Commento

LO STATUTO DELLA REGIONE CALABRIA

Le Regioni sono state istituite in Italia con la Costituzione repubblicana del 1947, il cui Titolo V ("Le Regioni. le Provincie. i Comuni") disciplina le linee essenziali dell'ordinamento dei nuovi enti ed attribuisce alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige. al Friuli-Venezia Giulia ed alla Valle D'Aosta "forme e condizioni particolari di autonomia secondo Statuti speciali adottati con legge costituzionale". Complessivamente le Regioni italiane sono in numero di venti, diciannove delle quali previste originariamente nella Costituzione e la ventesima istituita con la legge costituzionale n. 3 del 1963 che ha creato la Regione Molise.

L'esigenza di un decentramento dello Stato e quello di assegnare, di conseguenza, determinate funzioni tradizionalmente appartenenti allo Stato ad enti da questo distinti, trovano la loro motivazione, oltre che in considerazioni di ordine tecnico-giuridico, anche, se non soprattutto. in alcuni complessi problemi della società italiana. che lo Stato unitario con la sua amministrazione rigidamente accentrata non era riuscito a risolvere. Si aggiunga che la caduta del fascismo e della monarchia e la volontà popolare, espressa formalmente con il voto nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946, di dar vita ad un nuovo assetto costituzionale. avevano riproposto con rinnovato vigore questi problemi all'attenzione della opinione pubblica e dei partiti, per cui l'Assemblea costituente (quale era demandato di formulare il testo della nuova Costituzione) non poté non tener conto di una realtà che le si imponeva dall’esterno e che occorreva recepire e disciplinare nelle strutture normative dello Stato repubblicano.

Gli aspetti di questa realtà erano vari ma, alla base di essi, troviamo essenzialmente il fattore geografico ed il fattore storico: il primo, che trae origine dalla configurazione della penisola italiana che si estende dalle fertili terre della pianura padana sino alle aride e scoscese vallate della Calabria e dalla presenza di due grandi isole: la Sicilia e la Sardegna,' il secondo, che si ricollega alle vicende storiche che, nel corso dei secoli, hanno travagliato l'Italia. sottoponendola a dominazioni straniere e spezzettandola in numerosi Stati.

Questi due fattori erano stati, a loro volta, causa di notevoli squilibri di natura economica e sociale che il trascorrere del tempo non era certo riuscito a sanare. E basti qui ricordare le condizioni dell'Italia del Sud e la "questione meridionale" che ad esse strettamente si ricollega e che interessava milioni e milioni di italiani che non riuscivano a trovare nella loro terra la possibilità di condurre un'esistenza libera e dignitosa.

A dire il vero, i problemi ai quali si è rapidamente accennato furono presenti alla classe politica italiana o, almeno, alla parte più avveduta e sensibile di essa. sin dall'indomani dell'unificazione. Si trattava, in altri termini, di "fare gli italiani" dopo aver "fatta l'Italia". Abbandonata. perché non più attuale, l'idea federalista che aveva avuto, sia pure in una diversa prospettiva. in Carlo Cattaneo ed in Giuseppe Ferrari i suoi due massimi esponenti molti videro nel decentramento delle funzioni statali lo strumento per raggiungere questo fine, perché esso, "mantenendo l'unità politica così faticosamente raggiunta. avrebbe permesso di tenere nel debito conto le diverse caratteristiche geografiche. storiche e socio-economiche delle varie parti d'Italia ed avrebbe, inoltre dato modo alle popolazioni locali di tutelare con più immediatezza i loro interessi, consentendo pertanto un più ordinato ed armonico sviluppo delle Regioni nel quadro più generale del progresso economico-sociale dello Stato.

Sennonché, le iniziative assunte in questo campo non furono portate a compimento. i tempi non erano, in verità, ancora maturi perché un processo del genere si svolgesse sino alla sua naturale soluzione. L'idea regionalistica. che si impersonava in uomini come Luigi Carlo Farmi, Stefano Jacini, Marco Minghetti. Napoleone Colajanni, Luigi Sturzo, Guido Dorso. ed altri ancora, non venne realizzata. E quand'anche essa prese corpo in disegni o progetti di legge, non solo venne ridimensionata sino a prevedere un decentramento senza alcuna forma di autonomia e, dunque. puramente burocratico, ma ebbe contro i fautori dello Stato rigidamente accentrato.

Si giunse così al 1946. L’Italia era stata sconvolta. materialmente e spiritualmente dalla guerra. In una delle Regioni, la Sicilia, era inoltre sorto e si era sviluppato un movimento che intendeva staccare l'isola dall'Italia per farne uno Stato indipendente. Questo movimento - che faceva leva su alcuni antichi risentimenti dei siciliani nei confronti del governo centrale - aveva raccolto un certo numero di seguaci e costituito delle bande armate. Per eliminare il pericolo del separatismo venne allora concesso alla Sicilia, con decreto legislativo del 15 maggio 1946, n. 445, uno Statuto contenente l'ordinamento autonomo della Regione che, convertito successivamente nella legge costituzionale n. 2 del 194~, è tuttora in vigore.

Il problema delle autonomie regionali fu comunque affrontato come si è già accennato - dall'Assemblea costituente, eletta il 2 giugno del 1946 per dare un nuovo ordinamento costituzionale allo Stato italiano.

Nonostante però che la maggioranza dei partiti in essa rappresentati fosse favorevole alla creazione delle Regioni, i dibattiti su questo tema furono spesso vivaci e non mancarono anche delle prese di posizione nettamente contrarie. Il compito di redigere un progetto di ordinamento regionale fu affidato in seno alla seconda sottocommissione dell'Assemblea (che doveva studiare l'ordinamento costituzionale della Repubblica e che era stata costituita nell'ambito della "Commissione dei settantacinque". alla quale spettava di elaborare lo schema di Costituzione), ad un comitato di redazione composto da dieci deputati e presieduto dall'on. Ambrosini. Il comitato presentò alla seconda sottocommissione, nella seduta del 13 novembre 1946, il progetto elaborato, accompagnato da una relazione che prevedeva la Regione quale ente intermedio tra lo Stato ed i Comuni e le assegnava il compito di valorizzare le forze locali nel quadro e nell'interesse dello Stato in generale. La "Commissione dei settantacinque" fece proprio questo progetto e nel presentare all'Assemblea il progetto di Costituzione, affermò che "l'innovazione più profonda introdotta dalla Costituzione è nell'ordinamento strutturale dello Stato, su basi di autonomia; il Comune: unità primordiale, la Regione: zona intermedia ed indispensabile fra le Nazione e i Comuni".

Al dibattito in Assemblea sull'ordinamento regionale presero parte deputati di ogni partito e corrente. Alla fine - tra le opposte tesi di un semplice decentramento amministrativo e dei sostenitori di un ordinamento federale - si impose la soluzione intermedia dei regionalisti unitari. Le norme sull'ordinamento regionale previste nel progetto di Costituzione furono in tal modo approvate (sia pure con alcuni emendamenti) ed entrarono a comporre il Titolo V della nuova Carta repubblicana. Ai preesistenti enti territoriali - Province e Comuni - si aggiunse pertanto la Regione, quale ente intermedio tra lo Stato e le minori collettività locali.

PERCHÈ LA REGIONE CALABRIA

Nonostante le ben note vicende storico-amministrative (la suddivisione, nel basso Medioevo, del territorio in Calabria Citeriore e Ulteriore, confermata poi sotto gli Aragonesi, con linea di confine amministrativo al fiume Neto, ed accolta anche dagli Spagnoli, dai Borboni e dai Napoleonidi), la Calabria è, dopo le grandi isole, la Regione d'Italia meglio definita nei suoi limiti e nei suoi caratteri geografici. Essa è una Regione prevalentemente di montagna: il 44% del suo territorio, infatti, è situato a quote superiori ai 500 m. di altitudine ed il 22% è al di sopra dei 1000 m., mentre l'alta ed Impervia zona montana che la delimita a settentrione ne fa una Regione separata e pressoché isolata dal resto della penisola italiana, con caratteri geografici fisici ed antropici del tutto propri e singolari.

Di questa realtà non poteva non tener conto l'Assemblea costituente quando fu chiamata a decidere quali Regioni - intese non più soltanto come entità geografiche ma anche come enti pubblici dotati di propri poteri legislativi ed amministrativi - dovevano essere costituite. A dire il vero, l'Assemblea non colse l'occasione che le si offriva di modificare i confini di alcune delle preesistenti Regioni geografiche, in modo da rendere il nuovo ente più omogeneo e dunque più idoneo a programmare il proprio sviluppo socio- economico, e si limitò invece a stabilire il principio che dovessero essere costituite come enti autonomi le Regioni storico-tradizionali di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche. Cosicché alle vecchie Regioni geografiche. delimitate dai loro confini amministrativi, si sovrapposero le Regioni - enti. Per quanto riguarda più in particolare la Calabria, si può affermare che la coincidenza tra i due tipi di Regioni è quasi completa, con le sole eccezioni, al Nord, di una parte della Regione geografica (la parte superiore del bacino del fiume Lao) che rientra nella Basilicata ed, all'estremo Nord- orientale, di un tratto del bacino del basilicatese Sinni compreso entro i confini della Calabria. Si tratta, tuttavia, di elementi trascurabili, che nulla tolgono alla omogeneità fisica della Regione; per cui la costituzione della Regione Calabria, entro i confini dei vecchi compartimenti delineati dal Maestri nel 1861 a fini statistici, ha una sua precisa ragione d'essere.

E, se mai, sono altri gli aspetti, interni della Regione, per i quali la Calabria non ha raggiunto, ancora oggi, una effettiva unità regionale. Sarebbe qui fuor di luogo ripercorrere le vicende storiche della Regione, in parte determinate anche dalla sua struttura fisica; vicende, peraltro, comuni alle altre Regioni meridionali.

L'isolamento della Calabria era stato avvertito da quanti in essa si recavano. Nel 1771 un viaggiatore tedesco, Von Riesedel, descrivendo Crotone la definiva "il più infelice paese d’Italia e forse del mondo". All'inizio dell'ottocento, il francese Creuzé de Lesser affermava che "l'Europa finisce a Napoli: e vi finisce assai male: la Calabria, la Sicilia e tutto il resto è Africa"; per non ricordare le inchieste del Galanti, di Lombroso. di Franchetti, di Nitti o l'inchiesta compiuta all'inizio degli anni sessanta dall'équipe di studiosi francesi guidati da Jean Meyriat, e ancora gli scritti di Giustino Fortunato.

Sono proprio questi aspetti economici e sociali che segnano profondamente il carattere della Calabria, anche se - nonostante i pur sempre presenti condizionamenti dovuti a fattori geografici ed a vicende storiche - è doveroso riconoscere che del tutto inattuali appaiono oggi le valutazioni di tanta letteratura italiana e straniera. essendo ormai la condizione sociale e civile della Regione radicalmente diversa da quella che per secoli è stata costretta a subire.

Non è certo un caso, però. che nell'articolo 3 dello Statuto si legge che la Regione "promuove lo sviluppo culturale, sociale ed economico delle popolazioni, nel quadro di indirizzi che valgono a riscattare la Calabria dalla sua storica arretratezza".

Se poi ai condizionamenti storici e geografici si aggiungono le diverse origini etniche della popolazione calabrese (bruzi nel cosentino, bizantini nel catanzarese, greci nel reggino, oltre ad "isole" albanesi e valdesi) riusciamo meglio a comprendere come l'unità regionale sia sempre stata scissa in microcosmi sub-regionali, con tutte le conseguenze che ne sono derivate.

Ecco, allora, la risposta alla domanda che ci siamo posta: perché la Regione Calabria? Al di là delle ragioni politiche, per le quali la Calabria non avrebbe potuto non essere costituita in: Regione autonoma, stanno, infatti, ragioni ben più radicate nella realtà calabrese. La Calabria Regione perché possa "riscattarsi" dalla sua "storica arretratezza"; la Calabria Regione perché possa - nonostante le diverse Origini etniche della sua popolazione - trovare una sostanziale unità per migliorare le sue condizioni socio- economiche; La Calabria Regione perché possa, con piena consapevolezza delle sue potenzialità, inserirsi - assieme alle altre Regioni meridionali - nel processo di sviluppo civile del Paese, affinché "la fuga" - come ha scritto C. Alvaro - non sia più "il tema della vita calabrese" ed i giovani, gli anziani, le donne, i lavoratori e le loro famiglie, riescano a trovare nella loro terra le condizioni per poter condurre un'esistenza libera e dignitosa.

Ebbene, lo strumento per raggiungere questi obiettivi, per fare cioè della Calabria una Regione non soltanto nominalmente ma anche sostanzialmente, esiste: tale strumento è lo Statuto. "Carta fondamentale" della Regione, predisposta autonomamente dagli stessi calabresi, lo Statuto, infatti, non si limita a determinare i fini da raggiungere ma predispone anche le strutture organizzative perché questi fini possano essere realizzati.

DALLO STATO ACCENTRATO ALLO STATO REGIONALE

Prima però di occuparci dello Statuto della Calabria, appare opportuno ripercorrere rapidamente la strada che ha portato dallo Stato accentrato allo Stato decentrato su base regionale.

Le Regioni sono state "costituite", in numero di venti, dalla Costituzione, al suo articolo 131. Di esse cinque (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia-Giulia e Valle d'Aosta) hanno uno Statuto speciale che attribuisce loro "forme e condizioni particolari di autonomia", in ragione delle loro peculiarità di carattere geografico (natura insulare), politico (salde e fondate tradizioni autonomiste) ed etnico (presenza nel loro territorio di popolazioni allogene>; le rimanenti quindici hanno un regime giuridico comune, delineato nella Costituzione. nel rispetto del quale ciascuna Regione ha poi approvato un proprio Statuto (ordinario), dando specifica attuazione alle norme costituzionali ovvero integrandole.

