X^ LEGISLATURA
RESOCONTO INTEGRALE
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n. 65
SEDUTA Di MERCOLEDÌ 30 GENNAIO 2019
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE NICOLA IRTO E
DEL VICEPRESIDENTE VINCENZO CICONTE E
DEL SEGRETARIO QUESTORE DOMENICO TALLINI
Presidenza del Presidente Nicola Irto
La seduta inizia alle 15,17
Dà avvio ai lavori, invitando il Segretario
questore a dare lettura del verbale della seduta precedente.
Dà lettura del verbale della seduta
precedente.
(È
approvato senza osservazioni)
Presidenza
del Vicepresidente Vincenzo Ciconte
Dà lettura delle comunicazioni.
Presidenza
del Presidente Nicola Irto
Prosegue
con la lettura delle comunicazioni.
Iniziamo la seduta odierna con l’ordine del giorno che
prevede il dibattito su “Processo attuativo del regionalismo differenziato ex
articolo 116 della Costituzione - Dibattito”.
Comunico che nella Conferenza dei capigruppo, appena
conclusa, si è discusso sull’organizzazione dei lavori della seduta odierna,
quindi iniziamo con il dibattito.
Cedo la parola alla Giunta regionale. L’assessore Fragomeni
relazionerà sull’argomento. Prego, assessore.
Grazie, Presidente. Buonasera, Presidente della Giunta.
Buonasera, signori consiglieri.
Il concetto di regionalismo differenziato si ricollega alla
modifica che la legge costituzionale numero 3 del 2001 ha apportato
all’articolo 116 della nostra Costituzione, con l'aggiunta di un terzo comma
che, dopo la previsione e la disciplina, ai primi due commi, delle 5 Regioni a
statuto speciale, al comma 3 prevede la possibilità di attribuire, alle Regioni
a statuto ordinario, delle forme particolari di autonomia relativamente a 23
materie indicate all'articolo 117 della Costituzione.
In particolare sulle materie indicate al comma 2 (materie
di esclusiva competenza statale) quelle di cui alle lettere l) giurisdizione e
norme processuali (limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace);
n) norme generali sull'istruzione; s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e
dei beni culturali; e su tutte le materie di cui al comma 3 (ossia le materie
di legislazione concorrente), vale a dire: rapporti internazionali e con
l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del
lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione
dell'istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca
scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile;
governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di
navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa;
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione
dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività
culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere
regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
Ora, per riuscire a capire bene la portata del comma 3
dell'articolo 116, bisogna comprendere al meglio la situazione politica che ha
portato alla riforma del titolo V della Costituzione nel 2001. La riforma del
2001, infatti, è stata il frutto delle spinte autonomiste da parte della Lega
nord, assecondate per esigenze di governo, a fasi alterne, sia dal centrodestra
(in maniera prevalente) che - lo dico per onestà intellettuale - dal
centrosinistra.
Se si fa un'analisi geo-politica dei diversi esempi di federalismo,
ci si rende subito conto di un dato peculiare del federalismo italiano.
Esaminando l'etimologia del termine, vediamo che federalismo deriva dal latino
- foedus ossia patto, alleanza - e,
come tale, dovrebbe essere una corrente politica tesa a favorire l’unione
federale tra stati diversi aventi tradizioni e interessi comuni.
Ora, rispetto a questo concetto generale, si può vedere che
il federalismo italiano è uno dei rarissimi casi in cui uno Stato già unitario
ed accentrato, si vuole trasformare in senso federale.
La domanda da porsi è: a chi giova questo stato di cose?
Il federalismo, in Italia, se si guarda all'origine dei
partiti che ne sono stati i principali promotori, non è altro che la malcelata
intenzione di mascherare, con la parola federalismo, un intento autonomista e
secessionista, basato su ragioni puramente economiche.
Storicamente non esiste nessuna prova che il decentramento
di poteri e risorse si traduca (o si sia mai tradotto) in un complessivo
miglioramento dei servizi all'interno di uno Stato. Anzi, è vero l'esatto
contrario. Ormai, anche nel settore dell'economia pubblica, non si fa altro che
cercare di esportare dei concetti presi dall'economia privata. Si parla di
competitività, di performance e via dicendo. Se, quindi, vogliamo importare
questi concetti anche all'interno del settore pubblico, non possiamo non
convenire sul fatto che anche nell'erogazione dei servizi ai cittadini, solo
l'accentramento e la concentrazione possono far realizzare delle economie di
scala, esattamente come avviene nelle operazioni di concentrazione delle grandi
multinazionali. Solo un sistema centralizzato di servizi può consentire dei
considerevoli risparmi di spesa e soprattutto un livello (minimo) standard di
prestazioni.
La stessa Unione Europea, nata come mercato unico, si basa
su questo concetto. Eppure sostenere il federalismo significa l'esatto
contrario. Quindi qual è, diciamo, l'interesse che si cela dietro la spinta in
senso federalista? La motivazione è essenzialmente una: le autonomie speciali
godono di condizioni di finanziamento, e quindi di un livello di servizi per i
propri cittadini, migliore rispetto al resto del paese. E si tratta di
differenze di trattamento molto rilevanti, tanto di aver provocato fenomeni di
“migrazioni” non solo di singole persone o famiglie, ma addirittura di intere
comunità locali da una regione ad un'altra: come nel caso del comune di
Sappada, passato nel 2017 dal Veneto al Friuli Venezia Giulia.
Ma il punto qual è? Non è che il sistema a statuto speciale
sia di per sé più efficiente.
Le autonomie speciali hanno dei soldi in più, solo perché
esistono delle Regioni a statuto ordinario che complessivamente sopportano dei
sacrifici, vale a dire hanno minori risorse, in modo da consentire ad altre un
trattamento diverso.
In Italia vi sono, create nell'immediato secondo
dopoguerra, quattro Regioni a statuto speciale e due Province autonome - che
danno vita alla quinta Regione -, ma è altrettanto fondamentale dire che le
cinque Regioni a statuto speciale italiane erano, al momento della richiesta di
autonomia, Regioni periferiche, per insularità o prossimità ai confini
nazionali, con un'economia debole, e la loro richiesta di forme speciali di
autonomia era motivata essenzialmente dalla tutela della propria specifica
identità storico-culturale e dalla preoccupazione di emarginazione rispetto al
resto dello Stato centrale.
Ma, soprattutto, va detto che l'autonomia speciale è stata
finanziata grazie al “sacrificio” del resto delle Regioni a statuto ordinario,
attraverso un sistema centrale di redistribuzione della ricchezza.
Il regionalismo differenziato dei nostri giorni nasce in un
contesto tutto diverso e, soprattutto, “speculare” rispetto a quello che ha
ispirato la previsione della Costituzione.
Il regionalismo differenziato dei nostri giorni, infatti,
riguarda tre Regioni che sono, in termini numerici, soprattutto di ricchezza,
dei veri e propri giganti e che da sole generano più del 40 per cento del PIL
nazionale.
In altri termini, il regionalismo differenziato ha delle
motivazioni e delle implicazioni squisitamente economiche, e per renderci conto
di ciò, ci basta leggere il testo dei quesiti referendari che la Regione Veneto
aveva messo sulle schede per il referendum consultivo per specificare il
contenuto concreto delle forme e condizioni particolari di autonomia.
Il quesito numero 2, infatti, prevedeva che la percentuale
non inferiore all’80 per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini
veneti all'amministrazione centrale venisse utilizzata nel territorio regionale
in termini di beni e di servizi.
Il quesito numero 3 prevedeva che la Regione ritenesse
almeno l'80 per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale.
Il quesito numero 4 prevedeva che le fonti di finanziamento
della Regione non fossero soggette a vincoli di destinazione.
E, infine, il numero 5 che, proprio palesemente, chiedeva
ai cittadini se avessero voluto che la Regione Veneto diventasse “una Regione a
statuto speciale”.
Il quesito della legge numero 16/2014 poi era direttamente
secessionista, dato che chiedeva ai veneti se volevano che il Veneto diventasse
“una Repubblica indipendente e sovrana”.
La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale della legge numero 16 - referendum sull'indipendenza - e della legge
numero 15, relativamente ai quesiti dal numero 2 al 5, consentendo lo
svolgimento del referendum solo sul quesito numero 1, cioè siano attribuite
ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Il referendum si è poi tenuto il 22 ottobre 2017; ha votato
il 57,2 per cento, quindi una percentuale abbastanza rilevante degli aventi
diritto, il 98 per cento dei quali per il sì.
Anche la Lombardia ha fatto la stessa cosa del Veneto, ma i
quesiti erano sviluppati in maniera più diplomatica.
Venendo alla situazione più recente vanno segnalate nel
febbraio 2018 le pre-intese siglate sotto il Governo Gentiloni, pochi giorni
prima delle elezioni politiche, da parte del Sottosegretario di Stato
Gianclaudio Bressa. Passando all'attuale Governo, il Governo Lega-Movimento 5
Stelle, per dare “sempre più forza al regionalismo” la delega per la materia è
stata attribuita al ministro Erika Stefani, appartenente alla Lega nord, la
quale nell'autunno ha dichiarato di avere predisposto le bozze delle Intese con
le tre Regioni. All'esito del Consiglio dei Ministri tenutosi il 21 dicembre
2018 è stata annunciata la firma delle Intese, da sottoporre successivamente al
voto parlamentare, per il 15 febbraio 2019.
Dunque, la questione dell'attuazione dell'articolo 116 comma
3, ruota tutto intorno ad un tema centrale: quello della copertura finanziaria
e del reperimento delle relative risorse. Se come territori del Sud dobbiamo
necessariamente cercare di far valere un principio fondamentale se le risorse
per attuare questo regionalismo differenziato vengono tolte dalla dotazione,
diciamo così, dello Stato centrale, la relativa assegnazione deve riguardare
anche le altre Regioni, soprattutto se si rischia di mettere in crisi anche i
livelli minimi essenziali dei servizi.
Se guardiamo infatti il punto 4 dell'accordo, quello che
riguarda la copertura finanziaria di queste forme particolari di autonomia, ci
rendiamo subito conto di quale sia il vero obiettivo della riforma. L'accordo
siglato dal Sottosegretario di Stato, Bressa, per quanto attiene alle risorse,
prevede che esse andranno determinate da un'apposita Commissione paritetica
Stato-Regione, sulla base di “fabbisogni standard, che dovranno essere
determinati entro un anno dall'approvazione dell'Intesa e che progressivamente,
entro cinque anni, dovranno andare nell'ottica del superamento della spesa
storica”.
Ora, superare la spesa storica, significa avere più soldi
soprattutto se il nuovo parametro di riferimento dovrà essere quello della
popolazione residente e del gettito dei tributi maturati nel territorio
regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali, fatti salvi gli attuali
livelli di erogazione dei servizi.
In altri termini le variazioni saranno solo in aumento.
Ora, la domanda nasce spontanea: da dove vengono presi
questi soldi in più? La risposta a questa domanda si trova facilmente
continuando a leggere l'accordo, laddove dice, in maniera un po' generica, che
Stato e Regione, al fine di consentire una programmazione certa dello sviluppo
degli investimenti, potranno determinare congiuntamente modalità per assegnare,
anche mediante forme di crediti d’imposta, risorse da attingersi da fondi
finalizzati allo sviluppo infrastrutturale del Paese.
In parole povere, i fondi per lo sviluppo infrastrutturale
del Paese, quindi destinati ad investimenti per migliorare la competitività e
lo sviluppo nazionale, potranno essere stornati per dare maggiori beni e
servizi alle Regioni che già ne hanno in abbondanza e comunque di più rispetto
al resto del Paese. E se la cosa dovesse diventare legge, approvata
dall'attuale maggioranza giallo verde, questa, sarà vincolante anche per le
maggioranze di governo che verranno in futuro, poiché, queste ultime, non
potranno comunque modificare queste dotazioni per 10 anni dall'approvazione,
senza il consenso delle Regioni interessate, consenso che, va da sé, non verrà
mai dato.
L'analisi sin qui fatta, non nasce da una posizione di
carattere ideologico o di difesa di un diritto all'assistenza a vita, anzi, al
contrario, credo sia giusto prevedere e riconoscere agli amministratori locali
un sistema che consenta di fare arrivare sul territorio maggiori risorse da
destinare a servizi ed investimenti, attraverso un meccanismo premiale che dia
il giusto riconoscimento alle migliori e più virtuose performance, solo che
questo va fatto potenziando e migliorando ad esempio il sistema dell’accesso ai
fondi comunitari, o attraverso la valorizzazione in senso economico
dell'ambiente e delle risorse naturali.
Tutt'altra cosa è invece attingere a fondi statali come il
fondo perequativo, anch'esso di rango costituzionale, o altri fondi statali per
investimenti.
Su questo punto va, in verità, fatta una distinzione nel
contenuto delle pre-intese, che credo sia opportuno segnalare, anche al fine di
valutare in modo più oggettivo le diverse richieste.
Mentre il Veneto mira, in maniera neanche troppo velata, ad
una sorta di autonomia di fatto in funzione della tutela della “identità e
della cultura regionale”, la Lombardia, in maniera meno enfatica, punta sulla
maggiore rilevanza economica, ma entrambe le Regioni, di fatto, chiedono un
tipo di autonomia che si risolverebbe in una riscrittura dello stesso articolo
117, dato che sia il Veneto sia la Lombardia, chiedono il trasferimento delle
competenze in tutte le 23 materie previste dall'articolo 117.
La Regione Emilia Romagna, invece, solo in 9: tutela e
sicurezza del lavoro; istruzione tecnica e professionale; internalizzazione
delle imprese; ricerca scientifica e tecnologica; sostegno dell’innovazione; territorio
e rigenerazione urbana; ambiente e infrastrutture; tutela della salute.
C’è poi un'altra importante differenza tra la richiesta di
Lombardia e Veneto e quella dell'Emilia Romagna, che riguarda il residuo
fiscale, ossia la differenza tra le tasse raccolte sul territorio e quelle
restituite in termini di beni o servizi.
Quello del residuo fiscale è in effetti il tema più spinoso
ed il punto su cui Veneto e Lombardia battono maggiormente, e la valenza di
questo punto di discussione è squisitamente politica, dato che, non esistono
indicatori certi che permettano di determinare esattamente il calcolo del
residuo fiscale, né Lombardia e Veneto hanno mai prodotto degli studi
tecnicamente apprezzabili sui reali vantaggi, in termini di efficienza della spesa,
che deriverebbero da una gestione decentrata.
Come Regione Calabria, in Commissione delle Regioni prima e
in sede di Conferenza Stato-Regioni poi, abbiamo preteso di inserire nel
documento comune approvato in quella sede, che nella precedente versione era
troppo sbilanciato in senso neo federalista, un'importante correttivo che ha
subordinato la previsione delle “forme particolari di autonomia” ai generali e
fondamentali principi di uguaglianza sostanziale, al riconoscimento dei diritti
fondamentali della persona (ivi compreso il diritto alla salute), sia come
singolo sia nelle formazioni sociali, ed infine alla previsione dell'articolo
119 della Costituzione, che subordina la concessione di “risorse aggiuntive ed
interventi speciali” al fine di “promuovere lo sviluppo economico, la coesione
e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per
favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona”, ovvero “per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni”.
Mi spiego meglio. Abbiamo fatto inserire nel documento il
principio che eventuali trattamenti differenziati siano concessi per rimuovere
gli squilibri economico sociali e non per fare diventare i ricchi sempre più
ricchi, e giocoforza i poveri sempre più poveri.
Rispetto a questa tipologia di interessi ed obiettivi però,
il contenuto degli accordi che dovrebbero diventare legge il prossimo 15
febbraio, si pongono non sono in contrasto, ma vanno addirittura nella
direzione opposta. Lo stesso documento che abbiamo approvato unitariamente in
sede di Conferenza Stato-Regioni, verrebbe completamente disatteso e, diciamo,
per quanto lo si possa dire di un documento programmatico, disapplicato, se le
pre-intese del 28 febbraio 2018, venissero approvate con quel contenuto.
Ci sono, poi, ulteriori criticità che l'approvazione degli
accordi con le tre Regioni comporterebbe.
La prima consiste nel fatto che, prima di poter attuare
l'articolo 116 della Costituzione, il Governo dovrebbe fissare i fabbisogni e i
costi standard per garantire i livelli minimi di assistenza su tutto il
territorio nazionale.
La seconda è la più rilevante delle criticità, riguarda poi
il criterio che si vorrebbe adoperare per la rideterminazione dei fabbisogni
standard, perché, a tal fine, è stato richiamato un principio che finora non
era mai stato utilizzato: ossia il principio che le risorse nazionali da
trasferire per le nuove competenze siano parametrate, dopo un primo anno di
transazione (basato su fabbisogno storico) a fabbisogni standard calcolati
tenendo conto, anche, del gettito fiscale regionale e fatto comunque salvo
l'attuale livello dei servizi, cioè prevedendo variazioni solo in aumento.
Il gettito fiscale come discriminante dei fabbisogni
rappresenta una novità assoluta ed anche uno snodo cruciale nell’applicazione
della riforma, dato che sinora, nei complessi calcoli dei fabbisogni standard
per i Comuni, si era fatto riferimento sempre e solo alle caratteristiche
territoriali e agli aspetti socio-demografici della popolazione. Rapportare
invece il finanziamento dei servizi al gettito fiscale, significa stabilire un
principio diametralmente opposto rispetto ai principi di uguaglianza e parità
di trattamento e cioè che i diritti di cittadinanza, a cominciare da istruzione
e salute, possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il
reddito pro capite è più alto.
Appare, quindi, di difficile comprensione come si possano
conciliare le richieste di maggiori dotazioni in termini di beni e servizi sui
territori con maggior gettito fiscale, anzi sulle poche Regioni che hanno un
residuo fiscale negativo, con il principio di carattere generale che tutti i
cittadini hanno diritto ad ottenere pari diritti e servizi, indipendentemente
dalla regione di appartenenza.
Il dato certo è che per dare attuazione all'articolo 116,
comma 3, soprattutto nei termini di cui vorrebbero Lombardia e Veneto, si
metterebbe definitivamente in crisi tutto l'impianto unitario voluto dalla
nostra Costituzione, venendo a creare quella che è stata definita come la
“secessione dei ricchi”.
E ciò soprattutto se si guarda il quadro nel suo divenire e
si considera che dopo le prime tre Regioni che hanno già siglato le pre-intese,
ce ne sono altre sette (vale a dire Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte,
Toscana ed Umbria) che hanno approvato mozioni, risoluzioni oppure ordini del
giorno che vanno nella direzione di concordare forme particolari di autonomia.
Il 20 marzo 2018, il Consiglio regionale della Basilicata
ha approvato la risoluzione intitolata “Autonomia Basilicata”, mentre in una
fase, diciamo, del tutto embrionale - dato che non ci sono state approvazioni
né in Giunta né in Consiglio - c'è la posizione della Puglia.
Se a queste aggiungiamo le 5 Regioni già a statuto
speciale, ci rendiamo conto che del sistema a statuto ordinario non rimane che
il ricordo, degradato da regola ad eccezione, attualmente, infatti solo Abruzzo
e Molise non hanno assunto iniziative in proposito.
In conclusione, si può probabilmente affermare che l'autonomia
differenziata regionale possa davvero profondamente modificare le modalità di
funzionamento dell'Italia e l'Italia stessa. Proprio per questo motivo è
davvero necessaria un'attenta ed approfondita discussione a cui, sono certa,
questo Consiglio, oggi, non si sottrarrà, tenendo conto delle maggiori
criticità e ponendo attenzione all'aspetto fondamentale che riguarda le
modalità di finanziamento delle competenze trasferite alle Regioni,
considerando che, in primo luogo sia necessaria la determinazione dei LEP; in
secondo luogo, se da un lato può essere accettabile il concetto che vada
superato il criterio della spesa storica, dall'altro lato bisogna tenere
presente che il criterio di determinazione non può essere diverso da Regione a
Regione, ma deve essere omogeneo su tutto il territorio nazionale.
Inoltre, cosa più importante, non può in nessun caso essere
ancorato al criterio del gettito fiscale, e ciò non solo per l'oggettiva
iniquità del criterio stesso, ma anche perché il concetto di un sistema unitario
nazionale, sia esso federale o accentrato, ha come fine proprio quello della
redistribuzione della ricchezza. Va, poi, fatta una migliore valutazione sul
numero e sull'estensione delle materie coinvolte, che non possono di certo
essere della più disparata natura.
In conclusione, io credo che la difesa del Mezzogiorno
debba essere un tema per tutte le forze politiche, a prescindere dagli
schieramenti. Grazie per l'attenzione.
Ha chiesto di intervenire il consigliere Bevacqua. Ne ha
facoltà.
Innanzitutto, permettetemi di rivolgere un caloroso saluto
al presidente Mario Oliverio che, dopo un periodo di assenza in questa Aula,
oggi ritorna per partecipare ad una seduta di Consiglio regionale
particolarmente importante e delicata per la vita democratica del Paese.
