragioni di unità e di solidarietà.

E' evidente che l'assenza di risposte politiche complessive determina inevitabilmente, a poco a poco, una condizione crescente di insoddisfazione e di malessere.

“Solo tu puoi farcela, ma non puoi farcela da solo” - padre Giancarlo, mi permetto di citare con umiltà anch’io prendendo in prestito le parole di don Gelmini -: questo è stato uno slogan che, ella eccellenza, ha posto come base memoriale nella sua opera ammirata, preziosa ed encomiabile nella locride. Allora si può fare.

Mi piace ricordare questo perché ritengo che il compito di questa Assemblea, di questo Consiglio regionale non sia solo quello di legiferare, ma di fare sentire sempre forte la presenza della politica e delle istituzioni sul territorio, non facendo mai mancare la propria voce presso il Governo, affinché la situazione calabrese sia considerata, signor viceministro Minniti, signor sottosegretario Li Gotti, una priorità nazionale, perché appunto noi possiamo farcela, ma non possiamo farcela da soli.

E' necessaria, a questo punto, fatta la diagnosi, applicare una forte e coraggiosa urgente terapia, a modo di esempio non esaustivo: mi riferisco, per esempio, al tagliare l’ossigeno alle organizzazioni malavitose, creando un vuoto intorno ad esse, spezzando ogni possibile contatto nel tentativo di far attecchire logiche del bisogno e della sopravvivenza; monitorare le forti e ingenti forme di finanziamento che possono trovare copertura al malaffare e forme parassitarie nelle quali si nutrono i germi della criminalità organizzata; applicare il principio della separazione tra il momento politico delle scelte e della programmazione da quello puramente gestionale, quindi auspicare intransigenti controlli sulla esecuzione degli appalti di opere e servizi e sulla attività della burocrazia.

Infatti, sottraendo la gestione a tutti i livelli, alla responsabilità politica e alla burocrazia, per esempio affidando la “cantierazione” e l'attuazione delle opere direttamente alla società civile con un opportuno e trasparente coinvolgimento delle organizzazioni professionali competenti, con la presenza eventualmente di magistrati amministrativi ed attraverso organismi elettivi, si tratterebbe di volgere lo sguardo solamente alla società civile e a quelle professionalità competenti che la stessa esprime, di certo si riduce, signor Presidente del Consiglio, il cosiddetto “fattore rischio”.

Siamo, comunque, consapevoli che la legalità incomincia quando noi stessi ci mettiamo in discussione, perché al di là delle affermazioni di principio su cui tutti siamo sostanzialmente d'accordo, c'è una quotidianità fatta di piccole cose, di comportamenti, di modi, di linguaggi, di modi di essere che, a volte anche inconsapevolmente, sono metodi, linguaggi e modi di essere mafiosi, così come la solidarietà che non è quella che tutti predichiamo, ma di fatto è di coloro che la praticano, che non si limitano ad annunciarla, la solidarietà vera, non carità pelosa, ma condivisione dei problemi che incomincia dalle piccole azioni quotidiani.

Ecco, quindi, iniziamo da noi stessi che abbiamo responsabilità politica e tutti noi, nei quali i cittadini hanno riposto la loro fiducia e delega, dando il loro consenso e il loro voto, iniziamo con umiltà e senza farsa alcuna ad operare, ma ad operare seriamente. Forse questo, signora Fortugno – mi consenta se la chiamo così – è il modo migliore per onorare la memoria di un amico innanzitutto quale Franco, ma anche delle tante e tante vittime cadute per mano malavitosa.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola all’onorevole Sculco.

Chiedo scusa se sottolineo ai colleghi l’impegno che avevamo assunto di contenere entro i cinque-sette minuti i nostri interventi.

Vincenzo SCULCO, consigliere regionale

Signor Presidente, onorevoli consiglieri, un ringraziamento e un saluto a tutte le autorità di governo, civili e militari, e consentitemi un affettuoso saluto al Vescovo, sua eccellenza Giancarlo Bregantini.

In questi giorni in cui l'intera Calabria rende omaggio alla memoria di Francesco Fortugno, tornano intensi i momenti e dolorosi gli attimi di quella terribile domenica del 16 ottobre 2005. Franco veniva ucciso a Locri, nel seggio dove si stavano svolgendo le elezioni “primarie” dei partiti aderenti all’Unione. L'assassino sapeva di colpire un uomo giusto, inerte, pacifico.

Le modalità efferate di quel crimine hanno scosso l'Italia intera, tanto che ancor di più, a un anno di distanza, la barbarie di quel gesto che ha condannato a morte un cittadino onesto ci appare insopportabile, talmente grave e offensiva che non può essere né messa in ombra né dimenticata. Essa è il segno della mostruosità di un crimine, ma anche il monito alto e severo che insorge dal martirio e dalla testimonianza.

Come è stato detto – ed io voglio concordare – oggi non è giorno di polemiche, di inutili contrasti, ma di raccoglimento e di riflessione.

Un anno dopo, noi riteniamo che chi ha ucciso quel giorno sapeva bene che stava colpendo non un uomo solo, non un personaggio occasionalmente prestato alla politica, bensì un dirigente di una grande forza democratica, un rappresentante delle istituzioni, colui che aveva scelto di farsi carico dei problemi della sua terra e dell'intera Calabria.

Senza voler sminuire ogni altro aspetto, credo che in questa commemorazione sia necessario rimarcare con chiarezza che con l’omicidio di Franco si è voluto colpire direttamente proprio questo Consiglio regionale, questa assise democratica che, in quanto espressione della sovranità popolare, rappresenta tutta la Calabria, la sua unanime volontà di crescere e riscattarsi nella libertà e nella sicurezza democratica. Una voglia di riscatto, di cambiamento e di futuro che Fortugno aveva saputo trovare principalmente in mezzo ai giovani.

Esattamente pochi giorni prima della sua morte, il 30 agosto – io ero lì – era andato a parlare a Polistena e lì, in quel popoloso comune della Piana, egli tenne l'ultimo discorso della sua appassionata militanza politica. Sembrò, quello, un pomeriggio come gli altri, un giorno uguale a tanti di queste nostre estati calde e infinite. Sulla piazza di Polistena c'erano tanti giovani e tante ragazze, c'erano le bandiere della Margherita. Amici e simpatizzanti si erano radunati per aspettare il suo arrivo. Chi semplicemente per attenderlo, chi per salutarlo.

Confesso che, proprio in queste ore, ho riletto con commozione e rimpianto il testo completo di quel discorso. Specialmente adesso, il ragionamento e il significato morale di quell'intervento sono straordinariamente attuali e vibranti.

“Noi” – diceva Franco – “dobbiamo ritornare a fare politica, dobbiamo far sì che voi giovani crediate in noi che la facciamo tutti i giorni, in modo da invogliarvi, interessarvi e coinvolgervi direttamente, sempre di più, perché, vedete” – continuava Franco – “voi siete il futuro, il rinnovamento, i futuri amministratori di questa Calabria e di questa Italia. La Calabria ha bisogno di voi per rinnovarsi, per crescere, per andare avanti”.

Rileggere queste parole significa, per noi consiglieri regionali – penso – cogliere l’essenza del pensiero e la forza dell'azione del collega scomparso, Franco Fortugno, un medico che sapeva parlare alla ragione e al cuore di chi lo ascoltava.

Un democratico forte e libero, convinto che le idee, la passione, il confronto e il dialogo sono la vera, la più grande opportunità per riaccendere la speranza civile di questa Calabria.

Per questo i giovani lo apprezzavano, per questo gli studenti della sua amata Locri hanno immediatamente manifestato nelle strade, gridando coraggiosamente: “Ammazzateci tutti!”. E' stato un grido di dolore alto e pulito, un appello schietto e sincero a uno Stato spesso assente e lontano dai problemi della nostra gente.

Onorevoli colleghi, oggi a noi spetta il compito di raccogliere le parole di Franco Fortugno, per mettere a frutto la ricca testimonianza politica della sua militanza civile.

Forti dell'anelito di giustizia e di pace che è venuto anche in questo Consiglio, nei giorni della veglia funebre, noi non vogliamo né dobbiamo far sì che Franco venga trasformato in una sorta di santino, magari utile per qualche retorica liturgia d'occasione. Per noi Franco Fortugno, colui che è stato il Vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, è un simbolo, un simbolo autentico delle nuove battaglie di progresso e di crescita, per guidare la Regione verso un futuro degno dei valori democratici del nostro tempo.

Sono convinto che il suo esempio ha inciso proficuamente nel nostro modo di fare politica, nell'impegno di rinnovare la società calabrese.

La sollecitudine che sgorgava dal suo lavoro di consigliere regionale fu quella di resistere alla facile trappola di svilire la complessa e articolata “questione calabrese”, in quel sempre banale e fin troppo facile gioco delle contrapposizioni pregiudiziali e delle sterili polemiche di parte.

Tuttavia è evidente che, di fronte all'attacco destabilizzante della mafia, il solo impegno delle istituzioni non può bastare, se manca l'appoggio consapevole e la condivisione della società alla lotta contro la criminalità, nel comune superamento della rassegnazione e di ogni atavico fatalismo.

Dopo questo delitto, il nostro compito è stato e dovrà essere sempre più quello di moltiplicare gli sforzi per sconfiggere e rimuovere le cause economiche, sociali, culturali e morali in cui s'incunea la malavita organizzata. Lasciare campo libero alla criminalità significherebbe non solo generare ulteriore insicurezza e violenza, quanto condannare definitivamente questa regione ad una supina e secolare arretratezza.

Per questo non solo lo Stato centrale, quanto ancor di più le autorità regionali e locali, devono sentire l'appoggio di tutti i cittadini.

La Calabria è una regione dalle straordinarie potenzialità naturali, umane e artistiche, una regione ingiustamente sottostimata, marginalizzata e inutilizzata per colpa di una insicurezza diffusa che attanaglia ogni parte del territorio.

Secondo i più recenti documenti di intelligence, secondo i dati forniti dal Ministero degli interni, questa regione è stretta nella morsa micidiale di un pervasivo potere della ‘ndrangheta, che è oggi la più radicata e la più aggressiva delle organizzazioni criminali italiane.

Ovviamente la sola presa d'atto della pericolosità dell'impianto mafioso tanto attivo in Calabria non può più bastare, per cui l’azione che dobbiamo mettere in campo, che deve mettere in campo dello Stato non può più concludersi nella necessaria, quanto teorica esortazione al rispetto della legalità. Ciò che oggi ci attendiamo dallo Stato e dal Governo centrale è una politica autentica di cambiamento, un progetto attuabile di sostegno, sussidiarietà e promozione per rinnovare gli apparati della pubblica amministrazione, per adeguare la rete delle infrastrutture, per dare respiro europeo e mediterraneo all'economia regionale.

Ciò che noi aspettiamo è un programma di iniziative forti, ciò che noi vorremmo e vogliamo contribuire a costruire e a realizzare è un programma di iniziative forti, un insieme di scelte sostenibili e condivise in grado di convincere i calabresi che è iniziata per davvero la stagione del cambiamento, della modernizzazione e della crescita.

Solo così si può sconfiggere la sottocultura, che dice “qui non cambia niente”, della rassegnazione all'illegalità, alla vendetta, alla morte. Solo così possiamo cominciare a far giustizia e realizzare equità, esigendo tutta la verità su un delitto che tutta la Calabria sta subendo come una colossale e insopportabile ingiustizia.

In memoria dell'amico Fortugno, ciò che noi dobbiamo pretendere è che la Calabria non sia abbandonata a se stessa, non sia lasciata facile preda alla mercé di organizzazioni del crimine che, pure minacciosamente, hanno dimostrato una grande capacità di adattarsi ai processi evolutivi della società globalizzata, aprendosi a inquietanti traffici e affari illeciti, mantenendo, nel mentre, una struttura arcaica e un ferreo controllo del territorio d'origine.

Per sconfiggere la mafia, per estirpare la criminalità organizzata non servono leggi speciali, al contrario servono scelte e politiche vere che ci facciano superare la logica degli orizzonti del giorno per giorno, generando una vera e propria rivoluzione culturale nel modo di concepire sviluppo e legalità in questa Calabria.

Questo sussulto delle coscienze è quanto mai necessario adesso per risolvere in modo nuovo e diverso, rispetto al passato, l'annosa “questione calabrese”, una questione che non si risolverà se non si ripristinano al più presto le dovute soglie e le attese condizioni di sicurezza e di legalità necessarie per far ripartire il motore dello sviluppo.

In questo quadro, sono del tutto condivise e da condividere le indicazioni e le proposte avanzate dal Presidente Loiero e dal Presidente Bova. Non è ancora tutto quello che servirebbe, ma tuttavia può essere un nuovo inizio che, proseguendolo, può costituirsi come una delle prime iniziative che la Giunta, come ha elencato il Presidente Loiero, ha messo in campo in questi mesi.

Penso che ridare attrattività ai nostri territori, permettere agli investimenti di riattivare i circuiti dell'economia locale siano obiettivi che si devono e si possono raggiungere al più presto. Tuttavia, per raggiungerli e superarli, occorre che in ogni Comune della nostra regione si metta fine allo stillicidio quotidiano e notturno degli attentati, delle intimidazioni, delle estorsioni, dei delitti e delle intromissioni nei più importanti settori economici e politico‑amministrativi.

L'alto esempio che viene da Franco Fortugno sta proprio in questa sua tenace volontà di far cambiare mentalità ad un tessuto sociale intriso di omertà, condiscendenza, connivenza e complicità di ogni genere. Ognuno deve far sì che sicurezza e legalità non restino per i cittadini semplici parole vuote.

Signor Presidente e onorevoli consiglieri, abbiamo scritto in un manifesto affisso su tutti i muri della nostra regione che Francesco Fortugno era uno di noi, un uomo forte e coraggioso che apparteneva a questa Calabria, apparteneva e appartiene alla Margherita.

Forti della sua memoria, carichi degli affettuosi ricordi di un amico di tutti, raccogliamo e vogliamo raccogliere la sua straordinaria testimonianza d'impegno perché diventi un patrimonio di valori e ideali, libertà e giustizia, offrendolo come alto esempio di virtù ai giovani calabresi.

Ora che la sua assenza è più sentita, a lui che è stato Vicepresidente del Consiglio regionale facciamo alta e solenne la promessa che non abbandoneremo questa travagliata terra al declino e al sottosviluppo. Noi ci siamo e intendiamo restare, per continuare la lotta contro la criminalità, per il riscatto e la crescita della Calabria.

(Applausi)

PRESIDENTE

Anche a costo di apparire tedioso e pedante, raccomando il rigoroso rispetto dei tempi a quanti debbono ancora intervenire.