Le cinque regioni a Statuto speciale sono state le prime ad essere effettivamente costituite. I loro Statuti infatti (tranne quello del Friuli-Venezia Giulia, adottato dal Parlamento con la legge (Costituzionale n. 1 del 1963) sono stati approvati dalla stessa Assemblea costituente nel febbraio 1948.

Più complessa è stata, invece, la vicenda della creazione delle Regioni a Statuto ordinario. Occorre ricordare, in primo luogo, che la Costituzione (alla sua VIII disposizione transitoria e finale) i disponeva che le elezioni dei Consigli regionali dovessero essere indette entro un anno dalla sua entrata in vigore (il termine venne successivamente prorogato al 31 dicembre 1963 dalla legge costituzionale n. 1 del 1958). Tuttavia, per molti anni, e nonostante il ricorrente impegno delle maggioranze che si erano succedute al governo, questi termini non vennero rispettati e le Regioni a Statuto ordinario ebbero vita soltanto nel 1971, con l'approvazione da parte dei Consigli Regionali (eletti il 7 giugno 1970) dei rispettivi Statuti. Precedentemente il Parlamento aveva approvato la legge 10 febbraio 1953, n. 62 (c.d. "legge Scelba") sulla Costituzione e sul finanziamento degli organi regionali; la legge 17 febbraio 1968, n. 108 (contenente norme per la elezione dei Consigli regionali> e la legge 16 maggio 1970, n. 281, recante i necessari provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a Statuto ordinario.

L'approvazione degli Statuti non segnò, però, il passaggio da uno Stato legislativamente ed amministrativamente accentrato ad uno Stato in cui - secondo il disegno costituzionale - il potere di legiferare e di amministrare poteva essere esercitato anche dai nuovi enti regionali. pur nel pieno rispetto dei limiti posti dalla Costituzione. D'altra parte, occorre notare che l'autonomia regionale aveva avuto, sino allora, attuazione soltanto nelle cinque Regioni a Statuto speciale e che questa attuazione parziale aveva finito col costituire come un corpo estraneo in una struttura ancora rigidamente accentrata. Con la conseguenza che erano derivati da un lato uno stato di incomprensione tra gli organi centrali e quelli regionali, le cui motivazioni vanno ricercate sia nell'azione frenante svolta dall'apparato statale sul processo di sviluppo delle autonomie sia nelle disfunzioni che, soprattutto in alcune Regioni, si erano manifestate nella gestione del potere locale; e, dall'altro, un'accentuazione della spinta autonomistica, ad un livello non soltanto politico ma anche tecnico e culturale, da parte di alcuni settori dell'opinione pubblica che vedevano nella creazione delle Regioni a Statuto ordinario uno degli strumenti più efficaci per invertire la tendenza ed arrestare la crisi dello Stato.

Il risveglio e l'affermarsi dell'idea regionalista nella c.d. "fase costituente" delle Regioni (a cavallo tra gli anni sessanta e gli anni settanta) non furono tuttavia sufficienti a superare diffidenze, resistenze, opposizioni, soprattutto da parte di alcuni settori politicoburocratici dell'apparato statale. Cosicché completato l'ordinamento autonomistico, "fatte le Regioni", queste furono messe in condizione di non poter svolgere pienamente le loro funzioni sia perché lo Stato, non aveva (e non ha in buona parte ancora) provveduto a stabilire con proprie leggi (le c.d. "leggi-cornice") i "principi fondamentali" nel rispetto dei quali le Regioni possono legiferare (autorizzando soltanto le stesse, in attesa dell'emanazione ditali leggi e non una formula ambigua e di dubbia costituzionalità, a legiferare desumendo detti principi dalle leggi vigenti) e sia perché era stata adottata una interpretazione restrittiva delle materie di competenza regionale, enumerate nell'articolo 117 della Costituzione. Senza entrare nei particolari, basti osservare che i decreti legislativi del 1972, con i quali veniva attuato il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni hanno operato riserve o ritagli di competenze a favore dello Stato ed individuato le materie non per settori organici ma secondo le attribuzioni proprie del ministero corrispondente alla materia di competenza regionale. L'effettiva limitazione dell'autonomia regionale che ne era derivata aveva però provocato una decisa reazione delle Regioni in sede politica ed indotto il Parlamento ad approvare nel 1975 una nuova legge di delega al Governo per il trasferimento delle funzioni amministrative, con la quale il Governo era stato autorizzato a completare il trasferimento.

Il relativo decreto è stato emanato nel 1977. Nel complesso - a parte il ritardo ed alcune residue inadempienze statali - può affermarsi che la nuova delega ed il connesso decreto delegato, soprattutto introducendo un diverso, più corretto criterio per la individuazione delle materie di competenza regionale, hanno fatto giustizia delle illegittime limitazioni apportate all'autonomia delle Regioni dalla precedente legge di delega e dai decreti delegati del 1972 ed hanno costituito un concreto e forse decisivo passo in avanti verso la creazione, in luogo di uno Stato accentrato, di uno Stato decentrato su base regionale.

 

 

LO STATUTO DELLA CALABRIA

Nel quadro generale, rapidamente delineato nel capitolo precedente, dei rapporti Stato-Regioni, va adesso esaminato lo Statuto della Calabria. Bisogna infatti osservare che, se è vero che gli Statuti regionali costituiscono lo strumento del quale le Regioni possono avvalersi per dare effettivi contenuti alla loro autonomia, non è vero che l'azione regionale è condizionata sia dal modo in cui lo Stato (nelle sue varie componenti: Parlamento, Governo, apparato burocratico, Corte costituzionale) intende l'autonomia e, dunque, imposta i suoi rapporti con le Regioni sia dall'incidenza che l'azione stessa riesce a realizzare, a seconda dell'intensità e della coerenza della volontà politica che la sorregge. sulla realtà regionale.

In altre parole, l'autonomia le Regioni non l'hanno conquistata con l'approvazione degli Statuti, come l'esperienza di questi anni ha ampiamente dimostrato. Gli Statuti hanno soltanto posto le premesse perché le Regioni divengano autonome, determinando gli obiettivi da realizzare e predisponendo, al tal fine, le strutture organizzative. Per il resto. l'autonomia va conquistata - con l'impegno e la partecipazione di tutti - giorno per giorno, sul campo.

Ora, a voler rileggere i lavori preparatori dello Statuto calabrese, si ricava la netta impressione che il Consiglio regionale fosse pervaso da un sentito e sincero spirito autonomistico, volesse cioè dare alla Calabria un valido strumento per riscattarsi "dalla sua storica arretratezza".

Il Consiglio regionale iniziò l'esame del progetto di Statuto, predisposto da una apposita commissione composta da soli consiglieri. nella seduta del 22 marzo 1971 e lo concluse, deliberando definitivamente sul progetto, nella seduta del 21 marzo. Successivamente, lo Statuto fu approvato dallo Stato con la legge n. 519 del 1971. Furono giorni di dibattiti, intensi ed appassionati, nel corso dei quali emerse lo sforzo di tutte le parti politiche presenti in Consiglio, pur nelle loro riaffermate differenziazioni ideologiche, "di cogliere"- per esprimerci con le parole del Presidente della Commissione che aveva predisposto il progetto - "le ansie, le aspirazioni e la volontà della Calabria operosa, di trasfonderle nel documento fondamentale su cui poggia la vita del nuovo organismo, di favorirne la concreta realizzazione nel rispetto di metodi democraticamente validi per far conseguire alle popolazioni strumenti consoni ad una forma partecipativa più concreta".

Complessivamente, lo Statuto si compone di 71 articoli suddivisi in 10 titoli: Disposizioni generali; Organi della Regione; Procedimento di formazione delle leggi, dei regolamenti regionali e degli atti amministrativi di interesse generale; Partecipazione popolare; Rapporti con gli enti locali, la Regione e la programmazione; Patrimonio, demanio e finanze; Ordinamento amministrativo; Enti, aziende, società regionali, Revisione dello Statuto.

Una valutazione complessiva dello Statuto porta a notare che il suo schema, tranne che per alcune peculiarità, non si discosta dagli schemi propri degli Statuti delle altre Regioni di diritto comune. A parte alcune disposizioni (sostanzialmente comuni anche agli altri

Statuti) dirette a riaffermare la vitalità dello Statuto regionale in una comunità statale che presentava in alcuni settori, al momento in cui gli Statuti furono discussi e deliberati, caratteristiche notevolmente diverse da quelle proprie del periodo in cui furono votati la Costituzione e gli Statuti speciali (per cui dirsi che gli Statuti rappresentano una "lettura" aggiornata della Costituzione), è da dire, infatti, che lo Statuto enuncia e valorizza essenzialmente i principi della programmazione, della partecipazione popolare e del pieno rispetto dell'autonomia degli enti locali (principi che, peraltro, ritroviamo codificati anche negli altri Statuti). Quanto alla programmazione, essa viene assunta come metodo e strumento volti a realizzare le riforme economiche e sociali e le finalità indicate dalla Costituzione e dallo stesso Statuto; quanto alla partecipazione popolare, essa non è limitata alla predisposizione ed allo svolgimento dei piani regionali di sviluppo ma è estesa anche alla determinazione della politica regionale; quanto, infine, al rispetto della autonomia degli enti locali, Province, Comuni ed altri enti locali sono chiamati a collaborare ed a partecipare all'attività legislativa e politico-amministrativa della Regione. Su tali principi avremo modo di intrattenerci più avanti. Fin d'ora, però, possiamo dire che essi vanno esaminati alla luce della realtà calabrese e non in astratto, in modo da verificarne la validità (che, in assoluto, non può certamente essere contestata) in relazione alla loro concreta attuazione. Sicché la lettura ed il commento dello Statuto non andranno fatti isolatamente bensì tenendo nel debito conto che le sue norme non rappresentano vuote. e talvolta altisonanti, formule - pronte, se si vuole, ad essere piegate ad ogni interpretazione - bensì costituiscono il momento storico di avvio del processo di costruzione di una Calabria (quella. appunto, che esso prefigura), che vuole essere diversa.

I CONTENUTI DELLO STATUTO

A norma dell'articolo 123 della Costituzione, lo Statuto delle Regioni di diritto comune, stabilisce, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, le norme relative all'organizzazione interna della Regione; esso regola, inoltre, l'esercizio del diritto di iniziativa legislativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi delle Regioni e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Le materie ora indicate costituiscono il contenuto necessario (ma non esclusivo) degli Statuti. Infatti, chi leggesse gli Statuti delle Regioni ordinarie ne ricaverebbe l'impressione di trovarsi in presenza di tante mini-costituzioni che. interpretando estensivamente l'articolo 123 della Costituzione, sono andate bene al di là delle indicazioni in esso contenute. E ciò può spiegarsi facilmente, ove si osservi che le istanze autonomistiche, per tanti anni compresse e mortificate, erano improvvisamente esplose nella "fase costituente" delle Regioni, prendendo corpo in una serie di disposizioni amministrative e programmatiche che, almeno in parte. avrebbero potuto essere omesse dagli Statuti senza con ciò togliere nulla ai contenuti dell'autonomia regionale. Va anche detto, però, che il decentramento dello Stato su basi regionali risulta fondato su alcuni principi chiaramente espressi negli Statuti, ma già impliciti nel sistema costituzionale. Va dunque ascritto a merito dei legislatori statutari l'aver dato, esaltando questi principi, attuazione ad una Costituzione, che a quasi un quarto di secolo dalla sua entrata in vigore, sembrava non avesse più la forza di suscitare e far condurre a termine quei processi innovativi che, in essa previsti, la caratterizzano come Carta essenzialmente programmatica.

L'impianto "dello Statuto calabrese non si discosta dallo schema sopra accennato: esso può distinguersi in una parte enunciativa, in una parte organizzativa ed in una parte programmatica. Al tempo stesso, lo Statuto presenta tuttavia alcune peculiarità che valgono a distinguerlo dagli Statuti delle altre Regioni ed, in particolare, da quelli delle Regioni che, per le loro condizioni fisiche e socio-economiche, non possono certamente assimilarsi alla Calabria. Esso e, in altre parole, lo Statuto di una Regione meridionale, del "profondo Sud", caratterizzato per secoli da un acuto isolamento dal resto del Paese, dovuto sia alla sua collocazione geografica sia ad una innata fierezza dei suoi abitanti. Basti pensare, al riguardo, alla particolare attenzione che lo Statuto (assieme, peraltro, agli Statuti della Basilicata, della Campania e della Puglia) pone al fenomeno dell'emigrazione, uno dei suoi più dolorosi problemi della realtà meridionale, sia assumendo come "obiettivo primario" della Regione la piena occupazione per bloccare l'esodo dei lavoratori, e sia impegnando la Regione a promuovere ed adottare particolari programmi per la cura, l'assistenza e l'educazione dell'infanzia, specialmente nelle campagne e nelle zone di più accentuata emigrazione ed, altresì, a promuovere iniziative idonee a realizzare un collegamento con le comunità degli emigrati calabresi all'estero; ed, ancora, al fenomeno degli squilibri territoriali, là dove impegna la Regione a superarli mediante specifiche iniziative in favore delle zone montane e di quelle particolarmente depresse ed un razionale assetto del territorio. Non trascurabile appare anche. sempre nella visione della particolare realtà calabrese, l'impegno della Regione di promuovere, nel rispetto delle proprie tradizioni, la valorizzazione del patrimonio storico. culturale ed artistico delle popolazioni di Origine albanese e greca e di favorire l'insegnamento delle due lingue nei luoghi dove esse sono parlate.