Lasciatemi, anche, esprimere apprezzamento per la
Conferenza dei capigruppo e per il presidente Nicola Irto, per la celerità con
la quale hanno convocato una seduta di Consiglio regionale ad hoc su questo tema. Dico questo non per piaggeria, perché, se ci
guardiamo attorno, vediamo che oggi il dibattito politico su questo tema è
completamente assente. Anche i mass media, stampa e tv, non mostrano un grande
interesse verso un tema che, secondo me -come ha già avuto modo di dire nel suo
intervento l’assessore Fragomeni -, invece, è vitale per le sorti del nostro
Paese.
Mi crea una crescente preoccupazione, inoltre, il fatto che
l'agenda politica del Paese sia occupata dalla “Nutella di Salvini” o dalla nomina
di Lino Banfi all'Unesco, questo mi porta a dire al Consiglio regionale, ai
consiglieri democraticamente eletti, di provare ad alzare il livello -
facciamolo noi, almeno – della discussione su una questione di estrema
importanza - come dicevo - per il Paese e per la sua democrazia.
Per la verità - nel mio piccolo -, in questi mesi ho
cercato di alzare il livello, di mettere in moto una serie di iniziative, di
mobilitare colleghi di altre Regioni, ho scritto una lettera formale ai
candidati alla segreteria del Partito Democratico, ho promosso due iniziative
pubbliche alla presenza dei Presidenti del Consiglio regionale della Calabria e
della Basilicata e dei colleghi del Molise, della Campania e della Puglia.
Vorrei cercare di farlo anche oggi, richiamando l'attenzione dei colleghi.
Dovremo essere vigili, responsabili, mettere in campo idee e proposte forti,
perché senza una forte mobilitazione, se dovesse essere applicata questa norma,
rischieremmo molto, come ha detto poco fa l’assessore Fragomeni.
Cari colleghi, abbiamo una possibilità storica, possiamo
fare da apripista alle altre Regioni a statuto ordinario del Meridione e
chiedere al Governo - questa è la richiesta che dobbiamo fare, so che hanno
preparato un documento unitario - lo stop immediato della mascherata secessione
in corso e l'apertura di una riflessione complessiva e organica sul
regionalismo.
Stavolta bisogna osare, perché ne va del futuro della
nostra gente e, davvero, la scarsissima mobilitazione che vedo mi preoccupa
molto. Lo evidenzio perché il tempo che abbiamo a disposizione è ben poco, se è
vero come è vero che il ministro Stefani ha già annunciato la firma delle
Intese il prossimo 15 febbraio.
L'aggravante è che, nella definizione delle Intese - come
diceva l’assessore Fragomeni -, il Parlamento non è minimamente coinvolto,
poiché potrà soltanto approvare o rifiutare in blocco.
E visti i precedenti con le leggi finanziarie, non credo
che avremo un Parlamento così autorevole, così autonomo da poter mettere i
bastoni fra le ruote a chi oggi propone questo pericolo per l'Italia.
Ieri ho avuto modo di ascoltare, su Radio uno, uno scambio
di battute tra la ministra Stefani e il professore Viesti sui documenti che si
stanno preparando per le firme del 15 febbraio. Il trasferimento di competenze
a spesa invariata varrà solo per il primo anno - non per 5 anni, solo per il
primo -, subito dopo partirà la definizione dei costi e dei fabbisogni standard
che verranno stabiliti da una Commissione paritetica Stato-Regioni e agganciati
- badate bene! - al criterio del maggior gettito. L'unico criterio sarà quello
del maggior gettito!
Bene ha fatto ieri il professor Viesti, davanti alle
reticenze della ministra Stefani, a rimarcare che la partita si gioca su questo
aspetto, che non è secondario, banale o da marginalizzare, è un aspetto
fondamentale per questa partita.
Tradotto in soldoni, è come dire: chi ha già di più, avrà
di più, chi ha di meno, avrà di meno. Questo è, per come sintetizzato ieri dal
professor Viesti nello scambio di battute che ho avuto modo di ascoltare su
Radio 1. Questo è! Quindi sarà impossibile finanziare qualsiasi ipotesi di
fondo perequativo ed ogni possibilità di solidarietà effettiva tra le diverse
aree del Paese.
Certamente, non devo ricordare a quest’Aula gli articoli
della Costituzione che sanciscono l'unità della Nazione e prescrivono
l'istituzione del Fondo perequativo e delle risorse aggiuntive. Li cito
soltanto: articolo 5, articolo 116 e articolo 119.
Vorrei, però, ricordare a questo Governo che la legge
delega numero 42 del 2009 - Governo Berlusconi/Lega - che recepisce la sostanza
di questi articoli, insieme ai successivi decreti delegati, non ha mai avuto
reale attuazione.
È su questo che noi dobbiamo spostare la partita. Quindi,
stop immediato e applicazione dei criteri dei decreti delegati già approvati da
questo Parlamento.
Così come non è stata inquadrata in maniera organica la
questione dei costi e dei fabbisogni standard.
Non si può, come fanno le Regioni del Nord, parlare dei
primi, ignorando i secondi. Questo sta succedendo, soprattutto da parte delle
regioni Veneto e Lombardia.
Perché, anche se è vero che il criterio della spesa storica
ha prodotto tanti danni e sarà abbandonato - qui sta il punto -, la legge
delega dispone che bisogna tener conto delle numerose variabili
socio-economiche che caratterizzano le singole Regioni e rendono esigibili i
livelli essenziali delle prestazioni “ad un livello qualitativo e quantitativo
altrettanto standard e non minimo”. Ripeto, un livello standard e non minimo! Il
che significa che lo standard riguarda prima di tutto i diritti e poi i costi.
È proprio su questo che non dobbiamo lasciarci abbindolare
- lo dico anche a qualche collega regionale -, perché il criterio del gettito
territoriale è il cavallo di Troia attraverso il quale vogliono mandare in
pezzi l'unità d'Italia.
Non dobbiamo farci trascinare nella rincorsa ad ottenere le
briciole, cosa che ho avuto modo di leggere nelle dichiarazioni di qualche
collega. Non dobbiamo aprire, anche noi, una discussione per chiedere nuove
competenze.
Su questa strada, ci condanniamo con le nostre stesse mani.
Abbiamo già visto cosa sta accadendo con la realizzazione di 22 sistemi
sanitari diversi - ne abbiamo parlato spesso in quest’Aula e anche in alcune
iniziative -, non è difficile, quindi, ipotizzare cosa accadrà con l'estensione
dell’autonomia ad istruzione, infrastrutture e mobilità.
Già si immagina che gli insegnanti delle regioni Lombardia
e Veneto possano essere solo del Nord, per dirne una delle tante che sto
sentendo in questo periodo.
Qui è in gioco l'esistenza stessa dello Stato e il partito
di cui faccio parte - ho avuto modo di dirlo in altre occasioni – e del quale
sono cofondatore, non può essere risparmiato dalle accuse, lo dico in
quest’Aula come consigliere regionale del Partito Democratico.
La posizione assunta dall’Emilia Romagna prospetta il
formarsi di un cartello fra le forze politiche del Nord, un asse che si mostra
disposto a far passare questo disegno. Un partito progressista – qual è il mio
- che ha nei suoi principi ispiratori il rispetto della Costituzione e una
dimensione nazionale - non può essere succube degli egoismi territoriali.
Già nel 2001, con la riforma costituzionale del Titolo V,
abbiamo dimostrato una certa debolezza e accondiscendenza verso la Lega Nord di
Bossi e Calderoli. Oggi, più che di debolezza, mi sembra che si debba parlare
di resa senza condizioni.
Ecco perché, oggi, in questo Consiglio, al di là delle
diverse appartenenze politiche - lo diceva anche l’assessore Fragomeni -, chiedo
di raggiungere l’unanimità per dare mandato, organico e unitario, alla Giunta
con lo scopo di formare un fronte largo che, comprendendo anche Basilicata,
Campania, Molise e Puglia, conduca ad una richiesta al Governo di moratoria
immediata dell'iter procedimentale in corso.
Subito dopo, coinvolgendo tutti i livelli istituzionali,
deve essere avviata una ridiscussione complessiva del regionalismo vigente -
come spesso ricorda il presidente Irto - alla luce dei risultati che ha
prodotto dopo 50 anni di applicazione.
Siamo in una fase cruciale, politicamente e
istituzionalmente. La direzione verso cui si sta andando, anzi precipitando, è
inequivocabile e noi dobbiamo metterci di traverso, bloccarla, impedirla.
Ma non dobbiamo farlo in nome del solito meridionalismo
recriminatorio e piagnone. Dobbiamo farlo con un approccio maturo e sfidante,
dicendo a chiare lettere che il Sud è pronto ad assumersi le responsabilità che
gli competono.
I cittadini meridionali sono pronti a costruire il futuro,
ma hanno il diritto di partire da un presente equo che dia le stesse
possibilità degli altri.
Vogliamo e pretendiamo la preliminare definizione dei
Livelli essenziali delle prestazioni per tutti gli italiani. Vogliamo e
pretendiamo la preliminare perequazione di sanità, istruzione, infrastrutture e
mobilità. E non ci accontenteremo della mancia del reddito di cittadinanza -
ben venga l’attenzione alla povertà, me ne guarderei bene.
Non accetteremo che venga cancellata ogni possibilità
residuale per il Meridione. Questo è ciò che dobbiamo chiedere. Questo è ciò
per cui dobbiamo batterci. Questa è l'occasione per dimostrare l'esistenza di
una classe dirigente, calabrese e del Sud, autorevole e non più considerata al
pari dei nuovi Ascari.
PRESIDENTE
Ha
chiesto di intervenire il consigliere Parente. Ne ha facoltà.
Mi accingo ad illustrare il pensiero del nostro gruppo su
un argomento che ritengo di vitale importanza per il futuro della nostra
regione. Ci approcciamo a questa materia con un po' di ritardo, considerato che
alcune regioni del Nord sono in procinto di chiudere un accordo con il Governo
nazionale.
Ritengo che questa problematica andrebbe portata il prima
possibile all’attenzione di tutto il popolo calabrese, anche perché conosciamo ben
poco degli accordi che si stanno chiudendo a Roma e che, prima o poi,
approderanno in Parlamento con buone probabilità di essere emanati, considerato
che buona parte del Governo è praticamente “a trazione leghista”, cioè di
quelle regioni - almeno la Lombardia e il Veneto - che stanno promuovendo
questa autonomia differenziata.
Sorvolo sulla genesi storica che ha portato alle marcate
asimmetrie tra regioni del Nord e del Sud, meglio conosciuta come “questione
meridionale”, per non dover partire dall'unità d'Italia e per non fare un
processo al passato sulle annose e accertate questioni che hanno fortemente
penalizzato il Meridione. Sud che non solo non ha mai avuto giustizia, ma è
diventato sinonimo di assistenzialismo d’accatto.
Un argomento che, tra l'altro, mi appassiona
particolarmente, essendo un cultore della storia, tanto da aver creato, qualche
anno fa, un movimento politico - culturale denominato volutamente “Officina del
Sud” che si interessa in modo particolare di queste tematiche.
Oggi però bisogna essere concreti e risoluti per evitare
che il tema delle autonomie - come è stato detto da più parti - diventi una
secessione mascherata.
Per chi ancora non l'avesse capito, le ragioni di fondo che
ruotano intorno a questo problema sono soltanto di tipo finanziario. Per cui,
le regioni più povere rischiano di diventare sempre più povere a vantaggio
delle regioni più ricche, soprattutto alla luce di quello che è trapelato nelle
dichiarazioni dei Ministri interessati.
Mi rifaccio - nelle cortina fumogena che sta avvolgendo
questo discorso – ad alcune dichiarazioni carpite da qualche giornale o dal question time del Parlamento, ad
esempio: la dichiarazione della ministra Stefani che alcuni giorni fa, per
giustificare questa accelerazione sull'autonomia differenziata, ha avuto modo
quasi di giustificarsi, dicendo che le regioni del Sud non devono preoccuparsi
perché cambia poco, in quanto l’attribuzione delle competenze verrà fatta sulla
base del costo storico. Costo storico vuol dire quanto attualmente lo Stato
sostiene per il funzionamento delle Regioni nelle materie per cui si chiede
l’autonomia.
Questo, già di per sé, per noi sarebbe un disastro, perché
anche se consideriamo solo il comparto sanitario partiamo da un gap di almeno 280 milioni annui in meno,
per come sono stati fatti i criteri di riparto nel 2011. Così per quanto
riguarda le risorse ordinarie della Pubblica amministrazione centrale destinate
al Mezzogiorno sono di poco superiori al 28 per cento a fronte del 34,4 per
cento della popolazione, mentre al Centro-Nord sono del 71,6 per cento contro
il 65,6 per cento della popolazione. Non sappiamo perché, nonostante esista una
legge, non abbia mai avuto luogo questo riequilibrio territoriale.
Ho fatto solo due esempi estemporanei, tra sanità e Pubblica
amministrazione partiamo già con gap
notevolissimo.
Poi il Ministro ha continuato: “vabbè non vi dovete
preoccupare, perché ci sarà il superamento di questa situazione basata sul
costo storico, nel momento in cui saranno definiti i famosi livelli e costi
standard”. Hanno stimato che ciò avvenga entro 5 anni, ma potrebbe avvenire già
nel primo anno. Cosa vuol dire questo? È un altro specchietto per allodole!
Se prendiamo la materia sanitaria, i costi standard sono
ben definiti in tutta Italia. Oggi qualsiasi gara nella Pubblica
amministrazione avviene tramite Consip, mercato elettronico, quindi la storia
della siringa che in Calabria paghiamo 10 volte rispetto al Nord è solo una
favoletta, perché i costi sono gli stessi. I livelli standard in sanità sono
rappresentati dai Livelli essenziali di assistenza, che sono assolutamente
codificati.
Il problema, invece, è che, in Calabria come in Italia,
dopo ben 18 anni ancora non sono definiti i Livelli essenziali delle
prestazioni. Quindi, la legge 42, Calderoli, non è stata mai attuata.
Come verranno definiti i costi standard della prestazione
che la Costituzione prevede per assicurare diritti civili e sociali a tutto il
territorio nazionale?
Sono passati 18 anni e chissà quanti ancora ne dovranno
passare. Questo non fa altro che acuire la preoccupazione, se non verranno
definiti prima possibile questi valori.
Cercano di ammorbidirci con il discorso della perequazione,
ma quanto sarà la percentuale? Perché non ci danno, invece del 45,8, il 100 per
cento della perequazione? Perché la basano sulla spesa storica, a discapito dei
territori che hanno un minore gettito fiscale.
Il tema fondamentale della questione - dobbiamo cominciare
a inquadrarlo - è dato dai criteri che verranno utilizzati per definire questi
fabbisogni e, di conseguenza, le risorse che dovranno essere assegnate. Quali e
quante saranno queste risorse? È chiaro che, nel silenzio più assoluto,
possiamo solo rifarci all'accordo preliminare che, nel febbraio 2018, il
Governo Gentiloni ha sottoscritto con la Regione Veneto, nel quale è stato
previsto che, per i fabbisogni standard, si deve fare riferimento oltre che
alla popolazione al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale.
Questo ci preoccupa ulteriormente, perché significa che per
scuola e sanità e altre materie per cui si chiede l’autonomia, il fabbisogno è
maggiore dove si produce un prodotto interno lordo più alto. Come dire che un
ricco ha più bisogno d’istruzione ed assistenza rispetto ad un povero, che una
scuola di Milano, a parità di studenti, ha diritto di avere più fondi rispetto
ad una scuola di Catanzaro, che un cittadino di Venezia ha diritto ad una
tutela sanitaria maggiore rispetto ad un cittadino di Reggio Calabria. Quindi,
diritti diversi tra cittadini del Sud e del Nord.
Le Regioni, a questo punto, si trasformerebbero in
Regioni–Stato, cristallizzando diritti di cittadinanza diversa nelle aree del
Paese e introducendo il concetto di Stato federale, ideologia a cui sono molto
sensibili alcuni partiti della maggioranza che vorrebbero la trasformazione
della Repubblica Italiana che invece è una e indivisibile.
Non ne fanno mistero! Qualche giorno fa il presidente Zaia
ha dichiarato che il regionalismo differenziato vale come una riforma
costituzionale, aggiungendo, quasi come un avvertimento, che su tale riforma il
Veneto è indisponibile ad una misura - sue testuali parole - “annacquata”.
Ma se si deve intendere come riforma costituzionale - anche
se io la definirei come un Titolo V rafforzato, quindi un deja vù, la riproposizione dell’errore storico fatto nel 2001 di
confondere il decentramento amministrativo con il federalismo -, come si può
accettare che sia decisa da 1 o 2 Ministri e tre Regioni? Come si può pensare
che una riforma del genere sia fatta senza le cautele che la Costituzione
stessa impone? Le nostre preoccupazioni sono aumentate quando, qualche giorno
fa, abbiamo letto – come vedete dobbiamo andare a leggere tra le righe per
cercare di capire i movimenti del Governo su un tema così delicato - che la
Ministra della Sanità, Grillo, che noi speravamo fosse un baluardo a difesa
dell’uguaglianza di accesso ai servizi sanitari - come aveva fatto intravedere
in alcune sue dichiarazioni -, si è incontrata con la Ministra per gli affari
regionali, Stefani, e ha detto che sulle proposte di legge sul regionalismo
differenziato avrebbe opposto solo qualche appunto sul testo e solo per
metterlo al riparo da eventuali ricorsi alla Corte costituzionale. Facendo
capire, sostanzialmente, che l'accordo è stato già raggiunto. L’ha raggiunto il
Movimento 5 Stelle che doveva essere un paladino dei cittadini del Sud.
Avremmo voluto chiedere alla
ministra Grillo cosa significa, ad esempio, che le tre Regioni che chiedono il
regionalismo differenziato possono superare il blocco delle assunzioni; e le
altre Regioni?
Cosa vuol dire, ad esempio,
concedere maggiori spazi di manovra nell'ambito dell'organizzazione sanitaria?
Quali sono le possibilità e quali i limiti, senza venir meno a un dovere di
universalità? Cosa vuol dire dare al Veneto 80 milioni di euro, assicurandogli
l’8 per cento del miliardo di euro dedicato al Fondo nazionale per l’edilizia
sanitaria? I contratti nazionali resteranno tali? Il Sistema sanitario
nazionale resterà tale o diventerà una somma di servizi sanitari regionali?
Queste sono le cose che
avremmo voluto chiedere a una Ministra del Sud!
Come farà un cittadino del
sud quando si ammalerà visto che, pur godendo del reddito di cittadinanza, non
riuscirà a pagare nemmeno un decimo dei ticket per potersi curare?
Credo che dobbiamo prepararci
ad una battaglia che sia innanzitutto di civiltà.
Non siamo per
l’assistenzialismo fine a sé stesso, anzi, siamo per il più ampio decentramento
amministrativo dei servizi che dipendono dallo Stato; riconosciamo il valore
dell’autonomia locale, a condizione però che ci sia unità giuridica ed
economica e, quindi, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti sia i diritti civili sia quelli sociali; chiaramente, tutto ciò
deve prescindere dai confini territoriali e dai governi locali.
Detto questo, la Calabria
potrebbe accettare – anzi, dovrebbe accettare – la sfida promuovendo
l’autonomia differenziata per alcune materie dove ritiene di poter aumentare
l'efficacia e l'efficienza nell'uso delle risorse, senza però intaccare il
requisito di solidarietà nazionale, concetto che apre il discorso alla
perequazione.
Quante dovrebbero essere
queste risorse? Chi e come stabilisce l’entità della perequazione? Qui si apre
un altro tema in materia di residuo fiscale, in quanto le Regioni del nord
stanno facendo un calcolo, o meglio, erano partite con un calcolo particolare
sulla storia del residuo fiscale e adesso cominciano a fare retromarcia perché
questi signori – il residuo fiscale praticamente non è altro che il saldo tra
entrate e spese pubbliche – avevano omesso di includere in questa voce la
componente di spesa più rilevante, almeno degli ultimi vent'anni dello Stato
italiano, ovvero la quota di interessi che si deve corrispondere ai titolari
del debito pubblico.
Questa è una posta contabile
che rappresenta una spesa per lo Stato, per cui il saldo da considerare deve
tener conto di questa voce che porterebbe, ad esempio – abbiamo fatto alcuni
calcoli –, la richiesta della Lombardia da 40 miliardi a circa 13 miliardi; così
come per il Veneto e l'Emilia Romagna che hanno chiesto sui 12-13 mila miliardi
di euro, il residuo fiscale sarebbe di circa due o tre miliardi.
Questi sono i dati del
rapporto Svimez 2018; non vorremmo che, alla fine, le Regioni del sud debbano
pagare anche la parte di interessi sul debito pubblico delle Regioni del nord,
mentre loro incassano la loro stessa quota fiscale.