La parola all’onorevole Pignataro.

Ferdinando PIGNATARO, parlamentare

Signor Presidente del Consiglio regionale, signor Presidente della Giunta, assessori, consiglieri, autorità civili e militari, ho avuto la fortuna anch’io di conoscere Franco Fortugno poco tempo prima della sua tragica e barbara scomparsa e il modo di apprezzare le sue doti umane, politiche e morali, nonché la sobrietà, che credo sia una dote assai rara ormai in politica, ma molto apprezzata dalle persone semplici e soprattutto dai giovani. Per questo la sua scomparsa è stata anche un dolore di carattere personale per chi aveva avuto modo di intersecare la sua propria vita politica con quella dell’onorevole Franco Fortugno.

Oggi il superprocuratore antimafia Piero Grasso ci dice e ci conferma una cosa che sapevamo già, che si è trattato di un barbaro delitto politico-mafioso, che si è trattato del più forte attacco alle istituzioni di questa Regione, che si è trattato di un attacco inusuale, non tipico della ‘ndrangheta calabrese, che ha tentato nel contempo di arrivare al cuore dello Stato, delle istituzioni, della politica, della democrazia.

Credo che faccia bene l’onorevole Laganà Fortugno, Maria Grazia, oggi, ad essere chiara: ad un anno da quella scomparsa e da quell’attacco non possono bastare a nessuno di noi i pur successi che ci sono stati nelle indagini, quando ancora siamo lontani dalla verità, perché non ci sono i mandanti veri, non ci sono le corresponsabilità politiche, non si conoscono gli obiettivi politici e i vantaggi che ne potevano derivare.

Credo che, oggi, il Consiglio regionale, il suo Presidente abbiano fatto bene, per mantenere alto il livello di coscienza, ma anche di tensione istituzionale in una battaglia così importante, ad un anno di distanza, a far ritrovare qui istituzioni ed esponenti della Chiesa, del mondo ecclesiastico, del mondo civile e militare.

E fa male – lo dico con molta franchezza – che in questi giorni sia montata una polemica – diciamola così – bipartisan sul ruolo, sulla reazione della Calabria dopo il barbaro omicidio e dopo quell’attacco.

Ritengo sia una polemica assurda perché mortifica la volontà di tanti, perché, in qualche modo, disconosce il valore di quello che è stato fatto dal punto di vista della tenuta democratica di questa regione sia dalle istituzioni che, soprattutto, da parte di quei ragazzi che hanno avuto una reazione immediata, sintomo di qualcosa di nuovo che si muove all’interno di questa regione. Una polemica anche ingenerosa, dopo anni di scarsa tensione istituzionale e sociale, nei confronti di un rigurgito forte che ha interessato la società in modo più vasto di quello che si è riconosciuto, nei confronti di quei ragazzi che hanno sventolato la bandiera della riscossa e segnato, in un momento difficile, la rinascita delle coscienze di questa regione, nei confronti di tutte quante le manifestazioni di massa che pure ci sono state a Locri e in tutta la Calabria da quel momento in poi, che meritano un riconoscimento ed un incoraggiamento a continuare sulla strada intrapresa.

Del resto, che ci fosse un’escalation, che si stesse alzando il tiro, che la ‘ndrangheta non avesse più interesse ad avere suoi rappresentanti all’interno delle istituzioni e dell’economia, ma che volesse fare direttamente in modo proprio, lo si era capito da tanti avvenimenti, da tanti attacchi alla politica, ai rappresentanti istituzionali, inusuali, dal sindaco di Lamezia, al Presidente della Giunta regionale, all’assessore alla sanità della stessa Giunta, tant’è che ciò aveva indotto le organizzazioni sindacali a fare una cosa che non si ricordava da anni, ancor prima di quell’omicidio, e probabilmente quella voce di tanti era rimasta inascoltata: a maggio, a Lamezia, 40 mila lavoratori, lavoratrici, cittadini, partiti politici, tutta la Giunta regionale, la Chiesa, la magistratura si sono ritrovati insieme per dire che c’era e si stava superando il livello di guardia e che bisognava tentare di alzare il tiro anche della risposta istituzionale e civile a questa battaglia.

Ora mi pare evidente che lo Stato non può avere alibi, non può cercarne nemmeno. Mi aspetterei – cosa che fino adesso non c’è stata, ma siccome deve intervenire il ministro Minniti, mi auguro che lo faccia lui – di vedere quali sono i compiti istituzionali, quali sono le risposte concrete che bisogna dare, qual è l’inversione di tendenza, quali sono le inversioni di rotta, non solo per ricercare la verità rispetto a quello che è stato un assassinio politico grave, ma anche per vedere come la lotta contro la mafia e la ‘ndrangheta abbia nuovo respiro, nuovo consenso, abbia una credibilità maggiore, ministro Minniti, anche perché la Calabria e il Mezzogiorno non abbiano solo una risposta in termini di lotta alla criminalità, ma un progetto, un’idea dello sviluppo delle infrastrutture che servono.

Non per fare polemica, ma ieri mi pare, alla Camera dei Deputati, si sia chiusa definitivamente la vicenda che riguarda il ponte sullo Stretto - credo lo si sia fatto con una grande consapevolezza -, che ha portato allo spostamento di tutti i 4 miliardi di euro per le infrastrutture che servono al territorio calabrese e siciliano. Ritengo che sia un passo in avanti di un nuovo modo di pensare allo sviluppo, alla crescita di questo nostro territorio.

Infine – consentitemi – le istituzioni debbono fare la loro parte, la politica deve fare anch’essa la propria e credo che per fare questo occorrano grandi operazioni di bonifica e di trasparenza. Sono convinto che la politica può riconquistare una grande credibilità e fiducia da parte dei cittadini, se riesce a autoriformarsi, a credere in se stessa, nelle sue capacità di governare, di rappresentare, ma anche nelle sue capacità di porre con forza la questione morale.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola al dottor Mercurio, dirigente regionale scolastico della Calabria.

FrancescoMERCURIO, dirigente regionale scolastico della Calabria

La ringrazio, signor Presidente, innanzitutto un saluto a tutte le autorità.

La mia presenza qui oggi è finalizzata a sottolineare l’impegno dell’intero sistema scolastico calabrese su un tema assolutamente prioritario nella nostra regione: la legalità o, direi meglio ancora, la convivenza civile. Mi vorrei limitare ad esternare il mio ragionevole ottimismo, guardando al futuro, non solo legato alla voglia di fare, ma per le cose che noi abbiamo fatto e soprattutto per quelle che intendiamo realizzare, cose concrete, utili non solo all’intero sistema scolastico regionale, ma all’intera regione Calabria.

Partirei velocemente dal primo incontro che ho avuto con il Presidente della Giunta regionale, onorevole Loiero e con l’assessore all’istruzione, onorevole Principe. In quell’incontro è emersa la volontà ferma di affrontare in via prioritaria le tematiche legate alla legalità, alla dispersione scolastica e all’orientamento. Ebbene, da quel momento abbiamo intrapreso insieme un percorso che ha certamente portato al conseguimento di risultati positivi.

Vorrei aggiungere, sempre sul piano della concretezza, il protocollo d’intesa che ho sottoscritto un anno fa con l’onorevole Presidente Bova e insieme all’allora signora Laganà e a Sua Eccellenza Bregantini, finalizzato al coinvolgimento dei giovani all’interno del sistema scolastico e nelle attività extracurriculari.

A questa iniziativa se ne aggiunge un’altra altrettanto significativa che è il protocollo d’intesa che ho sottoscritto sempre con il Presidente onorevole Bova, col Consiglio regionale, che vede il coinvolgimento degli studenti nella fase propositiva che dovrebbe giungere - anzi posso dire, conoscendo il Presidente Bova, giungerà certamente - ad una legge regionale che nasce da proposte degli studenti.

In questa logica, vorrei citare anche il protocollo d’intesa che abbiamo sottoscritto con l’assessore all’ambiente Tommasi, perché insieme alla tematica sulla legalità intendiamo affrontare, in una logica di sistema, tutte le altre concernenti l’educazione: mi riferisco, per esempio, al convegno che realizzeremo domani a Vibo Valentia sull’educazione stradale e ogni settimana ne faremo uno; seguirà, quindi, quello sull’educazione alla salute; sull’educazione all’ambiente, sull’handicap, sullo sport; infine, un momento di sintesi, a metà dicembre, con un convegno regionale sul sistema scolastico calabrese.

A queste cose concrete e positive si aggiunge, oggi, anche il sostegno dell’intera amministrazione scolastica nazionale. Vorrei citare solo la presenza del ministro una settimana fa a Crotone in un convegno sul tema “legalità, sicurezza e sviluppo”, un progetto nazionale; come è stato già annunciato dal Presidente Bova, lunedì prossimo il ministro tornerà in Calabria e proprio a Locri, in quella circostanza, il ministro firmerà una direttiva del Ministero sul tema della legalità.

Qui vorrei sottolineare l’impegno e la sensibilità del Presidente della Giunta regionale, onorevole Loiero, sensibilità perché? Perché, nel momento in cui ha istituito la Consulta regionale sulla legalità, ha pensato che fosse utile coinvolgere il mondo della scuola. Abbiamo dato il nostro contributo, abbiamo prodotto delle linee-guida e, dopo il passaggio con la Consulta regionale, ho provveduto a diramare queste linee-guida in tutte le scuole della Calabria. E, difatti - ecco l’altra iniziativa concreta che si è realizzata -, venerdì scorso si è tenuta in tutte le scuole della Calabria la giornata sulla legalità: momento di riflessione, dibattito all’interno della scuola.

Adesso, a minuti mi recherò a Locri, incontrerò un gruppo di dirigenti scolastici anche per confrontarmi su alcune iniziative che abbiamo intenzione di intraprendere. Nel pomeriggio ci sarà a Locri anche la dottoressa Boda, consigliere del ministro per le politiche giovanili, che, così come ricordava il Presidente Bova, è qui presente oggi e questo dimostra l’impegno, la sensibilità del ministro verso questa regione.

Ecco, a proposito degli incontri con gli studenti che ho avuto un anno fa proprio a Locri e non solo lì, ho riscontrato in loro una grande capacità di ascolto, a cui si aggiunge anche una grande capacità propositiva e, proprio nella circostanza di Locri, ascoltando questi studenti, pensavo tra me e me: “Questi rappresentano i veri anticorpi della società civile per combattere l’illegalità”. Il sistema scolastico regionale calabrese anche per questo intende muoversi coinvolgendo in azioni concrete gli studenti e i genitori.

Concludo, dicendo che noi abbiamo intenzione di proseguire su questo percorso e cercare di realizzare un rapporto sinergico con le istituzioni che è assolutamente fondamentale e che, secondo me, si deve basare su un pensiero positivo.

Quindi la scuola continuerà a dare il proprio doveroso contributo, concreto e positivo anche in futuro.

(Applausi)

PRESIDENTE

Sono costretto a raccomandare il rispetto dei tempi puntuali nel dare la parola all’onorevole Guerriero, dicendo di prepararsi all’onorevole Guagliardi.

Giuseppe GUERRIERO, consigliere regionale e Presidente della Commissione regionale antimafia

Mi atterrò pienamente ai cinque minuti concessimi.

Onorevole Maria Grazia Laganà, Anna e Giuseppe Fortugno, autorità civili, religiose e militari, onorevoli colleghi, devo parteciparvi, anzitutto, una mia commozione particolare. C'è chi asserisce che la politica è fredda, cinica e calcolatrice; ebbene, la morte del nostro collega, l'uccisione del Vicepresidente del Consiglio regionale Franco Fortugno il 16 ottobre a Locri, ha reso la politica più che umana. Ci ha ricordato che noi siamo uomini e donne fatti di carne e sangue, persone normali che hanno famiglie ed affetti, e l'uccisione di Fortugno ha improvvisamente svelato una carica di umanità che la politica possiede.

Per questo devo confessarvi, senza ipocrisia, la mia commozione nel prendere la parola in questa giornata particolare.

Franco Fortugno era uno di noi. Sedeva in questi banchi e frequentava le stanze di questo palazzo come oggi facciamo noi. Il fatto che oggi noi siamo qui a ricordarne la barbara uccisione, di per sé, provoca commozione.

Ho di Franco un ricordo sinceramente affettuoso. L'ho conosciuto nel palazzo del Consiglio regionale e ho avuto modo di apprezzare la sua capacità di ascolto e di interlocuzione mite ma decisa, il suo modo di parlare era sempre pacato, disponibile a capire le idee dei suoi interlocutori.

Ho sempre apprezzato una definizione che è stata data tante volte dell'onorevole Fortugno e che mi piace ripetere: era una persona perbene, di quelle che si fanno stimare per lo stile e le opinioni, un politico che rimane un esempio di comportamento lineare e sono stato veramente contento di avere contribuito, col mio voto, all'intitolazione dell'Aula consiliare alla sua memoria.

Entrare in quest'Aula vuole anche dire, oltre ai segni della democrazia che sono evidenti e riconoscibili, essere antimafiosi, essere contro gli assassini di Franco, essere costruttori di democrazia sostanziale, dalla parte dei più deboli, dalla parte della legalità e della trasparenza amministrativa.

Ad un anno dall'omicidio di Franco, tracciare un bilancio delle cose fatte e di quelle da fare non è cosa agevole. Trascorsi i momenti successivi a questo clamoroso e orribile omicidio, allora quando sembrava, dalle dichiarazioni dei più importanti uomini di governo, che finalmente ci fosse la volontà diffusa di far cambiare rotta alla nostra martoriata terra, tutto è tornato come prima.

Si uccide ancora anche lì a Locri là dove il controllo delle forze dell'ordine dovrebbe essere asfissiante, ma soprattutto mi duole constatare che quasi tutti gli omicidi – penso al giovane Congiusta, per citarne un solo, ma emblematico caso – attendono di avere un colpevole.

Ad essere sinceri, tuttavia, sin da subito si è capito che, al di là delle lodevoli iniziative dei giovani di Locri e dei tanti calabresi onesti, dopo i tanti attestati di solidarietà e vicinanza che sono pervenuti alla famiglia Fortugno, in effetti nulla sarebbe cambiato.

Non a caso, mi permisi di evidenziare tale mia ipotesi, a cento giorni dall'omicidio Fortugno, e fui allora criticato da tanti, politici e non, che lessero nelle mia parole un segno di sfiducia nelle azioni di contrasto intraprese.

Oggi ribadisco quanto allora affermai, onorevole Maria Grazia Laganà, e lo voglio fare senza retorica come si farebbe dinanzi alla bara del proprio fratello, perché davvero la morte di Franco per tutti noi ha rappresentato la privazione di un affetto caro, di un amico, di un politico perbene.