Venendo adesso ad esaminare più da vicino i contenuti dello Statuto, possiamo innanzi tutto notare che esso si compone di 7~ articoli suddivisi in 10 titoli. Avuto poi riguardo alla distinzione. sopra delineata, dello schema statutario in tre parti. avremo che la parte enunciativa è contenuta nel titolo I (Disposizioni generali),' la parte organizzativa nei titoli Il (Organi della Regione), III (Procedimento di formazione delle leggi. dei regolamenti regionali e degli atti amministrativi di interesse generale). IV (Partecipazione popolare), V (Rapporti con gli enti locali). VII (Patrimonio. demanio e finanze), VIII (Ordinamento amministrativo), IX (Enti. aziende, società regionali). X (Revisione dello Statuto): la parte programmatica nel Titolo VI (La Regione e la programmazione), oltre che in alcune enunciazioni contenute nel titolo I.

Di ciascuna di queste parti occorrerà adesso trattare separatamente.

LA REGIONE E L'AUTONOMIA

L'articolo I dello Statuto dispone che la Regione Calabria è autonoma. nell'unità della Repubblica Italiana. e che essa esercita propri poteri e funzioni a norma dello stesso Statuto, secondo i principi e nei limiti della Costituzione. nel rispetto dei valori della Resistenza e dei valori dell’antifascismo che la ispirano.

La chiave di lettura di questa disposizione statutaria va rinvenuta nel concetto di "autonomia". Cosa significa. infatti. "autonomia" ed "autonomia regionale" in particolare'? Va subito detto che il concetto di autonomia è ben diverso da quello di indipendenza. Quest'ultimo. infatti. sta ad indicare la condizione di chi non è soggetto a limitazioni e subordinazioni imposte dall'esterno e gode, pertanto. della più ampia libertà di operare le sue scelte nel modo che ritiene più opportuno. In questo senso, ad esempio. si afferma che lo Stato è indipendente. Il concetto di autonomia sta ad indicare invece, in una accezione non tecnica e molto generica, lo stato di relativa libertà nel determinare le proprie azioni di cui godono alcuni soggetti nei confronti di altri soggetti. Ed in questo senso, ad esempio. si afferma che la Regione è autonoma rispetto allo Stato perché la Costituzione le assegna una sfera di azione propria. entro la quale essa può autodeterminarsi. al riparo da ogni eventuale interferenza da parte dello Stato; al tempo stesso. però. la Regione non è indipendente dallo Stato, perché la Costituzione potrebbe sempre modificare e restringere le sue attribuzioni sino a giungere, in ipotesi. a sopprimere ogni sua forma di autonomia.

Ancor meglio specificando. diremo che la Regione ha avuto, sì, attribuita la potestà di fare leggi ma che questa potestà essa può svolgere soltanto nelle materie ed entro limiti ben precisi. le une e gli altri indicati nella Costituzione; ha avuto attribuita l'autonomia finanziaria, ma sempre nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica; e così via.

Più in particolare, l'autonomia regionale può assumere almeno tre significati ed essere pertanto intesa come: a) autonomia normativa; b) autonomia politica; e) autonomia finanziaria.

L'autonomia normativa designa la potestà di un ente, diverso dallo Stato, di emanare norme giuridiche che entrano a comporre lo stesso ordinamento giuridico statale. E dunque la Regione ha autonomia normativa perché attraverso un suo organo (il Consiglio regionale) può produrre atti (leggi. regolamenti) contenenti norme giuridiche e perché questi atti, anche se la loro efficacia si esaurisce nell' ambito regionale, sono costitutivi del più generale ordinamento giuridico dello Stato.

Per autonomia politica si intende il potere di alcuni enti di darsi un indirizzo politico proprio, anche diverso, in ipotesi, da quello dello Stato. purché naturalmente non in contrasto con i principi di struttura dell'ordinamento costituzionale (per cui gli atti delle Regioni che sono espressione di indirizzo politico devono essere adottati entro i limiti istituzionali che sono loro propri e sono soggetti ai controlli costituzionalmente stabiliti). La rilevanza dell'autonomia politica può intendersi appieno ove si osservi che tale tipo di autonomia è intimamente connesso con i motivi che stanno a fondamento della creazione delle Regioni e del conseguente decentramento dello Stato.

Infatti, se si riconosce che i problemi e gli interessi possono avere natura e dimensione diverse da Regione a Regione, si deve al tempo stesso, e coerentemente, ammettere che ciascuna Regione possa adottare - ove ciò si renda necessario - un indirizzo politico differenziato rispetto a quello dello Stato, al fine di realizzare quella concordia discors che costituisce, in una comunità statale come quella italiana, la migliore garanzia di una effettiva unità nazionale.

L'autonomia finanziaria, infine, consiste nella possibilità delle Regioni di disporre di mezzi finanziari propri, derivanti dal gettito di tributi propri e da parte di tributi erariali. È facile intendere che una effettiva autonomia finanziaria (vale a dire la non dipendenza delle Regioni, in questo campo, dallo Stato) condiziona tutto lo svolgimento delle attività regionali giacché, per perseguire i fini programmati, la Regione deve avere la piena disponibilità dei mezzi finanziari necessari. L'autonomia finanziaria. pertanto, assume - come è stato ben sostenuto (Mortati> - il valore di una pietra angolare del sistema regionale.

Così delineati i vari significati in cui può intendersi il concetto di autonomia, è da dire che la Calabria, al pari di ogni altra Regione italiana, è - secondo la Costituzione ed il suo Statuto - una Regione autonoma, almeno avuto riguardo al profilo formale. Essa, infatti, ha avuto attribuita la potestà legislativa e quella regolamentare. può determinare un proprio indirizzo politico, ha entrate proprie che le assicurano la disponibilità dei mezzi finanziari necessari per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Che l'autonomia della Regione esista anche nei fatti, sia cioè concretamente operante, va invece puntualmente verificato attraverso l'esame sia degli interventi e delle inadempienze dello Stato (comuni, peraltro, a tutte le Regioni). lesivi o limitativi dell'autonomia regionale. sia del modo in cui la Regione stessa ha sinora dato attuazione alla sua potenziale autonomia, oltre che delle occasioni perdute. Verifica che ci proponiamo di svolgere nelle pagine che seguono.

LA REGIONE, LA DEMOCRAZIA E L'EGUAGLIANZA

Una seconda enunciazione statutaria si rinviene nell'articolo 3, a norma del quale "La Regione si ispira ai principi della democrazia e dell'eguaglianza dei cittadini, nel rispetto della dignità della persona umana. Favorisce il più ampio decentramento politico e amministrativo, le autonomie locali e, in armonia con l'articolo 3 della Costituzione, la effettiva partecipazione dei lavoratori all'attività politica, sociale ed economica".

Tale articolo rappresenta la sintesi delle norme contenute negli articoli 1, comma 1, 3 e 5 della Costituzione. La Regione, cioè, quale componente della "Repubblica, fa propri i principi che la Repubblica" pone a fondamento della sua stessa esistenza: la democrazia e l'eguaglianza, dovendosi considerare il decentramento politico ed amministrativo, le autonomie locali e la partecipazione come un modo di essere della democrazia.

Il valore ditali enunciazioni (che si rinvengono, in misura più o meno estesa, anche negli altri Statuti ordinari) è, peraltro, molto relativo. Siamo infatti in presenza di una di quelle disposizioni degli Statuti ordinari che risultano essere ripetitive di principi espressi nella Costituzione e che, per ciò solo, non avrebbero potuto essere disattesi od ignorati dalla Regione nello svolgimento della sua attività e nella predisposizione della sua struttura organizzativa.

E, se mai, si tratta di esaminare se i principi di cui si è detto assumono un particolare significato in relazione a quella articolazione della Repubblica italiana che è data dalla Regione.

Ora che la Regione Calabria si ispiri ai principi della democrazia e dell'eguaglianza dei cittadini è un dato programmatico che può anche apparire scontato, ove si rifletta che, in ogni caso, questi principi non potrebbero essere disconosciuti senza porre la Regione al di fuori della comunità nazionale. Conseguentemente, il significato ditale enunciazione va ricercato altrove, nel contesto di altre norme statutarie.

Una prima domanda da porsi è, dunque, la seguente: quali sono i principi della democrazia ai quali si ispira la Regione'? Appare evidente, al riguardo, che un'espressione del genere non vale, in sé e per sé, a chiarire i termini del problema giacché essa si limita ad un puro e semplice rinvio, senza definire quali siano questi principi. Sarà necessario, pertanto, ricorrere all'ausilio di quelle norme dello Statuto nelle quali i principi di cui si discute sono esplicitati e prendono corpo. Tali norme sono contenute negli articoli 39, 48, 56, lettera z) e 66. Il primo di essi riconosce che la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, alla funzione legislativa ed amministrativa ed al controllo dei pubblici poteri è condizione essenziale per lo sviluppo della vita democratica; a norma del secondo, la Regione riconosce nella partecipazione degli enti locali alla sua attività, anche legislativa e politica-amministrativa, un momento essenziale dell'autonomia e del decentramento politico ed amministrativo e favorisce il potenziamento effettivo della autonomia dei Comuni e delle Province; il terzo impegna la Regione ad assumere iniziative per assicurare un'ampia e democratica informazione, anche in ordine alla organizzazione dei pubblici servizi; il quarto, infine, dispone che la attività amministrativa della Regione è informata ai principi della autonomia e della democrazia, oltre che al più ampio snellimento ed alla pubblicità delle procedure e che la Regione assume, altresì, il decentramento come carattere essenziale della propria Organizzazione amministrativa. Abbiamo dunque che fermi restando i fondamentali istituti democratici, che lo Statuto ha fatto propri (ad esempio, il rispetto dei diritti delle minoranze, il referendum) - quella che potremmo definire la "democrazia secondo la Regione" si articola sulla partecipazione, sul diritto all'informazione, sulle autonomie locali, sul decentramento politico ed amministrativo, sulla democratizzazione dell'attività amministrativa. Ciascuno di questi corollari dell'enunciazione contenuta nell'articolo 3 dello Statuto trova poi più ampio sviluppo - come avremo modo di chiarire più avanti - in altre, specifiche disposizioni statutarie. Qui è soltanto da osservare che a differenza della Costituzione, nella quale la partecipazione, il diritto all'informazione e la democratizzazione della attività amministrativa non trovano un'espressa disciplina e devono, quindi, considerarsi presupposti, lo Statuto della Calabria (al pari, peraltro, di altri Statuti) ha predisposto strumenti e forme per dare concreta attuazione agli istituti in esame. E ciò trova una sua spiegazione nell'intervallo di tempo intercorso tra l'approvazione della Costituzione e quella dello Statuto; intervallo che ha consentito il formarsi di una maggiore consapevolezza circa i modi e le procedure di svolgimento della vita democratica, sollecitata anche dalla crescita della Società civile e da una più matura domanda politica. Ed è ben per questo che gli Statuti delle Regioni ordinarie, oltre a riconfermare la vitalità dell'istituto regionale, vanno interpretati, almeno in alcuni settori, come una lettura aggiornata della Costituzione. L'eguaglianza dei cittadini, nel rispetto della persona umana, alla quale - secondo lo Statuto - anche si ispira la Regione trova, a sua volta, espressione e puntuali riferimenti nelle norme statutarie che impegnano la Regione a realizzare le riforme economiche e sociali (articolo 35) idonee e necessarie per eliminare gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (articolo 3, comma Il, Cost. e, più in particolare, a promuovere ed attuare una politica agraria che consenta il raggiungimento di equi rapporti sociali nelle campagne, assicurando livelli di reddito tali da garantire una esistenza libera e dignitosa (articolo 56 lettera a); a promuovere iniziative e adottare programmi per realizzare il diritto del cittadino all'abitazione e per assicurare alle campagne tutti i servizi sociali (articoli 56. lettera h); operare per il superamento degli squilibri nell'ambito della Regione stessa assumendo specifiche iniziative in favore delle zone montane e di quelle particolarmente depresse (articolo 56, lettera 1); ad assicurare, nell'ambito delle sue competenze, il diritto allo studio, mediante la rimozione delle cause che ne limitano e ne impediscono l'effettivo esercizio (articolo 56, lettera n); a promuovere l'adozione di piani intesi a realizzare un sistema di sicurezza sociale al fine di conseguire una efficiente organizzazione per la tutela della salute del cittadino (articolo 56 lettera s); ad operare, infine, per rimuovere tutte le cause di carattere sociale economico e culturale che impediscono il pieno inserimento della donna nelle attività produttive (articolo 56, lettera u).

Questa somma di obiettivi da raggiungere, di largo respiro politico e sociale, prefigura - come si può bene notare - un nuovo e diverso assetto della realtà calabrese, nelle sue varie e peculiari componenti. Essa costituisce un programma di azione ambizioso. se si vuole. ma razionale e coerente ed indica con chiarezza verso quali fini dovrebbe essere orientata la spinta innovatrice della Regione. Di modo che quando - con il concorso dello Stato, per la parte che gli compete, ma soprattutto con l'impegno e la ferma volontà dei calabresi - tale programma sarà interamente realizzato, potrà allora affermarsi, con sicura coscienza, che la Regione avrà risposto sino in fondo alle ferventi aspettative che la sua creazione ha fatto legittimamente sorgere.