In altre parole, auspichiamo
che sia mantenuta un’unità giuridica ed economica attraverso il conferimento
delle relative risorse finanziarie; quindi, siamo favorevoli a un’autonomia
rafforzata più che differenziata che, per essere attuata, non può prescindere
da alcune clausole preliminari che dovremmo cercare di inserire nella legge
che, come dirò dopo – lo abbiamo chiesto nella mozione che abbiamo presentato
–, deve partire da un’iniziativa legislativa di questo Consiglio regionale per
decidere in materia di autonomia differenziata.
Quali potrebbero essere le
clausole?
Stabilire, ad esempio, una
clausola di supremazia dello Stato in materie come istruzione, energia,
infrastrutture, trasporti – anche per evitare che qualche Regione blocchi opere
strategiche di interesse nazionale che passano per il nostro territorio –
oppure riservare al Sud una percentuale dei Fondi di Coesione con una verifica
puntuale ed efficiente ad amministrare i finanziamenti per realizzare le opere
richieste e ritenute strategiche.
Poi, come dicevo prima,
determinare i criteri per definire l'entità della perequazione, finalizzati a
recuperare il divario che esiste tra Nord e Sud nonché i tempi di assegnazione
per le materie di cui si chiede l’autonomia; prevedere un periodo di
sperimentazione pluriennale dell'autonomia richiesta di almeno 10 anni per una
valutazione ex post sulla base della
quale definire l’attribuzione in via permanente, la retrocessione o una
rimodulazione.
Queste clausole e criteri
permetterebbero di fare una battaglia di civiltà e di accettare la sfida del
nuovo federalismo, perché dobbiamo cancellare l'immagine di un Sud
inconcludente, clientelare e che non sa amministrare; dobbiamo dimostrare di
essere una classe dirigente capace di risollevare le sorti della Regione e,
quindi, chiedere l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia,
per come previsto dall’ex articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Possiamo avvalerci del
paesaggio, dei beni culturali; abbiamo anche la possibilità di sviluppare la
tutela ambientale; potremmo essere autonomi anche per settori come la
Protezione civile, la prevenzione sismica, la rigenerazione urbana.
Ce la potremmo giocare alla
grande anche per quanto riguarda la tutela salute, ma solo dopo aver ottenuto
le risorse necessarie per effettuare gli interventi volti ad adeguare il
patrimonio edilizio e tecnologico-sanitario; è chiaro che senza ospedali nuovi
e di qualità, senza strutture territoriali efficienti, senza le professionalità
che stanno andando via perché non possono assolutamente operare, non potremo
mai permetterci di competere con le Regioni del nord, anche perché con la sanità
gestita direttamente da questa Regione e con un decentramento amministrativo
per come previsto dall’autonomia differenziata, potremmo anche superare i
vincoli specifici delle macro voci di spesa e, quindi, potremmo adattare quello
che è il bilancio della Sanità regionale a quelle che sono le esigenze reali
per evitare, magari, di ritrovarci a fine anno con una quota capitaria che non
possiamo impegnare perché rientra in quello che necessita alla popolazione
calabrese.
Abbiamo il turismo,
l’agricoltura e, a seguito delle ulteriori competenze che andremo a chiedere
per questa Regione, dovremo ambire soprattutto a partecipare direttamente alla
formazione e all’attuazione delle decisioni dell'Unione europea.
Pertanto, la nostra mozione
propone un’iniziativa legislativa del Consiglio regionale, da presentare
direttamente alle Camere sulla base del disposto dell'articolo 121, secondo
comma, assumendoci così la responsabilità di scelte che cambieranno – speriamo
in meglio – il futuro delle prossime generazioni.
Su questo, come dicevo prima,
dovremmo misurarci come classe dirigente per evitare di raccogliere le briciole
di quello che, probabilmente, rimarrà dalla spartizione che avverrà tra le
Regioni del centro nord.
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Guccione. Ne ha
facoltà.
Presidente, è chiaro che la
seduta odierna, alla quale partecipa anche il presidente Oliverio, assume una
sua importanza non solo per il tema che trattiamo, ma anche per il fatto che
quest'Aula oggi è nella pienezza delle sue funzioni.
Ritengo che il tema del
regionalismo differenziato debba partire da una premessa. Se non siamo
d'accordo su questo, non possiamo essere uniti.
Il regionalismo che si è
sviluppato in questi anni – ormai sono quasi cinquanta – è stato un fallimento
sia per le Regioni del Mezzogiorno sia per la Calabria. Questo ha coinciso
anche con la crisi dei gruppi dirigenti calabresi e del Mezzogiorno.
Credo che questo
regionalismo, invece di accorciare il divario tra Regioni del nord e Regioni
del sud, lo abbia accentuato.
Negli anni ‘70 c'era la
grande speranza di dare ai territori e alle Regioni alcune funzioni
fondamentali e il regionalismo sembrava lo strumento necessario per colmare un
divario, tra il sud e il nord del Paese, ma questo non è accaduto.
Non è accaduto per la sanità,
anzi, non solo siamo commissariati, ma siamo l'ultima Regione d'Italia che non
garantisce i livelli essenziali di assistenza, che ha una bassa qualità dei
servizi e dove – questo è il vero federalismo differenziato – oltre 340 milioni
di euro destinati alla sanità calabrese se ne vanno fuori regione perché 70
mila calabresi ogni anno scelgono di curarsi nelle strutture del centro-nord.
Nella classifica dei sistemi sanitari regionali, la Calabria e il Mezzogiorno
sono agli ultimi posti.
Non a caso in Lombardia,
rispetto a noi che abitiamo nel Mezzogiorno e in Calabria, c'è un’aspettativa
di vita più alta perché lì il sistema sanitario funziona.
Per quanto riguarda i Servizi
sociali, da diciotto anni non riusciamo ad adeguarci a una norma nazionale che
prevede il passaggio delle competenze dalla Regione ai Comuni, ma la cosa più
grave è la spesa pro capite che mettiamo sui Servizi sociali: 18 euro a fronte
dei 200 euro della Val d'Aosta, che ha una media nazionale di 98 euro.
Di cosa parliamo se questo,
di fatto, è già è un federalismo differenziato?
Per quanto concerne la
problematica dei rifiuti o della depurazione, negli anni passati siamo stati
commissariati; si è speso circa un miliardo di euro per quanto riguarda i
rifiuti e la depurazione perché a quell’epoca la Regione non è stata in grado
di garantire l'ordinaria amministrazione.
Dobbiamo partire dal fatto
che il regionalismo che abbiamo conosciuto in questi anni, non solo ha fallito,
ma è stata anche una causa del divario tra il nord e il sud del Paese.
Di cosa abbiamo bisogno?
Dobbiamo stare dentro la discussione!
Non sono uno di quelli che
grida “al ladro!” perché il Veneto, la Lombardia e l'Emilia Romagna hanno
deciso, in base alla Costituzione, di chiedere maggiori funzioni e maggiore
potere.
La Calabria e il Mezzogiorno
non possono assistere passivamente a tutto questo.
Quello che manca
al Mezzogiorno è fare rete, e questo lo dico al di là delle appartenenze
politiche.
Io non sono
contro la Lega e c'è un Presidente del mio stesso Partito dell'Emilia Romagna
che ha aderito a questa ipotesi di federalismo differenziato.
Chi ha dato il
via, dopo il referendum, al processo costituzionale di delega di alcune
maggiori funzioni a queste Regioni, è stato il Governo Gentiloni che, a quattro
giorni dalle elezioni, ha avviato le procedure.
Dobbiamo stare dentro! Lo ricordava bene l'assessore, che ha illustrato tutto
l'iter e ha centrato la questione; se non centriamo politicamente bene la
questione, rischiamo di fare il solito ritornello di un Mezzogiorno che grida
perché non gli danno i soldi anche se, molte volte nel corso della storia di
questo regionalismo, abbiamo dimostrato di non utilizzare i soldi e abbiamo
mandato indietro non soltanto Fondi comunitari, ma anche di Fondi ordinari.
Il Mezzogiorno
deve porre la questione di come pensiamo di tenere insieme l'unità del Paese
alla luce del federalismo differenziato.
Questo è un
grande tema, lo dobbiamo dire al Presidente della Repubblica, al Presidente del
Consiglio e al Parlamento. È giusto!
Si tratta di una
possibilità costituzionale, ma bisogna capire come pensiamo di tenere insieme
l'unità del Paese che non si gioca solo sulle competenze, ma anche sulle
risorse. Dobbiamo rilanciare!
Dobbiamo
dimostrare di essere pronti a rilanciare il tema del regionalismo
differenziato, semplicemente per migliorare i servizi essenziali che oggi
vedono il Mezzogiorno indietro in tutte le classifiche e in tutti i campi.
Non possiamo
essere difensori di questo status quo
che vede il Mezzogiorno in netta difficoltà e incapacità ad avere gli standard
che hanno le Regioni del centro nord.
Questo non ci può
stare bene! Dobbiamo rilanciare! Vogliamo stare nel regionalismo differenziato,
in un nuovo Patto costituzionale che tiene unito il Paese.
Questo è il
grande gioco che dobbiamo fare. Lo possiamo fare da qui! Il messaggio deve
partire dalla Calabria e arrivare agli altri governatori, agli altri Consigli
regionali, agli altri Presidenti dei Consigli regionali.
Credo che questa
sia una battaglia che serve a noi per avere credibilità, essere una classe
dirigente capace di verificare i propri limiti, ma anche di dare risposte a un
Mezzogiorno arretrato che non ha trovato i giusti riscontri nel regionalismo,
dagli anni ‘70 fino ad oggi.
Per questo, credo
che dobbiamo lanciare un messaggio chiaro al Governo, ma anche a tutti i
Presidenti dei Consigli regionali e delle Giunte regionali del Mezzogiorno, per
ritrovarci ed intraprendere una iniziativa che abbia questo compito.
Anche noi
vogliamo il regionalismo differenziato, a condizione che venga attuato in un
quadro che garantisca l'unità nazionale e la possibilità di avere livelli
essenziali dei servizi che siano uguali per Cosenza e Reggio Calabria, ma anche
per Bologna e Milano. Questa è la questione!
Se ci poniamo
come quelli che vogliono difendere l’attuale regionalismo che non ha prodotto
quello che doveva produrre e che non ha soddisfatto le aspettative, anzi, ha
aggravato i problemi atavici della Calabria, rischiamo di non essere capiti né
dai calabresi né dal Mezzogiorno e di essere sconfitti già in partenza. Non è
sufficiente diffidare il Governo.
Mi auguro che il
Consiglio regionale diffidi il Governo, ma che chieda e organizzi un
appuntamento di tutte le Regioni del Mezzogiorno, di tutti i governatori, di
tutti i Presidenti dei Consigli regionali e che abbia la possibilità di
lanciare questo messaggio, in primis
al Presidente della Repubblica e poi al Governo.
Come è stato
spiegato, la procedura in corso è difficile da bloccare dal punto di vista
giuridico e costituzionale perché il Parlamento dovrà pronunciarsi: sì o no;
non ci sarà possibilità di modificare la pre-intesa che arriverà in Parlamento.
Abbiamo la
necessità di interloquire a quei livelli perché ritengo che, da qui, possa
partire anche la nascita di una nuova classe dirigente del Mezzogiorno che fa i
conti con le risorse che ha, che spende bene e che riesce a realizzare gli
obiettivi prefissati.
È una grande
opportunità quella che ci è stata data in questi mesi. Dobbiamo accettare la
sfida, e ritengo che ce la possiamo fare. Grazie.
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Orsomarso. Ne ha
facoltà.
Grazie, Presidente. La seduta odierna di Consiglio regionale ha un solo punto
all'ordine del giorno e credo che questo rappresenti la volontà dei capigruppo
che, con i vari emendamenti – il mio ordine del giorno l’ho presentato il 10
settembre di quest'anno – e le diverse sensibilità percepisce che, nonostante
il clima surreale di un Paese dove – al di là delle posizioni di difesa delle
frontiere, che io e il mio gruppo condividiamo – sembra che non stia avvenendo
null’altro ma, in realtà, è in corso un cambiamento sostanziale dell’Italia,
che non sarà più come l'abbiamo conosciuta da generazioni; un Paese che esiste
perché qualcuno ci ha spiegato che Garibaldi è venuto a salvarci, qualcun altro
ci ha spiegato che da tempo – lo dico al consigliere Guccione – questa terra
aspetta di sentire che la nuova classe dirigente la salverà e, ogni tanto, a
furia di sentircelo ripetere è come se, quasi quasi, ci credessimo anche noi.
Certo, è vero che
i Partiti, i Governi che si sono succeduti, tranne qualche rara eccezione, nel
rappresentare il Mezzogiorno e la Calabria hanno tenuto in considerazione una
strategia per questa terra, che fa parte di quei confini che qualcuno oggi
vorrebbe abolire.
Basti pensare che
si vuole fare un regionalismo differenziato sulla base di un articolo della
Costituzione che è stata scritta dai padri costituenti, dove si dice:
“attenzione, è vero che puoi fare dei referendum e sottoporli al Governo, ma è
il Parlamento che ha la potestà di accettare o meno la prerogativa che ad
alcune Regioni può essere concessa”.
Sono d'accordo
nell'accettare la sfida.
Nella vulgata
generale – la storia ci insegna che in alcune Regioni c’erano i barbari – io
non mi ritrovo, come tutti quanti voi, compreso il presidente Oliverio, che è
presente in Aula, al quale do il bentornato e, così come abbiamo fatto durante
la sua assenza, voglio ricordare che abbiamo intenzione di continuare a
batterci e di abbattere un’esperienza negativa di Governo per portare avanti le
nostre idee, che consideriamo alternative.
Per questo faccio
il mio in bocca al lupo al presidente Oliverio affinché, in qualità di
rappresentante del governo calabrese, possa risolvere al più presto le
questioni che l'hanno visto coinvolto e per le quali, come minoranza, abbiamo
avuto assoluto rispetto.
Non potevo
ignorare il ritorno in Aula del presidente Oliverio, ma torno subito al tema.
Da qualche anno
si registra un grande egoismo!
È facile non
occuparsi della Calabria – basti pensare che lo stesso Partito Democratico,
nella gestione congressuale è stato commissariato, così come altri Partiti –
perché siamo Regioni difficili e quando lo Stato arriva nella sua emanazione di
classe dirigente, siano essi leader di Partito o Ministri, il rischio c'è
sempre per una Regione come la Calabria che è debole economicamente,
politicamente e – come abbiamo scoperto rispetto alle informazioni che arrivano
da alcune famose inchieste – ha anche una Magistratura debole; è ovvio che
nessuno vorrebbe averci a che fare, come dimostrano le frasi del tipo: “è
meglio che non scendo perché rischio una foto con lo ‘ndranghetista”, “rischio
una foto con quell'incapace”, “rischio che qualcuno comprende male le mie
intenzioni…”.
Non solo non
siamo più nell’Agenda dei Governi, ma siamo anche reietti e questo problema non
è solo della politica; se lo chiedete a me, credo che ognuno di voi, anche per
il rispetto che ha della propria storia, del proprio impegno, dei sacrifici che
ha fatto, si crede immune da responsabilità di fatti negativi che pur sono
stati messi in campo con atteggiamenti e comportamenti, anche dalla classe
dirigente del Mezzogiorno.
Ringrazio il
presidente Irto perché in Conferenza dei capigruppo e anche con le mozioni
degli altri gruppi, di Forza Italia, del collega Pasqua, essendo favorevole ad
affrontare la sfida, ha voluto discutere insieme a noi sul tipo di confronto da
aprire con questo nuovo Governo.
Come ricorda bene
il collega Guccione, se facciamo un'analisi storica è indubbio che ha provato a
farlo Renzi e anche altri e la nostra proposta, ad esempio, prevede un'Italia
presidenzialista.
Come ricordava
anche il consigliere Greco rispetto al tema delle macro regioni, la destra
italiana si trova d'accordo su alcuni fallimenti e, nell'immaginario centrale,
si pensa addirittura ad una ripartenza con Napoli capitale del Mezzogiorno.
Bisogna pensare anche
alle politiche che sono mancate.
Vorrei fare un
esempio pratico: molto spesso, in quello che leggiamo nelle cronache, non si
comprende quanto debba essere centrale la politica di un Governo nei riguardi
della Calabria che, negli ultimi anni, è composta per il 72 per cento di Comuni
al di sotto dei 5 mila abitanti, Comuni montani con difficoltà orografiche e
infrastrutture inesistenti.
Immaginate se il
Governo degli ultimi 25 anni, anziché guardare ad altri corridoi centrali, al
TAV, importante per quanto riguarda un Paese, avesse invece pensato ai Paesi
della sponda sud del Mediterraneo, immaginando investimenti in Africa o che,
magari, finanche la gente dell’Africa venisse a sciare in Calabria piuttosto
che sul Brennero o sulle Alpi.
Sono mancate anche
le Politiche nazionali su una terra che, certamente, non ha avuto una classe
dirigente brillante e oggi è considerata scomoda da tutti i Partiti dell'arco
costituzionale, escluso Fratelli d'Italia.
Mi sembra che nel
mio Partito, qualcuno del centro nord, stia quasi cambiando idea, ma si schierò
contro quel referendum, pagando anche pezzi; infatti perdemmo un assessore
regionale di un Partito che ha nel suo Statuto e nella sua forma mentis il concetto di identità nazionale.
Stiamo parlando
di referendum, dell’impostazione di un nuovo assetto dello Stato che non arriva
con Riforme costituzionali, ma è voluto dal Partito Democratico, da Forza
Italia, dalla Lega e, forse, anche dai Cinque Stelle, che oggi avallano il
Governo.
Il concetto di
sfida, anch'io lo ribadisco, è importantissimo ma bisogna lanciare un segnale.
Possiamo affrontare tutte le sfide su quello che riguarda i livelli essenziali
delle prestazioni; è stato detto a più voci nelle nostre interrogazioni.
Quanti asili ci
sono per i bambini? Il che riguarda anche le nascite in questo Paese.
Non è
culturalmente facile stabilire il numero di nascite, visto che siamo la prima
frontiera dove arrivano i barconi; anche quello sarebbe un tema centrale su cui
discutere.
Credo che, mai
come oggi – e lo si può fare in modo trasversale all'interno delle forze
politiche a cui apparteniamo, ma anche come Regione Calabria – bisogna provare
ad accettare la sfida, richiamando chi in silenzio nutre un forte egoismo, che
non si limita alle sigle, ma è diventato un egoismo trasversale delle geografie
dei territori.
Ognuno di noi
conosce i sacrifici e gli investimenti della propria famiglia – mio fratello fa
l’avvocato a Roma, un altro fa il medico a Milano – e non hanno disdegnato,
come classe dirigente che ha contribuito alla crescita del Pil, di creare un
pezzo di economia di chi non aveva storia. Su questo vi è una sfida da
accettare, con la consapevolezza che è particolarmente complessa.
Bisognerebbe parlare della Cina nel WTO (World Trade Organization), del resto
dell’Europa… insomma, il mondo è
cambiato. Il contesto è davvero così complesso per non dover immaginare che non
sia giusto modernizzare, riformare.
Oggi farò un lavoro cinico, visto che stiamo, credo, per
realizzare insieme un documento per ricordare le responsabilità di quella
riforma sciagurata del Titolo V della Costituzione, voluta dalla sinistra e che
ci ha restituito il primo dramma.
La sanità da nazionale è diventata regionale, e non ha
fallito soltanto in Calabria, eh?! Fallisce anche in Piemonte perché poi “famo a capisse” come dicono a Roma!
Non ci sono soltanto le disfunzioni. Anzi! Anzi, se andiamo
a guardare la storia degli amministratori di questi nostri piccoli Comuni
capiamo. Perché poi c’è sempre la generalizzazione per cui la classe dirigente
nel Mezzogiorno è reietta, in malafede e contigua al malaffare. Quando, invece,
pensi che sulla TAV hanno spartito miliardi, creando diseconomia per uno Stato
con pezzi di classe dirigente di quelle geografie che oggi trasversalmente ti
dicono: “Alt! Il peso più grande è rappresentato dal Mezzogiorno e, in
particolare, dalla Calabria” - perché siamo sempre ultimi in ogni classifica!
Questo è il sentimento complessivo e concordo con gli
interventi che mi hanno preceduto, che dicono di non farci dire e di non
farcelo dire anche dalla nostra popolazione, perché è una popolazione che
ascolta, che vota, che ha votato anche per il 55 per cento i rappresentanti del
Movimento Cinque Stelle. Non è che vota sempre i partiti tradizionali! Però, si
deve assumere le responsabilità come corpo sociale ed economico, perché molto
spesso gli ha fatto comodo, anche con lo Stato che ha fatto da ammortizzatore.
Pensiamo ai forestali, pensiamo agli Lsu-Lpu, che oggi vorrebbero essere
sostituiti con i beneficiari del reddito di cittadinanza perché il
responsabile, anche in termine politico di governo, continua a farci perdere
ancora tempo per coniugare un riavvicinamento economico.