E' trascorso un anno ed ancora non si conoscono i mandanti di tale vigliacco gesto e, ancora peggio, non si è riusciti a venire a capo delle ragioni per cui quell'omicidio è stato effettuato.

I ragazzi di Locri, la famiglia Fortugno, la società calabrese è stata ancora una volta tradita da chi aveva l'obbligo di dare a noi tutti risposte e speranze.

Diciamoci qualche parola di verità, poi magari attenueremo il senso delle denunce perché comprendo che ci sono tante difficoltà, evidentemente, che rendono problematiche le indagini, ma oggi, perlomeno oggi, partiamo da alcune verità incontrovertibili.

Le risposte attese erano, e sono, relative alla richiesta di sicurezza che ci perviene ormai da tutto il territorio regionale, basti pensare che, nonostante il significativo dispiego di forze di polizia su tutto il territorio regionale e nella locride in particolare, nei giorni immediatamente successivi, sino all'altro ieri, si è continuato a registrare una serie impressionante di attentati e morti ammazzati, quasi tutti rimasti senza un colpevole assicurato alla giustizia.

Questo ci dice, in maniera inequivocabile, che il territorio calabrese è ancora ben saldo in mano della ‘ndrangheta e, pertanto, l'impegno dello Stato centrale è risultato, di fatto, ancora oggi inadeguato.

Le speranze dei calabresi consistono nel fatto che tutti avevano creduto nel cambiamento, nell'opportunità magari di creare, sulla scia emotiva di tale evento, una possibilità di riscatto, confidando in una maggiore attenzione da parte di chi può dare occasioni di sviluppo economico e sociale alla nostra terra.

Tutto è stato disatteso e, ancora peggio, vi è stato chi ha giocato a porre gli uni contro gli altri, probabilmente per poter giustificare un proprio disegno, alimentando un clima già arroventato di cui spesso anche la Commissione che rappresento è stata vittima.

Faccio appello a lei, onorevole Viceministro Minniti, a voi rappresentanti delle forze dell'ordine e ai rappresentati istituzionali oggi presenti, affinché tutti insieme, indipendentemente dalle convinzioni e dall'appartenenza politica di ciascuno di noi, si faccia quadrato intorno alla nostra amata quanto martoriata terra di Calabria.

Le risposte da dare alla popolazione non sono difficili da fornire e con l’impegno di tutti noi, ciascuno nel proprio ambito, si possono raggiungere risultati che consentiranno in breve tempo il riscatto sociale ed economico della nostra regione.

Solo lavorando insieme, senza lacerazioni, il fenomeno della ‘ndrangheta potrà essere significativamente ridimensionato per dare a noi tutti e ai nostri figli la speranza di un futuro migliore, un futuro là dove la libertà, la certezza del diritto, l'equità sociale siano diritti acquisiti e non, come oggi avviene in Calabria, siano valori da conquistare.

La Commissione antimafia in Calabria, che mi onoro di rappresentare, seppur inizialmente tramortita dall'omicidio di Franco, ha ritenuto doveroso sin da subito dare una risposta a tale estrema prevaricazione, utilizzando l’unico strumento che ha a disposizione, quello legislativo.

In pochi mesi i membri della Commissione, senza distinzione partitica, in nome di Franco Fortugno hanno prodotto una serie di proposte di legge che mirano a colmare le mancanze di una politica nazionale, da troppo tempo complice disattenta verso le devianze del fenomeno mafioso. Sono nati, così, provvedimenti che non hanno precedenti per incisività e per qualità nella storia della nostra regione.

In pochi mesi siamo riusciti a divenire soci di Banca Etica, con lo scopo di contribuire alla diffusione di un modello di attività creditizia orientato al sociale, contrapponendo la nostra visione di economia a quello praticato dalla banche tradizionali che, rendendo difficile l’accesso al credito, contribuiscono di fatto al proliferare del fenomeno mafioso legato all'usura.

Abbiamo fatto stanziare dal Consiglio regionale alla Commissione per le cooperative che operano sui beni confiscati alla mafia 150 mila euro – poca cifra – che contribuiranno, per la prima volta, a creare occupazione e sviluppo nella legalità. Abbiamo fatto rifinanziare la cooperazione sociale, per dare risposte a tutti coloro che vivono ai margini della società.

Infine, la Commissione tutta si è prodigata per proporre una serie di Leggi che diano risposte al territorio in termini di risarcimento alle vittime della mafia, contrasto all'usura, realizzazione di un sistema integrato di sicurezza ed infine sarà presentata, a giorni, una proposta di legge che prevede contributi a garanzia per le associazioni e le cooperative che operano a favore delle persone disagiate e che si prodigano nel fattivo contrasto alla mafia secondo canoni di legge ben definiti.

Questo è avvenuto, perché la Commissione ha da subito sposato la tesi secondo la quale la lotta alla mafia si fa agendo a favore degli ultimi, senza grandi clamori e su percorsi condivisi.

Ovviamente noi, seppur con i molti limiti insiti nella legge istitutiva della Commissione, abbiamo tentato di produrre il massimo risultato. Ora sta a voi, ed in particolare a chi ha responsabilità di Governo nazionale, sostenere le nostre azioni

Non voglio andare oltre, mi pare, però, altrettanto urgente, soprattutto in questa giornata, ricordare che non può esserci una battaglia contro la mafia se i magistrati sono lasciati soli, se non hanno mezzi a sufficienza per poter investigare, se non si approvano leggi decisive come la proposta Lazzati, se non ci convinciamo che la mafia è anzitutto un ostacolo alla democrazia ed allo sviluppo.

Ricordare oggi Franco Fortugno, al di là della retorica, allora per noi deve significare assumere impegni più stringenti e puntuali, fare in modo che la politica torni ad essere programmazione e che la gestione della cosa pubblica sia trasparente ed efficiente.

Ognuno di noi, dopo la morte di Franco, ha avuto modo di guardarsi dentro di sé e di riflettere, chi più chi meno, ognuno di noi ha capito che in Calabria l'uccisione di Fortugno ha rappresentato, in sintesi, un punto di caduta della civiltà e della democrazia.

Ecco, oggi, in questa giornata del ricordo, spero che ciascuno di noi torni a guardarsi dentro di sé e si chieda cosa, ciascuno di noi, ha fatto in questo lungo e per più versi terribile anno e capire perché non si è potuto fare di più, perché è chiaro che da tutti noi, indistintamente, maggioranza ed opposizione, la Calabria si aspetti più fatti e meno declamazioni.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola all’onorevole Guagliardi.

Damiano GUAGLIARDI, consigliere regionale

Ci sono momenti in cui, forse, il silenzio è l’espressione migliore per ricordare un amico, una vita sacrificata. Purtroppo, la politica, l’essere rappresentanti di una formazione politica ci impone anche di parlare e io vorrei essere molto breve, signor Viceministro, onorevole Minniti, onorevole Li Gotti, signor Presidente Loiero, signor Presidente Bova, signora Fortugno – mi consenta di chiamarla così, almeno per questa ricorrenza –, poche parole perché noi e la Calabria abbiamo bisogno di sapere. Credo che noi non possiamo ricordare Franco senza avere sempre una ferita profonda dentro di noi se non sappiamo chi sono stati i mandanti e il motivo di questo che viene definito omicidio politico-mafioso, perché se non sappiamo, c’è sempre l’angoscia del silenzio, c’è sempre il dubbio della paura, c’è sempre il ricatto dell’omertà, ed è questa la cosa più pesante che l’uomo e la politica subiscono: non sapere, camminare alla cieca.

Credo che noi dobbiamo utilizzare questa giornata non per fare polemiche puerili sulla politica, sulle alleanze e sui fatti di governo, o illuderci che una liturgia magari di parole possa farci sentire con l’animo sereno. Credo che l’omicidio, la morte di Franco abbia generato immediatamente un grande seme per questa Calabria, è stato il seme della rivolta dei cittadini di Locri, dei ragazzi di Locri. Quel seme dobbiamo coltivarlo, non lo dobbiamo trascurare, perché quei giovani, quei cittadini sotto il ricatto della cosiddetta lupara, delle pallottole, hanno avuto la capacità di gridare al mondo intero “noi non siamo mafiosi, non vogliamo essere mafiosi, siamo sotto il ricatto di una sparuta organizzazione criminale” e quei giovani devono essere il nostro vessillo, non dobbiamo dimenticarlo, perché credo che quell’omicidio – e sarò molto breve – non sia stato un attacco alla politica in senso generico, ma sia stato l’attacco a questa sede delle rappresentanze calabresi, è stato l’attacco al Consiglio regionale, alla sua composizione, alla sua capacità di essere una forza che stava avviando il rinnovamento di questa Regione. Quell’omicidio ha attaccato maggioranza e minoranza, forze nuove, ha attaccato la possibilità di un rinnovamento in questa Regione e, non a caso, immediatamente dopo quell’omicidio abbiamo vissuto delle pagine peggiori della politica calabrese, dove tutto si è detto e nulla, poi, è stato concretizzato nei termini delle conoscenze.

Molte volte sui giornali abbiamo saputo e ci hanno detto che noi consiglieri regionali siamo iperindagati, noi del Consiglio regionale siamo criminali, metà di questo Consiglio regionale è attaccata ed io chiedo qui, oggi, che chi sa faccia i nomi di coloro che sono criminali, perché è facile gettare discredito su questa istituzione e poi non dire andare avanti.

Credo che noi dobbiamo sentirci responsabili tutti dell’omicidio di Franco Fortugno. L’ho conosciuto, in quattro anni ne ero diventato amico ed ero amico suo perché lo ritenevo – e l’ho scritto – un uomo estremamente buono, al di fuori delle malizie della politica, un uomo onesto, buono, con cui ti potevi confrontare, un uomo coerente.

Siamo tutti un po’ responsabili della sua morte,  perché la politica deve dare a questa società una via di sbocco, deve dare delle indicazioni su cui credere, deve costruire la speranza del futuro. E qui si diceva che a noi mancano obiettivi di sviluppo economico, obiettivi di indirizzo della società, di cultura della società. Non è colpa di nessuno e ci sentiamo tutti responsabili. Se noi continuiamo a tenere quest’acqua putrida su cui siamo costretti a camminare e non apriamo scoli perché quest’acqua se ne vada, forse dobbiamo sentirci responsabili, ma credo – ritorno a dire – che Franco abbia lasciato un seme, il seme della convinzione che quel mondo di giovani, quelle forze sane, quei modesti disoccupati, quei modesti operai di Locri ci hanno detto: “Aiutateci ad essere cittadini onesti perché non vogliamo essere mafiosi”. E’ questo il seme di Franco e, forse, è giusto ringraziarlo perché ha donato la sua vita a questa speranza di rinnovamento della nostra regione.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola al dottor Macrì, sindaco di Locri. Si prepari la dottoressa Rosi Perrone, che parlerà a nome dei sindacati unitariamente.

Francesco MACRI’, sindaco di Locri

Signor Presidente della Regione, onorevole Viceministro, vi porto il saluto riconoscente della città di Locri e vorrei fare brevi riflessioni. Vorrei dividere, per esempio, la mia attività amministrativa, cioè fare una considerazione sull’ultimo anno, naturalmente di vicinanza a Maria Grazia e a Franco. Vorrei ricordare a tutti che Fortugno è morto chiedendo all’assassino di togliersi la maschera, quindi probabilmente non sa neanche perché è morto, con lo spirito che lo contraddistingueva.

Per i primi otto mesi, vedendo questa vicenda da esterno, ho pensato – e lo dico francamente – alle parate, alle solite cose che poi non avrebbero portato a niente e abbiamo continuato a sperare in Sua Eccellenza qui in prima fila, nel prefetto De Sena,  che poi, lo dico spesso, è probabilmente l’unico politico che c’è nella Locride, ma  di professione fa un altro mestiere. E questo è triste ed anche significativo. Da quando, invece, ho intrapreso questa avventura amministrativa, ho visto che le cose non stavano proprio così e, a proposito di questo, devo ringraziare – ma sul serio, senza polemiche – la Presidenza del Consiglio regionale nella persona dell’onorevole Bova, che è vicinissima all’amministrazione comunale, il Presidente della Regione che prima ha fatto un elenco di beni, dimenticando delle cose – ieri, in Consiglio comunale, abbiamo rimodulato anche l’Apq beni culturali per dare a Locri, finalmente, quel palazzo della cultura completando la costruzione ed altre opere – ma con un’intensità di progetti e di aiuti che non c’erano mai stati.

C’è stato il sacrificio di un uomo qui che potrebbe portare a risultati incredibili e insperati prima, tutto questo, però, purché venga gestito in un certo modo.

Quindi chiedo ufficialmente, come ho chiesto al Presidente Prodi l’altro giorno, l’aiuto delle istituzioni per gestire questo fiume di denaro che arriverà a Locri e che sarà molto difficile da coordinare. Chiedo anche che – ma questo l’ho chiesto in altre sedi, al prefetto De Sena, al questore Speranza, al colonnello Fiano – venga riportata la legalità negli atti amministrativi del Comune. Pensavo di aver toccato il fondo in un ente amministrativo come era l’Afor, di cui sono stato commissario: il Comune di Locri, se è possibile, è combinato anche peggio! E’ un Comune senza nessun capitolo di spesa, bilanci fantasiosi, milioni di euro ogni anno di debiti fuori bilancio, cose difficili da fare e soprattutto da impostare per il futuro.

Tutti, quindi, la popolazione del comune e gli amministratori, ci devono dare una mano - anche se in questa fase devono essere soprattutto i cittadini, la Regione e approfitto anche per dire  all’onorevole Michelangelo Tripodi– che non vedo – che ha giacente, presso l’assessorato all’urbanistica, un progetto di rimodulazione di una fase del Por, non ricordo precisamente quale adesso, mi scuserà l’onorevole Tripodi se approfitto di questa occasione. Abbiamo presentato una rimodulazione che riguarda, per esempio, i marciapiedi e l’arredo urbano del centro storico, che può sembrare il minimo, ma è un segnale per ridare alla città – come dice spesso il mio vescovo – un’immagine di città bella o, quantomeno, vivibile, perché noi su queste cose vorremmo basare la nostra attività amministrativa: rendere normale la città, non inciampare quando si cammina sui marciapiedi, vedere che non ci sono cartacce il giorno dopo, ché con grande fatica i pochi operai comunali mettono a posto le strade, avere i soldi per comprare la vernice per fare le strisce per i parcheggi e impedire che le macchine invadano i marciapiedi e non dover prestare, soprattutto, la vernice al commissario dell’Asl perché deve far bello il pronto soccorso per la visita del Presidente del Consiglio!