GLI ORGANI DELLA REGIONE

Gli obiettivi ed i fini programmati nello Statuto abbisognano, per poter essere realizzati, di idonee strutture organizzative, vale a dire di un apparato che potremmo definire, in senso lato, di governo, al quale affidare il compito di predisporre gli strumenti opportuni e necessari per trasformare un programma di azione in risultati concreti. E poiché questi strumenti sono, essenzialmente, la legge e l'atto amministrativo, è agli organi cui spetta di emanare l'una o l'altro che dobbiamo adesso rivolgere la nostra attenzione.

Occorre premettere, al riguardo. che gli organi di cui si discute sono indicati nella Costituzione, il cui art. 121 dispone che "sono organi della Regione il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente"; con la conseguenza che gli Statuti delle singole Regioni non possono né sopprimere uno ditali organi né aggiungerne altri. La Costituzione, inoltre, determina essa stessa le attribuzioni del Consiglio, della Giunta e del suo Presidente; demanda ad una legge della Repubblica di stabilire il sistema di elezione, il numero ed i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali; stabilisce l'incompatibilità fra l'ufficio di consigliere regionale e quello di deputato o senatore o di consigliere di altra Regione; dispone che il Consiglio elegge nel suo seno un presidente ed un ufficio di presidenza per i propri lavori; concede ai consiglieri regionali la prerogativa dell'insindacabilità per i voti dati e le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni; prescrive che il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio regionale tra i suoi componenti.

Tuttavia, pur sempre entro le maglie delle inderogabili disposizioni costituzionali ora ricordate, rimane alle singole Regioni un certo margine di autonomia organizzatoria, cosicché queste hanno potuto inserire nei loro Statuti norme sia esecutive e sia integrative delle disposizioni costituzionali per adeguarle alle proprie, particolari condizioni ed esigenze. La Costituzione, cioè, ha predisposto uno schema organizzativo comune a tutte le Regioni, articolato sui tre organi che formano l'apparato di governo, ma ha, al tempo stesso, consentito che ciascuna Regione completasse questo schema mediante la previsione statutaria di norme relative alla organizzazione ed alle attribuzioni delle fondamentali strutture di governo, oltre che al modo di disciplinare i rapporti tra gli organi che le compongono. Infatti, le disposizioni costituzionali che riguardano il Consiglio regionale, la Giunta ed il suo Presidente si limitano a prevedere le funzioni essenziali ditali organi, quelle cioè indefettibili, che essi devono necessariamente esercitare; ma, se nel caso del Consiglio e del Presidente della Giunta tali funzioni appaiono insufficientemente specificate, nel caso della Giunta, invece, la locuzione prescelta "La Giunta è l'organo esecutivo delle Regioni" si presta per la sua genericità a più di una interpretazione, cosicché è spettato agli Statuti determinare, anche in relazione ai rapporti Giunta-Consiglio, quali siano le funzioni esecutive della Giunta.

V'è anche da osservare che la previsione costituzionale degli organi regionali non esclude che la Regione, nel suo Statuto o nelle sue leggi, istituisca altri organi, facenti parte dell'apparato di governo oppure a questo estranei. Al riguardo ci si è chiesto se gliassessori regionali siano organi esterni e, dunque, organi della Regione ovvero organi interni alla Giunta, per cui unico organo esecutivo regionale, a livello di strutture centrali, resterebbe la Giunta. Infatti, l'art. 122 Cost., nella parte in cui (ultimo comma) menziona i "membri della Giunta", si presta all'una ed alla altra interpretazione. Va subito detto, però, che lo Statuto della Calabria ha disposto (art. 17) che "la Giunta opera collegialmente" e non ha, di conseguenza, attribuito alcuna competenza esterna agli assessori. Gli assessori della Regione Calabria, pertanto, non sono da annoverare tra gli organi regionali ma entrano soltanto a comporre, assieme al Presidente, la Giunta regionale.

IL CONSIGLIERE REGIONALE

Il Consiglio regionale è il massimo organo deliberativo-rappresentantivo della Regione ed è eletto dal corpo elettorale regionale secondo un sistema che la Costituzione (art. 122, comma I) demanda ad una legge della Repubblica di stabilire. Il sistema elettorale dei Consigli delle Regioni di diritto comune è disciplinato dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108, a norma della quale "I consigli regionali delle regioni a Statuto normale sono eletti a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti "e". L'assegnazione dei seggi alle liste concorrenti è effettuata in ragione proporzionale, mediante riparto nelle singole circoscrizioni e recupero dei voti residui nel collegio unico regionale".

Sempre la Costituzione (art. 122, comma III) dispone che il Consiglio elegge nel suo seno un Presidente ed un ufficio di presidenza per i propri lavori e (art. 126) disciplina i casi e le modalità di scioglimento dei Consigli.

Quanto al numero dei consiglieri regionali, a norma dell'art. 2 della legge n. 108 del 1968 esso è determinato in ragione della popolazione della Regione sulla base dell'ultimo censimento generale della stessa (80 membri delle Regioni con più di 6 milioni di abitanti, 60 nelle Regioni con più di 4 milioni di abitanti, ecc.) cosicché il Consiglio regionale della Calabria, Regione la cui popolazione risultava essere nel censimento del 1971 superiore ad un milione, ha oggi 40 consiglieri.

Il Consiglio regionale dura in carica cinque anni, a decorrere dalla data della elezione (art. 3, legge n. 108 del 1968); non può essere sciolto secondo quanto dispone l'art. 126 quando compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, o non corrisponda all'invito del Governo di sostituire la Giunta o il Presidente, che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni. Può essere altresì sciolto quando. per dimissioni o per impossibilità di formare una maggioranza. non sia in grado di funzionare O per ragioni di sicurezza nazionale. Lo scioglimento è disposto con decreto motivato dal Presidente della Repubblica. sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Col decreto di scioglimento è nominata una Commissione di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, che indice le elezioni entro tre mesi e provvede all'ordinaria amministrazione di competenza della Giunta ed agli atti improrogabili. da sottoporre alla ratifica del nuovo Consiglio.

Come si può notare. la Costituzione e le leggi della Repubblica alle quali essa rinvia, dettando norme sul sistema di elezione. sul Presidente e sull'Ufficio di Presidenza e sui casi e sulle modalità di scioglimento del Consiglio. hanno voluto assicurare, in queste materie, una disciplina uniforme per tutti i Consigli delle Regioni di diritto comune ma. al tempo stesso e di conseguenza. hanno ristretto i margini di intervento degli Statuti regionali. Gli Statuti. infatti. si limitano a porre alcune norme sulla organizzazione interna dei Consigli. materia questa che. peraltro, non poteva essere regolata nella Costituzione o nelle leggi della Repubblica senza violare l'autonomia delle singole Regioni.

Al riguardo, lo Statuto della Calabria dispone in ordine alla Convocazione del Consiglio (art. 5) e ed alla sua prima adunanza (art. 6), alla elezione del Presidente e dell'ufficio di presidenza (art. 7) ed alle loro competenze (articolo 13). ai gruppi ed alle Commissioni consiliari (artt. 12 e 14). al regolamento del Consiglio ed all'autonomia funzionale. organizzativa e contabile dello stesso (art.11).

L'Ufficio di presidenza risulta costituito dal Presidente, da due vice presidenti e da due segretari, che durano in carica 30 mesi. e sono rieleggibili. Il presidente e l'ufficio di presidenza garantiscono e tutelano le prerogative ed i diritti dei Consiglieri; assicurano il rispetto dei diritti delle minoranze; mantengono i rapporti con i capi gruppo consiliari.

I gruppi consiliari sono costituiti dai consiglieri i quali come meglio specifica il regolamento del Consiglio - devono. entro cinque giorni dalla prima seduta dopo le elezioni, dichiarare per iscritto all'Ufficio di presidenza a quale gruppo consiliare intendono appartenere. I gruppi sono composti da uno o più membri.

A loro volta. le commissioni consiliari sono soltanto previste nello Statuto che rinvia al regolamento consiliare per la loro istituzione e composizione. Detto regolamento dispone che, subito dopo la propria costituzione. ciascun gruppo consiliare procede alla designazione dei propri rappresentanti nelle commissioni permanenti, ripartendoli in numero eguale nelle quattro commissioni (Politica istituzionale. bilancio e programmazione. Politica economica, Politica sociale) da esso istituite e che il Presidente del Consiglio ripartisce tra le diverse commissioni. su indicazione dei gruppi. i consiglieri che non risultano designati dopo tale ripartizione e quelli che appartengono a gruppi la cui consistenza numerica è inferiore al numero delle commissioni. in modo che ciascuno di essi abbia almeno un rappresentante in ciascuna Commissione. lì regolamento. che il Consiglio a norma di Statuto - deve approvare a maggioranza assoluta dei suoi componenti. contiene una serie di disposizioni normative dirette a disciplinare la procedura per lo svolgimento delle funzioni consiliari. l'organizzazione interna del Consiglio. i rapporti di quest'organo con la Giunta e con gli estranei che vengono ammessi nei locali del Consiglio sia per assistere alle sedute, sia per accedere negli uffici o per collaborare con il Consiglio nell'esercizio di alcune sue funzioni. L'autonomia funzionale. organizzativa e contabile (quest'ultima. peraltro. riconosciuta a tutti i Consigli delle Regioni a Statuto ordinaria dall'art. 4 della legge 6 dicembre ~73, n. 853). infine, costituisce una diretta conseguenza della più generale posizione di autonomia della Regione e pone il Consiglio regionale nella condizione di esercitare le sue funzioni senza alcun vincolo o controllo esterno (tranne. ovviamente, quelli costituzionalmente previsti)

I CON5IGLIERI REGIONALI

Dopo avere esaminato la struttura e la posizione giuridica del Consiglio regionale dobbiamo adesso occuparci dei componenti questo organo, i consiglieri. Va subito detto, al riguardo. che alcune norme relative ai consiglieri regionali sono contenute nella Costituzione ed in leggi della Repubblica. Già si è detto, del resto. che l'articolo 122 comma I, della Costituzione. demanda ad una legge della Repubblica di stabilire il sistema di elezione, il numero ed i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali e che la legge n. 108 del 1968 ha disposto che l'elezione avvenga secondo il sistema proporzionale. La stessa legge ha poi stabilito i casi di ineleggibilità e di incompatibilità. Quanto ai primi. sono ineleggibili a consigliere regionale. tra gli altri. i ministri ed i sottosegretari di Stato, i giudici ordinari della Corte costituzionale ed i membri del Consiglio superiore della magistratura, il Capo della polizia. i commissari del Governo ed i prefetti, gli ufficiali delle forze armate in servizio permanente, i segretari generali delle amministrazioni provinciali, coloro che ricevono uno stipendio o salario dalla Regione, i titolari ed amministratori di imprese private che risultano vincolati con la Regione per contratti di opere o di somministrazione. Le ragioni ditali cause ineleggibilità (e delle altre che per brevità si omette di citare) vanno rinvenute nell'opportunità politica di evitare qualsiasi interferenza nello svolgimento delle elezioni da parte di chi ricopre determinati uffici od è in rapporti di affari con la Regione, in modo da assicurare anche la massima indipendenza degli eletti nello svolgimento del loro mandato.

Quanto ai casi di incompatibilità. la legge sopra citata dispone che l'ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quell9 di membro di una delle Camere o di altro Consiglio regionale (secondo quanto già disposto dall'articolo 122 Cost.), del Consiglio nazionale della economia e del lavoro. di presidente e di assessore di Giunta provinciale e di sindaco o di assessore dei Comuni compresi nella Regione nonché di amministratore di un ente pubblico o di una azienda pubblica, finanziata anche soltanto in parte dallo Stato. dipendente dalla Regione. Anche in questi casi. ragioni di Opportunità politica hanno consigliato che chi ricopre un determinato ufficio e viene eletto consigliere regionale non eserciti contemporaneamente le due funzioni, di modo che l'eletto deve optare tra l'uno e l'altro ufficio.

Ai consiglieri regionali è attribuito un determinato status a norma della Costituzione e dei singoli Statuti. La Costituzione dispone al riguardo (articolo 122, comma IV) che i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio (l'articolo 8. comma I, dello Statuto della Calabria aggiunge "ed a causa") delle loro funzioni. e ciò si spiega ove si pensi alla natura delle funzioni consiliari ed alla necessità che esse vengano esercitate al riparo da ogni interferenza esterna e da ogni indebita pressione. I Consiglieri regionali non godono, invece, della c. d. "immunità penale" prevista dalla Costituzione soltanto nei confronti dei parlamentari (e consistente nella necessità di richiedere alla Camera alla quale essi appartengono, e di ottenere, una apposita autorizzazione per poter procedere a limitazioni della loro libertà personale e domiciliare o proseguire un giudizio penale nei loro confronti) e non estensibile, in quanto istituto eccezionale, anche ai membri del Consiglio. Fondamento costituzionale - anche se implicito - sembra avere, al contrario, il divieto di mandato imperativo, applicabile all'esercizio delle funzioni consiliari, data la natura politica dell'organo. rappresentativo dell'intera comunità regionale. L'articolo 1 della legge n. 108 del 1908 ha, in Ogni modo. disposto che i consiglieri rappresentano l'intera Regione senza vincolo di mandato (e la medesima formula è riprodotta nell'articolo 8. comma I. dello Statuto della Calabria).