L’Europa parla di obiettivo convergenza, no?!, obiettivo
che è mancato e, nel frattempo, hanno dato strumenti e tolto il finanziamento
ordinario dello Stato.
L’assessore Corigliano lo sa perché è stata assessore di un
Comune e oggi è assessore di una Regione. Al di là adesso della valutazione su
quanto mi possano piacere o meno le politiche che questo Governo di
centro-sinistra intraprende in Calabria, è tempo di alzare la testa! È tempo
anche di tirare una linea.
Perché è ovvio che molti di voi non stimeranno me e nemmeno
io stimerò molti di voi ma è tempo di stabilire su questo fronte comune - e
ringrazio il presidente Irto - un confronto con il Governo, un confronto con
gli altri Consigli regionali - e abbiamo fatto bene ad ipotizzare di
coinvolgere l’Anci, i Comuni, i deputati.
Escluso alcuni che apprezzo, anche di centro-sinistra, per
le battaglie che hanno condotto e che continuano a portare avanti, oggi, in
Parlamento, abbiamo la metà della deputazione calabrese, circa 18 deputati -
che non ha avuto nemmeno la famosa Democrazia Cristiana! - del Movimento Cinque
Stelle, che troviamo silenti. È un problema generale dei cittadini costruiti
con la piattaforma Rousseau: restano cittadini muti, non abili di parola,
perché se possono dire o non dire qualcosa lo stabilisce la piattaforma
Rousseau.
Vedete anche l’escussione di gente molto rappresentativa
che il Movimento Cinque Stelle aveva candidato. Quindi è una sfida enorme.
Parlo anche rispetto alle critiche mosse a questa
Legislatura e ad un Governo, che secondo noi, insieme ad alcune proposte, che
pure abbiamo votato, non ha brillato per operatività in un contesto sicuramente
difficile.
Possiamo impegnare il resto di una Legislatura perché
abbiamo le Commissioni, dove comunque i colleghi consiglieri, di maggioranza e
minoranza, non lesinano lavoro, anche con il contributo dei tecnici, per far sì
che questa terra possa dimostrarsi all’altezza nel costruire qualcosa insieme
alle altre Regioni del Mezzogiorno che saranno differenziate.
Immagino la Sicilia, con cui dovremmo sentirci cugini! In
una riforma dello Stato immaginate la Sicilia, che ha uno Statuto speciale, se
volesse o potesse accettare di perdere lo status
di Regione a Statuto speciale!
Ormai alla vigilia di un ulteriore nuovo millennio è
normale che tutti proveranno a mantenere prerogative garantite successive allo
Statuto Albertino. Il Paese non se lo può più concedere!
Questo per dire se avremo la forza, la capacità di spiegare
la situazione a tutta la Calabria, perché poi ti serve il popolo, come fa
qualcuno che oggi agita le piazze! A me non piace chiamare il popolo su alcune
emergenze. Nel frattempo stanno smembrando l’Italia!
Forse possiamo offrire un contributo in questa stagione.
Tocca a noi riformare lo Stato, riformare la Costituzione, pensare ad un
presidenzialismo, pensare ad un nuovo regionalismo, abolire Regioni, come dice
il consigliere Orlandino Greco e anch’io concordo, pensare a macro-Regioni.
Allora forse qualcuno non doveva neanche abolire le
Province perché oggi ci si trova anche in questa situazione. Organizzare uno
Stato nel modo più funzionale possibile per le nuove sfide, che sono la
globalizzazione e comprendere che ruolo deve avere il Sud che fa parte di
un’Italia con dei confini, conquistati con grandi sacrifici.
La madre di tutte le battaglie - ha fatto bene a presentare
una mozione il collega Pedà - sarebbe, ad esempio, l’incompiuta storica del
porto di Gioia Tauro, che avrebbe dovuto fare concorrenza al porto di Tangeri,
perché è un porto che ha fondali per grandi navi che arrivano e sbarcano, per
tante piccole navi con lo spacchettamento a terra ma sappiamo bene che i
Governi, tutti i Governi di questa Repubblica, hanno agevolato Genova, in
concorrenza a Gioia Tauro.
Allora sarà il tempo che anche noi rivendicheremo con
egoismo il ruolo e la funzione di un porto che non può diventare soltanto lo
scalo della cocaina internazionale ma che magari dovrebbe vedere grandi
investimenti, grandi imprese.
La faccio breve per dire che la sfida non sarà semplice.
Bisogna mandare al Governo - concordo con il consigliere Carlo Guccione - un
documento di sintesi che sia di espressione positiva, non di lagnanza.
Adesso ci lasciate soli, ci togliete le risorse. No,
assolutamente! Comprendiamo le esigenze ma occorre parlare a chi vuole fare in
silenzio, costruendo sull’egoismo, magari immaginando, come qualcuno con grande
ignoranza dice: “Perché gli insegnanti da noi devono essere di Varese!”.
Quando parliamo della maggior parte di quegli insegnanti
sappiamo bene che con grandi sacrifici ha rappresentato, pur avendo minore
economia, stagioni di intere generazioni di figlie e figli di Calabria, che
hanno riempito le Università, le scuole.
Insomma parliamo di quei lavori, che in altri posti coloro
che avevano l’agendina, come la chiamano, non volevano svolgere perché erano
meno redditizi.
Allora non si può capovolgere la storia! Quindi dobbiamo
avere la capacità - e non è facile! - perché ci giudicano i calabresi, ci
giudicano quelli che giudicano i calabresi, cioè il resto d’Italia, e se
sbagliamo i toni, se sbagliamo il nostro contributo, avremo perso un’importante
occasione!
Perché penso che questa roba va avanti. Questa roba andrà
avanti!
Per noi può essere anche una grande opportunità, però nei
modi e nei termini giusti. Bisogna ricordare tutte le mancanze che i diversi
Governi e altri territori hanno avuto rispetto a queste Regioni e possiamo
cogliere tutte le opportunità per dire: “frenatevi! Costruiamola bene,
costruiamola che non si deve poi sempre ritornare”.
Pensate oggi al commissariamento sulla sanità: è l’errore
di un Governo che da nazionale l’ha resa regionale! E pensate al drg (diagnosis related group) che pagano quelli
di Reggio Calabria, piuttosto che quelli di Cosenza, con un meccanismo
costruito. Qualcuno dovrebbe fare un’indagine anche su questo!
Perché la Lombardia non starebbe in equilibrio! Attenzione
anche ad altre verità!
Bisogna studiare le carte! Anche quando semplicisticamente
processiamo sempre tutto, al di là dell’ex
commissario Scura, a cui abbiamo fatto un processo unanime e su cui siamo tutti
d’accordo.
Se la Lombardia non avesse gli 890 milioni di euro, cui
contribuiscono non solo la Calabria anche il Piemonte, non starebbe in piedi!
Ci sono 13 Regioni in disavanzo e 7 Regioni in attivo sulla
sanità. Con questo sistema, è ovvio che non starebbe in piedi con tutti gli
investimenti che si può permettere, senza il contributo dei nostri 300 milioni!
Perché se lo Stato ritornasse a pagare i drg centralmente, come accadeva una volta, sarebbe diverso: per
cui che ti curi in Lombardia e vuoi farti il viaggio o ti fidi di più del
medico lombardo o ti curi a Cosenza, a Catanzaro, a Reggio Calabria, resta la
stessa cosa in termini di spesa, perché tanto paga lo Stato.
Questa è un’ipocrisia a cui bisogna rispondere con buona
politica e dobbiamo sforzarci, con il contributo di tutti, di provare, nonostante
ci siano poi, purtroppo, le deviazioni in tutti i partiti, a produrre buona
politica, in questa stagione, in tutte le stagioni.
Avere anche più rispetto dei ruoli - provo ad esercitarlo
sempre! - in un confronto che va spiegato ai calabresi, che diventa epocale e
su cui possiamo riscattare tante occasioni perse - mi ci metto anch’io che non
mi sento la responsabilità degli ultimi 40 anni di regionalismo!
Quindi, grazie per i contributi e grazie alla sensibilità
del presidente Irto, che per la prima volta, credo, in 4 anni di Legislatura ha
costruito, con grande capacità, alcune mozioni con il lavoro sia della
maggioranza sia della minoranza.
Penso che va riconosciuta anche l’esperienza e la saggezza
di un uomo d’Aula come il consigliere Tallini, che in un’occasione importante -
quindi glielo riconosco - costruisce un percorso su cui si può fare una
battaglia storica, comune, dove non possiamo sbagliare nulla.
Quindi non protagonismi inutili ma parole misurate, anche
nella sfida. Quindi c’è da lavorare tantissimo!
Questa è la sintesi. Finita la mozione che presenteremo al
Governo bisognerà mettersi al lavoro per capire che ruolo può avere questa
Regione in un’Italia che qualcun’altro ha ripensato. Anche noi vorremmo
contribuire a ripensarla.
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Sergio. Ne ha
facoltà.
Buongiorno, signor Presidente, onorevoli colleghi, signori
rappresentanti della Giunta regionale, signor Presidente della Giunta. Saluto
con soddisfazione il presidente Oliverio che oggi recupera la sua naturale
postazione. L’auspicio è quello che la possa stabilmente occupare al più
presto, nell’interesse non solo di quest’Assise, quindi della rappresentanza,
ma anche nell’interesse della cittadinanza, verso cui questa Istituzione ha
doveri da svolgere e, soprattutto, nell’interesse dei cittadini calabresi.
Oggi affrontiamo un tema che secondo me, per poter essere
ben veicolato, deve partire anche da un’analisi storica rispetto a quello che è
stato il percorso di questi 40 anni e oltre di regionalismo.
Per 15 decenni si è discusso della “Questione meridionale”
ma col federalismo fiscale il quadro è cambiato.
Lo Stato invece di costruire gli asili nido o i binari,
dove mancano, ha stabilito che nei territori di tipo B il fabbisogno è zero; ha
dimezzato la perequazione dove la Costituzione garantiva che fosse integrata.
Si è aperta la strada al federalismo differenziato, con maggiori autonomie,
risorse e diritti nelle Regioni ricche.
Lo Stato ha misurato Comune per Comune fabbisogni, costi e
servizi, con l’obiettivo di attribuire a ciascun territorio le risorse
corrette.
I conteggi hanno dato un risultato inatteso. Si pensava di
far emergere la cattiva spesa del Sud e ci si è trovati di fronte al dettaglio
del profondo divario tra le due “Italie”.
L’uguaglianza ha un costo miliardario e così si è imboccata
la scorciatoia di piegare le regole in modo da attribuire al Sud meno diritti e
meno soldi.
Il fronte aperto nella cosiddetta “Questione meridionale”
oggi si snoda decisamente sull’equilibrio difficile della modalità di
attuazione del federalismo.
La riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 ha
ampliato gli ambiti di competenza delle Regioni: sanità, trasporto, eccetera.
Il testo varato dalla riforma del 2001, non potendo aprire
conflitti con i principi fondamentali del nostro testo costituzionale, imponeva
all’articolo 117, lettera m), di definire i cosiddetti Lep, livelli essenziali
delle prestazioni.
In breve, ogni cittadino dovrebbe avere garantiti dei
livelli minimi dei servizi, opportunamente quantificati, onde evitare che
un’attuazione, non debitamente riequilibrata, del federalismo conducesse alla
creazione di divari maggiori tra i servizi fruiti dai cittadini di Regioni
diverse.
Questo concetto veniva richiamato anche dagli interventi
che mi hanno preceduto.
Non va dimenticato lo spirito della Costituzione. Non si
può parlare di diritto e libertà dei cittadini quando questi sono sempre più
spinti oltre la linea della povertà.
Non si può parlare di diritti politici senza la garanzia
dei diritti sociali.
L’ostacolo alla libera esplicazione della persona morale
nella vita della comunità può derivare non solo dalla tirannia politica ma
anche da quella economica: sicché i diritti, che mirano ad affrancare l’uomo da
queste due tirannie, si pongono ugualmente come rivendicazioni di libertà.
Invece, come evidenziato nei mesi scorsi dall’Ufficio Studi
della Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese maestre), il rischio di
povertà o di esclusione sociale tra il 2006 e il 2016 è aumentato in Italia in
misura rilevante, raggiungendo il 30 per cento della popolazione.
La metà delle persone, purtroppo, è al Sud.
Cosa è successo dal 2001 ad oggi? I Governi italiani che
hanno concretizzato il federalismo in Italia ben poco si sono preoccupati del
riequilibrio in favore delle aree meno dotate di risorse, come il Sud. Gli
effetti di questo incremento dei divari, accentuatisi proprio nel primo
quindicennio di questo ventunesimo secolo, si colsero nettamente nel 2014, il
cosiddetto annus horribilis, in cui
Svimez evidenziò una differenza di PIL pro
capite tra Sud e Centro-Nord, confrontabile con i primi anni del decennio
‘50, quindi all’inizio della massiccia ricostruzione post seconda guerra mondiale.
Pil del Sud pari al 56,3 per cento del PIL del Centro-Nord. Solo che non
risulta nessuna guerra mondiale nel frattempo.
È innegabile che le Regioni del Sud abbiano trovato
difficile gestire il supplemento di competenze ad esse attribuite.
Lo dimostra apertamente il crescente fenomeno della
migrazione sanitaria. Un articolo di gennaio 2018 illustra il paradosso della
sanità: un meridionale spende all’anno per la sanità 1.799 euro; uno del Centro
Italia 1.928; uno del Nord 1.961.
A fronte di una spesa praticamente sovrapponibile, i
servizi erogati dalle Regione non sono assolutamente confrontabili, visto che,
come documenta il Censis, 750 mila italiani lasciano la propria regione per
curarsi altrove ogni anno.
Non solo sanità. Si pensi alla diversa qualità e offerta
del traffico ferroviario regionale, come emerge dai rapporti di Legambiente,
detti Pendolaria.
In un Paese ideale sarebbe inammissibile dover scoprire che
più marcatamente al Sud aumentano i disagi o si riducono al lumicino gli investimenti
in formazione (scuola, università, cultura, ricerca), che sono, invece, il
necessario impulso che affranca un Paese dalle spire della recessione.
Controintuitivo se si pensa che dovrebbe essere fondamentale rafforzare il
capitale sociale per fronteggiare il cancro delle mafie. Per tacere poi
dell’incredibile divergenza regionale degli investimenti pubblici.
La dinamica attuativa del federalismo fiscale induce un
calo dei trasferimenti statali verso gli Enti locali e quindi le Regioni ed i
Comuni sono costretti ad inasprire le imposte locali, portando a situazioni
paradossali, in cui l’incidenza delle imposte nelle città del Sud risulta
persino maggiore rispetto al Nord.
Un recentissimo rapporto Ctp ha dimostrato, sfatando un
altro luogo comune, che la pressione tributaria al Sud, in proporzione al PIL
dell’area, è in crescita nel 2016, ed è soprattutto superiore nel Mezzogiorno
(34,1 per cento contro il 33,5 del Centro-Nord), per effetto delle imposte
locali che al Sud raggiungono il 6,6 per cento contro il 4,9 del Centro-Nord.
Infine, l’argomento principe dei sostenitori
dell’attuazione federalista, il cosiddetto residuo fiscale trova smentite
nell’ultimo rapporto Svimez 2018, che mostra come i numeri devono essere
oggetto di riflessione e meditazione prima di lasciare il timone al miope
egoismo localistico: 20 dei 50 miliardi circa di residuo fiscale trasferito
alle Regioni meridionali dal bilancio pubblico ritornano al Centro-Nord sotto
forma di domanda di beni e servizi.
Inoltre, la domanda proveniente dal Sud ha un effetto
moltiplicativo sulle altre macro-aree del Paese. La migrazione intellettuale
dei laureati causa al Sud una perdita secca, in termini di spesa pubblica
investita in istruzione e non recuperata, di circa 2 miliardi l’anno, mentre l’emigrazione
studentesca comporta spostamenti di risorse per circa 3 miliardi l’anno.
Questo conferma che l’interdipendenza economica rafforza il
Paese nelle sue componenti territoriali. Non capirlo o fingere di non capirlo è
un’operazione pericolosa.
Un federalismo, quello italiano, che potrebbe considerarsi
anagraficamente maggiorenne ma che, purtroppo, non è stato allevato bene.
Ci siamo rassegnati persino ad accettare e giustificare che
i bambini del Sud valgano meno di quelli del resto del Paese! Su questa ed
altre aperte violazioni degli intenti dei costituenti vanno fatti
approfondimenti e studi circa il tema scottante dell’attuazione “perversa” del
federalismo all’italiana. In conclusione, però, invitando comunque tutti gli
esponenti delle Istituzioni, dei corpi intermedi della società e della politica
ad ulteriori momenti tecnici di riflessione e, contemporaneamente, lo
sottolineo, di proposta operativa circa questi che sono problemi cruciali -
anzi, oserei dire per noi i più gravi ed importanti in questo momento storico!
-, debbo rimarcare alcuni aspetti essenziali e, dunque, non concordare con
quando qualcuno afferma, pur non essendo sostenitore dell’attuale Governo
nazionale.
Lega più Movimento Cinque Stelle: non possiamo cavarcela
scaricando tutto su di loro, come se prima del giugno 2018 al Governo o nelle
burocrazie ministeriali e regionali ci fossero stati occupanti stranieri o
alieni! Infatti, va chiarito: primo, che l’egoismo del Nord non ha colori;
secondo, che la classe politica tutta tradisce le aspettative e, ancora di più,
la Costituzione, come se questa fosse al massimo un’opzione fra tante; terzo,
che il Sud non è rappresentato e che quando lo è il ceto politico è mediocre e
distratto, visti i risultati di oggi, certo, ma che sono figli degli ultimi
anni 50.
Dico: che cosa possiamo fare? Che cosa dobbiamo fare?
Bisogna creare una mobilitazione di tutte le Regioni del Sud del Mezzogiorno ma
la mobilitazione non ci può essere se non c’è la sensibilità e l’impegno e
l’impegno di “metterci la faccia” da parte dei nostri rappresentanti al
Parlamento.
Perché oggi il Parlamento è intriso di presenze di una
certa “aria politica” e questi nostri signori rappresentanti, che tutti noi
abbiamo eletto nell’ultima tornata a marzo, quando si troveranno a votare per
una riforma di questo tipo, voteranno per i propri interessi del Mezzogiorno
del Sud della Calabria o secondo le direttive dei loro partiti?
Questo è l’inquietante interrogativo che ci poniamo.
Quindi, bisogna rimboccarsi le maniche e fare quadrato, soprattutto spingendo
questa barca laddove sia possibile, sapendo che il percorso è in salita e molto
complicato e difficile da affrontare. Grazie.
Presidenza del Segretario
questore Domenico Tallini
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Esposito. Ne ha
facoltà.
Grazie, Presidente. Intanto, intervengo per fare anch’io – così come è
stato fatto dagli altri colleghi – un plauso al presidente Irto per aver
portato questo importantissimo tema, oggi, in discussione nella massima Assise
calabrese, prendendo anche spunto da alcune mozioni che sono state presentate
sin dall’inizio: quella del consigliere Pasqua del 31 maggio, quella del
consigliere Orsomarso e, poi, successivamente, credo che sul tema siano
intervenuti anche il consigliere Orlandino Greco e, non ultimo, il consigliere
Bevacqua.
Il Presidente ha fatto una sintesi di queste iniziative e, anche per
evitare dispute di primogenitura, oggi siamo qui – mi auguro nell’unità di
intenti – a trovare un sunto di questi lavori per far sì che un tema così
importante abbia oggi, in Consiglio regionale, una risoluzione, rispetto anche
alla mancanza di dibattito pubblico commisurata all’importanza del tema, così
come diceva il collega Bevacqua.
Credo, consigliere Bevacqua, che questo dibattito un po’ sopito, quasi
addormentato a livello pubblico anche sui media nazionali e quant’altro, sia
espressione, probabilmente, di un imbarazzo della politica; soprattutto per
quanto riguarda il Governo giallo-verde che, da una parte, con un’accelerazione
della Lega, sicuramente, va a recuperare lo zoccolo duro del suo elettorato nel
Nord-est, ma, conseguenzialmente, mette a rischio anche quella nuova visione
della Lega a livello nazionale rispetto alla Lega Nord che conoscevamo fino a
qualche tempo fa.
Dall’altra parte, c’è un imbarazzo anche del Movimento 5 Stelle ed anche
delle contraddizioni di fondo da parte dei pentastellati che richiamano spesso
la necessità di un referendum per andare a rivisitare alcuni passaggi
fondamentali della nostra Costituzione; poi, invece, negli ultimi giorni
assistiamo anche ad un’apertura da parte della ministra Grillo sul tema della
sanità come materia di regionalismo differenziato.
Ci sono queste contraddizioni di fondo che rendono ancora più difficile la
tematica che, oggi, noi affrontiamo in Consiglio.
Non v’è dubbio che non è un piagnisteo quello che deve partire dalle
Regioni del Sud, ma si tratta di accettare una sfida difficile che deve vedere
protagonista il Consiglio regionale, insieme, naturalmente, anche al Presidente
della Giunta ed a tutti gli assessori.