Noi gradiremmo veramente avere – e lo dico sinceramente, l’ho detto al Presidente del Consiglio, lo dico anche a voi – un aiuto da parte delle istituzioni per coordinare tutte queste cose che possono cambiare il volto a una città, a un territorio, ma che certamente non possiamo fare né io né la mia amministrazione da soli.

Una sola considerazione sui ragazzi di Locri: sono stati caricati nel tempo di troppe responsabilità. E’ chiaro che il “Fo.re.ver.” è un’altra cosa, perché gestito dalla Regione Calabria ed io sono stato a delle riunioni dei ragazzi di Locri che sono state estremamente deludenti – questo lo voglio dire – perché è un movimento che si sta sgonfiando, che non ha linfa nelle scuole, che è percepito come un’operazione politica. Non è così, non è stato così e non deve essere così, però bisogna che anche i residui del movimento che ci sono si impegnino di più.

L’altro giorno abbiamo fatto un convegno al Liceo classico con la figlia di Pippo Fava molto partecipato, dove gli studenti hanno detto che non credono in questo movimento, e non può essere così. Quindi bisogna che chi è rimasto dei ragazzi di Locri, Annamaria che è molto carina – adesso non c’è – faccia qualcosa, se ne ha ancora voglia e tempo, un’altra che ho visto sul vostro giornale è un consigliere comunale che mi auguro smetta di fare polemica e si metta a lavorare per cercare di coagulare le forze sane che ci sono. Alla fine i liceali, l’altro giorno, sono stati veramente interessati alla presentazione di un libro importante, com’era quello di Giuseppe Fava.

Quindi anche su questo, visto che poi il capofila del “Fo.re.ver.” è il Consiglio regionale, chiedo anche al Presidente Bova – ma già c’è da parte sua – un impegno a migliorare palazzo Nieddu con i fondi della Giunta regionale calabrese affinché ci sia un luogo fisico vivibile per lavorare meglio.

Vi lascio con un’ultima considerazione che deve essere finale: quando mi sono candidato, a parte il fatto che tutti mi hanno detto: ma chi te la fa fare, avevo trovato una magnifica persona che era la figlia di Cecè Grasso – che è stato uno delle vittime della mafia – che si era candidata con me per fare il vicesindaco. Pochi giorni prima delle elezioni si è ritirata perché ha detto: “Tutti parlano di mio padre, come se questa fosse una cosa da strumentalizzare, anche se io fossi eletta e venissi a fare il vicesindaco” – anzi in quei momenti forse c’era la certezza che lei venisse eletta – non voglio che il nome di mio padre venga messo in campo, perché non serve a niente, perché qui non cambierà mai niente!”.

Spero di smentire Stefania Grasso con l’impegno che ci deve essere di tutti, però.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Rosi  Perrone. Immediatamente dopo parlerà padre Giancarlo Bregantini, vescovo della  diocesi di Locri-Gerace.

Rosi PERRONE, rappresentanteCgil-Cisl-Uil

Grazie, Presidente, un saluto a tutti i presenti, intervengo a nome delle tre organizzazioni sindacali, innanzitutto, per stringere in un abbraccio forte l’onorevole Maria Grazia Laganà, i figli e i familiari di tutte le vittime della mafia, purtroppo numerose.

Ho ascoltato con molta attenzione gli interventi di chi mi ha preceduto, questo sicuramente è un momento importante, in un anno passi avanti ne sono stati fatti, ho ascoltato che c’è la proposta di questo Apq per la sicurezza, determinante, la legalità, la trasparenza, principi dai quali non si può prescindere. E approfitterei della presenza dell’onorevole Minniti per chiedere una particolare attenzione anche in questa Finanziaria rispetto a questo stravolgimento che si vuole effettuare nei confronti delle prefetture, delle questure, di tutte le presenze delle forze armate nei piccoli centri, cioè è un po’ in contraddizione rispetto a una politica che deve guardare alla presenza sul territorio, alla legalità. Questo perché, comunque, il principio di una legge Finanziaria deve guardare poi alle specificità territoriali, non possiamo prescindere, non possiamo pensare che ci siano leggi onnicomprensive; ci sono le specificità che devono essere salvaguardate con particolare attenzione e penso che la Calabria, in questo momento, sia un territorio che ha bisogno anche in questa direzione di particolare attenzione.

Una considerazione che ci appartiene come sindacato: la chiave di cambiamento di questa Calabria è progettare, realizzare e concretizzare lavoro, dare l’opportunità a questi giovani, ai giovani di Locri, ma ai giovani di tutta la Calabria di poter appartenere a questo territorio, di non dover appartenere – come ha detto qualche sociologo illustre – alla criminalità organizzata. Paradossalmente la mafia dà quel senso di appartenenza che deve dare lo Stato, raccoglie quella manovalanza che lo Stato non riesce ad occupare, a cui non riesce a dare dignità di cittadinanza affinché possa lavorare in questa regione, affinché i ragazzi possano essere valorizzati, affinché i cervelli che noi abbiamo e che partoriamo dalle nostre università e che mandiamo all’estero siano messi nelle condizioni di scegliere. Scegliere significa che, professionalizzati, debbano avere l’opportunità non di sentirsi cittadini europei come condizione, cioè di dover andare via dalla Calabria e quindi sentirsi in maniera condizionata cittadini europei, bensì di sentirsi cittadini europei come scelta e quindi poter scegliere di rimanere cittadini calabresi europei.

Penso che, in questa direzione, bisogna lavorare, gli strumenti ci sono.

Diceva qualcuno prima di me che, di fatto, ormai la parte economica sussiste in Calabria. Perché non ci sono le condizioni di utilizzarla e di recuperare i tempi in cui ci sono stati dei punti di caduta, dei problemi o recuperare l’utilizzo dei fondi comunitari in maniera fattiva, progettuale? Noi abbiamo una grossa opportunità con la progettazione futura, col programma 2007-2013, lo dico a degli esperti. Allora perché non utilizzare anche le professionalità esistenti in Calabria per meglio mettere questa regione nelle condizioni di poter andare avanti? Io penso che i presupposti, ci siano    ed anche le condizioni finanziarie, le condizioni di volontà; c’è una Calabria sana che è rappresentata dalla maggior parte dei cittadini, quella malata è solo una piccola parte, ne sono convinta, e noi è su questa Calabria sana che dobbiamo lavorare.

Penso che, al di là delle appartenenze, al di là delle specificità, lavorare tutti assieme con l’obiettivo comune di dare dignità e riscatto a questa Calabria eviterà che ci siano altri morti, che ci siano altri spargimenti di sangue, eviterà che non ci sia un futuro per questa regione.

Questo mi sentivo di dire come appello, come volontà di andare avanti e come progettualità positiva. Perdiamo un pezzo ognuno di noi della nostra individualità per guardare ad un progetto comune e complessivo che leghi tutti per un obiettivo di sviluppo e di riscatto.

(Applausi)

PRESIDENTE

La parola a padre Giancarlo Maria Bregantini. Dopo di lui parlerà il ViceministroMinniti.

Giancarlo Maria BREGANTINI, vescovo della  diocesi di Locri-Gerace

E’ con gratitudine che prendo la parola, per la prima volta vedo questo importante consesso, quest’Aula che rappresenta per la Calabria un luogo di grande dibattito democratico e, insieme, di grande impegno per lo sviluppo di questa terra. Sono grato dell’invito, saluto tutti voi e porgo in particolare alla famiglia la mia vicinanza, come sempre abbiamo fatto.

Questa giornata ci permette di riflettere e di ricordare, ma insieme anche di pensare i momenti di grande intensità emotiva, ma anche di grande reazione al male che c’è stato l’anno scorso nei fattori che hanno costituito allora un grande momento di rinascita per Locri: la realtà dei giovani non nata dal nulla, ma da un impegno che, in questi anni, abbiamo messo tutti insieme, scuole, chiesa, realtà sociale, cooperative e che ha dato frutti che vanno coltivati; la figura di Ciampi che ci ha dato chiarezza, la società civile, la chiesa, la realtà socio-politica.

Mi sono piaciute le tre parole che hanno detto i giovani, è stato un momento di indignazione, di determinazione e di coraggio. Per usare un’immagine, come sempre mi piace fare, in quei giorni, in quei momenti, proprio nel dolore, nelle lacrime, nel sangue, sono stati piantati molti semi. Ora a noi il dovere etico e spirituale politico di farli maturare. Tutti non possono, in un anno crescere, non possono tutti aver dato frutti immediati, però quanto è avvenuto è stato prezioso, per cui anche nella rilettura non diamo alle istituzioni o alle realtà delle indagini un’importanza più grande di quella che c’è; chiarezza se n’è fatta, non tutta, ma se n’è fatta, tocca ora invece coltivare i germogli piantati in quei giorni, in quei mesi.

Ecco perché, allora, rivolgo un rapidissimo appello prima di tutto alle realtà socio-culturali, dai giovani giustamente non si può pretendere ciò che non pretendiamo da noi, perché questo è il fatto: i ragazzi di Locri sono stato un segno, ora vanno accompagnati. E’ già un bel dono che siano rimasti presenti, attivi, capaci di camminare ancora. Certo, vanno rigenerati, il “Fo.re.ver.” va meglio seguito, bisogna produrre nuovi percorsi di liberazione, ci deve essere una maggiore vicinanza istituzioni-chiese-realtà sociali e società civile con loro, però una cosa emerge, e lo dico con chiarezza: è la scuola il futuro ed è lì il punto, a mio giudizio, uno dei punti più deboli della nostra terra è il poco impegno, ecco perché ho ascoltato la relazione del responsabile scolastico regionale con attenzione. Guardate che investire nelle scuole perché siano più belle, più luminose, più ariose, dai piccoli ai grandi, dalle realtà semplici alle università, è decisivo per noi ed è quello l’appello, perché la coscienza nuova è nata dentro questa realtà.

Certo, è avvenuta anche un’altra realtà: da tantissime parti d’Italia quest’estate sono venute schiere di giovani. Noi abbiamo notato circa quaranta-cinquanta gruppi, campi scuola, iniziative, scout, parrocchie, gruppi sociali che hanno voluto confrontarsi con la Locride, perché la Locride, pur nella sua fragilità, anzi dentro questa fragilità, ha creato proprio nelle lacrime e nel sangue un percorso che va continuato, seguito, accompagnato, migliorato.

E’ bellissima quella frase citata più volte oggi “ci siamo, ma non ci stiamo!”, questo è il nocciolo. Allora noi possiamo dire che proprio nel dolore è sgorgata una speranza, non senza, non fuori, ma è nel dolore – come sempre dico ai miei preti, alla mia gente – che nasce la speranza.

Certo, alcuni impegni dobbiamo prenderceli. I sindaci, a mio giudizio, avevano iniziato molto bene e, sotto la spinta anche di vostra eccellenza con impegni concreti, devono mantenere più unità e più concretezza, più efficienza nel loro esserci, pur nelle fatiche di chi guida un Comue, come abbiamo sentito; la grande trasparenza negli appalti e nell’uso del denaro, questi sono i punti nodali.

Allora vanno ricompattati. Guardate che, forse – permettete se faccio questo confronto – poco sono stati seguiti i ragazzi di Locri proprio dai sindaci – i sindaci sono rimasti, anche per gli appuntamenti elettorali che abbiamo vissuto in primavera – si sono un po' smembrati, ora vanno ricompattati in programmi precisi e organizzati.

Alla Regione – l’abbiamo già detto come vescovi qualche settimana fa – chiediamo più concretezza e più robustezza a livello legislativo, a livello di presenza, di lotta contro la ‘ndrangheta, la  massoneria, a livello di chiarezza e di vicinanza alla gente. Non si può, in questo luogo pure importante, non sentire la voce, non farsi voce, non dare voce. Ecco l’appello alla concretezza e alla robustezza che rivolgo a voi in questo nobile luogo e alla società civile: è decisivo riflettere di più, concretizzare di più, avere più fiducia, dobbiamo dare fiducia.

Spiegavo, in un paese che ha grossi problemi con la mafia che, quando una collina scivola, non basta mettere una muraglia forte ai piedi della collina, perché adagio adagio la collina la rompe, ma bisogna piantare sulla collina tantissimi alberelli che con le loro radici diffuse sanno reggere la terra e quindi infermare lo scivolare della collina. E’ quello che dobbiamo fare in Calabria, non bastano le istituzioni da sole, occorrono le coscienze, la scuola, le chiese, i gruppi, i sindacati, le cooperative, la realtà, per una normalità. Ecco, questa parola che ho sentito più volte oggi e anche ora nell’intervento del sindaco di Locri è ciò che io sempre chiedo. La Calabria non ha bisogno di cose strane, ha bisogno di vivere la sua normalità, come tutte le regioni d’Italia, come tutti i paesi, di avere strade adeguate, ecco perché allora anche l’appello che questi investimenti accelerino, finalmente, l’intervento per l’autostrada, non si può vivere così; le ferrovie, io mi sono battuto e ancora mi batto perché tante cose vadano a posto. E’ indegno un Paese che non ha treni collegati, non dignitosi, puliti. Le banche che siano veramente vicine ai giovani; le scuole – come ho detto – più belle e più incisive con un forte contenuto culturale; le chiese più coraggiose, sacerdoti più vicini, più aperti; i beni culturali che siano valorizzati, e ha fatto bene l’onorevole Loiero a darci anche i dati numerici, specialmente la Locride ha tantissimi beni, a cominciare da Gerace; un lavoro non assistito, ecco il problema dei forestali, degli Lsu, degli Lpu, cioè tutta una serie di interventi incisivi dove il sangue di Franco Fortugno deve diventare impegno sociale, civico, etico perché possa cambiare e trasformarsi questa nostra terra.

Ecco perché vorrei anche – mi permetterete – rilanciare un volume che abbiamo diffuso, ma che non ho visto citato oggi, perché è certamente fra tutti quelli in materia il volume più articolato e più documentato su tutti i fatti di Locri. Ho qualche copia e penso di darvela volentieri. Ha questo titolo che abbiamo usato subito, “Lacrime e coraggio”, recuperando uno slogan efficacissimo dei ragazzi: “C’è gente che spara e c’è gente che spera!”.

Bene, qui rileggo l’ultima frase della mia omelia dell’anno scorso, perché è tratta dalle lettere di San Paolo: “Siamo, sì, tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non uccisi; siamo perseguitati, ma non abbandonati”. Io benedico di questo giorno, che sia non solo un momento di riflessione, ma soprattutto di incisività e di chiarezza. Se la politica saprà dare coerenza, trasparenza, soprattutto ascolto alle lacrime della gente, le lacrime sparse in quest’anno saranno feconde e daranno alla Calabria la grazia di essere realmente un giardino.