Alle norme sopra ricordate, valevoli per i consiglieri di tutte le Regioni di diritto comune, vanno aggiunte, per quel che a noi più interessa, quelle contenute nello Statuto della Calabria, il quale (all'articolo 8) attribuisce ai Consiglieri determinati "diritti", ed in particolare: il diritto di interrogazione, di interpellanza e di mozione ed il diritto di ottenere copia dei provvedimenti della Regione, degli enti e delle aziende da essa dipendenti, e di conoscere i relativi atti preparatori, nonché ogni altro atto del loro ufficio. Ditali "diritti" può soltanto dirsi, in questa sede, che essi hanno per oggetto gli strumenti di controllo o di controllo-informazione (interrogazioni ed interpellanze) e di indirizzo (mozioni) e dei quali si avvalgono, nelle forme di governo parlamentare, gli eletti per controllare l'attività del potere esecutivo (Governo. Giunta ed organi da essi dipendenti) e per avere, al fine di potere esercitare il controllo, notizie su tale attività. E, se mai, la novità (prevista, peraltro, anche in altri Statuti regionali) è costituita dal "diritto" dei consiglieri di ottenere - sempre al fine di potere esercitare la loro funzione di controllo copia dei provvedimenti di cui si è detto e di conoscere i relativi atti preparatori. "Diritto", questo, che, nella forma di governo delineata negli Statuti per le Regioni di diritto comune, si ricollega strettamente al ruolo svolto dal Consiglio regionale in quanto organo che - come meglio si dirà in seguito - ha avuto attribuito un preminente potere di indirizzo politico.

L'articolo 9 dello Statuto, infine, dispone che ai consiglieri regionali sono attribuiti, con legge regionale, il rimborso delle spese ed indennità, il cui ammontare è determinato in relazione alle funzioni ed alle attività svolte in Consiglio. La misura del rimborso delle spese e delle indennità spettanti ai consiglieri regionali è stata determinata dalle leggi regionali 10 novembre 1972, n. 6, 29 aprile 1975, n. 14,10 settembre 1978, n. 15 e 10 settembre 1978, n. 17. In particolare, ai consiglieri regionali viene corrisposta, a titolo di funzione, una somma mensile lorda, per dodici mensilità annuali, pari ad una percentuale della indennità mensile lorda spettante ai membri del Parlamento nazionale. nella seguente misura:

a) 100/100 al Presidente del Consiglio;

b) 80/100 ai vice presidenti del Consiglio ed al Presidente della Commissione per il piano di sviluppo regionale;

c) 70/100 ai segretari del Consiglio ed ai Presidenti defle Commissioni consiliari e del Collegio dei revisori dei conti;

d) 65/100 ai vice presidenti delle Commissioni consiliari;

e) 63/100 ai segretari delle Commissioni consiliari;

f> 60/100 ai consiglieri regionali.

La Regione Calabria. inoltre, ha istituito, con la legge 15 dicembre 1972, n. 8 (e successive modificazioni). "un Fondo di previdenza dei consiglieri cessati dal mandato" per il pagamento di assegni vitalizi mensili ai consiglieri cessati dal mandato e che si trovino in determinate condizioni (compimento del 60 anno di età ed esercizio del mandato per un periodo di almeno 5 anni, inabilità al lavoro permanente, ecc.).

LA GIUNTA REGIONALE

Secondo quanto dispone l'articolo 17 dello Statuto della Calabria, la Giunta regionale è composta dal Presidente e da un numero di assessori non inferiori ad otto e non superiore a dodici. Sempre secondo lo Statuto (articolo 18), che in ciò dà attuazione all'articolo 122, comma V. Cost., il Presidente ed i membri della Giunta sono eletti dal Consiglio, e (aggiunge lo Statuto) con votazione palese. La elezione avverrà invece a scrutinio segreto (articolo 18, comma V) allorché ciò sia richiesto e approvato. per alzata e seduta, dalla maggioranza dei consiglieri assegnati e la richiesta sia approvata prima dell'inizio delle votazioni.

Come si può notare, né la Costituzione né lo Statuto determinano il numero degli assessori, quest'ultimo limitandosi a stabilire un numero massimo ed un numero minimo (ed è qui da osservare che - tra gli Statuti ordinari - soltanto quelli dell'Abruzzo, della Basilicata, della Puglia e dell'Umbria prevedono un numero fisso d’assessori), cosicché il Consiglio può, entro i limiti indicati dallo Statuto, adeguare volta per volta il numero degli assessori alle effettive esigenze dell'amministrazione regionale. E facile intendere che, in tal modo, viene accentuato il potere del Consiglio rispetto alla Giunta, spettando al Consiglio di valutare di quanti assessori abbia bisogno l'esecutivo regionale per assicurare il buon andamento dell'amministrazione.

Principio comune a tutte le Giunte delle Regioni a Statuto ordinario è che la Giunta esercita le sue funzioni collegialmente e dunque - come si è già avuto modo di notare - che gli assessori non sono organi della Regione. Tuttavia la Giunta della Regione Calabria, a norma dell'articolo 17 dello Statuto, si organizza al suo interno in dipartimenti per settori omogenei e ciò a cura del suo Presidente nel momento in cui ripartisce tra i suoi componenti gli incarichi.

La creazione dei dipartimenti per settori omogenei (previsti espressamente, tra le altre Regioni, soltanto in Abruzzo) costituisce un apprezzabile modello organizzativo poiché consente un, più organico e razionale svolgimento dell'attività amministrativa. E da dire, però, che anche gli Statuti di altre Regioni (in particolare Basilicata, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Piemonte) prevedono che le funzioni della Giunta vengano ordinate organicamente per gruppi o settori di materie, secondo una tendenza che, peraltro, va ormai affermandosi, e sia pure lentamente, anche nell'amministrazione centrale dello Stato. Attualmente, la Giunta regionale della Calabria, a norma degli articoli i e 2 della legge regionale 2 maggio 1978, n. 3, è strutturata nei seguenti dipartimenti: Assetto ed utilizzazione del territorio; Sviluppo economico; Servizi sociali. Il dipartimento, per i settori di propria competenza, assolve compiti che attengono alla elaborazione dei piani, dei programmi e delle iniziative legislative, formula le proposte per gli atti deliberativi, svolge inoltre tutta una serie di attività inerenti alla programmazione regionale; cura, infine, tutti gli atti necessari per l'esecuzione ed il coordinamento, nella fase attuativa, dei programmi approvati dagli organi regionali.

L'elezione del Presidente e dei membri della Giunta è una operazione complessa che consta di due momenti. L'articolo 18 dello Statuto dispone, infatti, che l'elezione è preceduta: a) da un dibattito politico; b) dalla determinazione del numero degli assessori da eleggere con votazione palese ed a maggioranza dei consiglieri assegnati alla Regione; C) dalla presentazione da parte di uno o più gruppi consiliari di proposte politico-programmatiche accompagnate dalla indicazione dei candidati alla Presidenza ed alla Giunta.

Successivamente, con l'intervento di almeno i due terzi dei consiglieri assegnati alla Regione ed a maggioranza assoluta dei voti. si procede alla elezione, per appello nominale, del Presidente della Giunta e con votazione separata, sempre per appello nominale, alla

elezione dei singoli componenti la Giunta. Qualora non si raggiunga la presenza dei due terzi dei consiglieri in carica o non si consegua la maggioranza assoluta dei voti, la votazione viene rinviata ad una successiva seduta, da tenersi entro otto giorni. nella quale si procede- sempre per appello nominale - alla votazione di cui sopra. purché sia presente la metà più uno dei consiglieri in carica. Qualora anche in tali ulteriori votazioni non si raggiunga la maggioranza assoluta dei voti. si procede a votazioni di ballottaggio. Vengono proclamati eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti ed. a parità di voti, il più anziano di età. Come si può notare, il Presidente della Giunta e gli assessori vengono eletti con votazioni separate, per appello nominale ed a maggioranza assoluta dei voti, tranne che - qualora anche nella seconda votazione non si raggiunga tale maggioranza - non si renda necessario ricorrere a votazioni di ballottaggio. in modo da assicurare comunque l'elezione della Giunta e da evitare lo scioglimento del Consiglio, a norma dell'articolo 126 Cost. Ma qui importa mettere in rilievo anche la fase antecedente alla elezione (comune a tutte le Regioni di diritto comune), nel corso della quale si svolge un dibattito politico. si determina il numero degli assessori da eleggere ed i gruppi consiliari presentano le proposte politico-programmatiche accompagnate dalla indicazione dei candidati alla presidenza ed alla Giunta. Lo svolgimento di tale fase sottolinea, infatti, che in tanto il Consiglio elegge la Giunta in quanto ha preventivamente approvato le proposte politico-programmatiche presentate dai gruppi consiliari di maggioranza e strettamente collegate ai nomi del Presidente e degli assessori, che a tali proposte saranno chiamati a dare attuazione. Pertanto. la fiducia dell'assemblea elettiva nei confronti dell'organo esecutivo precede - nelle Regioni di diritto comune - la formazione dell'esecutivo, e non la segue, come invece avviene nel rapporto Parlamento-Governo e si esprime non con l'approvazione di una apposita mozione bensì con l'elezione stessa della Giunta, elezione di cui la precedente approvazione delle proposte politico-programmatiche costituisce un elemento condizionante ed integrante.

La Giunta e il suo Presidente rimangono in carica sino alla elezione del nuovo Presidente e della nuova Giunta (articolo 19 Statuto). Tuttavia il Presidente e la Giunta cessano dalla carica in seguito a proposta di revoca approvata a maggioranza dei consiglieri assegnati alla Regione. La proposta di revoca deve essere motivata e sottoscritta da almeno un quinto dei consiglieri assegnati alla Regione e deve essere posta in discussione entro trenta giorni dalla presentazione. La revoca può riguardare non l'intera Giunta ma solo uno o alcuni dei suoi componenti (articolo 20 Statuto). Altre cause di cessazione della Giunta o del suo Presidente possono essere date dalle dimissioni volontarie (che hanno effetto solo dopo che il Consiglio ne ha preso atto) (articolo 19 Statuto) e della riduzione della Giunta ad almeno la metà dei suoi componenti (articolo 24 Statuto). Come si deduce dallo Statuto (articolo 21 e 22), le dimissioni o la cessazione dalla carica, per qualsiasi causa. del Presidente della Giunta non determinano la cessazione dalla carica dell'intera Giunta. In tale ipotesi, infatti, le funzioni del Presidente della Giunta sono temporaneamente esercitate dal Vice Presidente, limitatamente agli affari di ordinaria amministrazione.

Dopo la scadenza del Consiglio, l'approvazione della proposta di revoca od il voto del Consiglio sulle dimissioni, la Giunta ed il suo Presidente provvedono solo agli affari di ordinaria amministrazione sino alla elezione del nuovo Presidente e della nuova Giunta (articolo 19 Statuto).

IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA E GLI ASSESSORI

L'articolo 17 dello Statuto dispone che la Giunta opera collegialmente. Tuttavia, lo stesso Statuto riserva al Presidente della Giunta alcune specifiche attribuzioni. Iniziando dall'esame delle attribuzioni riferibili a tale organo quale Presidente dell'organo collegiale Giunta regionale avremo che il Presidente: a) ripartisce tra i componenti la Giunta gli incarichi, raggruppandoli in dipartimenti per settori omogenei (articolo 17); b) trasmette al Presidente del Consiglio regionale le dimissioni dei singoli assessori (articolo 21); c) informa il Presidente del Consiglio regionale della cessazione dalla carica di un assessore (articolo 23); d) convoca e presiede la Giunta regionale, ne fissa l'ordine del giorno e ne dirige e coordina l'attività (articolo 29 lettera d); e) presenta al Consiglio il bilancio ed il conto consuntivo predisposti dalla Giunta (articolo 29, lettera h).

Dal complesso di tali attribuzioni risulta che lo Statuto, pur affermando il principio della collegialità, assegna al Presidente della Giunta una posizione di preminenza nei confronti degli altri componenti la Giunta, allorché dispone sia che, in caso di parità di voti nelle deliberazioni della Giunta (che devono essere assunte con l'intervento della maggioranza dei componenti in carica ed a maggioranza di voti) prevale il voto del Presidente (articolo 25) e sia che - come si è già detto - spetta al presidente di ripartire tra i componenti la Giunta gli incarichi. raggruppandoli in dipartimenti per settori omogenei (articolo 17, comma 1). D'altra parte. bisogna pure osservare che la preminenza del Presidente, concretamente verificabile nei due casi sopra esaminati, non può essere estesa sino a coinvolgere l'intera sua posizione giuridica, che resta quella di un primus inter pares, proprio. in generale. dei presidenti degli organi collegiali. A conferma ditale assunto sta la mancanza nello Statuto calabrese (a differenza che in altri Statuti) di alcuna disposizione che imponga le dimissioni dell'intera Giunta nel caso di dimissioni (o. comunque. di cessazione dalla carica) del Presidente, come anche chiaramente si deduce, peraltro, dall'espressa previsione (contenuta nell'articolo 22) che, in caso di cessazione, per qualsiasi causa. dalla carica del Presidente della Giunta. le relative funzioni sono temporaneamente esercitate dal vice Presidente, limitatamente agli affari di ordinaria amministrazione.