Anch’io saluto con estremo piacere la presenza, oggi, in Consiglio
regionale, del presidente Mario Oliverio, a cui auguro di chiarire, nel più
breve tempo possibile, la sua situazione giudiziaria, fermo restando, poi,
quello che è il dibattito e lo scontro politico che ci vede, sicuramente,
negativi nel giudizio che abbiamo dato del suo operato politico.
Oggi credo che il Consiglio regionale possa recuperare un po’ quel tempo
perduto di cui parlava prima il collega Parente e giungere ad un documento di
sintesi che, però, vada ad individuare alcune richieste fondamentali quale
quella di un freno, di un momento di ulteriore riflessione, da parte del
Governo e, quindi, del Parlamento, rispetto al pericolo di un’architettura
strutturale della nostra Costituzione, che verrebbe completamente alterata
laddove fossero delegate alle Regioni Lombardia, Emilia Romagna e Veneto dei
temi di assoluta importanza, come l’istruzione, nella sua totalità, o come la
sanità. Andremmo a costruire una nuova Carta Costituzionale senza essere
passati da un referendum popolare.
Probabilmente, la criticità della democrazia di questo regionalismo
differenziato sta proprio in questa contraddizione di fondo, che è pericolosa e
che noi dobbiamo rivendicare – ripeto – non come Regione debole, non come
Regione che vuole godere ancora dell’assistenzialismo dello Stato centrale, ma
come difesa della Carta Costituzionale.
Ci sono tutta una serie di iniziative da porre in essere: la prima sulla
sanità.
Non possiamo pensare ad un tema della sanità che sia differenziato.
Veramente andremmo a disegnare un’Italia che perderebbe la sua unità, un’Italia
a macchia di leopardo.
Questa è la debolezza della nostra Regione, se è vero come è vero che gli
ultimi dati – e questo è il momento anche di dirlo in Consiglio regionale –
denotano un allarme sociale. Non si può usare una espressione diversa rispetto
a questi dati – proprio dei giorni scorsi, di stamane – che vedono, nel 2018,
un progressivo aumento del debito che arriva a circa 250 milioni di euro; se
consideriamo il deficit della sanità
meno la premialità fiscale regionale siamo al di sopra dei 170 - 180 milioni.
Siamo ritornati a dei livelli essenziali di assistenza pari a 136, quindi
abbondantemente maglia nera, ma, al di là di essere gli ultimi in classifica,
ci preoccupa questa ulteriore riduzione dei servizi che riusciamo ad offrire ai
nostri cittadini.
Un dato che andrà a peggiorare, laddove dovessero costringere il Governo ad
un rinnovo del blocco del turnover. È
una situazione di allarme sociale nel momento in cui entrerà in vigore anche la
famosa quota 100 che, sicuramente, vedrà protagonisti i dipendenti della
sanità, perché sono logori, saturi e soprattutto sono mal incentivati nel loro
lavoro, per cui la stragrande maggioranza di essi non vede l’ora di poter
approfittare della cosiddetta quota 100 per andare in pensione.
Blocco del turnover e pensioni
mettono a rischio la salute dei cittadini calabresi.
Anche su questo tema, presidente Oliverio, ritengo che ci sia la necessità
immediata di intavolare un discorso con la struttura commissariale, perché qui
non stiamo parlando di vedute divergenti, ma di una situazione che, ormai, è
veramente al lastrico, di un allarme che rischia di vedere, davvero, una Italia
a più velocità.
Credo che, oggi, si debbano porre in essere tutti quegli strumenti nei
quali non deve venir meno la giusta autonomia delle Regioni però senza
rinunciare a quella funzione universalistica dello Stato centrale. Questo non è
piangersi addosso, ma è mantenere i capisaldi della Carta Costituzionale. Mi
auguro che proprio i principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione siano la parte centrale di qualunque tavolo tecnico si vada a
costituire in questi giorni ed in questi mesi, prima del 31 marzo.
Il regionalismo differenziato non deve diventare una riforma della
Costituzione. Mi auguro che, oggi, si riesca ad arrivare non soltanto ad un
documento che sia la base per avviare un ragionamento con il Parlamento e con
il Governo verso una riflessione molto più attenta e analitica, ma soprattutto
anche quello di iniziare un negoziato con il Governo.
Quello che manca è stato anche evidenziato da un servizio-studio del Senato
della Repubblica, che racchiude le iniziative della Regione Calabria in 6/7
righe e che sottolinea, solo ed esclusivamente, che la Regione Calabria sta
affrontando il problema perché è stata depositata all’Ufficio di Presidenza la
mozione del 31 maggio 2018 alla quale mi riferivo prima – se non erro – a firma
del collega Vincenzo Pasqua.
Credo che, oggi, dal documento di dialogo con il Governo debba, poi, anche
essere partorito, nei prossimi giorni, – mediante anche un lavoro nelle
Commissioni – perché no! – da quella della sanità a quella anche delle riforme
statutarie – un documento nel quale vengano individuati i temi sui quali la
Regione Calabria si vuole giocare la sua sfida per avviare questo negoziato che
vada, sicuramente, a trattare dei temi – quali quello della tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema, della valorizzazione dei beni culturali, delle
norme generali dell’istruzione e non ultimo, per quanto riguarda la Regione
Calabria, i rapporti internazionali e con l’Unione Europea delle Regioni – che
possono essere temi di regionalismo differenziato.
Se riusciamo, già da oggi, a definire questi temi e queste materie,
probabilmente, potremmo arrivare anche, da qui a breve, grazie ai lavori che
possono essere avviati in Commissione, ad un documento non soltanto da
presentare al Governo, ma proprio finalizzato ad iniziare quel negoziato che il
regionalismo differenziato pretende e si aspetta da noi.
Mi auguro che proprio la lungimiranza del presidente Irto, oggi, venga
completata da un avvio di relazioni con il Parlamento ed il Governo, nelle
quali dobbiamo coinvolgere tutti i parlamentari della Regione Calabria,
affinché ognuno, al di là delle provenienze ideologiche, possa dare il proprio
contributo a difesa di una terra che – è vero – vive dei momenti di difficoltà,
ma accetta la sfida che, sicuramente, deve essere accompagnata dalla politica,
perché poi la discussione, naturalmente, si gioca sul tavolo della politica.
Spero che sia una politica intelligente e prudente, che non metta a rischio
la struttura costituzionale e la centralità dello Stato, ma possa consentire
alle Regioni di giocarsi la propria sfida secondo quelle che sono le specifiche
peculiarità.
Ci preoccupa – e non poco – se accanto alle funzioni saranno, poi,
destinate delle risorse che saranno calcolate non soltanto sui bisogni
specifici dei territori e, quindi, dei cittadini, ma sul gettito fiscale e,
quindi, sulla ricchezza dei cittadini di quel territorio. Questo creerebbe un
ulteriore disavanzo tra Nord e Sud e questa è la responsabilità che ha il
Consiglio regionale, ma, ancor più del Consiglio regionale, che ha la
delegazione parlamentare delle Regioni del Sud e, quindi, anche della Calabria,
per portare la questione nelle Aule del Senato e della Camera, prima che le
decisioni approdino all’attenzione del Governo centrale.
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il presidente Oliverio. Ne ha facoltà.
Presidente, colleghi consiglieri, credo che sia stato più che opportuno convocare
questa seduta di Consiglio regionale con all’ordine del giorno – come è stato
ricordato – un solo punto che assume rilevanza strategica non soltanto per una
regione come la nostra, ma per l’intero Paese.
Vorrei ricordare che abbiamo alle spalle oltre un ventennio. Gli anni ‘90
hanno segnato l’inizio di questo percorso che è stato caratterizzato – anche se
a stagioni alterne – da affermazioni di egoismi territoriali – la Lega è stata
espressione di questo processo – che si sono espressi intorno all’obiettivo,
che è stato più volte agitato e riproposto, dell’autonomia fiscale.
Da qui dobbiamo partire per fare una riflessione che, certamente, non deve
essere improntata ad una impostazione conservatrice che non vede quelli che
sono i processi di trasformazione in atto nel Paese, ma che non può non
misurarsi con un dato di concretezza, di assoluta importanza e di peso per la
stessa coesione di un Paese.
Parliamoci chiaramente: quell’obiettivo non è passato nel corso di questi
20 anni ed oggi si ripropone – e vorrei qui ricordarlo – attraverso
un’impostazione che viene sottratta al dibattito nella sede naturale che è il
Parlamento e che si demanda ad una trattativa tra le singole Regioni e il
Governo del Paese.
L’articolo 116 della nuova Costituzione, quella approvata nel 2001, prevede
forme d’intesa tra le singole Regioni e lo Stato relativamente alle competenze
su singole materie, non di autonomia fiscale.
I referendum che sono stati indetti da due Regioni, dal Veneto e dalla
Lombardia, hanno inserito quesiti che vanno ben al di là di quelli che sono i
contenuti dell’articolo 116 della Costituzione, ovvero la possibilità di
definire intese tra le singole Regioni e lo Stato centrale su materie
specifiche.
Sono 23, nel complesso, le materie sulle quali è possibile sottoscrivere le
intese, non già su problemi, appunto, del cosiddetto residuo fiscale e del
gettito fiscale. Tuttavia, al centro di quei referendum sono stati posti
quesiti che – ripeto – vanno ben al di là dei contenuti dell’articolo 116 della
Costituzione, perché è stato posto un primo quesito che, naturalmente, avrebbe
avuto un esito scontatissimo in quelle popolazioni: “Vuoi tu cittadino del
Veneto, vuoi tu cittadino della Lombardia che l’80 percento del gettito che
viene incassato dallo Stato centrale, prodotto in quelle regioni, rimanga nel
territorio di quelle regioni?”. Secondo quesito: “Vuoi tu cittadino del Veneto,
cittadino della Lombardia, che i tributi che vengono incassati nelle regioni
direttamente rimangano all’80 percento almeno nelle regioni? Di cosa stiamo
parlando? Di un Paese o di Repubbliche che, appunto, avviano un processo di
secessione?
Qualche giornale, nei giorni scorsi, ha parlato di “secessione dei ricchi”.
La Repubblica ha fatto un servizio abbastanza puntuale parlando della
“secessione dei ricchi”. Quindi, siamo in presenza della riproposizione di un
tema che non è passato dalla porta principale, attraverso il confronto nel
Parlamento, nel corso di questi 20 anni – parlo dal ‘92 in poi, naturalmente, –
e, oggi, si ripropone in modo surrettizio.
La prima questione sulla quale bisogna porre riflessione e attenzione è
questa. Naturalmente, c’è un problema – come dire – di riflessione – qualcuno
l’ha posto nella discussione di oggi, negli interventi che condivido – ed anche
di vedere come adeguare e come ripensare al regionalismo alla luce delle
trasformazioni che sono intervenute. Ma – guardate – che quello che si tende ad
affermare attraverso il cosiddetto “federalismo differenziato” è paradossale ed
è in contrasto anche con le politiche europee. Mentre l’Europa assume
iniziative ed un’impostazione per aiutare le aree a ritardato sviluppo a
recuperare e ad affermare standard di
qualità della vita, delle infrastrutture, dei servizi, e, appunto, livelli
essenziali delle prestazioni, all’interno del Paese si propone, invece, il
meccanismo opposto, di spingere una parte del Paese, dal punto di vista sociale
e territoriale, a subire una nuova marginalità.
Questo è il tema centrale in contraddizione con quelli che sono i processi
che si perseguono e si alimentano in Europa. Nessuno ha posto il problema di
cancellare in Europa gli strumenti differenziati – questi sì! – per recuperare
le aree a ritardato sviluppo, cioè si determina o si spinge per determinare
un’impostazione che va proprio nella direzione opposta, nella direzione della
divaricazione.
Noi dobbiamo partire dai fatti sostanziali e i fatti sostanziali dicono che
c’è un differenziale nelle prestazioni sociali, nella scuola, in termini,
appunto, di diritti perché non c’è soltanto un problema di risorse. C’è un
problema a catena che determina un meccanismo di disarticolazione del Paese ed,
in questo senso, mi permetto di dire che anche la legge Calderoli – parlo della
Legge numero 42 del 2009, di un leghista – è contrastata e contraddetta da
questa impostazione perché in quella legge c’era l’affermazione di un principio
ed anche di un vincolo che, poi, non è stato rispettato, che era quello di
destinare al Sud del Paese almeno il 34 percento delle risorse ordinarie;
riproposto, poi, dal Governo con De Vincenti, ministro del Mezzogiorno, proprio
2 anni fa.
C’è un problema che va ben aldilà – come è stato detto – degli schieramenti
o delle appartenenze politiche, un problema di fondo dal quale dobbiamo
partire. Penso che il Sud debba farsi sentire, non con un approccio
assistenziale, datato, ma con un’impostazione proiettata al futuro.
Per questo è importante la seduta di Consiglio di oggi ed è importante che
vengano assunte altre iniziative. Avevo già programmato una iniziativa con
l’apporto e la presenza dei Presidenti delle Regioni, dei centri universitari,
di strutture come la Svimez, proprio per operare una riflessione e farlo in un
progetto di respiro nazionale ed europeo, perché il Sud che si misura con
questi processi è il Sud che si propone come risorsa. Non è il Sud che chiede
assistenza, è il Sud che vuole aprire il Paese e l’Europa alle direttrici del
Mediterraneo, che propone sé stesso in una chiave nuova, che, naturalmente,
riflette anche su sé stesso, sui propri limiti e sui problemi che sono stati
accumulati nel corso di un lungo periodo anche per responsabilità delle classi
dirigenti del Mezzogiorno e dei territori. Quindi, una impostazione come dire
avanzata, moderna di una regione, di un’area del Paese, che si propone per
aiutare il Paese a crescere e a svilupparsi nel contesto globale con il quale è
chiamato a misurarsi.
Credo che sia importante – e concluso – lo sforzo che sta facendo il
Consiglio regionale di definire una linea unitaria su queste problematiche perché
su di esse guai a dividersi perché dividersi significa, appunto, riproporre un
vecchio tarlo, un vecchio vizio, che non è stato secondario nella marginalità a
cui è stato relegato il Mezzogiorno d’Italia.
C’è il problema di individuare strumenti che siano da stimolo ad utilizzare
le risorse e ad utilizzarle bene. Certo che ci sono questi problemi e bisogna,
appunto, affrontarli. Ed anche lo Stato centrale e l’Europa devono porre
vincoli e condizioni perché si spinga in questa direzione, si elevi la qualità
istituzionale ed anche del tessuto imprenditoriale nel Mezzogiorno ad
utilizzare le risorse. Ma questo non significa non valutare che, per superare
un differenziale che è stato accumulato nel corso di un secolo e mezzo, c’è
bisogno di strumenti differenziati anche nell’utilizzazione delle risorse e del
gettito fiscale. Attenti a – come dire – confondere, – per usare una frase
molto usata – a non distinguere l’acqua sporca dal bambino e buttare tutto a
mare. Credo che c’è sicuramente un problema di questa natura, quindi, lo sforzo
che il Consiglio regionale sta facendo stasera è importante dal punto di vista
dell’approccio unitario e sarà ancora più importante se noi, insieme,
riflettiamo anche sul superamento dei limiti, delle insufficienze, dei problemi
che l’assetto istituzionale, la necessaria efficienza che bisogna dare
all’utilizzazione delle risorse, possa essere oggetto anche qui di una
riflessione.
Quindi, un Sud che non solo si oppone, ma un Sud che si propone e un Sud
che compie uno sforzo perché, appunto, le risorse possono essere utilizzate al
meglio e possono determinare crescita e recupero di quel gap che ancora, purtroppo, permane e permane in termini molto
consistenti in tutti i campi: sociale, infrastrutturale, della formazione
eccetera.
Penso che, dopo questa seduta di Consiglio regionale, bisognerà assumere
iniziative perché anche l’articolo 116 della Costituzione – e concludo – non è
stato trattato – però, inserisco questo elemento – nei termini e negli spazi
che offre in termini di intese su temi specifici, per affermare autonomia nelle
singole materie – non già nel gettito fiscale – che possono essere oggetto di
una riflessione e sulle quali potremmo essere pronti a chiedere intese, fermo
restando che c’è una precondizione che non può essere questo il viatico per
mettere in discussione il dettato costituzionale che assegna alle singole
realtà una impostazione che non può prescindere dalla coesione e dalla crescita
del Paese. L’altra via – quella che si sta spingendo ad imboccare – è una via
che porta alla disarticolazione e credo che noi tutto possiamo permetterci
tranne che, appunto, di imboccare questa strada. Grazie.
Presidenza del Presidente Nicola Irto
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Tallini. Ne ha facoltà.
Signor Presidente, colleghi, dopo l’intervento esaustivo in
ogni aspetto del capogruppo di Forza Italia, Claudio Parente, ci sarebbe poco
da aggiungere e questi nostri interventi potrebbero, anche addirittura,
considerarsi superflui, ma uno come me – appassionato di politica – non può far
passare questa occasione senza fare qualche riflessione politica.
È vero: i numeri e le ragioni di quello che sta per
avvenire nel nostro Paese sono tutti dettati da vicende e valutazioni di tipo
economico. Voglio, invece, sottolineare quella che è la mia
analisi politica che, in questo momento, a mio avviso, deve essere oggetto di
riflessione ed anche alla base di un esame di natura autocritica che molta
classe dirigente – non solo del Mezzogiorno, ma anche del resto d’Italia – in
questo momento dovrebbe fare.
La prima
riflessione che mi viene da fare è che non è un caso che, oggi, gli interventi
di tutti i consiglieri regionali di questa Assise vadano tutti nella stessa
direzione. Tutti la stessa analisi.
E perché? Perché
si sta ragionando, per la prima volta, non per ideologia politica, ma per area
geografica politica. Stiamo ragionando tutti quanti da meridionali. Certo,
questo dialogo da meridionali viene favorito anche da un altro fattore ossia
dal fatto che, per la prima volta, – allo stato è un fatto positivo perché,
come al solito, noi siamo bravissimi ad autoflagellarci, a fare scelte e a
ragionare contro gli interessi dei nostri territori – all’interno di questo
Consiglio regionale, non siedano forze che, in questo momento, sono al Governo
e stanno proponendo questa strada di realizzazione del regionalismo
differenziato. E mi riferisco – ma non per criticarli, in questo momento,
perché c’è poco da criticare – al Movimento 5 Stelle e al Movimento della Lega
di Salvini.
Il fatto che non
siano presenti in quest’Aula favorisce anche l’unità di un ragionamento che,
forse, da meridionali, molte volte, dovremmo fare e, caro Presidente e cari
colleghi, l’autocritica, perché, in passato, da meridionali, non abbiamo
ragionato negli interessi dei nostri territori.
Abbiamo ragionato
soltanto in termini di interessi dei partiti, in un sistema – come quello
italiano – in cui i partiti sono stati sempre in mano ad una classe dirigente
del Nord da una parte e dall’altra – e questa è l’altra riflessione che va
fatta perché ognuno di noi, nelle prossime ore, dovrà, purtroppo, fare i conti
con questa realtà – hanno inseguito la Lega Nord, della quale prima apprezzavo
di più le teorie, non le condividevo, ma le apprezzavo, sul piano della lealtà,
ma non quelle della Lega che oggi viene proposta, quella di Matteo Salvini. Lo
dico con grande rispetto anche perché condivido tanti altri temi di questo
Movimento quali la sicurezza e, in gran parte, il problema dell’immigrazione.
Fermatevi, per un
attimo, e riflettete sul fatto che la nascita della Lega Nord – che ha mietuto
grandi consensi nel Nord – ha determinato un condizionamento nei partiti
nazionali di destra e di sinistra, dal Partito Democratico a Forza Italia,
anche nei momenti di maggiore consenso.
E non a caso –
nell’ambito delle alleanze nazionali – ci sono stati momenti in cui la Lega,
pur di raggiungere il proprio obiettivo, si è alleata una volta con il
centro-sinistra e, forse, non a caso il federalismo fiscale – e non lo dico in
termini di accusa, ma di reminiscenze storiche – si realizza con il governo
D’Alema e, poi, continua anche con i Governi di centro-destra.
Alla fine tutti i
partiti nazionali – pur di fare concorrenza alla Lega, sul piano del recupero
del consenso al Nord – hanno finito per applicare, al loro interno, politiche
leghiste, praticamente, per entrare in competizione e cercare di recuperare al
Nord il consenso che ha sempre mietuto la Lega Nord prima e che tutt’ora
riscuote la Lega di Salvini.
Ebbene, al Sud
che cos’è avvenuto? Contestualmente, queste politiche sono state per caso
impedite da una classe dirigente all’interno dei vari partiti nazionali che
hanno voluto fare concorrenza alla Lega Nord attraverso politiche economiche
leghiste?
Tutti i partiti
oggi sono leghisti. E, allora, ci ritroviamo, purtroppo, con partiti nazionali
che al Sud – ed anche al Nord – avevano, comunque, garantiti i consensi in
quanto le politiche attuate servivano a competere con le forze politiche della
Lega.