Grazie e buon cammino.

(Applausi)

PRESIDENTE

Ringraziamo padre Giancarlo Bregantini per l’attenzione partecipe di sempre e la sua presenza attiva. Mi consentirete, prima di dare la parola al Viceministro Minniti, di ringraziare quanti hanno partecipato, sono intervenuti, ma anche chi con la presenza e l’attenzione, a partire dal prefetto De Sena, al colonnello Fiano, il questore Speranza, il rappresentante dell’arcivescovo di Reggio don Nino Pangallo, infine l’assessore Imbalzano in rappresentanza del sindaco di Reggio, il dottor Laganà, per  il Presidente della Provincia ,  il dottore Puccio in rappresentanza dell’Anci hanno testimoniato un’attenzione regionale, una coesione regionale alla nostra iniziativa.

Immediatamente dopo l’intervento del Viceministro ci sarà una breve sospensione e poi, come avevamo concordato con i gruppi, a distanza di qualche minuto, dopo aver salutato gli ospiti, la seduta continuerà in assemblea ordinaria.

La parola all’onorevole Viceministro Minniti.

Marco MINNITI, Viceministro dell’Interno

La ringrazio, Presidente, innanzitutto per l’invito che lei a nome dell’Assemblea ha voluto farmi, ringrazio anche il Presidente della Commissione regionale  antimafia che mi ha rivolto analogo invito, ringrazio anch’io tutti coloro che sono intervenuti. Penso che il dibattito che c’è stato sia ricco, importante e non voglio in alcun modo far venir meno le mie valutazioni. Mi scuso con il Presidente della Giunta regionale, onorevole Agazio Loiero, per non aver potuto sentire il suo intervento, ma come sapete, siamo in piena fase di discussione della legge Finanziaria e stamane, all’alba, sono stato convocato per andare in Commissione affari costituzionali sui temi della sicurezza, dell’assetto dello Stato.

Posso anche , sul terreno di quello che qualcuno ha chiamato uno smembramento dello Stato, trasmettervi un messaggio di non preoccupazione: non c’è un segnale di smembramento e, in ogni caso, penso che il Parlamento abbia qualche ora fa, con un voto emendativo, sciolto anche l’oggetto del contendere. Tuttavia – lo dico en passant – il fatto che si sia sciolto l’oggetto del contendere non significa che non bisogni affrontare anche un tema di riforma delle strutture decentrate dello Stato. Penso sia una grande questione perché il funzionamento dello Stato, il funzionamento della pubblica amministrazione costituiscono un punto fondamentale anche nella battaglia più generale che noi dobbiamo fare per la legalità, la sicurezza, la lotta contro la mafia.

E’ per questo che, pur considerandolo anch’io un provvedimento non convincente, debbo dire tuttavia che non si può, ogni qualvolta si tocchi un tema di riforma, avere un atteggiamento che abbia come reazione un immediato riflesso conservativo. Non c’è dubbio che quella non è la soluzione migliore, ma non c’è altrettanto dubbio che bisogna incominciare a cambiare qualcosa.

Lo dico en passant, non è il tema di questa nostra discussione, ho già detto che ci sono dei segnali: il Parlamento ha affrontato questo tema nella Commissione affari costituzionali. Io stavo lì e quindi, non appena finita l’audizione che mi ha direttamente riguardato, sono venuto qui, per cui mi scuso sinceramente con il Presidente Loiero per non averlo ascoltato, ho avuto modo anche attraverso gli interventi di coloro che si sono qui alternati di cogliere qualche sprazzo di quello che hanno detto, mentre ho letto la relazione che il Presidente Bova ha qui presentato.

Debbo anche dire che la relazione presentata mi sembra un riferimento importante, costituisce non solo una riflessione, ma a mio avviso anche una importante e basilare punto di partenza.

Governo, Stato, Regione possono trovare un punto concreto di attività e di lavoro.

Vedete, oggi è una giornata triste, di quelle dolorose, siamo qui a ricordare un atto drammatico e sconvolgente, siamo qui a ricordare una persona straordinaria che oggi non c’è più. Noi avvertiamo, penso che la cosa più importante che si possa dire è che la Calabria, la politica calabrese avvertono l’assenza di Franco Fortugno. Nel momento in cui con quell’atto così proditoriamente aggressivo la mafia ha deciso di troncare la sua vita, in quel momento preciso la politica calabrese – e quando dico la politica calabrese, mi riferisco alla politica di entrambi gli schieramenti – è diventata improvvisamente più debole.

Guardate, io penso che non ci possa essere modo migliore per ricordare Franco, che dire e ripetere quello che si è detto fin dal primo momento della sua morte, si è detta una cosa semplicissima, ma in sé fortissima: “E’ morto Franco, un uomo perbene”. E’ una cosa semplicissima in sé, cioè appare come la riflessione più immediata, ma è anche la riflessione più alta, perché un uomo perbene raccoglie in sé tante caratteristiche, un giudizio di valore che nella sua semplicità è, in qualche modo, assoluto. Penso che questo riferimento all’uomo perbene debba essere riferimento fondamentale che deve guidarci, nel momento in cui ci apprestiamo oggi ad una ricostruzione di quel momento, di un ricordo che non deve essere formale.

Ringrazio tutti coloro che hanno parlato qui e anche quelli che hanno utilizzato gli accenti più critici, perché la cosa peggiore sarebbe stata se ci fossimo qui riuniti dicendo ognuno qualcosa della quale non era fondamentalmente convinto, se avesse prevalso in quest’Aula un sentimento di ipocrisia. Non l’avrebbe voluto Franco, ma io penso che sarebbe stato sbagliato in sé, perché il modo migliore per ricordare una persona così vilmente sottratta all’affetto dei suoi cari è quello di parlare sempre e comunque un linguaggio di verità. Non è vero che, di fronte al dolore, si sospende la dialettica politica, il conflitto politico; si sospende la strumentalizzazione del conflitto, quello sì, perché la strumentalizzazione confligge con il dolore, ma sarebbe assai strano se non dicessimo ognuno la sua su temi così delicati, la cosa peggiore che può succedere è di passare da una ricerca faticosa dell’unità nella lotta contro la mafia, che io considero fondamentale ed importante – mi sono battuto e mi batterò per l’unità contro la mafia, perché so bene che è importante: più forte sono la politica, le istituzioni se unite contro la mafia –, ad una unanimità di facciata, segno di debolezza, di fragilità, perché, nonostante ognuno possa recitare bene la sua parte, si capisce che è unanimità di facciata. L’unità, per come l’intendo io, è il frutto di una dialettica aperta, non è mai data una volta per tutte e soprattutto non è un prerequisito, è qualcosa che si ottiene e si costruisce nella pratica concreta. Mai come nei temi della lotta alla mafia l’unità è pratica concreta, è coerenza tra princìpi e comportamenti. Allora, se così è, dobbiamo per un attimo ritornare a quel 16 ottobre di un anno fa: cosa è stato quell’omicidio? Voi l’avete detto, ho ascoltato, ho letto le cose che ha detto il Presidente del Consiglio regionale in questa occasione e anche in altre circostanze, ho letto anche la bella intervista sul periodico della Regione Calabria che al Procuratore nazionale antimafia ha fatto il direttore Gianfranco Manfredi, Piero Grasso ha detto: “L’omicidio di Franco Fortugno è stato un omicidio politico-mafioso”. Sicuramente è il termine più giusto che io possa pensare e trovare, non riesco a trovarne uno migliore e partendo da questo assunto, aggiungo un’altra cosa: quell’omicidio politico-mafioso ha rappresentato la più alta sfida alla democrazia calabrese mai avvenuta in questa regione. La Calabria è una regione che non ha avuto una sequenza di grandi omicidi politici e a mio avviso questo ha costituito, per la persona, il luogo, il momento, una evidente sfida democratica e così penso sia stata percepita anche da questa istituzione. Ricordo il Consiglio regionale straordinario fatto immediatamente dopo l’omicidio Fortugno, ho ascoltato e ho sentito lì le parole di tanti che oggi sono di nuovo qui, ho ascoltato le parole dell’allora ministro dell’interno onorevole Pisanu e quella sfida, in qualche modo, era stata colta da questa istituzione. Prestate attenzione, quando parlo di sfida per la democrazia, intendo un’altra cosa, cioè che in quell’omicidio c’era il cuore del messaggio di contrapposizione della mafia alla democrazia e allo Stato. Quando si commette un omicidio di una persona perbene, in quel modo, a quell’ora, con quella dinamica, si dice una cosa, fondamentalmente: “Noi possiamo ammazzare chiunque, in qualunque posto e quando vogliamo!” e si dice un’altra cosa che è implicita: “Qui comandiamo noi!”. Per questo penso che dobbiamo riprendere quello che è il cuore vero della questione, l’omicidio di Franco Fortugno, un omicidio politico-mafioso che segnala una sfida per la sovranità in questo pezzo d’Italia. Chi comanda in questo pezzo d’Italia? La domanda è stata posta il 16 ottobre di un anno fa, dopo un anno dobbiamo incominciare a trarre un bilancio e sarebbe sciocco limitarci soltanto alle chiacchiere. Io sono venuto qui per dirvi, da Viceministro dell’Interno….

Non sono più il parlamentare Minniti, sono il Viceministro dell’Interno, ci conosciamo da tempo, dobbiamo abituarci che nella democrazia dell’alternanza può succedere che uno faccia il parlamentare e poi il Viceministro, può succedere anche il contrario e può succedere che quello che faceva il parlamentare e il ministro finisca per non fare più niente…! E’ la democrazia dell’alternanza e dobbiamo abituarci a tutto ciò. Prendendo spunto da una massima che spesso i frati si ripetono quando si incontrano nei conventi di clausura: “fratello, ricordati che devi morire!”, non perché auspichino è che l’altro muoia, ma per considerare la pochezza dei passaggi terreni, per pensare anche che la politica, pure essendo un elemento di impegno, di servizio, ma – vivaddio - anche di gratificazione, è una cosa che può esserci, può crescere e, a un certo punto, può cessare senza che questo comporti particolari traumi.

Da Viceministro dell’Interno vi dico che  nel momento in cui si è aperta una sfida per la sovranità, che a mio avviso questa sfida è ancora aperta. Vorrei che fossimo consapevoli che sto dicendo una cosa molto impegnativa, so bene che abbiamo tanto abusato delle parole, la sfida è aperta, nel senso che sicuramente non ha vinto la mafia – di questo ne sono sicuro – ma anche non ha rimontato lo Stato. Questo è il giudizio più serio che possiamo dare, meno propagandistico, perché dobbiamo abituarci su questa cosa a non fare propaganda, la mafia ride della propaganda che noi facciamo. Noi dobbiamo comprendere due cose, fondamentalmente: la prima è che la Calabria è la frontiera più esposta della legalità d’Italia. Sono anni che ci ripetiamo che la ‘ndrangheta è la forza mafiosa più importante - tutte cose su cui siamo tutti ormai acculturati, perché una parte le ha lette e un’altra parte le ha sentite tante volte ripetere, che ormai le ha apprese - il problema non è ripeterci questa cosa, ma comprendere che appunto perché ha queste caratteristiche, perché c’è stata a lungo una sottovalutazione di questo fenomeno – chiamiamo le cose con il loro nome - qui si gioca la partita più impegnativa, ma – questa è l’altra questione che volevo sollevare – il tema della battaglia della Calabria per la sicurezza e la lotta contro la mafia non è un problema soltanto della Calabria, ma del Paese. Non è una - sia pure importante - questione regionale, è un grande tema del Paese, perché una nazione come l’Italia, una potenza industriale che sta nel “G8”, non può permettersi di avere pezzi del suo territorio in cui è aperta una questione di sovranità. Lo dico da Viceministro dell’Interno, non ce lo possiamo permettere! Non è un problema di particolare afflato verso la mia regione, no,  non si può permettere che in un pezzo di territorio sia aperta una sfida, perché questo implica problemi per lo sviluppo non solo di questa regione, ma dell’intero Paese, perché ha per conseguenza un indebolimento della forza dell’Italia sullo scenario internazionale. Poi se a questo si aggiunge che nella nostra regione abbiamo il più importante porto di transhipment del Mediterraneo – prima era il primo, oggi è il secondo, ma siamo là – comprenderete che la questione è cruciale per il Paese e non solo per la Calabria. Dobbiamo, quindi, slegare la contraddizione esistente tra la forza della mafia e la debolezza della Calabria e lo dobbiamo fare con una iniziativa forte che metta insieme Stato, Regione, comunità locali, tenendo presente che abbiamo avuto un anno da quel momento ed io - sinceramente, pur avendo detto le cose che ho detto e avete ascoltato - non penso sia passato invano, sarebbe sbagliato dirlo. Noi dobbiamo liberarci sui temi della lotta alla mafia della sindrome di Bartali ricordate: “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, altrimenti la sensazione che passa è - magari, facciamo anche bella figura dicendolo, perché la gente dice “guarda, però  Minniti ha detto una cosa ancora più acuta” -  di impotenza totale. Se il messaggio ogni volta che ci vediamo è che niente è cambiato, che è sempre la stessa cosa, – noi non ce ne rendiamo conto, perché spesso siamo autoreferenziali, cioè parliamo tra di noi –, quello viene fuori è la sensazione di una impotenza totale. Vorrei che questo fosse presente a tutti quanti noi, è il massimo di autocritica che si possa fare, perché se non è cambiato niente, certo c’è la colpa di Minniti, poi c’è la colpa di Loiero, di Bova, di De Sena, del colonnello Fiano, del questore, e nessuno può dire: “no, io non c’ero, non conoscevo la situazione”. Lo dico non perché io voglia, in qualche modo, preoccuparvi, ma perché secondo me è sbagliato. Vorrei che fossimo un po’ oggettivi e sapete perché questo lo posso fare con tranquillità? Perché in questo anno non sono stato io Viceministro, se lo fossi stato potevo apparire “Cicero pro domo sua”, cioè Minniti viene qua e da Viceministro difende il suo lavoro, sono, invece, nella condizione ottimale, posso giudicare un periodo politico sufficientemente lungo senza averne la diretta responsabilità. Sarei potuto venire qui - tenendo conto di quello che dicevo prima - a dire “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, però penso non sia giusto – lo dico in tutta coscienza -, in questo anno c’è stato un tentativo di risposta seria - poi dirò i limiti - si è incominciato a recepire l’idea che qui in Calabria si gioca una partita un po’ più importante del solito, si è superato quello scetticismo che c’era verso questa regione. Penso che il segnale più emblematico dell’importanza del momento - al di là della persona che io stimo - sia la figura del prefetto De Sena. E’ stata una scelta - al di là della persona che ha un’efficienza, una capacità notevoli- del precedente Governo che ha mandato a Reggio Calabria il vicecapo della Polizia, non è una scelta ordinaria. Non dovrei dirlo io, ma penso sia corretto farlo.