Per un'altra serie di attribuzioni. invece, il Presidente della Giunta assume la posizione di capo dell'ente Regione ed, in tale veste. rappresenta la Regione all'esterno. come peraltro è detto nello stesso Statuto, all'articolo 29. lettera a). Spetta infatti al Presidente della Giunta di promulgare le leggi ed i regolamenti regionali e di indire i referendum previsti dallo Statuto (articolo 29 lettera b); di sottoscrivere gli atti della Regione (articolo 29 lettera e); di rappresentare in giudizio la regione e di promuovere davanti all'autorità giudiziaria le azioni cautelari e possessorie, riferendone alla Giunta nella prima adunanza (articolo 29 lettera g). Altre attribuzioni, inerenti alla sua posizione di capo dell'ente Regione, vengono conferite al Presidente della Costituzione e dalle leggi dello Stato. Ad esempio. è il Presidente della Giunta a promuovere, previa deliberazione della Giunta regionale. la questione di legittimità innanzi alla Corte costituzionale nei confronti di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato (articolo 2, comma 1. legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 32, comma Il, legge Il marzo 1953. n. 87) o della legge di un'altra Regione (articolo 2, comma lì. legge Cost. n. 1 del 1948 e 33, comma Il. legge n. 87 del 1953) che la Regione ritenga abbiano invaso la sfera di competenza ad essa assegnata dalla Costituzione o da leggi costituzionali; ed è ancora il Presidente della Giunta, in seguito a deliberazione della Giunta stessa, a proporre ricorso innanzi alla Corte costituzionale qualora la Regione ritenga che un atto non legislativo dello Stato abbia invaso la sfera di competenza ad essa assegnata dalla Costituzione (articolo 39, comma I, legge n. 87 del 1953). Inoltre, i Presidenti delle Giunte regionali sono chiamati a partecipare alle riunioni del Comitato interministeriale per la programmazione economica quando vengano trattati problemi che interessino le rispettive Regioni (articolo 16, comma IX. legge 27 febbraio 1967. n. 48) ed i Presidenti delle Giunte delle Regioni meridionali entrano a comporre il comitato dei rappresentanti delle Regioni meridionali al quale l'articolo 9 della legge 6 marzo 1978. n. 218, attribuisce funzioni consultive in ordine alla determinazione delle linee direttive dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno.

In una sua terza veste. quella di capo dell'amministrazione regionale, il Presidente della Giunta della Calabria sovraintende agli uffici ed ai servizi regionali anche a mezzo dei membri della Giunta, limitatamente al ramo di amministrazione al quale ciascuno è preposto (articolo 29 lettera f dello Statuto. È qui da notare che, a norma dell'articolo 27, lettera I dello Statuto, è invece la Giunta a sovraintendere, in esecuzione degli indirizzi e delle direttive determinate dal Consiglio regionale, alla gestione dei servizi pubblici regionali e degli enti, imprese, ed aziende dipendenti dalla Regione od a partecipazione regionale. Spetta infine al Presidente della Giunta - quale organo della Regione - di dirigere le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale (articolo ~1, comma IV. Cost.), mentre altre attribuzioni sono conferite al Presidente o da leggi dello Stato (v., ad esempio, articoli Il legge n. 805 del 1971; 14 legge n 10 del 1977; 3 D.P.R. n. 8 del 1972; 106, comma I, D.P.R. n. 616 del 1977; 14 D.P.R. n. 616 del 1977) o, per quanto riguarda più specificamente il Presidente della Giunta della Calabria, da leggi della Regione (v., ad esempio. articoli 26 legge regionale n. 31 del 1975; n. 57 e 59 legge regionale n. 9 del 1975; 8 legge regionale n. 2 del 1975; 7 legge regionale o. 31 del 1975; ecc.).

Per quel che riguarda. poi. gli assessori regionali, è qui da confermare che essi non sono organi esterni della Regione e che, nel pieno rispetto del principio di collegialità che deve presiedere all'attività della Giunta, lo Statuto della Calabria (a differenza di altri Statuti) non ha previsto il sistema delle deleghe di funzioni ai singoli assessori da parte del Presidente della Giunta (anche se - nonostante il silenzio degli Statuti in materia - tali deleghe sono state, in alcune Regioni, ritenute ammissibili, purché vengano conferite con legge). Gli assessori, pertanto. non sono organi esterni della Regione e la loro attività è soltanto istruttoria o preparatoria delle deliberazioni collegialmente assunte dalla Giunta. Siffatta posizione degli assessori, del resto, è stata confermata dall'articolo 5 della legge regionale 2 maggio 1978, n. 3. a norma del quale gli assessori di ciascun dipartimento sono collegialmente responsabili del funzionamento e della direzione del dipartimento e sottopongono unitariamente alla Giunta regionale le singole proposte e gli atti deliberativi, oltre che da alcune decisioni del T.A.R. della Calabria.

Infine, le indennità che l'articolo 26 dello Statuto prevede a favore del Presidente della Giunta e degli assessori sono state stabilite dalla legge regionale 10 novembre 1972, n. 6 (e successive modifiche> nella seguente misura: 100/100 della indennità mensile lorda spettante ai membri del Parlamento nazionale al Presidente della Giunta; 80/100 della stessa indennità agli assessori.

I RAPPORTI TRA IL CONSIGLIO E LA GIUNTA

Il modo in cui vengono disciplinati i rapporti tra il Consiglio e la Giunta vale a configurare quello che si definisce la (<forma di governo regionale>.

Si deve qui primieramente ricordare, a questo riguardo, che come si è già avuto modo di osservare - in seguito alla elezione della Giunta da parte del Consiglio si instaura tra i due organi un rapporto fiduciario. Ciò implica una responsabilità politica della Giunta e dei suoi singoli componenti nei confronti del Consiglio, responsabilità che quest'organo, nel caso in cui ritenga che l'attività della Giunta o dei singoli assessori non risponda all'indirizzo politico da esso deliberato, può far valere con l'approvazione di una mozione di revoca (espressamente denominata "mozione di sfiducia" negli Statuti del Piemonte, della Liguria e del Molise>, provocando in tal modo l'immediata decadenza della Giunta o degli assessori dall'ufficio.

L'organizzazione delle Regioni di diritto comune (così come essa risulta delineata negli Statuti) ha accentuato, peraltro facendo leva sull'articolo 121, comma III Cost. (a norma del quale la Giunta è l'organo esecutivo delle Regioni>. i poteri di indirizzo politico-amministrativo del Consiglio, attribuendo alla Giunta, prevalentemente, funzioni esecutive della volontà consiliare. Di fatto è però avvenuto che l'organizzazione costituzionale delle Regioni (o, almeno, della gran parte di esse) si sia modellata in modo da consentire il recupero da parte della Giunta, nei confronti del Consiglio. del potere di indirizzo politico-amministrativo, recupero favorito anche dalla propensione del Governo (confortato da alcune disposizioni legislative) di "trattare "direttamente con la Giunta con il suo Presidente e dalla maggiore omogeneità politica della Giunta stessa. Le stesse norme statutarie non escludono, ad Ogni modo, che l'attività di direzione politica venga svolta dal raccordo Consiglio-Giunta o, in altre parole, che anche la Giunta eserciti poteri di indirizzo. Già il modo di formazione dell'organo (che vede l'elezione preceduta da un dibattito politico e dalla approvazione di un documento programmatico) presuppone il costituirsi di una maggioranza di governo di cui la Giunta è l'espressione. Inoltre, i poteri della Giunta sono non solo di mera esecuzione ma anche di promozione e di iniziativa. Basti pensare, a questo riguardo, al potere di iniziativa delle leggi e dei regolamenti regionali (attribuito alla Giunta della Calabria degli articoli 31 e 38 dello Statuto), al potere di iniziativa dei provvedimenti amministrativi di competenza del Consiglio (articolo 38 dello Statuto della Calabria), al potere di predisporre il bilancio preventivo ed il conto consuntivo e di deliberare sui ricorsi per illegittimità costituzionale e per conflitti di attuazione presso la Corte Costituzionale (articolo 27, lettere C e E dello Statuto della Calabria). Occorre comunque osservare che lo Statuto della Calabria - a differenza di altri Statuti ordinari -prevede uno stretto collegamento tra l'attività della Giunta e quella del Consiglio laddove, ad esempio, richiede che la predisposizione del piano regionale di sviluppo economico, del piano urbanistico, del piano di difesa del suolo e degli altri piani regionali da parte della Giunta avvenga sulla base degli indirizzi e delle scelte fissati dal Consiglio (articolo 27, lettera h) o dispone che la Giunta sovrintende alla gestione dei servizi pubblici regionali e degli enti, imprese ed aziende dipendenti dalla Regione od a partecipazione regionale, in esecuzione degli indirizzi e delle direttive determinati dal Consiglio (articolo 27, lettera i).

Inoltre, pur rendendo la Giunta compartecipe, in certa misura, dell'attività di indirizzo pubblico, gli Statuti (ed i regolamenti consiliari) hanno reso più incisivi i poteri di indirizzo, di controllo e di informazione del Consiglio (poteri che, nelle forme di governo parlamentari, sono propri delle assemblee rappresentative nei confronti dell'esecutivo), alcuni dei quali sono stati direttamente attribuiti in capo sia ai singoli consiglieri sia alle commissioni. Si vedano a questo riguardo, per la Regione Calabria, gli articoli 8, II e III comma (che attribuisce ai consiglieri il diritto di interrogazione, interpellanza e mozione ed il diritto di ottenere copie dei provvedimenti della Regione, degli enti e delle aziende da essa dipendenti e di conoscere i relativi atti preparatori, nonché ogni altro loro atto di ufficio) e 14, VII, VIII, IX, e XI comma, dello Statuto (che attribuisce alle commissioni consiliari sia rilevanti poteri di informazione e di controllo sull'attività dell'amministrazione regionale, sino a disporre che ad esse, nel caso in cui in seduta non pubblica chiedano l'esibizione di atti e di documenti, non può essere opposto il segreto di ufficio, sia il potere di inchiesta>.

Siffatti poteri sono poi meglio specificati e disciplinati negli articoli 92 e seguenti del regolamento consiliare.

Gli aspetti del rapporto Giunta-Consiglio ora esaminati inducono a definire la forma di governo regionale come parlamentare a tendenza assembleare, che si caratterizza per il maggior peso politico e dell'organo rappresentativo (Parlamento, Consiglio). rispetto all'organo esecutivo (Governo, Giunta). Con un correttivo. però, che è dato dai principi della programmazione, vista come metodo dell'azione regionale, e della partecipazione di base alle scelte politiche, ambedue presenti nello Statuto della Calabria (v. rispettivamente, gli articoli 55 e 39 e seguenti). Di modo che l'attività di governo della Regione non è (o non dovrebbe essere> determinata esclusivamente a livello di apparato autoritario (Consiglio, Giunta, uffici amministrativi) ma dovrebbe coinvolgere l'intera comunità regionale, dalla cui partecipazione alle scelte politico-economiche il Consiglio dovrebbe trarre una effettiva rappresentatività e vedere, di conseguenza, ad un tempo ristretto il suo spazio politico di organo di vertice ed ampliato quello di organo in diretto e continuo collegamento con le istanze comunitarie.

La formula di "governo aperto" adottata dagli Statuti, in sé originale, attende, ad ogni modo, ancora oggi conferma dalla prassi.

Determinante appare. a questo riguardo, il ruolo dei partiti politici, sia perché essi dovrebbero darsi, su basi regionali, strutture maggiormente autonome rispetto agli organi direttivi centrali, senza di che l'autonomia politica delle Regioni sarebbe - come di fatto è notevolmente limitata; e sia perché essi, in una democrazia pluralista, dovrebbero accettare la nuova forma di partecipazione alla determinazione dell'indirizzo politico-amministrativo regionale che- secondo le indicazioni della maggior parte degli Statuti - affianca loro altre formazioni sociali quali (a norma di quanto disposto negli articoli 39 e 40 dello Statuto della Calabria) gli enti locali i sindacati dei lavoratori dipendenti ed autonomi. il movimento cooperativo, le altre categorie produttive, le organizzazioni studentesche, le rappresentanze delle comunità degli emigrati all'estero od in altre Regioni del Paese, gli enti comprensoriali e, più in generale, le organizzazioni e formazioni sociali, culturali e professionali. Di modo che solo quando saranno eliminate tutte le controspinte che tendono a ricondurre e ad esaurire la direzione politica regionale nell'ambito del rapporto Consiglio-Giunta (e sia pure non restringendolo alla pura dialettica maggioranza-opposizione), la forma di governo delle Regioni acquisterà i suoi effettivi e più veri connotati.

IL POTERE LEGSLATIVO

Nel nostro ordinamento costituzionale le Regioni hanno avuto attribuito - come conseguenza del decentramento su base regionale dello Stato e dell'ampia autonomia politica ad esse riconosciuta - il potere di emanare leggi, in ciò nettamente distinguendosi degli altri minori enti territoriali, Province e Comuni.

Le Regioni a Statuto ordinario, sempre a norma della Costituzione (articolo 117), posson9 emanare "norme legislative", nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, per ciascuna delle materie enumerate nell'articolo stesso, purché tali norme non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni (la c.d. potestà legislativa ripartita o concorrente); inoltre, le leggi della Repubblica possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme per la loro attuazione (la c.d. potestà legislativa attuativa).

Un terzo tipo di potestà legislativa (c.d. piena, primaria o esclusiva) è stato attribuito alle Regioni ed autonomia differenziata (che godono, a norma dell'articolo 116 della Costituzione, di "forme e condizioni particolari di autonomia") dai rispettivi Statuti.

Le materie nelle quali la Regione può esercitare la potestà legislativa ripartita sono: ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria e ospedaliera; istruzione artigiana e professionale ed assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo ed industria alberghiera; tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato.

In tale materie spetta allo Stato di stabilire con sue leggi (le c.d. "leggi cornice") i principi fondamentali, ed alla Regione, nei limiti di detti principi, di svolgere i principi stessi, adattando la sua legislazione alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione medesima. E qui da rilevare che sinora lo Stato ha emanato le leggi cornice soltanto in alcune materie o in alcuni settori di materia, per cui le Regioni possono legiferare desumendo esse stesse i principi fondamentali dalle leggi dello Stato vigenti nelle singole materie (come, peraltro, dispone l'articolo 17, comma IV, della legge 16 maggio 1970, n. 281).