Ora, questo
quadro che cosa ha determinato? Ha determinato che, su tutti i livelli, le
Regioni del Sud si indebolissero.
Era normale
perché – parliamoci chiaro – altrimenti al Sud doveva nascere una Lega di segno
uguale e opposto alla Lega Nord poiché in Parlamento non è stata più approvata
una legge nazionale che tutelasse gli interessi del Mezzogiorno. E così le
Regioni del Mezzogiorno si sono indebolite sempre più.
Questo è il
quadro e la prima riflessione che mi viene da fare e dalla quale bisogna
partire perché, se non si fa quest’analisi, rischiamo domani di assumere
nuovamente atteggiamenti che sono sganciati da una realtà che è quella che,
invece, dobbiamo tenere presente e che, purtroppo, è drammatica.
Ci sono Regioni
oggi – anche Regioni del Nord – che vorrebbero lanciare la sfida del
regionalismo differenziato.
Ma com’è
possibile farlo? Com’è possibile farlo se partiamo da condizioni allucinanti?
Com’è possibile? E questo è l’altro dramma, considerato, caro Presidente e cari
colleghi, che ogni Regione del Sud sta ragionando per conto proprio.
Questo è l’altro
grave dramma che questo Mezzogiorno è costretto a vivere. Non c’è una visione
unitaria di Mezzogiorno perché, con questo regionalismo frazionato, tanti
Governatori hanno pensato – attraverso le Regioni – di essere Governatori veri
e propri, autonomi, capi di Stato; hanno perso la bussola, hanno perso la testa
e, soprattutto, hanno perso il senso di tutelare e difendere gli interessi del
Sud e del Mezzogiorno.
E, allora, siamo
arrivati ad un bivio. E qual è il bivio? Che c’è una proposta che il 15
febbraio verrà portata all’attenzione del Consiglio dei Ministri. È giusto, ma
era stato tutto pianificato perché è passato tutto inosservato che Veneto e
Lombardia hanno fatto i referendum ed era normale – come ha detto prima il
Presidente – che quel quesito avesse un esito scontato.
L’unica
preoccupazione era quella di portare al voto più gente possibile. Bene o male
ci sono riusciti. Si sono inventati anche la votazione elettronica e non a caso
– ecco un’altra riflessione da fare – si tratta di tre Regioni, due governate
dal centrodestra, ma una governata storicamente dal centro-sinistra, a
dimostrazione che quella Regione e quella classe dirigente ragiona in termini
geopolitici.
Una Regione come
l’Emilia Romagna che – per la sua storia – dovrebbe ragionare con una cultura
diversa da quella lombarda dove prevale il profitto, invece, ragiona come la
Lombardia. La Lombardia ragiona come il Veneto ma, caro Presidente e cari
colleghi, anche il Piemonte e la Liguria stanno ragionando come Veneto e
Lombardia.
Vi vorrei
chiedere cosa accadrebbe se l’analisi che stiamo facendo in questa seduta di
Consiglio regionale la dovessimo fare davanti alla nostra classe dirigente –
nostra in termini di estrazione meridionale e, quindi, tutti i partiti – che ci
rappresenta in Parlamento, Camera e Senato.
C’è, però,
un’altra analisi che, a mio avviso, andrebbe fatta e riguarda i nostri partiti
di riferimento.
Appartengo a
Forza Italia e chiederò al partito di Forza Italia di sostenere e condividere
le posizioni che vengono dalla Calabria e che confluiranno, addirittura, nella
formulazione di una proposta di legge, sulla quale chiederemo il sostegno.
Ringrazio il
presidente Irto che ha subito colto il senso, l’importanza e ha ritenuto degna
di attenzione la proposta venuta da Forza Italia – che è stata assemblata con
il contenuto di tutte le altre mozioni – e che prevede una procedura diversa da
tutte le altre Regioni.
Il presidente
Oliverio e questo Consiglio regionale si impegneranno in tutte le sedi – così
come tutti i Presidenti delle altre Regioni meridionali – a tutelare gli
interessi di queste popolazioni, ma una iniziativa di legge, ai sensi
dell’articolo 121 della Costituzione, sta anche ad attestare ed a dimostrare
che in Calabria c’è una classe politica che siede in questa Assemblea regionale
che è libera da condizionamenti di partito, perché, come noi avremo,
all’interno del nostro partito nazionale, il problema di confrontarci per far
condividere queste nostre istanze, credo che anche la classe politica del
centro-sinistra avrà il problema di confrontarsi e far condividere questa
battaglia dai propri deputati e senatori.
Quando noi
presenteremo questa proposta di legge non so che cosa diranno i nostri
rappresentanti – intendo i nostri rappresentanti di partito – ma dovremmo
chiederci che cosa diranno i rappresentanti meridionali per esempio dei 5
Stelle; dovremmo domandarci con quale imbarazzo affronterà questo problema la
classe politica – sia pure ancora non molto numerosa – della stessa Lega.
In Calabria
abbiamo eletto Matteo Salvini e, quindi, lo stesso Matteo Salvini, eletto in
Calabria, dovrà essere chiamato e a lui dovremmo sottoporre la questione perché
anche lui ha il dovere di tutelare gli interessi del Mezzogiorno poiché
rischiamo, attraverso questa riforma, di creare una Italia a tre velocità:
avremo una Italia con Regioni a Statuto speciale, Regioni a Statuto ordinario e
Regioni con un regionalismo autonomo che, a causa dell’applicazione del
regionalismo differenziato, avranno una autonomia ed un potere diversi da
quello delle Regioni a Statuto ordinario, quindi una confusione enorme.
Soltanto per darvi l’idea di che cosa potrebbe accadere.
È stato molto
opportuno il richiamo allo spirito dell’unità europea attraverso il sostegno ai
Paesi dell’“Obiettivo 1” – tra i quali anche la Calabria – ossia il sostegno
che si dà alle Regioni meno sviluppate per consentirgli di raggiungere gli standard dei servizi delle Regioni più
sviluppate.
Che cosa accadrà
se è vero che il differenziale tra quello che la Calabria paga in termini di
tasse e quello che lo Stato trasferisce è pari a circa 6 miliardi di euro che,
purtroppo, la Calabria non potrà più avere, se dovessero ridistribuire le
risorse così come praticamente propone questo federalismo differenziato?
E che cosa
significa? Significa che dovremmo avere meno servizi, una pubblica istruzione
diversa da quella del centro Nord, che il dislivello sociale, il divario tra le
Regioni del Sud e quelle del Nord sicuramente aumenterà; insomma, arriveremo ad
una secessione di fatto, in maniera indolore, senza che nessuno se ne accorga
e, anzi, con molti meridionali che contribuiranno – attraverso un sistema
indolore ed una riforma mascherata – ad una vera e propria secessione di fatto.
Concludo questo
mio intervento facendo un’altra riflessione politica.
Abbiamo, come
Regione, la forza di impedire quello che sta per avvenire ai danni delle nostre
popolazioni? Io dico di no! Non abbiamo la forza! Non abbiamo la forza perché,
purtroppo, la politica che conta oggi è quella che nasce dal populismo. Non
abbiamo, in questo momento, un Governo regionale che possa avere credibilità né
nei confronti del Governo nazionale né nei confronti delle nostre popolazioni,
perché se i sondaggi dicono che questo Governo giallo-verde gode di una
popolarità che supera il 50 percento dei consensi, allora dobbiamo essere
preoccupati perché, probabilmente, le cose che stiamo dicendo e quello che
faremo per far capire meglio ai calabresi quanto sta avvenendo comporteranno,
purtroppo, grandi difficoltà.
Dobbiamo essere
credibili e, purtroppo, in questo momento c’è questo pregiudizio anche se
diciamo la verità. Come si dice: quando uno grida sempre: “Al lupo! Al lupo!”
Poi, quando la terza, la quarta volta arriva il lupo, magari, non gli si crede
più.
La gente non
crede più in noi e questo è un dramma perché, quindi, – parlo come partiti,
come credibilità politica in generale – abbiamo una difficoltà oggettiva a
trasferire ai nostri cittadini, ai calabresi, il dramma che rischiamo di
vivere.
Dobbiamo fare
un’altra cosa. Abbiamo difficoltà ad interloquire – il problema non è solo
nostro, ma di tutte le Regioni meridionali – ed in più registriamo che ci sono
Governatori che stanno ragionando in termini diversi, come il Governatore della
Puglia, Emiliano, Governatori come quelli siciliani, chi perché appartiene ad
una Regione a Statuto speciale, chi perché – come Emiliano – pensa davvero di
raccogliere il guanto della sfida nei confronti delle Regioni del Nord, o come
la Campania stessa dove il governatore De Luca sta ragionando come il suo
collega Emiliano.
Penso che l’unica
analisi vera e giusta la stia facendo il Consiglio regionale della Calabria
forse perché, purtroppo, non abbiamo via d’uscita, non abbiamo scampo e,
allora, dobbiamo essere in grado, sul piano politico, di trasferire ai
calabresi e, intanto, rispondere alla storia.
E la storia qual
è? Se un giorno qualcuno che verrà dopo di noi – se si dovesse consumare questo
dramma – dovesse e volesse approfondire chi sono stati i responsabili passivi
di una realtà che potrebbe provocare drammi per le generazioni future, abbiamo
il dovere, davanti alla storia, almeno di dire che abbiamo tentato di fare
tutto quello che era possibile perché questo fosse impedito.
Quindi, questo
dibattito è uno dei passaggi: la gente deve ascoltare le cose che stiamo
dicendo, ci sono i mass media che dovrebbero essere sensibilizzati perché su
questo tema non c’è abbastanza sensibilizzazione, non c’è abbastanza
attenzione.
Si sta vivendo
questo momento come un momento qualsiasi, non c’è la consapevolezza della fase
drammatica che il Paese potrebbe vivere.
Dobbiamo andare
all’esterno di questo Consiglio regionale – è emerso anche nella riunione,
collega Sculco ed altri, l’abbiamo detto – non può essere interessata soltanto
la classe politica – che pur sta cercando di fare il proprio dovere – ma deve
essere coinvolta, a tutti i livelli, la classe dirigente di questa Regione, dal
punto di vista sindacale, dal punto di vista dei settori, dei rappresentanti
delle categorie.
Chiunque ha un
ruolo ed una responsabilità regionale deve essere prima di tutto consapevole di
queste vicende perché l’iniziativa odierna del Consiglio regionale è merito di
questi consiglieri regionali.
C’è un’altra
iniziativa che manca: non ho visto Confindustria riunirsi, non ho visto i
sindacati riunirsi.
Probabilmente,
come la politica nel Mezzogiorno vive una debolezza ed è subordinata alla forza
politica della classe dirigente del Nord, anche il sindacato è un sindacato
leghista! Anche Confindustria è una Confindustria leghista!
E, allora,
dobbiamo chiamare tutti questi amici e dire che dobbiamo ragionare come
meridionalisti e dobbiamo far capire che non è una battaglia personale di
qualcuno, è una battaglia di tutti, è una battaglia per noi, ma è una
battaglia, anche e soprattutto, non solo per i nostri figli, ma anche per le
future generazioni.
Quindi, ritengo
che tutte le iniziative che si vorranno fare dovranno essere fatte e so che il
presidente Irto ha già preso contatti per coinvolgere – e speriamo di
convincerli – i Presidenti dei Consigli regionali delle altre Regioni,
soprattutto quelle del Sud, a percorrere iniziative simili e chissà – ho
concluso, è un auspicio quello che sto per dire – che non si possa arrivare ad
una proposta di legge unica per tutte le Regioni del Sud perché anche questo –
sia pure con la differenziazione delle varie caratteristiche – sarebbe una cosa
meravigliosa.
Sicuramente, se
si dovesse arrivare ad una simile unità, sarebbe – secondo me – l’unico
strumento che potrebbe avere la forza per impedire che questo dramma si consumi
ai nostri danni. Grazie.
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Greco. Ne ha
facoltà.
Grazie, signor Presidente, colleghi consiglieri, assessori.
L’appuntamento di oggi è un appuntamento molto, molto importante e mette sotto
esame la qualità critica di questo nobile Consiglio regionale. Consiglio
regionale che arriva - lo dico con mio sommo rammarico - in ritardo a questo
appuntamento, atteso che lo stesso, già nel settembre 2017, aveva presentato
una richiesta di ordine del giorno per discutere su tematiche assai serie,
assai importanti, che riguardano i cittadini calabresi meridionali e tutti gli
italiani.
Probabilmente questa è stata un’accelerazione dovuta alla
sensibilità di ognuno di noi, del Presidente del Consiglio regionale;
certamente non voglio immaginare che questo sia stato dovuto alla vergognosa
paternale che il Governatore del Veneto, Luca Zaia, ha voluto trasmettere ai
cittadini calabresi.
Era nel 2011, con Presidente della Provincia l’attuale
Presidente della Giunta regionale, Mario Oliverio, che discutevamo dei 150 anni
dell’Unità d’Italia e all’epoca, ricordo con grande chiarezza un mio
intervento, quando dissi tra “il già e il non ancora”, cioè volendo significare
quello che fu nel lontano 1861 definito Unità d’Italia e quella che realmente
è, dopo 150 anni - quindi il non ancora – l’Unità d’Italia che è stata
raggiunta.
Era qualche tempo fa quando, per riprendere le parole del
consigliere Guccione, scrissi un documento molto, molto importante, che
incitava alla costituzione della lega dei Presidenti delle Regioni meridionali.
Era nel 2012 quando, insieme a qualche altro amico, fondammo un movimento
politico dal nome Italia del Meridione, come a dire “attenzione che il Sud, il
Meridione d’Italia, non è un luogo geografico, è una prospettiva politica!”.
È una prospettiva politica, dettata dall’esigenza di scrivere
quella parola “Unità”, che dopo 150 anni non si dimostrava tale.
Quindi parto, così come siamo partiti all’epoca, da un
ragionamento politico ma che si accosta a quello che è il tema essenziale e la
valutazione necessaria sulla Costituzione.
Non sfuggirà - e non è sfuggito, devo dire, agli
intervenuti di oggi - come gli elementi della nostra Costituzione oggi sono gli
stessi sui quali dobbiamo e abbiamo il dovere di fare le giuste valutazioni. A
partire dall’articolo 3 che cito testualmente: “Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali”. Poi il secondo comma: “È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la
libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Questo è un articolo fondamentale che ci consente di capire
ed entrare nel merito della discussione odierna, perché diventa rilevante avere
come “stella polare” ciò che i costituenti hanno indicato nella loro visione
quale precondizione ad ogni processo riformatore, cioè la pari dignità sociale
dei cittadini e l’impegno della Repubblica a rimuovere ogni ostacolo che
limita, di fatto, l’eguaglianza dei cittadini.
Però il tema non può e non deve essere solo a carattere
amministrativo o di disquisizione filosofica o costituzionale. È un tema
politico.
Non v’è dubbio che le discussioni odierne mi hanno posto
nella condizione di esprimere valutazioni diverse da quello che voleva essere
il mio intervento sul merito delle questioni, a partire dall’assessore
Fragomeni che ha fatto una brillante illustrazione tecnica, ma il tema è
politico.
Il tema è politico perché oggi nessuno non può disconoscere
gli errori che sono stati commessi in una visione che non è più quella del
partito. È la visione dei territori perché è vero o non è vero che la riforma
del Titolo V della Costituzione fu ideata dall’ex Presidente del Consiglio dei
Ministri, Massimo D’Alema, nel 1999 e approvata nel 2001 dal Governo Amato? È
vero o no?
Allora oggi non voglio tirare le parti di chi fa il proprio
gioco dall’alto perché l’ha detto prima qualcuno: c’è stata negli ultimi 20
anni una rincorsa, diciamo così, ad essere “piacioni”, per utilizzare un
termine poco ortodosso nei confronti del nordismo leghista.
Quasi una sorta di soggezione nei confronti di chi
dall’alto poteva pontificare.
La modifica del Titolo V della Costituzione ha una matrice
chiara, ha elementi chiari, gli stessi di chi ha voluto imporre la linea di
dare vita e dare voce ad una parte, quella più ricca del territorio.
È proprio lì che nasce l’articolo 116 o il novellato
articolo 116, quando assegna e attribuisce alla competenza concorrente Stato
Regioni 19 materie, peraltro analiticamente individuate, e assegna alla
competenza esclusiva dello Stato una serie di materie importanti.
Ed è proprio lì che all’articolo 116 comma 3 che la Carta
costituzionale prevede per le Regioni l’opportunità di ottenere, con legge
approvata a maggioranza assoluta dei componenti le Camere, maggiori competenze
legislative, tra le 19 materie a legislazione concorrente e tra le quattro
materie di competenza esclusiva dello Stato.
Quindi è dalla modifica del Titolo V della Costituzione nel
2001… non inventiamo ora che una serie di Regioni parlano di regionalismo
differenziato! Ricordo fra le Regioni che seguirono la strada di attuare il
regionalismo differenziato la Toscana nel 2003, la Lombardia e il Veneto già
nel 2006 e nel 2007, il Piemonte nel 2008.
Non v’è dubbio che questo venne in qualche modo congelato
perché lì vi fu un ulteriore passo in avanti perché non bastava nella logica
della “piaggeria al nordismo” imperante concedere l’articolo 116 e modificare
gli articoli 117 e 120. Non bastava. Tant’è che vi ricordate bene nel 2006 la
riforma bossiana, la riforma del centro-destra che in quella parolina magica,
la devolution, scrisse una pagina
importante, fortunatamente poi cassata e bocciata dagli italiani in un
referendum. Fino ad arrivare alla
legge delega numero 42 del 5 maggio 2009 sul federalismo fiscale che venne
approvata, ricorderete bene, dal Governo Berlusconi, il famoso progetto
Calderoli, sostenuto da tutto il centrodestra e, devo dire, con un’astensione
criptica da parte del Partito Democratico che partecipò però attivamente al
testo.
Perché dobbiamo dire anche lì che la distrazione dei
partiti centralisti o dei parlamentari del Sud, nell’ottica dei partiti
centralisti, fu tale e tanta che non capirono che già lì, già nella legge
delega del 2009 si chiedevano quattro cose: finanziamento delle attività delle
amministrazioni regionali, provinciali e locali, sulla base dei costi standard necessari per l’esercizio delle
funzioni loro attribuite. Lì non si parlava di lento progressivo superamento
della spesa storica, attribuzioni alle Regioni del potere di disciplinare i
tributi propri e di intervenire anche su quelli degli Enti locali,
l’istituzione ed il funzionamento del Fondo perequativo per i territori con
minore capacità fiscale per abitante, senza definire cosa fosse la minore
capacità fiscale per abitante.
Allora dopo tanti anni non v’è dubbio che torniamo ai
nostri giorni, a quello che è stato, dal 2014 in poi, il movimento che le
Regioni hanno messo in campo.
E faccio questo ragionamento perché prima di tutto dobbiamo
dire che il Sud è stato massacrato in modo trasversale da destra e sinistra.
Dire e pensare oggi che possiamo in qualche modo invertire
la rotta la vedo dura, perché tutti quanti erano distratti anche quando il
Veneto proponeva 6 referendum, 5
fortunatamente cassati, ma un referendum diceva chiaramente: “Vuoi che una
percentuale non inferiore all’80 per cento dei tributi pagati annualmente dai
cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio
regionale in termini di beni e di servizi?” Sono atti scritti.
Peraltro, chiediamoci perché sia il Veneto sia la Lombardia
necessitarono di una prova di forza, di portare al referendum qualcosa che non
era nemmeno necessario perché già quella riforma, la cessione, e quindi la
possibilità di avere trasferite materie era già prevista nella modifica del
Titolo V del 2001, e in particolar modo, nell’articolo 116. Per avere un
supporto politico, per avere una forza politica maggiore e per dire che c’è, e
che da sempre c’è stata, questa unità di intenti. Perché quando ci chiamano
“terroni” qualcuno si scandalizza! Non mi scandalizzo più di tanto!
Scusatemi: la Padania esiste o no? La Padania esiste. La
Padania è il luogo geografico che vede unite destra e sinistra nei propri
interessi, al di sopra della linea gotica.
Quello che è sempre mancato al Sud è la reale
consapevolezza di ciò, di questa linea gotica che unisce destra e sinistra,
nell’obiettivo centrale e dirimente di trasformare la Costituzione italiana da
una Costituzione nazionale, di trasformare lo Stato da Stato nazionale a Stato
federale.
Anzi, per essere chiari e dirla tutta e fino in fondo, a
Stato confederale, dove nello Stato confederale la nascente Repubblica del
lombardo-veneto, che ricorda passati storici, rappresenti il volano e il
momento di traino - vi spiegherò che questo è previsto anche nella strategia
leghista; questo che sto dicendo è palesato nella strategia che in questi
giorni, in questi momenti, stanno discutendo nel sonno più totale della classe
politica meridionale, con un’arma di distrazione di massa da questi problemi
nei confronti dei cittadini, ignari di quello che sta succedendo, che deve,
oggi l’abbiamo fatto grazie a questa seduta di Consiglio regionale, deve
risvegliare da un lato l’orgoglio dell’appartenenza, dall’altro far capire che
la strada imboccata è molto, molto pericolosa.