Così come è importante il fatto che sull’omicidio Fortugno si sia fatto qualche passo avanti. Guardate, noi abbiamo una storia degli omicidi di mafia che solitamente hanno una lunghissima fase di totale oscurità. Ora qui, per quanto riguarda l’omicidio Fortugno, abbiamo responsabili materiali, un primo livello dei mandanti, poi vedremo, c’è in corso un processo, è chiaro, ma si è arrivati ad un primo punto. Solitamente queste cose rimangono oscure per tanto tempo. Il problema che io pongo è che non bisogna accontentarsi.

Si è fatto un piccolo passo in avanti, ci si è incominciati a muovere in questo anno, non mi accontento, devo chiedere di più per quanto riguarda la capacità di contrasto sul terreno della lotta alla mafia.

Quando dico la capacità di contrasto, pongo una questione fondamentale e questo vorrei che fosse recepito. E’ chiaro che la lotta alla mafia è una lotta a 360 gradi, però oggi dobbiamo sapere che c’è un punto dal quale partiamo e sul quale concentriamo il meglio delle risorse e del nostro lavoro: la lotta ai patrimoni mafiosi

Vedete, nelle politiche della sicurezza pubblica contano anche le priorità che si danno – noi non ne abbiamo discusso, quindi quello che sto indicando l’ho sostenuto già prima, in altre sedi, possiamo dire, tra virgolette, quelle cioè più preposte a discutere di queste cose –, ecco, allora che c’è bisogno di darsi delle priorità.

Noi dobbiamo colpire lì, quello è il punto fondamentale, perché c’è un passaggio che non vi sfugge, poi è chiaro che c’è la lotta contro i grandi latitanti, tutte cose importanti, intendetemi, nessuno sta dicendo che non cercheremo i latitanti, non vorrei  creare equivoci con i giornalisti, perché i latitanti, il pizzo, il controllo del territorio, sono tutte cose che io considero importantissime, però qual è il cuore? Se io voglio colpire al cuore la ‘ndrangheta, devo colpire i loro patrimoni, cioè devo incidere lì e poi devo avere la possibilità, attraverso un lavoro rapido, più rapido di quello che è adesso, e il rapporto con i Comuni e la Regione, di poter utilizzare rapidamente quel patrimonio.

Cioè io non so se le cifre che si danno sul patrimonio della mafia in generale, delle mafie italiane e della ‘ndrangheta calabrese siano realistiche, non lo so, a volte si esagera, a volte si dice la verità, non voglio citare numeri perché questa cosa è un po’ difficile in quanto parliamo di patrimoni occulti, però vi rendete conto che abbiamo un Paese che oggi discute, si interroga su una manovra economica di 15 miliardi di euro, perché quello era il punto del riallineamento dell’Italia rispetto all’Europa, una cifra importante, ma non sfugge a nessuno che, se dovessimo prestare attenzione a quello che ci si dice sul volume di affari delle mafie e della ‘ndrangheta calabrese, ci rendiamo conto che 15 miliardi di euro sono “nella disponibilità” di questa organizzazione, prendendo la stima più bassa, la più bassa possibile.

Ora non è che noi sequestriamo 15 miliardi di euro in una volta, però quello deve essere il punto di attenzione, perché se noi ragioniamo seriamente e pensiamo poi di avere la possibilità che i beni prima confiscati diventano rapidamente sequestrati e poi abbiamo la possibilità del loro riutilizzo, se ci ragioniamo con attenzione – e questo lo sa molto bene monsignor Bregantini che lavora su queste cose – possiamo ricostruire una piccola economia dal bene confiscato, che poi può diventare una economia significativa, perché la cosa più importante e il messaggio più duro che si può dare al mafioso nel suo territorio, perché la roba conta di più di tutte le altre cose, è vedere che un suo bene, diventa bene pubblico, è utilizzato dal pubblico ed è ragione di lavoro e di vita per coloro che non sono né contigui né affiliati alla mafia. Questo è il punto.

L’altro aspetto è quello di vedere come noi possiamo riuscire ad affrontare un altro problema, cioè quello del rapporto tra questa realtà nazionale, questa vicenda nazionale e la realtà di questa regione Calabria. Vedete, in quest’ultimo anno è successa un’altra cosa molto importante: nei giorni scorsi un tribunale, il tribunale di Paola – se non vado errato – nel condannare la cosca Muto, ha riconosciuto la costituzione di parte civile della Regione Calabria e ha condannato la cosca Muto a pagare un risarcimento danni alla Calabria. E’ una cosa, se ci pensate bene, straordinariamente nuova non solo perché quella sentenza farà giurisprudenza, ma perché per la prima volta nella storia di questo Paese i soldi, anziché uscire dalla tasca degli enti pubblici e della Regione e finire nelle tasche della mafia, come è sempre storicamente successo: in alcuni casi perché si era in collusione, in altri casi perché c’era una fragilità; in questa circostanza i soldi escono dalle tasche della mafia e finiscono nella utilizzazione dei beni pubblici! E’ una cosa importante.

Non è vero che non è cambiato niente, scusatemi, lo dico perché vorrei che ci intendessimo, è chiaro che la partita è durissima, poi dirò qualcosa in proposito, però se si muove qualcosa, dobbiamo incominciare a valutarla. Aggiungo anche che quel primo passo sull’omicidio di Franco Fortugno costituisce un primo gradino, poi noi abbiamo detto sempre – e l’ha ripetuto stamattina qui l’onorevole Laganà-Fortugno – che l’impegno che ci siamo presi tutti quanti è quello di arrivare alla verità completa su questo omicidio e, per quanto ci riguarda, io sono venuto qui per dire che il Governo è impegnato a sostenere l’iniziativa dello Stato e, quando dico lo Stato, intendo le sue istituzioni in senso lato, le forze di Polizia, la magistratura, perché quel disegno che ha incominciato ad essere configurato diventi un percorso chiaro e certo.

Noi abbiamo bisogno di tutta la verità sull’omicidio Fortugno e abbiamo bisogno di ricostruire la verità su tanti omicidi che ci sono stati nella Locride. Lo dico perché non sono insensibile alle domande, alle angosce di tanti genitori, però posso affermare qui una cosa, nei limiti di quello che posso dirvi, cioè che c’è un impegno quotidiano delle forze di Polizia in questa provincia e nella Locride, c’è un impegno dei magistrati per arrivare alla verità anche per gli altri omicidi. Spero che presto possa esserci qualche buona notizia.

Allora questo è il quadro. Quando dico la Regione, dico una cosa che, a mio avviso, deve essere fino in fondo scelta, nel senso che dobbiamo pensare ad una cooperazione tra Stato e Regione. Pensiamo allora – lo dico qui al Presidente Loiero, al Presidente Bova – che la Conferenza regionale sull’ordine e la sicurezza pubblica che già esiste in Calabria possa diventare sempre di più, se siamo d’accordo, una sorta di Conferenza Stato-Regione Calabria in cui insieme discutono e lavorano su quale possa essere l’impegno sussidiario di entrambi per affrontare i temi della sicurezza.

E in questo quadro affrontiamo il tema dell’Apq, il tema del Pon sicurezza, vediamo insieme come utilizzare le risorse, sapendo che possono sembrare cose banali, ma noi nel 2007 avremo in tutte le città grandi e medie della Calabria il sistema di videosorveglianza nei centri storici. Voi mi direte: “Ma che c’entra la videosorveglianza nel centro storico con la lotta contro la mafia!”. No, c’entra, perché siccome vanno nei negozi quelli che chiedono il pizzo e vanno nei negozi del centro – e lo sappiamo che va così – entrano, chiedono il pizzo o, in qualche caso, si prendono il vestito e se ne vanno, se c’è il sistema di videosorveglianza, è un po’ più complicato farlo. Se poi c’è il sistema di videosorveglianza, e anche la notte è più complicato che uno vada a fare un attentato incendiario. Naturalmente, poi tutto si può fare, ma diventa tutto più difficile. Se poi quel sistema di videosorveglianza è in grado non solo di identificare le persone, ma di leggere le targhe, diventa tutto più complicato per chi mette in atto il tentativo criminoso. Il compito nostro è quello di rendere più complicata la vita alla mafia, combatterla giorno per giorno. Il punto è questo, il vero messaggio di novità che dobbiamo trasmettere è che la lotta alla mafia non si fa con l’emergenza: succede un fatto drammatico, io rispondo per sei mesi e faccio reazione durissima, dopo sei mesi tutto si affievolisce. Il problema è che una questione mafiosa come quella della Calabria ha bisogno di un’iniziativa strutturale giorno per giorno.

Ecco, ho voluto parlare anche di cose concrete, ma voglio fare ancora due ultime valutazioni. La prima: solitamente, quando c’è un omicidio così poderoso nel suo messaggio, si intende colpire al cuore della democrazia – ricordate, c’è un bellissimo film sul terrorismo, “colpire al cuore dello Stato”, fecero un film, ma era il messaggio del terrorismo, brigate rosse, “colpire al cuore dello Stato” –, e la sfida del 16 ottobre è stato quella di un colpire al cuore della democrazia calabrese. Solitamente, quando si colpisce al cuore un corpo, il rischio è che questo stramazzi, non si riprenda più.

Se si guarda alla storia della Calabria per i vari omicidi di mafia, vediamo che solitamente, dopo un delitto criminale mafioso, su quel territorio si registra un contraccolpo. Qui c’è stata una reazione, la Calabria non è rimasta tramortita. Su questo perché non è rimasta tramortita? Guardate – dobbiamo essere equilibrati perché questo è un punto chiave – non è rimasta tramortita perché c’è stata una risposta delle istituzioni, una risposta corale, perché è venuto il Presidente della Repubblica, perché c’è stata una risposta dalla Calabria, non è stata colpita al cuore perché c’è stata la reazione di quei ragazzi.

Io non sono abituato, chi mi conosce lo sa, a lisciare il pelo alle persone, insomma, a volte si dice esattamente l’opposto, però quella è stata una cosa importante, cioè quella reazione di quel nucleo di ragazzi con la scritta “ammazzateci tutti”, la maglietta indossata, quelle manifestazioni. Io vorrei dire al mio amico fraterno sindaco di Locri, a cui voglio molto bene e ho apprezzato quello che lui ha detto per tutta l’altra parte, e su questo però vorrei che lui riflettesse un attimo,  che dobbiamo capire che quei ragazzi hanno costituito un punto importante per tutti, poi è chiaro che quei ragazzi fanno politica, non possiamo disconoscerlo…

Guardate, ricordo che quando lavoravamo insieme io e Peppe Bova nell’ufficio della sede di un partito politico, a un certo punto, scherzando, avevamo scritto davanti alla porta di ingresso: “Qui si lavora, non si fa politica”! Era una cosa da ridere perché quella era appunto la sede di un partito politico ed era un modo per rendere la cosa ancora più clamorosa. Ecco, ora io dico, faranno pure politica, ci saranno schierati, diranno pure una cosa o un’altra, ci criticheranno, criticheranno quell’altro, il punto, però, è che noi dobbiamo stare attenti perché quella vitalità va in ogni caso preservata, perché quella vitalità è una risorsa di tutti, non di una parte, perché è un punto delicato questo, perché se si abbassa anche quello, la partita è più difficile ancora.

Infine l’ultima questione, non potrei non parlarne, perché questo è un punto delicato, però è un punto vero. Io ho fatto tutto ‘sto po’ po’ di ragionamento, però è chiaro che, se abbiamo un omicidio come quello di Franco Fortugno, definito dal Procuratore Grasso omicidio politico-mafioso, dobbiamo discutere anche di questa parte del tema, cioè del rapporto tra mafia e politica. Io lo faccio con la delicatezza dell’uomo di Governo, ma sinceramente non sono tra quelli che pensano che, appena si dice questa cosa, bisogna subito fermarsi, perché questo è un punto cruciale perché la mafia, le mafie sono diverse rispetto a qualunque altra organizzazione criminale semplice, le altre associazioni a delinquere semplici, perché hanno nel loro Dna l’idea di infiltrare la politica, di condizionarla, di entrare nelle istituzioni. Questa è la differenza che c’è tra la ‘ndrangheta e una qualunque altra associazione criminale che, magari, traffica stupefacenti, la differenza è appunto questa, cioè le mafie hanno nel loro Dna l’idea di condizionare il potere.

Allora, se noi vogliamo affrontare seriamente il tema della lotta alla mafia – lo dico con grande sincerità – dobbiamo evitare che il tema del rapporto mafia-politica venga utilizzato come una clava dell’uno contro l’altro, perché questo sarebbe sbagliato e sciocco, ma d’altro canto evitiamo questo, però non evitiamo di parlarne, se lo facessimo, non coglieremmo un’assoluta specificità.

Ho finito, non parlo della Salerno-Reggio Calabria, della “106”, del ponte, non è il caso, ne potremo parlare per i riflessi sulla sicurezza degli appalti, ma che seguiamo giorno per giorno e minuto per minuto.

Ultima questione attiene ad un altro punto che ritengo fondamentale, e che forse va fronteggiato a viso aperto. Credo che  noi  dobbiamo incominciare ad affrontare un po’ più direttamente il tema del mito della invincibilità della mafia, anche considerando che a volte siamo noi stessi ad alimentarlo. Questo è e rimane un punto chiave per me.

So bene cos’è la ‘ndrangheta, vi potrei citare le statistiche, i soldati, quante sono le famiglie, potrei anche dirvi che su questo terreno stiamo mettendo le forze migliori che abbiamo, per contrastare questa grave piaga, direttamente sul terreno dell’intelligence, della qualità investigativa. Tuttavia un punto è fondamentale: la mafia non è invincibile. Il punto di inversione politico-culturale è trasmettere questo messaggio, perché se l’idea che passa è che siamo di fronte ad una sorta di gigantesca organizzazione che comunque, in ogni caso, va avanti lo stesso, guardate che è difficile che ci si opponga che poi, a quel punto, passerebbe l’idea che abbiamo noi, che è quella del il famoso proverbio “calati junco ca passa la china”, cioè l’invincibilità, consapevolezza della forza della ‘ndrangheta. Ed allora non accettare mai, nemmeno per un attimo, nemmeno nella parte più recondita del nostro pensiero deve trovare posto l’idea della invincibilità. Io penso che quest’idea dobbiamo, in qualche modo, collegarla alla memoria di Franco Fortugno.