Venendo adesso all'esame dello Statuto della Calabria, occorre osservare, in primo luogo, che esso (al pari degli altri Statuti ordinari) si limita a disciplinare il procedimento di formazione delle leggi regionali, di cui la Costituzione non si occupa; ne deriva che la potestà legislativa delle Regioni di diritto comune trova la sua disciplina sia nella Costituzione (per quanto attiene ai suoi limiti ed alle materie in cui può essere esercitata) sia negli Statuti ordinari (per quanto attiene al procedimento di formazione delle leggi).

Il procedimento di formazione delle leggi viene comunemente distinto in tre fasi: dell'iniziativa; costitutiva di integrazione della efficacia.

Secondo l'articolo 31 dello Statuto della Calabria, l'iniziativa della legge regionale compete alla Giunta, a ciascun consigliere regionale, a ciascun Consiglio provinciale, a ciascun Consiglio comunale dei capoluoghi di Provincia, a non meno di tre Consiglieri Comunali, agli elettori delle Regioni in numero non inferiore a cinquemila; e viene esercitata mediante la presentazione al Presidente del Consiglio di un progetto redatto in articoli. Ulteriori modalità per l'esercizio dell'iniziativa legislativa sono contenute negli articoli 39 e 42 del regolamento consiliare. Tuttavia, manca tuttora una legge organica che disciplini i vari tipi di iniziativa.

La fase costitutiva consiste nell'esame e nell'approvazione del progetto di legge da parte del Consiglio. A norma dello Statuto (articolo 32, comma I), il procedimento da seguire è quello ordinario, che consiste nell'esame del progetto di legge da parte della Commissione consiliare competente per materia e nella approvazione dello stesso articolo per articolo e con votazione finale da parte del Consiglio. Il Consiglio, però, può decidere (articoli 32, comma IV, Statuto, e 50, comma lì, regolamento consiliare), prima di passare allo esame degli articoli, di deferire alla competente Commissione la formulazione degli articoli di un progetto di legge, riservando a se medesimo l'approvazione senza dichiarazioni di voto dei singoli articoli nonché l'approvazione finale del progetto con dichiarazione di voto ovvero la discussione degli articoli così formulati (procedimento redigente).

La legge Regionale, nella fase integrativa dell'efficacia, è infine promulgata dal Presidente della Giunta regionale nei dieci giorni dall'apposizione del visto da parte del Commissario del Governo o dalla scadenza dei termini di cui all'articolo 33, Il e III comma, dello Statuto (articolo 34 Statuto), ed è pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione entro dieci giorni dalla sua promulgazione. La legge entra in vigore al 15 giorno successivo alla sua pubblicazione, salvi i casi di urgenza previsti nel secondo comma dell'articolo 127 della Costituzione. La promulgazione e l'entrata in vigore di una legge approvata dal Consiglio possono avvenire anche prima dei termini sopra indicati qualora la legge sia dichiarata urgente dal Consiglio a maggioranza dei suoi componenti ed il Governo della Repubblica lo consenta (articolo 35 Statuto).

I LIMITI AL POTERE LEGISLATIVO DELLA REGIONE

Si è già osservato che il potere legislativo delle Regioni incontra dei limiti nella norma costituzionale che determina l'ambito entro il quale esso può esercitarsi, cosicché qualora una legge regionale non rispettasse tali limiti sarebbe viziata sotto il profilo o della legittimità costituzionale o del merito. Più in particolare, i vizi di legittimità si avranno quando la Regione emana una legge al di fuori della sfera di competenze ad essa assegnata dalla Costituzione (ad esempio, in una materia non enumerata nell'articolo 117 della Costituzione ovvero, pur rispettando tale limite, emani una legge in violazione di una norma o di un principio costituzionale (ad esempio, il principio di eguaglianza). La legge regionale sarà invece viziata nel merito qualora contenga norme contrarie all'interesse nazionale od a quello delle altre regioni. Sulle nozioni di interesse nazionale e di interesse delle altre Regioni non ci soffermiamo in questa sede, anche se conviene osservare che, quali che esse siano (ad esempio, l'interesse nazionale potrebbe rinvenirsi in alcuni valori unitari, non normativizzati, dei quali è portatrice l'intera comunità nazionale), occorre tenere rigorosamente distinti i vizi di legittimità costituzionale dai vizi di merito.

Oltre che dei limiti sopraindicati, bisogna poi tener conto di quelli posti alle leggi regionali dai principi generali dell'ordinamento giuridico, dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali (ad esempio, dalla legge di programmazione) e dal rispetto degli obblighi internazionali assunti dallo Stato; ed, ancora, dei limiti "interni" nelle materie enumerate nell'articolo 117 della Costituzione, conseguenti alla ridefinizione delle stesse operata con i decreti di trasferimento delle funzioni amministrative dello Stato alle Regioni.

Il sindacato sui vizi di legittimità delle leggi regionali è affidato alla Corte Costituzionale; quello sui vizi di merito alle Camere. Sia nell'uno che nell'altro caso, il sindacato è preceduto da una fase comune di controllo ad opera di organi dello Stato-soggetto. A norma, infatti, dell'articolo 127, comma I, Cost., ogni legge approvata dal Consiglio regionale deve essere comunicata al Commissario del Governo - che è un organo dello Stato istituito presso ciascuna Regione - il quale deve vistarla entro 30 giorni dalla comunicazione. Qualora, però, il Governo ritenga che la legge ecceda la competenza della Regione o sia comunque costituzionalmente illegittima ovvero contrasti con l'interesse nazionale o con quello di altre Regioni, si oppone al visto e la rinvia, entro il limite fissato per l'apposizione del visto stesso al Consiglio. In tal caso, il Consiglio può o riapprovare la legge eliminando da essa i vizi denunciati dal Governo o non riapprovarla (mostrando, in tal modo, di non avere più interesse alla sua entrata in vigore).

Se, invece, il Consiglio intende mantenere ferma la legge senza modificarla (non accoglie, cioè i rilievi mossi dal Governo), deve riapprovarla a maggioranza assoluta dei suoi componenti ma il Governo (e, per esso, il Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri) può, entro 15 giorni della comunicazione che la legge è stata riapprovata, promuove la questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte Costituzionale o quella di merito innanzi alle Camere.

Il Sindacato sulle leggi regionali avviene, dunque, prima che la legge venga promulgata e pubblicata e, cioè, acquisti efficacia.

A questo schema generale (delineato negli articoli 127 della Costituzione e 31 della legge il marzo 1953, n. 87) lo Statuto della Calabria apporta alcune integrazioni. A norma, infatti, dell'articolo 33, la legge deve essere comunicata dal Presidente del Consiglio regionale al Commissario del Governo per il visto entro cinque giorni dalla sua approvazione ed il visto si dà per apposto se entro trenta giorni dalla comunicazione il Governo della Repubblica non rinvia la legge al Consiglio regionale. Nel caso di rinvio della legge, ove il Consiglio regionale l'approvi di nuovo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, la legge stessa viene promulgata se entro quindici giorni dalla comunicazione della nuova delibera il Governo della Repubblica non abbia promosso la questione di legittimità innanzi alla Corte Costituzionale o quella di merito per contrasto di interessi innanzi alle Camere.

IL POTERE REGOLAMENTARE EO AMMINISTRATIVO

La Costituzione (articolo 121) attribuisce ai Consigli delle Regioni di diritto comune oltre che il potere legislativo anche quello regolamentare; di modo che spetta ai Consigli di dette Regioni (a differenza di quanto invece è previsto - tranne che per la Valle d'Aosta per le Regioni a Statuto speciale) di approvare i regolamenti regionali. Ne consegue che il potere di predisporre l'ordinamento regionale. le cui norme sono contenute sia nelle leggi sia nei regolamenti, è affidato ai Consigli sottolineando in tal modo che la Giunta è l'organo "esecutivo" della Regione.

Per quel che riguarda il procedimento di formazione dei regolamenti, la Costituzione (articolo 121. comma IV) si limita a disporre che il Presidente della Giunta regionale, oltre a promulgare la legge, "promulga" anche i regolamenti, e nello stesso senso si esprime lo articolo 38, comma Il, dello Statuto della Calabria, a norma del quale i regolamenti deliberati dal Consiglio regionale vengono promulgati e pubblicati secondo le modalità previste per le leggi regionali, in quanto applicabili. Lo Statuto della Calabria non contiene altre norme sul procedimento di formazione dei regolamenti che viene pertanto disciplinato interamente nel regolamento del Consiglio. In ogni caso, dagli articolo 3, comma I, dello Statuto e 39 del Regolamento consiliare è dato dedurre che il potere di iniziativa dei regolamenti è riservato ai consiglieri regionali ed alla Giunta. Il regolamento consiliare non distingue invece il procedimento di approvazione dei regolamenti da quello di approvazione delle leggi, se non per escludere che i primi possano essere esaminati dalle commissioni in sede redigente (articolo 50, comma Il). Di conseguenza, i regolamenti, sotto il profilo formale, si distinguono dalle leggi soltanto per la loro mancata sottoposizione al visto del Commissario del Governo e la natura legislativa o regolamentare dell'atto viene determinata esclusivamente dal contenuto dell'atto stesso. Ciò implica delicati problemi di ordine teorico e pratico che in questa sede non possono essere esaminati e che riguardano, essenzialmente la tipologia dei regolamenti regionali. Ed è proprio la necessità di distinguere, nelle Regioni di diritto comune, le leggi dai regolamenti che induce a ritenere che tali Regioni non possono emanare regolamenti in deroga alle leggi od in materie non ancora disciplinate dalla legge. Per cui esse dovrebbero limitarsi ad emanare regolamenti di esecuzione delle leggi, e tutt'al più. di organizzazione, entro i ristretti limiti che questi incontrano nella Costituzione (ma l’articolo 16 lettera n dello Statuto della Calabria dispone che all'ordinamento degli uffici e dei servizi regionali il Consiglio provvede con legge). Tra l'altro - data l'identità del procedimento di formazione - il Consiglio, regionale non avrebbe alcun motivo di servirsi dei regolamenti quando può avvalersi del potere legislativo. E questo anche perché i controlli sui regolamenti (che. formalmente, sono atti amministrativi) finiscono con l'essere più complessi di quelli sulle leggi.

Il potere amministrativo è stato suddiviso. dagli Statuti delle Regioni di diritto comune, tra il consiglio e la Giunta, secondo una interpretazione dell'articolo 121. Il e 111 comma, della Costituzione che ha privilegiato l'organo elettivo e direttamente rappresentativo del copro elettorale. In tal modo, è stato conferito ai Consigli regionali, accanto ai poteri legislativi e regolamentare. anche il potere amministrativo (attribuzione, questa, non prevista ma neanche esclusa dalla Costituzione) ed alla Giunta sono state riservate, non di rado, funzioni meramente esecutive della volontà consiliare. La misura della ripartizione del potere amministrativo tra i due organi varia da Regione a Regione ed è possibile distinguere, a questo riguardo, tra Statuti che ampliano il potere del Consiglio nei confronti della Giunta e Statuti che. invece, operano una più equilibrata ripartizione. S'è trattato, con tutta evidenza, di una scelta politica, determinata dalla volontà di assicurare al Consiglio la preminenza rispetto alla Giunta anche in un campo - quello amministrativo - che di regola dovrebbe essere riservato, almeno in buona parte, alla competenza dell'organo esecutivo.

L’orientamento dello Statuto della Calabria è nel senso di restringere le competenze della Giunta, come chiaramente si deduce dall'esame dei suoi articoli 16 e 27. Il primo di detti articoli attribuisce infatti al Consiglio rilevanti poteri relativi all'amministrazione regionale, quali quelle di provvedere con legge all'accensione di mutui ed alla emissione di prestiti; di approvare i piani regionali di attuazione, generali e settoriali, predisposti dalla Giunta, determinandone il contenuto e la spesa, nonché la organizzazione dei servizi pubblici di interesse regionale ed i relativi finanziamenti; di approvare i programmi generali e settoriali concernenti l'esecuzione di opere pubbliche, determinandone il contenuto e la spesa. nonché i programmi concernenti l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse della Regione; di provvedere con legge alla istituzione, all'ordinamento ed alla soppressione di enti, imprese od aziende della Regione e di decidere sulla partecipazione ad imprese pubbliche. Ma quel che più conta notare è che l'attività amministrativa della Giunta deve svolgersi, in alcuni settori, oltre che - come è normale - sotto il controllo del Consiglio (nelle forme previste nel regolamento consiliare e già esaminate) nell'ambito delle indicazioni e delle scelte puntualmente e preventivamente operate dal Consiglio stesso. Così, ad esempio, le proposte del programma regionale di sviluppo economico, del piano urbanistico, del piano di difesa del suolo e degli altri piani regionali sono predisposte dalla Giunta "sulla base degli indirizzi e delle scelte" fissati dal Consiglio (articolo 27, lettera h), e la Giunta sovrintende alla gestione dei servizi pubblici regionali e degli enti, imprese ed aziende dipendenti dalla Regione od a partecipazione regionale "in esecuzione degli indirizzi e delle direttive determinate dal Consiglio" (articolo 27, lettera 1).