Basta leggere gli atti. Il Veneto fa una proposta di legge
regionale della Lega, al di là delle chiacchiere del ministro Salvini che vuole
aprire al territorio, e dice: nuove competenze alle Regioni. Questa proposta di
legge prevede che nuove competenze spettano alla Regione, oltre ai tributi già
attribuiti in attuazione alla Legge delega numero 42 del 2009.
Che cosa? Le seguenti quote di compartecipazione ai tributi
erariali riscossi nel territorio della Regione stessa, 9 decimi del gettito
dell’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche), dell’Ires (Imposta sul
reddito delle società) e dell’imposta sul valore aggiunto. Sono atti. Sono atti
legislativi. Sono atti, leggi che ha realizzato la Regione Veneto, votata
certamente non da consiglieri di Forza Italia o del PD del Sud, ma da quei
partiti politici che l’hanno sostenuta e che la sostengono. Dobbiamo essere
chiari con i cittadini calabresi. Dobbiamo essere soprattutto fuori dalla
logica di appartenenza, fuori dalla logica di essere “uomo di”.
Oggi vi dev’essere la dimostrazione palese che questo
Consiglio regionale è il Consiglio dei calabresi, delle genti del Sud, di
questo territorio. Il presidente Oliverio parlava di quello che il professore
Gianfranco Viesti ha definito in un suo libro, che è uscito, peraltro, online, ma che esce in tutti i giornali
quando parla di secessione dei ricchi, è proprio questo. È proprio la volontà
di rompere lo Stato nazionale, frammentarlo, per arrivare poi a quello che è il
concetto più ampio di Stato confederale.
E arriviamo ai nostri giorni per dire che tutti quanti noi
abbiamo un tallone d’Achille. Lo dico al mio amico Bevacqua, che ha fatto
un’operazione molto, molto interessante, e, devo dire, è stato probabilmente
l’unico a muoversi in questa direzione, anche facendo delle importanti
attività, sollecitando le altre Regioni. Lo abbiamo perché le preintese che
mettono insieme quelle che sono le indicazioni del Veneto, della Lombardia e
dell’Emilia Romagna sono state accettate, approvate dal Governo Gentiloni.
Allora vai a pigliartela con la Lega, vai a dire: “ha
sbagliato la Lega” quando il Governo Gentiloni ha approvato le preintese e in
quelle preintese c’è la volontà di trattenere i 9 decimi delle addizionali, i 9
decimi dell’Ires. C’è. È scritto.
Non possiamo prenderci in giro qui e quindi turlupinare
anche chi ci ascolta. Dobbiamo essere chiari e netti: gli errori sono stati
fatti e che oggi bisogna correre ai ripari. Attenzione non in una logica
rivendicazionista alla quale mi oppongo a quello. No, no!
Voglio la sfida del federalismo. Ci mancherebbe altro!
Voglio potercela fare da solo. Voglio anche io gestire materie.
Chiaramente vedo con grande difficoltà la gestione della
scuola regionale. La vedo molto, molto, difficile una cosa del genere. Ma
questo è stato fatto nel 2001. Lo abbiamo accettato nel 2001 ed è stato un
problema.
Non ho difficoltà oggi a dire e a chiedere - lo dirò nella
parte finale del mio intervento - che le materie vengano chiaramente conferite,
studiate con una sorta di approfondimento, anche per quelle che sono le
possibilità della Regione, che vengono appunto trasferite.
Quindi la sfida non mi fa paura. Ci mancherebbe altro! Ma
prima di questa sfida dobbiamo stabilire alcuni criteri e capire che non si
mette in discussione lo Stato centrale e lo Stato nazionale, nella logica
chiara di quei partiti centralisti che negli anni hanno dimostrato di avere a
riferimento solo e soltanto una parte del Paese.
Mi riferisco all’intervento, peraltro, molto puntuale, del
consigliere Parente, dove dice, dove parla, soprattutto nell’ambito degli
investimenti. Quanti Governi mettono nei propri programmi elettorali il
raggiungimento di quota 34 per cento? Tutti. Da Prodi a Berlusconi, da
Berlusconi a D’Alema, fino al Movimento 5 Stelle. Il 34 per cento. Immaginate
che cos’è significato in questi anni avere un trasferimento di risorse in conto
capitale del 28 per cento! Quanti miliardi al Sud sono mancati!
Allora finiamola, detassiamoci dal pregiudizio. Finiamola
di dire che siamo quelli che spendiamo male! Finiamola di dirlo! Cioè
cominciamo ad essere consapevoli delle nostre capacità, della nostra onestà,
del nostro saper fare, delle nostre intelligenze, perché ora la sfida, la vera
sfida, consigliere Bova, è quella di unirla realmente l’Italia. Ma di quale
Italia unita parliamo con un reddito medio pro
capite da 14 a 36 mila euro, con una disoccupazione a 60 e una
disoccupazione al 15!? Di quale Italia parliamo!? E ancora, dopo questo, dopo
questa diversificazione, dopo le tante Italie che abbiamo che cosa facciamo?
Andiamo ancor di più a mettere in discussione la tenuta del Paese. E chiudo.
Allora, per farla breve, voglio leggervi i tre punti che
ritengo fondamentali.
Li leggo per esprimerli meglio. Sono tre punti:
1) chiedere al Governo di avviare le
procedure utili a definire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale, per come sancito alla lettera m, articolo 117 della Costituzione;
2) chiedere al Governo di sospendere la
pre-intesa raggiunta con Veneto e Lombardia, laddove si sancisce che nel
trasferimento delle risorse per le nuove competenze si tenga conto del gettito
fiscale delle Regioni, chiedendo, soprattutto, che la determinazione dei
fabbisogni standard - e questo è dato
importante su cui calcolare la spesa da trasferire! - venga preceduta dalla
definizione dei livelli essenziali di prestazione;
3) avviare una trattativa con il Governo,
perché non stiamo con le mani in mano!, per ottenere maggiore autonomia in
alcune materie, attentamente selezionate e discusse dalla Giunta e dal
Consiglio regionale, dopo un’accurata analisi delle potenzialità della nostra
Regione, con particolare riferimento alle materie di competenza condivise tra
Stato Regioni e, in ultimo, chiedere al Parlamento di analizzare attentamente
la preintesa raggiunta tra Governo e Regione al fine di valutarne impatti ed
effetti su tutto il territorio nazionale.
È inaccettabile che un processo così importante venga
ridotto ad una contrattazione Stato-Governo senza valutazione di merito da
parte del Parlamento.
L’argomento in oggetto, infatti, si lega più in generale ad
altri elementi, strettamente legati al regionalismo, che necessitano di essere
considerati in un processo riformatore generale del Titolo V della
Costituzione.
In particolare, e chiudo, andrebbe valutata l’opportunità -
ed è qui la sfida che voglio lanciare! - di superare: a) la differenziazione
tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a Statuto speciale.
È il punto fondamentale: la Costituzione del 1948 prevedeva
le Regioni a Statuto speciale che non hanno più ragion d’essere.
Pensare alle macro-Regioni come coordinamento utile per
superare i deficit gestionali nelle
attuali Regioni, ritornare alle Province storiche e passare dalla eliminazione
delle Regioni attuali alla creazione di macro-Regioni. Grazie.
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Gallo. Ne ha
facoltà.
Signor Presidente, colleghi consiglieri, prendo la parola
anch’io su questo argomento, che ha fatto bene, Presidente, a voler mettere
all’ordine del giorno perché è di stringente attualità anche se finora sia per
gli addetti ai lavori sia per la popolazione non è stato argomento di grande
dibattito.
Eppure, come ricordavano molti colleghi, è questione
dibattuta, a livello nazionale, a livello parlamentare, ormai da più di un
decennio, ed è una questione che nel corso degli anni ha fatto, sia pur
lentissimi ma sempre continui, passi avanti.
Allora, come hanno detto tanti colleghi, anche per non
rischiare di essere ripetitivi, dopo un dibattito, ormai lungo e approfondito,
quella del Mezzogiorno è una questione sulla quale si dibatte ormai da un
secolo e mezzo.
In quest’Aula, nel 2011, quando sono stati celebrati i 150
anni dell’Unità d’Italia si è svolta una seduta di Consiglio regionale, con la
lezione di un docente dell’Unical, il professor Cappelli, e sono state
ripercorse anche le tappe dell’Unità d’Italia, quelle successive e la “questione
meridionale”. Questione meridionale che è sul tappeto, questione meridionale
che è un caso irrisolto. Di fatto, negli anni e negli ultimi decenni è stata
realizzata nel Paese, soprattutto per l’economia e la forza finanziaria,
un’Italia “a due velocità”.
La politica in questo è stata subalterna o ha assecondato
questi processi.
Oggi siamo verso gli atti finali perché, attraverso i
prossimi provvedimenti che il Governo giallo-verde si appresta a consumare, ci
sarà, di fatto, un passaggio, forse irrimediabile, verso la certificazione,
anche giuridico-amministrativa e legislativa, di quest’Italia “a doppia
velocità”.
Perché da qui a un paio di settimane il Governo si appresta
a stabilire, a legiferare, a provvedere per un ulteriore “passo avanti”, che
faccia sì che le Regioni Lombardia, Emilia Romagna e Veneto facciano ulteriori
“passi in avanti” verso il regionalismo differenziato.
Peraltro, come dicevano anche i colleghi, tutte le forze
politiche che sono oggi in campo, sono state coinvolte in questo percorso a
vario titolo per questa spinta prettamente nordista.
Nessuno può considerarsi esente e credo che la Lega, che è
sorta legittimamente come movimento, è partito che nel corso degli anni - lo
voglio dire - ha legittimamente difeso le prerogative di una parte del Paese -
male per chi non è riuscito a farlo! -, ha assecondato questo percorso, ma
altri partiti non sono esenti rispetto a delle responsabilità, se delle
responsabilità vogliamo individuare.
La cosa che fa male, però, è che oggi ci sia un Governo
diverso, un Governo nuovo, un Governo che ha anche come parte di maggioranza
nel Governo stesso una forza politica, che si è dichiarata nei propri programmi
vicina ai territori e che, ad esempio, nel Mezzogiorno ha riscosso grandissimi
consensi elettorali e che ora si appresta a votare provvedimenti che, di fatto,
concludono questo processo secessionista o di divisione del Paese, dal punto di
vista economico e finanziario; che poi è quello che interessa, perché ormai è
una società senza ideali e, purtroppo, quello che conta è la forza economica e
finanziaria.
Allora in una Calabria, che meno di un anno fa ha dato
proprio a questa forza politica una risposta straordinaria - il consigliere
Orsomarso ricordava prima 18 parlamentari su 30, forse nemmeno la Democrazia
Cristiana riusciva ad avere questi numeri! - ci dispiace che nulla finora si
stia facendo, anche da parte dei parlamentari di questa forza politica del
Mezzogiorno, che sono tanti.
Ci dispiace che non si stia facendo nulla per rallentare
questo processo, che si vada, invece, a “gambe levate” verso questa soluzione e
che magari il Sud e le prerogative del Sud siano oggetto di contrattazione
perché da una parte c’è chi vota il reddito di cittadinanza, dall’altra c’è chi
deve pagare questa cambiale, sulla base di accordi transattivi alle spalle
degli italiani, soprattutto dei cittadini delle Regioni meridionali.
Credo, per andare verso la conclusione velocemente, che
questo dibattito debba rappresentare un primo momento di confronto dialettico,
democratico, all’interno della massima Assise regionale, per prendere atto di
una problematica, di una questione che esiste, della quale finora non si è
discusso, della quale bisogna cominciare a ragionare da qui in avanti,
coinvolgendo le altre Regioni del Mezzogiorno che si trovano nella nostra
stessa condizione. Magari non in una condizione peggiore della nostra ma che si
trovano nella stessa condizione.
Magari coinvolgendo anche altre forze all’esterno del
Palazzo: le forze sociali, le forze sindacali, le Università calabresi, per
arrivare ad una proposta sensata, che non veda la nostra Regione sfuggire
rispetto ad un dibattito che c’è nel Paese ma che ci renda consapevoli e renda
consapevoli anche le popolazioni del Mezzogiorno di come questi provvedimenti
possano essere deleteri per i territori - attraverso, ad esempio, il
trattenimento dei 9 decimi dei tributi versati - quindi, per chi già vive al
Sud, in una condizione difficile, con servizi che non vengono assicurati e che
domani potrebbero essere addirittura cancellati.
L’incipit del
commissario Cotticelli, nel momento in cui è arrivato in Calabria, è stato, sì,
di grande disponibilità, di grande educazione, anche di grande rispetto
istituzionale, ma ci ha anche detto con grande chiarezza: “io sono qui per
ridurre il debito. Se non riusciremo a ridurre il debito dovremo ridurre i
servizi”.
E se i numeri sono quelli che ci riportava il consigliere
Esposito, vale a dire un deficit per
il 2018 di 250 milioni di euro, detratti gli 80 milioni di euro di surplus di tributo IRPEF e di
addizionale IRPEF regionale, beh, credo che la situazione sia, in prospettiva,
veramente drammatica.
Questo dibattito non deve rimanere lettera morta o un
confronto fra noi consiglieri regionali, sia pure rappresentanti popolari, ma
deve essere trasferito all’esterno o altrove, dando mandato al Presidente del
Consiglio regionale, anche attraverso la proposta del consigliere Parente, che
credo sarà una proposta che l’intero Consiglio regionale potrà far propria.
Vale a dire dare mandato al Presidente del Consiglio regionale e all’intero
Consiglio regionale per avviare un dibattito serio nei confronti del Parlamento
nazionale, tra le Regioni del Mezzogiorno, tra le popolazioni del Mezzogiorno.
Credo questa sia una battaglia seria, importante, di
prospettiva, per dare una speranza a chi con coraggio ha deciso di rimanere in
questa terra e di non partire, per far sì che l’emigrazione forzata dei giovani
possa fermarsi e per dare un minimo di speranza a questi territori.
I dati sono tremendi: 700 mila giovani partiti negli ultimi
5 anni dal Mezzogiorno e 200 mila laureati. Il passaggio definitivo di quanto
si sta verificando, di quanto si sta attuando con le decisioni di questi
decenni ma che oggi vengono concretamente alla luce, è un passaggio di fine per
il Mezzogiorno e per questa regione.
Abbiamo, allora, il dovere - non so se ci riusciremo -
rispetto ad un Paese che cammina in maniera diversa e che guarda forse alla
possibilità di creare questa secessione, lasciando, di fatto, il Mezzogiorno e
abbandonandolo a sé stesso dopo averlo saccheggiato negli ultimi 150 anni.
Non credo ci siano grandi prospettive ma la battaglia la
dobbiamo fare.
La dobbiamo fare, partendo da questo dibattito, come
Consiglio regionale, come forze presenti in Consiglio regionale, come
rappresentanti dei calabresi, rispetto ad una volontà che, purtroppo, si sta
attuando a livello nazionale e che vede oggi come attori protagonisti i
rappresentanti di un Governo che ha avuto, purtroppo, in massima parte,
suffragi al Sud.
Voglio ricordare che in Calabria 20 dei 30 parlamentari,
che sostengono il Governo, sono oggi di maggioranza e io chiederei proprio a
questi parlamentari un coinvolgimento serio, una possibilità di dialogo, di
confronto e farei capire loro che forse, in questo momento, gli interessi del
Paese, ma soprattutto gli interessi del Mezzogiorno, sono altri.
Il collega Greco quando ha fatto riferimento alla
situazione ci ha ricordato l’articolo 3 della Costituzione, quindi
l’uguaglianza di tutti i cittadini. Credo abbia fatto un riferimento giusto
rispetto a principi che, attraverso queste decisioni, verranno, invece,
traditi. Credo che la battaglia la dobbiamo fare fino in fondo, perché è una
battaglia di difesa e di tutela delle popolazioni del Sud.
Noi abbiamo questo mandato.
Presidenza del
Segretario questore Domenico Tallini
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Bova. Ne ha
facoltà.
Intervengo dopo i consiglieri che mi hanno preceduto e il
presidente Oliverio che, tra l’altro, volevo salutare. Purtroppo credo sia
andato via, non lo vedo, ma mi ha fatto veramente piacere - non lo sapevo -
trovarlo oggi qua in Aula. Mi ha fatto veramente piacere vederlo.
Tra l’altro, mi fa anche piacere - sembra quasi una
coincidenza - che il ritorno del presidente Oliverio in quest’Aula avvenga
proprio quando anche il Consiglio regionale si sia finalmente determinato a
scrivere - lo hanno detto tutti - una gran bella pagina di storia regionale, di
vita regionale, occupandosi di una tematica di grande attualità, quale quella
del regionalismo differenziato.
Spero che si proceda pure su questo solco e che in
quest’ultimo anno rimasto si trovi anche la forza, il tempo, il coraggio di
affrontare tematiche di ampio respiro, dalla tematica sulla legalità - chiedo
scusa se torno sempre là -, per cui ho più volte richiesto formalmente la
convocazione di una seduta ad hoc di
Consiglio regionale, a quella sul lavoro o sulla sanità, tematiche sulle quali
bisogna riflettere, magari anche arricchendo il dibattito con contributi
esterni e qualificati.
Credo che l’Assemblea, la più alta assemblea
rappresentativa dei cittadini calabresi, abbia il dovere di interrogarsi su
determinate situazioni, non il dovere di dare le soluzioni. In questi casi
abbiamo anche obbligazioni di mezzi e non solo di risultati ma se c’è la buona
volontà, se lo dimostreremo, recupereremo anche il rapporto con i cittadini.
Lasciatemi esprimere su alcune affermazioni dei colleghi
che mi hanno preceduto che non condivido perché ogni analisi, ogni attacco che
si possa fare da meridionale, anche quando tiriamo fuori la “questione
meridionale”, deve passare attraverso un’autocritica. Perché è inutile che
stiamo qua a parlare!
Ho ascoltato anche l’intervento del consigliere Orlandino
Greco e sono sicuro sia un intervento parziale. Mi sono preso la relazione e la
leggerò stasera a casa.
Avrei voluto parlare prima e non dopo perché so quanto ci
tiene a questo tema, come lo affronta da tempo; ho già avuto modo di leggere
alcuni passaggi che ha scritto il consigliere Greco ma leggerò poi tutta la
relazione. Anch’io taglierò, vista l’ora tarda, ma - attenzione! - si può anche
parlare di affrontare questo discorso quasi in antagonismo rispetto ad un
supposto settentrionalismo da contrapporre ad un meridionalismo.
Non condivido le leghe dei Presidenti delle Regioni. Sono
per un’Italia unica, un unico Paese, sotto tutti gli aspetti, senza andare
dietro anche alle boutade o agli
“scatti in avanti” talvolta compiuti da una classe dirigente generale “nana”
della politica italiana. Nana.
Non i partiti - attenzione! -, non le idee. Nana la classe
dirigente da una ventina di anni e forse più… da 30 anni a questa parte.
Questo ha prodotto. Questo è il dibattito che ha prodotto
questa classe dirigente.
Io ho votato. Avete parlato, lo avete detto bene: non è una
novità se i partiti politici nella vicenda del regionalismo spesso hanno fatto
addirittura l’incontrario di quello che andavano a predicare!
Avete parlato della riforma del 2001. Nessuno si nasconde.
Vi posso aggiungere che poco tempo fa abbiamo votato un
referendum costituzionale, il 4
dicembre del 2016. Attenzione, quel referendum costituzionale aveva un’anima -
potremmo dire, forse, se mi passate il termine - centrista, voleva eliminare,
pretendeva, diceva di eliminare supposte inefficienze, inadeguatezze, ad
esempio del Sistema sanitario nazionale, sottraendo alle Regioni potere e
dandolo al potere centrale. Poi lo stesso Governo Gentiloni, Governo di marca,
“manda a farsi friggere” - credo che qualcuno l’abbia detto, l’ho sentito! -
quello che è stato, e che aveva caratterizzato, il “modello renziano” e “manda
a quel paese” tutte le cose che aveva detto in occasione di quel referendum,
che tanto caro è costato alla sinistra italiana, al centro-sinistra, ad un
luogo politico italiano.
Poi chi firma gli accordi preliminari sul photofinish dell’ultimo Governo? Il
Governo Gentiloni. Questo non significa che sol perché Gentiloni o Renzi o
D’Alema o qualcun’altro possano fare questo o cambiano le idee o il modo di
pensare che anche noi dobbiamo cambiare le idee, la sensibilità di ciascuno di
noi, la formazione.
Mi sento di sinistra, non mi cambierà certo un
atteggiamento che non considero più neanche sbagliato. Allora forse aveva
ragione l’attuale sinistra, che tanto ha condannato l’impostazione di quel
referendum.