Vedete, non a caso un altro grande italiano, Giovanni Falcone, che era testardamente impegnato sulla questione della non invincibilità della mafia, quando sosteneva che “la mafia, come tutti i fenomeni umani, nasce, può crescere, ma può anche essere sconfitta”, voleva dire esattamente questo, non era un’indagine, non era un teorema, era un messaggio che bisognava lanciare. Penso che la cosa più forte e più seria che possiamo fare, nel momento in cui ricordiamo Franco Fortugno, e quel passaggio doloroso, ma cruciale nella storia di questa regione, è dire con grande chiarezza che l’impegno che prendiamo qui è che noi vogliamo rompere questo mito. Noi non possiamo indicare date, perché sarebbe come dare i numeri al gioco del lotto, possiamo, però affermare qui una ragionevole certezza, che faremo due cose e penso e mi auguro che le facciamo insieme: la prima è una lotta senza quartiere alle mafie e alla ‘ndrangheta in Calabria, la seconda è che dobbiamo lavorare nel nome di Franco Fortugno non solo per avere la verità su quello che è avvenuto, ma anche per sconfiggere la mafia. Se facciamo questo, sarà il modo migliore per poterlo ricordare.

(Applausi)

(Testi consegnati alla Presidenza)

Antonio PIZZINI

Non ho parole per descrivere lo smarrimento che provo ancora, dal giorno in cui è morto tragicamente il collega onorevole  Francesco Fortugno.

Non sembra quasi possibile, ma è già passato un lungo intero anno, e di conseguenza mi appare incredibile che si celebri già il primo anniversario della sua inimmaginabile violenta scomparsa.

L'intervento immediato dello Stato fu forte e deciso, all'epoca dei fatti, quando il ministro dell'Interno, onorevole Giuseppe Pisanu, nominò, con il consenso unanime delle forze politiche presenti in Parlamento, uno dei suoi più qualificati esperti di criminalità, ma dalla Regione Calabria non è più venuto alcun segnale di rinnovamento.

Anzi, inqualificabili sono state le lunghe diatribe nel centro-sinistra per la spartizione della funzione di Vicepresidente del Consiglio regionale che egli rivestiva al momento dell'omicidio.

Altra è stata la sua eredità, politica ed umana, di uomo corretto delle Istituzioni che amava nei fatti la sua terra, con i suoi comportamenti e le sue denuncie, ed è questa che io invoco quale esempio per tutti affinché sia reale il cambiamento dei comportamenti, specie di coloro i quali hanno oggi la diretta gestione della Regione.

Quelle pallottole sono state devastanti anche nel corpo già martoriato della Calabria, perché hanno colpito il cervello della Calabria, rappresentato dalle sue Istituzioni, il cuore della Calabria, perché hanno colpito lo sforzo disperato di chi, nonostante tutto, ama la propria terra, le gambe della Calabria, perché deve essere condannata a non camminare più, le braccia della Calabria, perché non deve più rimboccarsi le maniche.

E' un enorme sepolcro oggi la Calabria, ancora sepolta sotto le sue contraddizioni estreme di riscatto e di acquiescenza, di coraggio e di paura, di forza e di debolezza.

E' una informe massa ancora oggi la Calabria, nella quale non si distingue il bene ed il male, la ragione e la follia, le prospettive o la fine.

C'è da non avere più fiato nel discutere se bisogna ormai tacere per sempre, non respirare più, accettare di vivere in questo stato di cose, oppure dire basta veramente.

Mentre il mondo corre, la Calabria celebra ancora purtroppo le sue morti e le sue rovine, come nelle tragedie greche.

Auspico almeno che la morte di Francesco Fortugno dia ai pavidi ed agli indecisi - che purtroppo sono molti - la forza decisiva per staccare definitivamente con il passato, e costruire finalmente la Calabria che auguriamo ai nostri figli.

Auspico e pretendo, insieme alla vedova del caro Franco, onorevole Maria Grazia Laganà, la verità che è la grande assente ad un anno dall’efferato delitto.

Giovanni NUCERA

Il 16 ottobre 2005, un anno fa, veniva assassinato con stile ‘ndranghetistico, un uomo seriamente impegnato per il bene comune, un padre di famiglia, un marito, un amico solidale ed affettuoso: Francesco Fortugno.

Uomo delle Istituzioni e Vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria.

Indignazione e reazione scuotono i cuori dei più umili e sereni d’animo, e con loro anche di coloro che già sono irrobustiti e forti nell'amore verso la speranza. Sono stati migliaia i giovani scesi in piazza, sfidando a volto scoperto la criminalità organizzata – subito spontanei - senza chiamarsi  ma incontrandosi nell'idea di un ambito valoriale: la dignità e la libertà.

Sono noti gli slogan: "l'omertà la vostra forza, noi giovani la vostra fine", "e adesso ammazzateci tutti", dicevano gli striscioni.

I giovani hanno ispirato, come se un filo sottile legasse in un comune sentire le loro pulsioni, la coraggiosa omelia eseguita da Mons. Giancarlo Bregantini, Vescovo di Locri-Gerace, che ha sottolineato il significato della loro rivolta morale come importante e necessaria ma altrettanto necessaria ed importante ha considerato che lo Stato prenda finalmente a cuore il caso Calabria: "Chiedo a tutte le forze politiche di star molto accanto alla gente, di ascoltare, di star vicino alla locride, di seguire i nostri passi, di intrecciare le economie del nord più organizzate, con la freschezza delle intuizioni dei nostri giovani imprenditori, di rifinanziare il prestito d'onore, di non tagliare la spesa sociale, perché allora, non intervenendo adeguatamente nelle ferite aperte, esse non saranno feritoie di grazia ma cancrene sociali che la mafia, astutamente e perfidamente, utilizzerà per i suoi scopi!"

Così invocava Mons. Bregantini. Un anno dopo cosa rimane di quelle grida di rabbia e di quella voglia di riscatto dei nostri territori?

Non certo solo la contestazione al Governo del tempo! O, le visite del Presidente della Repubblica, dell'attuale Presidente del Consiglio, dell’onorevole Rutelli, oggi Vicepresidente del Consiglio e ministro, e di tanti, tanti altri uomini come D'Alema e Fassino e di tanti uomini politici calabresi che occupano posti di rilievo nell'attuale Governo.

Torneranno tutti in questi giorni ! ! !

Il messaggio di quei giorni deve trascendere i confini della Locride e della Regione e deve interessare il futuro dell'intero Paese.

Locri non è, e non deve essere un problema della Calabria, ma la Calabria con Locri devono essere un vero problema nazionale, dell'Italia. Locri deve essere innalzato a simbolo, dice Padre Bartolomeo Sorge: "Locri crocevia di due Italie".

La prima è l'Italia vecchia, che spesso e volentieri dimentica il Mezzogiorno e quando se ne ricorda, lo considera irrimediabilmente in mano alla mafia.

L'altra è l'Italia nuova che ha fiducia nella capacità di riscatto della gente del Sud, e non si rassegna a lasciarla sola; considera il Sud una risorsa, la mafia un cancro da estirpare e la questione meridionale una "emergenza nazionale".

Pertanto il vero problema non è solo Locri ma è soprattutto Roma. Ecco perché Locri è un punto di snodo perché da Locri, crocevia di partenza, deve e può partire il volto del nuovo Sud attraverso la forza dell'indignazione e della rivolta morale degli onesti, dei leali e dei puri di cuore.

E' passato un anno, non un secolo, eppure di tutto il clamore, le roboanti manifestazioni e le commoventi dichiarazioni delle maggiori autorità dello Stato non è rimasto neanche il ricordo di un minimo segno tangibile e credibile.

Dov'è la verità tanto invocata? Perché è morto Fortugno? Perché si uccide il Vicepresidente del Consiglio Regionale? Quali legami fra Mafia e Politica? Ma quale Politica? Ma quali formazioni politiche?

L’onorevole Tassone non ha ricevuto risposta puntuale e seria all'interpellanza urgente del 3 ottobre u.s. rivolta al Governo, sul perché il magistrato che seguiva il caso sia stato trasferito, e se ci sono forze politiche, sociali ed economiche che non vogliono la verità sul delitto Fortugno.

Interrogativi ancora senza risposta! Interrogativi che ancora oggi inquietano le nostre coscienze! Del Mezzogiorno si parla sempre meno. Si tende a rimuovere il problema dalla coscienza del Paese.

Mentre i mercati italiani si spostano verso la Cina e nei Paesi estremi nel nome della globalizzazione, il divario nord-sud diviene sempre più marcato. Le emergenze si allargano, clientele legate alla sovvenzione pubblica, lavoro nero, il mix lecito-illecito fanno prosperare la cultura dell'illegalità e della mafia, riciclaggio di denaro sporco e circolazione improduttiva di denaro attraverso l'uso distorto dei contributi pubblici, rappresentano il tallone d'Achille di un'economia regionale che consuma senza produrre, senza uno sviluppo economico corrispondente.

Ecco l'humus su cui prospera la mafia, sono cose conosciute, studiate, esaminate sotto le più svariate sfaccettature, ma esse sono sempre lì, allignate, dure ad essere estirpate e sconfitte.

Tutti hanno un rimedio da proporre ed indicare ma nessuno adotta la soluzione. Eppure i giovani - quelli veramente liberi - che scendono in  piazza ci indicano che non tutto è mafia che non tutto è rassegnazione.

Esistono uomini e donne carichi di energie e valori, e sono sempre più numerosi che si espongono in prima persona e lavorano con sempre più rinnovata forza morale.

Giovani che rifiutano la vecchia e becera pseudo-cultura della rassegnazione, di cui la mafia si serve per proliferare: l'omertà. Giovani che rifiutano la cultura dell'assistenzialismo che mistifica i doveri e i diritti devastando le coscienze creando deserti nei nostri territori a noi donati rigogliosi e prosperi dalla santa madre natura.

Giovani coscienti che devono crescere nella speranza di essere protagonisti del loro sviluppo opponendosi alla forza della violenza con una cultura che si alimenta di nuovo umanesimo e che trova, per fortuna sempre più fonte di nutrimento e maturazione ideale nei movimenti laici ispirati cristianamente.

Giovani che pongono al centro una visione cristiana dell'uomo che lotta contro i nichilismi ed i radicalismi della società odierna sempre più senza valori.

Questo ad oggi è il vero segno che arriva da Locri!

Certo una maturazione lenta, profonda, che rappresenta la punta di un iceberg che evidenzia l'unica e vera rivolta morale della locride. Un cambiamento di cultura e di mentalità in un contesto sociale dove la vera anomalia e quella dell'essere onesti.

L'importanza di questo germe rivoluzionario deve essere colta pienamente, deve essere coltivata e tutelata perché la ‘ndrangheta prima che una questione di organizzazione criminale è una questione di civiltà e di legalità.

Il riscatto delle nostre genti prima che sullo sviluppo economico deve fondarsi sulla ripresa civile e morale.

Per estirpare il cancro della criminalità organizzata è necessaria una crescita morale e culturale presupposto di una crescita civile fondata sui valori.

E dopo i fatti di Locri, tutti dobbiamo esserne consapevoli.

Il Mezzogiorno chiede sì un aiuto, di cui sa di avere bisogno, ma vuole essere protagonista responsabile, intelligente e libero dalla propria elevazione morale e civile.

"Agli amici del Nord - scriveva Don Sturzo – domandiamo comprensione e solidarietà. D'altra parte sarà bene che il Mezzogiorno faccia da sé e stabilisca esso stesso le basi del proprio risorgimento".

Si apra una nuova vertenza Meridionale che poggi su nuovi approcci culturali: il Mezzogiorno con le sue luci e le sue ombre, non solo dovrà dimostrare di essere parte integrante del Paese, ma anche di possedere ricorrendo alla sua storia millenaria di civiltà, fermenti che lo aiutano ad uscire dall'emergenza democratica in cui si trova.

Le profonde trasformazioni sociali, culturali ed economiche degli ultimi anni hanno contribuito a diffondere anche nel resto del Paese lo smarrimento dei valori morali e la perdita del senso della socialità e della cultura della legalità.

Basta vedere come è stata pericolosamente abbassata la guardia nei confronti della criminalità organizzata. Non solo nel controllo economico-sociale e delinquenziale tradizionale ma anche nei rapporti con la politica e le istituzioni.

Sempre più aumentano le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni, sempre più radicato è il legame fra politici politicanti, faccendieri e mafia, che spesso sono denunciati per slogan e per "urla festaiole" con bandiere e carri allegorici, ma che nella verità trovano anche in squallidi personaggi delle istituzioni e della politica sostegni ed humus naturale per far proliferare ed allignare il malaffare.

Per uscire dall'emergenza l'Italia ha bisogno soprattutto di politici seri ed onesti con programmi credibili e capaci di scelte coraggiose e coerenti, che testimoniano la loro effettiva pulizia morale anteponendo il bene comune agli interessi personali degli amici.

Siano i partiti per primi ad avere il coraggio, tutti - nessuno escluso - a rifiutare pubblicamente persone e sostegni elettorali discussi o discutibili nei territori regionali e non solo in Calabria.

Ogni partito pretenda, specie dal livello nazionale, estrema severità nel selezionare dai livelli locali la propria classe dirigente senza ipocrisia e mezze frasi espellendo i magnati delle tessere e gli ipocriti finanziatori spesso noti, discussi e discutibili, ma sempre fermi lì perché fanno comodo ed in nome di un falso garantismo trovano lucrose coperture.

Se manca il coraggio di questo passo iniziale, quale leader potrà essere credibile, quando dichiara di voler portare l'Italia in una democrazia matura?

Sarebbe bello che ciò iniziasse proprio con l'esempio di quei partiti che dicono di ispirarsi alla dottrina sociale delle Chiesa.

Su questo versante tutti devono collaborare in coerenza ad un comune sentire nel rispetto della propria diversa identità e di una nuova laicità, che consenta di costruire una democrazia matura, fondata sulla legalità sulla correttezza democratica e sui valori della nostra Costituzione.

Vi sono segnali preoccupanti in molti settori del nostro tessuto sociale dove vengono investiti i profitti illeciti con attività legali come dice il dottor Pietro Grasso, Procuratore Antimafia: “La mafia si sta legalizzando".

E' sempre più difficile identificare i mafiosi, perché si mimetizzano sulle pieghe di una società pulita.

Occorre intervenire subito rafforzando ed attuando tanti provvedimenti legislativi assunti negli anni e spesso affievoliti da un’azione di politica giudiziaria non sempre consona alla domanda di giustizia che proviene dalla società.

Esercitare il rispetto pieno del Codice penale specie nel perseguire reati mafiosi che richiedono lunga detenzione personale e la confisca dei beni.