Oggi forse è giusto intervenire sulla riforma del 2001 del
Titolo V della Costituzione e modificare la Costituzione? Ve lo siete chiesto?
Ce la siamo posti questa domanda?
Quel regionalismo previsto dal Titolo V
sembra che non piaccia a nessun meridionale; forse perché, determinate cose
vengono caricate da una classe dirigente nana – io per primo – e non da
disquisizioni politiche attente ed approfondite, perché si ragiona con la
pancia.
L’Italia si trova in un’eterna campagna
elettorale. La riforma del 2001 non è stata dettata perché D'Alema è impazzito,
ma perché in quel momento imperava la richiesta di federalismo, alla quale
bisognava andare dietro, ed ecco il Titolo V riformato. Lasciatemi dire una
cosa, però: avete parlato dell’articolo 116 della Costituzione, ma nessuno
parla dell’articolo 119 che riguarderebbe quel famoso limite-sbarramento perché
in Italia i costituzionalisti sono bravi, i migliori al mondo, è una
tradizione; quando si cambiano delle cose, però, bisogna mettere subito i
contrappesi – ai pesi vanno i contrappesi – ed il famoso articolo 119 è il
limite dell’articolo 116, comma terzo; potete avere Regioni con legge statale e
potete anche determinarvi per una maggiore autonomia, ma fermi restando i
paletti e i principi.
È la norma di chiusura dell’articolo 116,
terzo comma, fermi restando i principi stabiliti dall'articolo 119: ragioni di
solidarietà sociale, perequazione, redistribuzione e assicurazione del giusto
mantenimento, quindi, dei livelli essenziali di prestazione a favore di tutti i
cittadini.
Questo è un limite invalicabile
dell'articolo che nessuna legge, regionale o statale che sia – statale nel
senso che nasce su impulso della singola Regione che la propone – potrà
travalicare; poi quella che è l'interpretazione dei principi costituzionali
potrà dare vita a quello che vogliamo, ma sappiamo bene che su certi paletti
non si può andare oltre.
Bene l’aver organizzato oggi questo
dibattito, questa seduta di Consiglio regionale sul regionalismo differenziato
che, tra l’altro, arriva in un momento in cui la richiesta di maggiore
autonomia sembra un mantra che si recita in tutta Italia.
Abbiamo gridato e siamo rimasti inorriditi!
Chi ha il piacere di studiare le questioni
costituzionali è rimasto inorridito già nel momento in cui vi si affacciava;
non sono poche le persone che hanno lanciato l'allarme quando Lombardia e
Veneto già si muovevano e, addirittura, paventavano l'indizione di un
referendum; poi parlerò della prova di forza; secondo me è stata quella, la
stessa prova di forza di cui ha accennato il collega Greco.
Attenzione, si è aggiunta la Lombardia, ma
che è successo dopo?
Allo scadere del Governo Gentiloni si sono
fatti gli accordi preliminari; ma sono rimasti limitati a quelle tre Regioni o
si è contagiato tutto?
Sono sette le Regioni che hanno deliberato
subito dopo e i Consigli regionali hanno conferito ai Presidenti di Giunta
espresso mandato per richiedere maggiore autonomia in campo sanitario; la
Calabria si sta muovendo; ne rimangono altre due, Abruzzo e Molise, non so cosa
abbiano fatto negli ultimi tempi, ma tutte le Regioni ordinarie stanno
avanzando, dimenticando – forse, anche da qui, lo scontro sulle competenze –
che, per richiedere maggiore autonomia bisogna eccellere in quel determinato
settore.
Se la richiesta di maggiore autonomia
proviene da Regioni come la Calabria?
Speriamo che noi calabresi non scegliamo
di chiedere l’autonomia sanitaria perché – lo dobbiamo dire – siamo ancora
sottoposti a commissariamento sia col centro-destra sia col centro-sinistra,
dal quale non riusciamo ad uscire neanche adesso, e non ne usciremo.
Prima di parlare, il sud deve uscire da
quella condizione di autocommiserazione e, quando guarda al nord notare anche
all’efficienza di alcune Regioni.
Io per primo mi assumo le mie
responsabilità, perché questo porterebbe ad uno scontro di principio, quasi di
posizionamento tra vetuste questioni settentrionali e meridionali in un momento
in cui parliamo di mondo globalizzato in cui le spinte sono talmente tante che,
ormai, possiamo dire che se non l'abbiamo superato noi, l'ha superato la gente
comune con Internet, il tablet, il telefonino o lo smartphone, checché se ne
dica!
Di cosa ci meravigliamo? Lo dico anche ai
colleghi dell'opposizione; scusate, non avevamo letto quello che era l'accordo
di Governo? Io me lo sono proprio scritto!
Nel contratto per il Governo del
cambiamento, l'accordo Salvini e Cinque Stelle, si legge testualmente;
“l'impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell'Agenda di
Governo, l'attribuzione per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano,
maggiore autonomia, in attuazione dell'articolo 116, terzo comma della
Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e
Regioni”, le tre attualmente aperte.
In tal senso, mi riaggancio anche a quanto
dicevo in apertura del mio intervento, ovvero che in Italia, soprattutto al
sud, c'è questo costume tipicamente nostro di arrovellare discussioni infinite
che producono dibattiti, dispense, libri, articoli, giornali, manifestazioni
pubbliche, referendum e così via, ma per quella condizione di essere sempre in
campagna elettorale senza, e non per discutere effettivamente sulle
problematiche.
Condivido quanto diceva il collega Greco
in merito al ritardo sulla discussione; ben venga la seduta di Consiglio
regionale di oggi, ma ci sono Consigli regionali, realtà politiche e sociali,
di società diffuse che si occupano di questa problematica già da diverso tempo.
Vogliamo andare a vedere da quanto tempo
ne parlano il Veneto, l'Emilia Romagna, la Toscana e la Lombardia?
Forse adesso siamo andati tutti ad
informarci e ad acculturarci sul tema e abbiamo scoperto che le altre Regioni
hanno avviato il dibattito da almeno due anni; forse hanno una maggiore
capacità guardare al futuro.
Mi auguro che abbiate pensato anche ad
altri argomenti; parlo da uomo di sinistra e mi auguro che tanti argomenti si
possano ribadire in questo Consiglio regionale, e non solo.
Quando si parla di classe politica,
l'avete detto tutti, dal potere romano, c’è chi ne ha fatto le spese per
mettersi contro; ecco perché mi piacciono certi interventi, a prescindere se li
condivido o meno. Perché dobbiamo rinunciare ad essere protagonisti della vita
nazionale?
Qui, a prescindere dall’appartenenza
politica, arrivano e ti impongono qualcosa in cambio di quella o quell’altra
postazione; questo è il maledetto vizio del Sud di oggi, e vale sia per chi è
in Forza Italia sia per chi è nel Partito Democratico sia per chi è
all’articolo 1, eccetera eccetera.
È come se ci fossimo rassegnati ad una
sorta di posizione di subalternità rispetto al resto del Paese e della politica
italiana.
Basterebbe guardare per capire quello che
sta succedendo, lo avete citato; mi è piaciuto l'intervento del presidente
Oliverio, molto puntuale, non solo tecnico ma di sostanza; basterebbe fare una
semplice lettura degli accordi preliminari già sottoscritti da Emilia Romagna,
Lombardia e Veneto; tra l'altro, leggendoli non c'è neanche bisogno di
sforzarsi per cogliere tra le righe il messaggio che viene lanciato; avete
parlato delle materie e, se non sbaglio – come diceva lo stesso presidente
Oliverio – sono 23 le materie su cui è stata richiesta una maggiore autonomia.
Qualcuno – come anche l’assessore al
bilancio – ha fatto una differenza tra la richiesta della Lombardia e quella
del Veneto, scandalosa e ai limiti del senso del pudore di chi appartiene ad
una Nazione e non a singoli staterelli configurati.
Ne cito soltanto alcune perché sono andato
ad informarmi e a documentarmi, leggendo anche importanti testate
giornalistiche, scritte anche in Calabria.
Queste le richieste di maggiore autonomia
da parte del Veneto: dai vincoli di spesa in materia di personale stabiliti
dalla normativa statale all'accesso alle scuole di specializzazione; dalla
stipula di contratto a tempo determinato di specializzazione-lavoro per i
medici agli accordi con le Università; dallo svolgimento delle funzioni relative
al sistema tariffario di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione fino
allo stesso sistema di governance
delle Aziende e degli Enti del Servizio sanitario regionale; dalla richiesta
all’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) di valutazioni tecnico-scientifiche
sulle equivalenze terapeutiche tra diversi farmaci agli interventi sul
patrimonio edilizio e tecnologico del servizio regionale sanitario.
Come faceva notare Il Sole 24 ore, se l’Emilia Romagna si accontenta solo
della distribuzione diretta dei farmaci come autonomia aggiuntiva, in Veneto ci
sono una serie di richieste sulla gestione del personale; è inutile citarle
tutte; eppure, nonostante questo, come faceva notare il consigliere Orsomarso,
il fallimento della riforma del Titolo V è ormai certificato ed è sotto gli
occhi di tutti; quella riforma che ha compromesso l’universalismo del sistema
sanitario nazionale e che adesso si vuole completamente distruggere e mandare
in soffitta.
Eppure rappresenta il fiore all'occhiello
in un momento in cui, negli Stati Uniti, il presidente Barack Obama viene quasi
immortalato e, secondo alcuni, rimane nella storia degli Stati Uniti d'America
per aver introdotto per la prima volta il sistema sanitario nazionale. In
Italia, invece, facciamo o cerchiamo di fare passi indietro e andiamo verso il
baratro.
Sono sotto gli occhi di tutti i fallimenti
di una riforma di cui mi assumo la paternità, la riforma del 2001, di cui si è
già parlato.
Basti vedere le diseguaglianze che
caratterizzano i 21 sistemi sanitari regionali: dagli adempimenti dei livelli
essenziali di assistenza, alle performance ospedaliere; dalle dimensioni delle
Aziende sanitarie, alla capacità di integrazione pubblico-privato; dalle liste
di attesa, alla giungla dei ticket; dalle eccellenze ospedaliere del nord, alla
desertificazione dei servizi territoriali del sud, eccetera eccetera.
Con la riforma e l'orientamento che si
vuole portare avanti, queste discrasie tra nord e sud andranno, addirittura, ad
accentuarsi, nonostante l'articolo 32 della Costituzione parli di carattere di
uniformità del sistema delle prestazioni assistenziali e di diritto alla
salute.
Sorge, quindi, il dubbio di cui parlavo
prima, quella prova di forza citata anche il consigliere Greco, secondo cui
dietro le strategie di Lombardia e delle Regioni forti – non dico delle Regioni
del nord, ma delle Regioni forti – non ci sia proprio quell’intento di forzare
e, strada facendo, arrivare all'obiettivo finale, ovvero quello di ampliare
materie e funzioni che rafforzano e rendono autonome, sotto tutti gli aspetti,
le realtà più robuste e in grado di competere nelle relazioni transnazionali e
internazionali.
Se a tutte queste considerazioni
aggiungiamo quelle che sono le politiche di questo Governo, in materia di
prelievo fiscale, ad esempio, ha già annunciato che ci sarà un alleggerimento;
questo è un dato certo.
Se vi è incertezza su quanto di questo
alleggerimento di prelievo fiscale andrà nelle casse delle tre Regioni,
Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, una cosa è certamente senza ombra di
dubbio: le operazioni saranno fatte a scapito della perequazione sanitaria e
delle Regioni più svantaggiate; quella secessione dei ricchi citata a più voci
in questo Consiglio regionale.
Il segnale che la parte più avanzata delle
Regioni italiane dà con questa operazione, rischia di essere terribilmente
netto; se per decenni nessuno di noi è riuscito a fare passi avanti, almeno
consentite di fare questi passi avanti a chi ha gambe sufficienti per
camminare.
Quello che sarà il destino delle Regioni
più deboli e disastrate, saranno fatti loro, fatti nostri.
Questo è il ragionamento che,
probabilmente, si sta seguendo in questi in giorni.
Ho omesso di dire tutta una serie di cose
– vista l'ora tarda e il freddo, anche se quest’Aula si è intiepidita – ma
prendo atto che oggi siamo riusciti a parlare all'unisono; di questo, diamo
merito sia al presidente Irto sia alla Conferenza dei capigruppo che sono
riusciti a dar vita a questo argomento, restituendo anche la giusta dignità a
questo Consesso.
La speranza è che se il federalismo
auspicato, ex articolo 163, comma terzo, si dovesse attuare, ciò non avvenga a
scapito delle Regioni più deboli. Questo è il mandato.
A questo punto, ritengo che il Consiglio
regionale si debba concludere con un atto di indirizzo, che sono pronto a
sottoscrivere facendo mie le tre proposte avanzate dal collega Greco e che
vanno nella direzione di indurre il Presidente della Giunta regionale ad
interloquire e creare un Tavolo immediato non solo con i Presidenti delle Regioni
meridionali perché, quando si parla di Costituzione, di limiti costituzionali e
di modifiche, il discorso è di tutti; dovremmo ribadire con forza sia al
Governo centrale sia ai Tavoli regionali che non si può dare maggiore
autonomia, non si può giocare con la Costituzione, con i servizi essenziali e
con i diritti della persona a scapito dei più deboli; ma questo è un trend che, purtroppo, sta andando avanti
in tanti settori.
Cominciamo da questo e, soprattutto,
dimostriamo di essere uomini e donne per bene, con una coscienza; le altre cose
arriveranno da sole. Grazie e chiedo scusa se l'ho fatta lunga.
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Romeo, ne ha facoltà.
Al fine di consentire una chiusura dei lavori attraverso l’approvazione
di un documento - mi auguro condiviso - la collega Sculco, il collega Scalzo e
il sottoscritto rinunciano all'intervento.
PRESIDENTE
Ha chiesto di intervenire il consigliere Pedà, ne ha facoltà.
Grazie, Presidente e colleghi, intanto volevo ringraziare il collega
Bevacqua per aver riacceso i fari su una tematica così importante. È chiaro che
molto è stato detto. Ci accingiamo, credo, a votare un documento unitario, come
auspicato anche sia dal Presidente del Consiglio sia dal Presidente della
Giunta. Questo è un tema che, effettivamente, andava, forse, posto
all’attenzione prima o, forse, con maggiore attenzione, perché rischiamo che
sotto il nome di regionalismo differenziato si nasconda quello che poi è,
davvero, una sorta di federalismo fiscale.
Noi già, oggi, siamo penalizzati in tanti settori che, purtroppo, non
garantiscono i livelli adeguati, mi riferisco alla sanità dove andiamo a
mendicare una guardia medica e quando otteniamo un risultato o stiamo per
ottenerlo sembra una grande vittoria; mi riferisco alle infrastrutture dove
siamo completamente ingessati e dove un ulteriore gap, rispetto al nord, potrebbe compromettere quella che è la
mobilità pubblica. Il collega Orsomarso citava, tra tutti, il porto di Gioia
Tauro e la Zes, proprio su questo tema credo che, oggi, le Regioni non siano
adeguatamente attrezzate per gestire delle strutture così importanti, ma credo,
come è giusto, che si debba andare verso una gestione sempre più importante
dello Stato, quasi una nazionalizzazione di certe infrastrutture e mi riferisco
anche, professore Russo, alle infrastrutture ferroviarie.
Ne abbiamo parlato abbondantemente, abbiamo un sacco di fondi che non
sono ancora, diciamo così, utilizzati, fondi per le infrastrutture ferroviarie
regionali ma anche nazionali; andrei, quindi, a capire perché non si parla più
dei 430 milioni di euro degli Accordi di Programma Quadro (APQ), se sono stati
spesi, a che punto sono stati spesi, a che punto sono stati attuati i famosi
APQ dei Governi precedenti. Andrei a vedere il rapporto della SVIMEZ che, lo
diceva bene il presidente Oliverio, è disastroso e secondo il quale si rischia
di andare verso una sempre maggiore emigrazione; infatti se, oggi, non riusciamo
a garantire i livelli minimi di assistenza, per esempio, nel campo sanitario,
credo che con questa sorta di federalismo, regionalismo differenziato andremo
sempre di più verso una maggiore emigrazione sanitaria.
Dicevano bene i colleghi che il Veneto e Lombardia con due referendum,
l'Emilia Romagna, d’imperio, attraverso le deliberazioni del Consiglio
regionale e della propria Giunta, hanno auspicato che la parte, la quota parte
dei trasferimenti che non vengono utilizzati dallo Stato per i loro servizi
ritornino alle Regioni, cosa che penalizzerebbe quella che è la solidarietà
Nazionale. Credo, quindi, che, certamente, dobbiamo far sentire la nostra voce
attraverso un documento unitario, tenendo sempre acceso questo tema e
monitorandolo, signor Presidente del Consiglio e colleghi consiglieri,
costantemente attraverso una specie di cabina di regia, forse l'aveva già detto
anche il collega Tallini, perché non si può dare spazio ad una sorta di
depauperamento delle ultime prerogative.
È vero anche quello che diceva il presidente Oliverio che citava
l'opportunità che possiamo avere come Regione, chiedendo qualche autonomia
rispetto a determinati temi. Infatti, credo che la prima autonomia che dobbiamo
chiedere, con forza, è quella sanitaria, non possiamo più stare sotto un
commissariamento e chiederò, per iscritto, nei prossimi giorni, con i colleghi
che lo vorranno fare, a quanto ammonta il debito sanitario perché, se ho letto
bene, dai tempi della nomina di Scura ad oggi, lo stesso è andato aumentando e non
vedo questo piano di rientro e questo taglio lineare della spesa sanitaria a
cosa sia servito.
Quindi nei prossimi giorni interrogherò l'assessore alla Sanità, che
credo sia il presidente Oliverio, per avere dei numeri certi, assessore
Fragomeni. Rispetto a questo, sono voluto intervenire per ribadirlo: noi, oggi,
dobbiamo evidenziare, nel documento, che la prima prerogativa che chiediamo al
Governo centrale, rispetto a una regionalizzazione e ad un intervento nostro
diretto, è quella che ci restituisca le competenze nel settore della sanità e
finisca questo benedetto commissariamento, pur apprezzando, come ha detto il
mio capogruppo Gallo, l'approccio che ha avuto il generale Cotticelli di grande
apertura, so che ha anche ricevuto il direttore dell'ASP Misiti, nei giorni
scorsi, facendo, così, uno screening della situazione e dando ampia
disponibilità su alcuni temi nevralgici, però è chiaro che Cotticelli deve
essere l'ultima esperienza di commissariamento di questa Regione. Ecco perché,
di nuovo, ringrazio il collega Bevacqua e gli altri che si sono adoperati, con
le varie mozioni, a portare questo tema nella nostra Assise, in questo
Consesso, collega Gallo, per dibattere e far sentire forte la voce di una
Calabria che credo, su questo tema, abbia trovato l'unità. Grazie.
Presidenza del Presidente
Nicola Irto
Sono finiti gli interventi. Per come stabilito questa mattina in
conferenza dei capigruppo, si danno per assorbite tutte le mozioni e le
interrogazioni che si riferiscono al tema di cui abbiamo discusso oggi.
Presentiamo, quindi, una risoluzione che è stata già largamente condivisa con
tutti i capigruppo e con i membri dell'Ufficio di Presidenza.
Do lettura solamente delle ultime due parti, le altre potete leggerle
nel documento che vi è stato consegnato: “Il Consiglio regionale s’impegna ad
attivare i passaggi necessari per dare impulso ad un'iniziativa legislativa da
presentare direttamente alle Camere, sulla base del disposto dell'articolo 121,
secondo comma, della Costituzione, finalizzata alla revisione del Titolo V,
parte II, della Carta in direzione di un regionalismo solidale; contemporaneamente,
ad attivare, mediante la medesima disposizione dell’articolo 121, la richiesta
volta ad ottenere forme e condizioni di autonomia ex articolo 116, comma 3,
della Costituzione; ad assicurare il necessario coinvolgimento delle Autonomie
Locali, dei Presidenti delle Province e della Città Metropolitana, de
Presidente dell’ANCI regionale, nonché a promuovere una Conferenza degli Uffici
di Presidenza dei Consigli regionali di Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e
Puglia al fine di perseguire eventuali convergenze tra le Regioni del
Meridione; a prevedere il supporto di esperti giuridici ed economici da
affiancare al lavoro delle Commissioni affari istituzionali e bilancio per
determinare le risorse finanziarie da trasferire o assegnare dallo Stato alla
Regione, necessarie all'esercizio delle ulteriori forme e condizioni
particolari di autonomia.
Il Consiglio regionale diffida il Governo nazionale a predisporre atti
che prevedono il trasferimento di poteri e risorse ad altre Regioni sino alla
definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
(articolo 117, lettera m, della Costituzione) trasmettendo, tempestivamente,
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il testo della presente
risoluzione.”
Pongo, quindi, ai voti la risoluzione numero 1 del 30 gennaio 2019.
(Il Consiglio approva)
Avendo esaurito i punti all'ordine del giorno la seduta è tolta.
La seduta termina alle 19,12