Colpire il potere economico della mafia entrare nei santuari delle banche, spezzare lo spirito di solidarietà criminale ed omertosa delle cosche sono obiettivi non difficili da raggiungere se tutti collaboriamo, se i palazzi saranno più di "cristallo" e meno di "veleni", se il Parlamento e gli uomini che lo abitano invece di essere eternamente divisi tra spinte giustizialiste ed esigenze garantiste, adeguasse la propria attività legislativa al raggiungimento di un unico obiettivo condiviso veramente e senza ideologismi e politiche odiose che mortificano l'uomo, che già tanto male hanno recato al nostro Paese.

C'è un'anomalia strana nel nostro Paese, di cui poco si parla ma che pur è li visibile alla portata di tutti, specie di quei studiosi ed analisti "a gettone" che sono bravi a "chiacchierare" a precisa richiesta, a comando. L'anomalia di tanti processi, che pur vedendo condannati noti boss locali poi si vedono assoluzioni spesso non chiare per politici, amministratori e burocrati a vari livelli.

Queste dicotomie tra processi alle cosche che si concludono con condanne definitive e processi ad amministratori e politici che si concludono regolarmente con assoluzioni, al di là dei singoli casi suscitano perplessità del tutto legittime.

Attenendoci a questi risultati dovremmo concludere che la collusione, tante volte denunciata, tra potere malavitoso e potere politico non è mai esistita, o se esiste, non la si vuole deliberatamente seguire o perseguire.

E necessario che le istituzioni a qualunque livello anche per un interesse di autotutela si dotino di strumenti idonei a proteggersi dalle infiltrazioni mafiose e dalle penetrazioni sospette e per far ciò devono, partendo dalle comunità locali, intensificare i livelli di prevenzione e repressione istituendo meccanismi di controllo e sostegno che interagiscano in ausilio con la magistratura e le forze dell'ordine.

La Regione, la nostra Regione, su questo versante deve essere protagonista e all'avanguardia per quanto di sua competenza, regolamentando meglio la materia sugli affidamenti di incarichi a professionisti, in tema di appalti, a tutti i livelli e richiamandosi alle rigide norme europee nell'approvvigionamento e conferimento di beni e servizi.

La Regione, questo Parlamento regionale, deve avere la forza e i giusti attributi per dimostrare da subito di poter allontanare le ombre ed i sospetti che intorno ad essa sono state costruite. Predisponendo un'azione legislativa fatta di codici, leggi e regolamenti chiari anche in aperta sfida con lo Stato centrale in tema di sicurezza e legalità.

Certo i segnali che offriamo, ad oggi, non sono confortanti e credibili. Questa Regione dimostra goffezza ed ilarità agli osservatori esterni nel proporsi con ben tre strutture analoghe per il raggiungimento dello stesso obiettivo: la Commissione consiliare antimafia del Consiglio regionale; la Consulta antimafia del Presidente Loiero, l'assessore esterno delegato alla mafia.

Iniziamo da qui, e da oggi, diamo il primo esempio di essere, noi Regione Calabria, modello di serietà e di determinata voglia di cambiare!

A fronte di tre uffici antimafia, senza risultato alcuno, proponiamo qualcosa di serio e credibile con unità di intenti e di obiettivi.

Senza false ed ipocrite sovrapposizioni. Uniti nel fine e determinati nell'utilizzo degli strumenti si può vincere e non con la lotta antimafia fai da te, che sa più di circo equestre, ma con la voglia reale di riscatto.

No ai professionisti dell'antimafia che tanta demagogia riservano alla vera causa ma concrete azioni sociali.

Cosi, come in passato non siamo stati per l'indiscriminata e la generalizzata condanna dei magistrati impegnati in indagini sulla politica, quando interi partiti, sono stati spazzati via come odioso cancro della società, oggi vorremmo - in nome dei valori della nostra Carta costituzionale e nel rispetto e garanzia della nostra democrazia - che anche le altre forze politiche tenessero un atteggiamento estremamente rigoroso e di rispetto verso la magistratura.

Non si può chiedere il rafforzamento nel territorio degli organi giudiziari e sollecitare l'accelerazione delle attività d'ufficio per una più efficace azione di investigazione e di repressione dei crimini e poi essere pronti a mettere in discussione il loro operato, quando questa azione non asseconda i propri desideri.

Noi a nostre spese, abbiamo pagato molto, ma abbiamo sempre difeso con moderazione e responsabilità lo Stato, affidandoci al rispetto dei ruoli, delle professionalità e alla non ingerenza nell'esercizio delle funzioni altrui.

Nessun partito politico si può considerare immune da peccati originali più o meno gravi ed a nessuno, nella convulsa e incerta società di oggi, è consentito attribuirsi o attribuire patenti di verginità ed immacolata trasparenza con riferimento a delle ideologie politiche che non esistono più.

La storia dei partiti tradizionali è stata riscritta con l'inchiostro della modernità, della globalizzazione e ad oggi ne paghiamo tutti le conseguenze perché non riusciamo a seguire un percorso che dia stabilità, certezze e sicuri ancoraggi nella società e nei territori.

Riappropriamoci dei grandi valori ideali e spirituali che sono alla base della nostra Costituzione, rispettando i ruoli assegnati da questa ai vari organi dello Stato.

Non semplifichiamo l'attività di ogni Istituzione con inutili manifestazioni quali i sit-in o le morbose proteste da avanspettacolo che danno una immagine destabilizzante dello Stato.

Da una parte si invoca la tutela statale e dall'altra, all'occorrenza, organi delle Istituzioni ne offuscano l'operato.

E tutto questo accade in uno stato di diritto dove funzioni, compiti e moli istituzionali devono essere separati nel rispetto,ognuno delle proprie competenze.

Si deve trovare, da parte di tutti, un equilibrio ed una corretta condivisione ed attuazione delle norme costituzionali, nella più volte conclamata distinzione dei poteri e dei ruoli degli organismi costituzionali.

Anche questo ritrovato senso dello Stato, sicuramente aiuterà la Calabria ad uscire fuori da tanti equivoci.

Sia per prima la Regione Calabria ad offrire allo Stato sostegno per l'attività dei magistrati seri ed impegnati in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata garantendo loro strutture, mezzi e strumenti per operare.

Perché è assurdo ascoltare e leggere passivamente le lamentele di tanti magistrati che segnalano la mancanza di mezzi e strumenti elementari per svolgere il loro lavoro: assenza di personale adeguato e di supporto tecnico-amministrativo, carenza di carta per fascicolare i risultati delle indagini, fotocopiatori guasti ed ancora di più, mancanza di benzina per far camminare le macchine dei magistrati e delle forze dell'ordine.

Anche questo sostegno può rappresentare un segnale idoneo per dimostrare una inversione di tendenza e di coscienza rispetto all'odioso fenomeno che nessuno forse pensa di poter debellare ma certamente abbiamo il dovere di circoscrivere e rendere meno pericoloso possibile.

Si rafforzi la legge sull'incompatibilità ed ineleggibilità dei candidati alle elezioni a tutti i livelli locali rendendola ancora più severa rispetto alla legge dello Stato, in attuazione dell'art.122, 1° comma della Costituzione, ove sia plastica la volontà di frenare la bramosia famelica delle cosche di impadronirsi dei consessi elettivi.

Blandendo qualsiasi spirito persecutorio e repressivo o discriminatorio e ponendoci con animo libero da ideologiche ed odiose posizioni di retroguardia nella speranza di irrigidire le maglie dell'ammiccamento e delle facili coperture.

Non invoco uno stato di Polizia, odioso per mia cultura, ma strumenti di garanzia per gli onesti perché episodi come quello di Fortugno non si debbono più ripetere nelle nostre terre.

Dobbiamo conoscere la mafia non per abbracciarla! Dobbiamo combatterla e respingerla, offrendo una progettualità culturale diversa ai giovani della `ndrangheta, sull'esempio dei nostri giovani sempre più vogliosi e disponibili per il riscatto, una alternativa di vita e di speranza e non di morte.

Il territorio della locride non può essere individuato come un territorio abitato solo ed esclusivamente da mafiosi, il territorio della locride è per la grande maggioranza abitato da persone oneste che nulla hanno a che fare con la mafia, da persone con un certo livello culturale, da giovani professionisti, da studenti che nella cultura intravedono anche lo sviluppo del proprio territorio, ma anche della Calabria.

Non dobbiamo dimenticare che i mass media quando parlano di Locri parlano di Calabria e gli interventi "per lo sviluppo della locride" sono per la Calabria.

Gli interventi vanno mirati non solo contro la repressione mafiosa poiché in una democrazia matura, lo Stato nel proteggere il proprio popolo lo deve fare a prescindere da qualsiasi azione criminosa, poiché la criminalità non è solo da noi, parliamo di mafia come fenomeno sociale, al nord possiamo parlare delle tante devianze ancor più pericolose che da tempo terrorizzano intere aree.

Orbene, tutto ciò per dire che sconfiggere la mafia, come ogni altro tipo di azione criminale, non significa sviluppare un'area, lo sviluppo  è un'altra cosa, è l'attenzione verso un territorio non deve nascere soltanto sui fatti criminali che accadono, ma deve nascere da un'analisi complessiva delle sofferenze di un intero territorio.

Oggi vi è un'emergenza e l'omicidio eccellente dell’onorevole Fortugno ha attirato l'attenzione del Governo su questo territorio, ma ci spieghi lei onorevole Presidente Loiero cosa vuol dire il Presidente Prodi quando afferma " i essere sceso in Calabria anche se con poche cose in mano per il poco tempo avuto a disposizione".

Un intero anno non è un tempo sufficientemente idoneo per avviare una qualsiasi azione programmatica che potesse offrire una "dote di sviluppo" alla "figlia prediletta"? Mai come in questi giorni, con la finanziaria dello Stato, in discussione, si potevano fornire le migliori risposte ad un popolo prediletto si, ma oggi più che mai tradito ed abbandonato.

In Calabria non è da poco che abbiamo approvato l'assestamento di bilancio?

Il governo regionale ha messo a disposizione un solo euro per lo sviluppo della locride? Eppure bastava, al governo regionale guardare tra i vari progetti di legge presentati ed accorgersi che ve n'era uno, anche se presentato dall'opposizione , che poteva servire per trasformare le parole in fatti, attivando i fondi del Pon sicurezza per finanziare progetti di sviluppo per la locride.

 Non è stato fatto, adesso quali segnali dovremmo aspettare? Su quale finanziaria il Governo nazionale metterà dei fondi per lo sviluppo della locride? Il Presidente Loiero queste risposte deve farsi dare dall’onorevole Prodi, perché altrimenti anche lui, che al contrario di Prodi, governa la Calabria, non saprà cosa rispondere a breve al popolo calabrese che abita nel territorio della locride.

Le commemorazioni devono essere sempre il frutto del ricordo perpetuo di un evento tragico, ma mi dispiace rimarcare ciò, in un anno non vi è stato nulla, il Presidente Prodi ha solo - per l'ennesima volta - promesso attenzione su questo territorio affermando che se non prima viene sradicata la criminalità organizzata non si può immaginare uno sviluppo economico "in un luogo dove non regna la legge".

E alla maggioranza degli abitanti del territorio della locride "signor Presidente del Consiglio onorevole Prodi" cosa resta? Cosa devono fare visto che a suo modo di pensare il fenomeno mafioso "sta devastando un'altra generazione" di giovani?

Ed anche i ragazzi di Locri dovranno emigrare, così veramente in questo modo non c'è più futuro? Così come il Presidente Prodi sostiene non cambierà nulla, mortificando ed uccidendo anche la speranza!

Quindi, prima abbattiamo il fenomeno mafia, così come dice Prodi, poi aspettiamo la prossima generazione che ritornando a Locri avrà modo di elaborare progetti di sviluppo: questo è il segnale del Governo Prodi, non vi è nessuna prospettiva e nessun futuro per la grande maggioranza degli abitanti della locride!

Il Presidente del Consiglio ci ricorda che tutta la società deve cambiata, ma dissentiamo anche da ciò, altrimenti dovremmo dire che tutta la società della locride non va bene, e tutto ciò non è vero!

Noi dobbiamo tutelare i molti, dobbiamo dire agli abitanti della locride che noi siamo sempre accanto a loro e l'omicidio dell’onorevole Fortugno deve insegnare ad ognuno di noi che nonostante tutto nessuno può impedire a chiunque di rimanere nella propria terra, perché la paura non deve essere più grande dei sacrifici, della cultura, delle bellezze naturali, delle tradizioni, delle potenzialità di sviluppo di questo territorio, la paura si sconfigge con la consapevolezza che sì è in tanti.

L’onorevole Presidente del Consiglio è venuto in Calabria profetizzando che la mafia "sta devastando un'altra generazione" di giovani.

Noi calabresi ci opponiamo con forza a questa sua nefasta profezia e gridiamo e lo avrebbe gridato anche Franco Fortugno: “Non è vero”.

Noi abbiamo il dovere, anche come uomini della Istituzioni, di impedire che ciò avvenga, non solo stando uniti nel cammino difficile dello sviluppo possibile, ma ancor di più incrementando la certezza e la speranza come forza reattiva che si oppone al male ed alla negligenza di quanti, come l’onorevole Prodi ed il suo Governo, dovrebbero operare per uno sviluppo integrale della locride.

Così si onora la morte di Franco Fortugno e di quanti come lui sono rimasti vittime di una cultura criminale, pur avendo in animo la gioia di poter contribuire a riscattare quei territori.

Questo è il vero messaggio che il Capo del Governo avrebbe dovuto portare in Calabria.

Sostenere con forza quella gioventù di oggi che crede nel riscatto ma che vede nel potere politico l'inerzia e la demagogia degli uomini senza speranza.

Lo studio ed il lavoro sono le prospettive di questi giovani, nobili negli ideali, vivaci nelle intelligenze, desiderosi di continuare a vivere nei loro territori, in un cammino di speranza che non li veda né novelli emigrati, né potenziali affiliati.

Voglio concludere, come ho iniziato, con le parole del Vescovo Bregantini: "occorre che tanto, tanto amiamo questa nostra terra di Calabria. È poco amata, poco conosciuta, mal raccontata. Ogni mamma, ogni maestra, ogni catechista, sappia trasmettere, con parsimonia l'amore alla propria terra. Allora le case saranno finite, le strade curate, le scuole dignitose, le chiese aperte, i lavori fatti bene, i circoli culturali attivi, i. partiti trasparenti e concreti, le iniziative imprenditoriali portate a termine!".

PRESIDENTE

Ringraziamo il Viceministro, con determinazione e ciascuno ancora in avanti a fare la propria parte.

La seduta termina alle 14,58