Di modo che i residui poteri della Giunta. a parte quelli di mera esecuzione della volontà consiliare (ad esempio, di dare attuazione ai programmi approvati dal Consiglio e di provvedere alla esecuzione delle deliberazioni del Consiglio). riguardano la predisposizione del bilancio preventivo (annuale e pluriennale) e del conto consuntivo; le deliberazioni sullo storno dei fondi da un articolo all'altro di uno stesso capitolo di bilancio. sentita la competente Commissione consiliare; l'amministrazione, nei limiti e nei modi stabiliti dalle leggi regionali, del patrimonio della Regione e le deliberazioni sui contratti della stessa; le deliberazioni in materia di liti attivi o passive e, in conformità del parere della Commissione competente, in materia di rinunce e transazioni.

In ogni caso, occorre osservare che - a norma dell'articolo 118, comma I, della Costituzione - alle Regioni sono state attribuite le funzioni amministrative nelle stesse materie (enumerate nell'articolo 117) nelle quali esercitano la funzione legislativa, tranne quelle di interesse esclusivamente locale che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali. Lo Stato, inoltre, può delegare con legge alla Regione l'esercizio di altre funzioni amministrative. Il conferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni è avvenuto nel gennaio del 1972, con una serie di decreti delegati, ed è stato completato nel 1977. con il D.P.R. n. 616 del 24 luglio.

IL POTERE DI INDIRIZZO POLITICO-AMMINISTRATIVO

L'autonomia politica propria delle Regioni trova la sua maggiore e più qualificata espressione nel potere di questi enti di darsi un loro indirizzo politico-amministrativo. L'autonomia politica, infatti, sembra intimamente connessa con i motivi che stanno a fondamento del decentramento dello Stato e della conseguente creazione degli ordinamenti regionali. Giacché, se si riconosce che i problemi e gli interessi possono avere natura e dimensioni diverse da Regione a Regione, si deve allo stesso tempo, e coerentemente, ammettere che ciascuna Regione possa adottare - ove ciò si renda necessario e sempre nel pieno rispetto delle norme e dei principi costituzionali un indirizzo politico-amministrativo differenziato rispetto a quello dello Stato, al fine di realizzare quella concordia discors che costituisce, in una comunità statale come quella italiana, la migliore garanzia di una effettiva unità nazionale.

Gli Statuti delle Regioni di diritto comune (ad esclusione di quelli della Liguria e del Piemonte, ma in essi l'indicazione è implicita) attribuiscono alla Regione il potere di indirizzo politico-amministrativo, assegnandone la titolarità al Consiglio regionale.

Più specificatamente, l'articolo 16, comma I, dello Statuto della Calabria dispone che il Consiglio determina l'indirizzo politico, sociale ed economico della Regione, con una formula che, se da un lato è riduttiva (manca, infatti, il riferimento all'indirizzo amministrativo), dallo altro amplia l'intervento del Consiglio al campo sociale ed economico. Non vi è alcun dubbio, peraltro, che anche il potere di indirizzo amministrativo spetti al Consiglio. ove si considerino le ampie potestà amministrative - già esaminate - attribuite a tale organo dallo Statuto. Quanto, poi. all'indirizzo sociale ed economico, esso trova conferma nelle norme statutarie relative agli obiettivi che la Regione intende raggiungere e la cui attuazione è, in massima parte, affidata al Consiglio.

In conformità della tendenza manifestata nella "fase costituente" delle Regioni (nel periodo, cioè, in cui gli Statuti regionali furono formulati), lo Statuto della Calabria ha inteso porre il Consiglio al centro del sistema di governo della Regione quale organo propulsore dell'attività politica ed amministrativa. Non bisogna però sottovalutare - come si è già osservato - i poteri della Giunta in questo campo, sia quelli di propulsione e di iniziativa ad essa conferiti dallo stesso Statuto, sia quelli che la Giunta si è, di fatto, conquistati. Altre norme statutarie (oltre quelle contenuta nell'articolo 16, comma I) valgono a confermare, comunque, la preminenza del Consiglio rispetto alla Giunta. L'articolo 21, comma lì, richiede, ad esempio, che il Consiglio prenda atto delle dimissioni del Presidente della Giunta, della Giunta o dei singoli assessori perché le stesse abbiano effetto; per cui la sola volontà (collegiale) della Giunta o dei suoi singoli componenti non è sufficiente a produrre l'efficacia delle dimissioni. A norma, poi, dell'articolo 28, comma I, le funzioni di competenza del Consiglio non possono essere esercitate per delega della Giunta. Si tratta di un espresso divieto che impedisce al Consiglio di farsi sostituire dalla Giunta nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che (come specifica il Il comma dello stesso articolo) in casi di eccezionale gravità, nei quali la Giunta è legittimata ad adottare delibere di urgenza. I provvedimenti adottati in tali casi devono peraltro essere ratificati dal Consiglio (articolo 28, comma Il I), pena la decadenza, entro trenta giorni.

La separazione delle competenze tra Consiglio e Giunta voluta dallo Statuto, è dunque, rigida. Deve restar fermo, però, che l'indirizzo politico-amministrativo espresso dai due Organi, secondo i rispettivi ruoli, è - nel corretto funzionamento del sistema unitario. In altre parole, la maggioranza espressa dal Consiglio e che si è riconosciuta sia nelle proposte politico-programmatiche sia nella indicazione dei candidati alla Presidenza ed alla Giunta che precedono l'elezione della Giunta non può contrapporsi alla Giunta; allo stesso modo la Giunta (in ciò agevolata dalla collegialità della sua azione) non può compiere scelte politico-amministrative che siano in contrasto, o anche diverse, da quelle contenute nelle direttive consiliari. Se questa essenziale "regola del gioco" viene rispettata, allora la rigidità della separazione delle competenze potrebbe essere attenuata senza con ciò incidere sulle armonicità e la coerenza del complessivo indirizzo politico-amministrativo sia nella fase della sua determinazione che in quella della sua attuazione. Bisogna, a questo riguardo, considerare che la "governabilità" della Regione è affidata, in massima parte, ai partiti politici che lo Statuto della Calabria (articolo 39. comma Il) considera "strumenti fondamentali" per concorrere a determinare la politica regionale ed alla loro capacità di aggregazione del consenso intorno ad una linea politica unitaria, nella comunità regionale in cui essi operano ancor prima che al livello degli organi di indirizzo politico-amministrativo. Di modo che le crisi regionali di governo risultano determinate, in primo luogo, dalla insufficienza dei partiti nel costituire maggioranze stabiliti ad omogenee ed, in buona sostanza, dalla crisi dei partiti (o meglio, del sistema di partiti).

Quanto all'opposizione, essa è chiamata a partecipare alle scelte politiche della Regione sia in Consiglio, mediante gli strumenti di indirizzo, di controllo e di informazione previsti nello Statuto e nel regolamento consiliare, sia nelle sedi istituzionali e nelle formazioni sociali (enti locali, sindacati, movimento corporativo. organizzazioni sociali, culturali e professionali, ecc) in cui essa è presente ed opera. in una contrapposizione dialettica che trova nella formula del "governo aperto" adottata dallo Statuto della Calabria il suo originale fondamento.

La partecipazione popolare

Ed è proprio ricollegandoci alla formula del "governo aperto>) che trattiamo adesso della partecipazione popolare. di cui si occupa il titolo IV dello Statuto. Dal concorso dei partiti alla determinazione della politica regionale e del concorso che lo Statuto considera "essenziale" - degli enti locali. dei sindacati, del movimento cooperativo, ecc., alla definizione degli indirizzi generali ed alle scelte programmatiche, si è peraltro già detto. Lo Statuto, però (articolo 39 comma I), prevede, che anche i cittadini partecipino alle scelte politiche, alla funzione legislativa ed amministrativa ed al controllo dei poteri pubblici e considera tale partecipazione "essenziale per lo sviluppo della vita democratica".

Più in particolare lo Statuto (articolo 40, comma Il) prevede che la Regione promuova indagini conoscitive ed incontri su particolari problemi, sollecitando la diretta partecipazione dei cittadini interessati; e (articolo 42, comma I) riconosce ai cittadini il diritto alla informazione sulla attività regionale cui corrisponde l'impegno della Regione di assumere iniziative per assicurare una ampia e democratica informazione (articolo 56 lettera z); assicura infine (articolo 42) la disponibilità dei dati raccolti dai propri uffici o dagli enti e dalle aziende dipendenti, nel rispetto dei diritti costituzionali dei cittadini e con il limite della riservatezza necessaria per il buon andamento dell'amministrazione. Si tratta di enunciazioni programmatiche che delineano forme nuove di esercizio della sovranità popolare alle quali lo Statuto aggiunge anche il diritto di petizione, l'iniziativa popolare delle leggi e dei regolamenti regionali ed il referendum abrogativo e consultivo. Lo Statuto della Calabria (al pari degli Statuti delle altre Regioni di diritto comune) predispone, in tal modo, gli strumenti perché i cittadini possano effettivamente partecipare al governo della Regione non solo in forma associata (attraverso i partiti, i sindacati od altre formazioni sociali) ma anche come singoli ed in via immediata, secondo la formula propria della democrazia diffusa o pluralista che integra e completa i tradizionali istituti di democrazia diretta. Solo che il legislatore regionale non ha ancora provveduto - contribuendo ad accentuare in tal modo, la crisi della democrazia diffusa - a dare concreta attuazione (nei casi in cui ciò si rendesse necessario) a queste forme partecipative.

Mancano, infatti, le norme che disciplinano le modalità di esercizio del diritto all'informazione e che valgono ad assicurare la disponibilità dei dati raccolti dagli uffici regionali o da enti ed aziende dipendenti dalla Regione; né risulta che la Regione - pur non essendo necessaria una legge al riguardo - abbia promesso indagini conoscitive od incontri su particolari problemi, sollecitando la diretta partecipazione dei cittadini interessati.

D'altra parte, per quanto attiene agli istituti di democrazia diretta, i cittadini non si sono mai avvalsi del diritto di rivolgere petizioni al Consiglio regionale per richiedere l'intervento e per sollecitare l'adozione di provvedimenti di interesse generale. nonostante che tale diritto possa essere esercitato anche in mancanza di una legge che ne disciplini le modalità e l'articolo 95 del Regolamento consiliare contenga norme sull'esame delle petizioni da parte del Consiglio. La Regione risulta invece inadempiente per non aver dato attuazione alle norme statutarie sull'iniziativa popolare delle leggi (che - ove potesse essere esercitata - troverebbe già nell'articolo 42 del Regolamento consiliare disciplinate le modalità per il suo esame da parte della Commissione Consiliare competente> e sui referendum.

E tale inadempienza risulta ancora più grave nel caso del referendum abrogativo che. a ben guardare. è l'unico strumento di democrazia diretta che consente ai cittadini di sostituirsi, mediante la espressione del voto, ai loro rappresentanti che siedono nelle assemblee legislative e di esercitare in tal modo il potere sovrano loro attribuito dall'articolo 1, comma lì, della Costituzione.

Dispone infatti lo Statuto della Calabria (articolo 44). a tale riguardo, che è indetto referendum popolare per l'abrogazione totale o parziale di una legge regionale quando ne facciano richiesta un ventesimo degli iscritti nelle liste elettorali dei Comuni della Regione ovvero due Consigli provinciali o venti Consigli comunali che rappresentino almeno un decimo della popolazione della Regione.

Il referendum non è ammesso per le leggi di bilancio, le leggi tributarie o le leggi urbanistiche approvate con la maggioranza dei due terzi dei consiglieri assegnati alla Regione. Tali esclusioni si spiegano ove si osservi che le leggi tributarie valgono ad assicurare alla Regione la provvista dei mezzi finanziari necessari allo svolgimento delle sue attività e che mediante la legge di bilancio vengono ripartiti tra i vari rami dell'amministrazione regionale le entrate e le spese; inoltre le leggi urbanistiche vengono sottratte al referendum abrogativo - a conferma dell'importanza che la Regione ammette all'assetto del suo territorio - qualora siano approvate a larghissima maggioranza. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti gli elettori della Regione e la proposta soggetta al referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi. La domanda di referendum non può essere presentata nell'anno anteriore alla scadenza del Consiglio regionale e nei sei mesi successivi alla convocazione dei comizi elettorali per l'elezione del Consiglio regionale. Lo Statuto non prevede alcun controllo sulla ammissibilità del referendum. a differenza dell'ordinamento statale nel quale le proposte di referendum sono sottoposte al giudizio della Corte costituzionale. Il referendum abrogativo può essere richiesto - secondo quanto dispone l'articolo 45 dello Statuto - dagli stessi soggetti indicati nell'articolo 44 anche per i regolamenti regionali. ad eccezione di quelli in materia tributaria, di bilancio od urbanistica. lì referendum è indetto dal Presidente della Giunta (articolo 29. lettera b) dello Statuto). Altro tipo di referendum previsto nello Statuto (articolo 46) è quello consultivo che il Consiglio regionale può indire quanto ritenga di dover sentire le popolazioni interessate a determinati provvedimenti. mentre le popolazioni interessate devono essere consultate mediante referendum nel caso in cui il Consiglio regionale (sentiti anche i Consigli comunali) intenda con legge istituire un nuovo Comune o mutare le circoscrizioni e le denominazioni comunali.

Il quadro della partecipazione popolare si completa e si arricchisce, infine, con le disposizioni contenute negli articoli 40, comma I, e 42 dello Statuto. Il primo prevede che la Regione. ai fini di assicurare il più ampio concorso alla definizione degli indirizzi generali ed alle scelte programmatiche. consulti sulle principali questioni, anche a loro richiesta, i Comuni. le Province, gli enti comprensoriali. le organizzazioni regionali confederali dei lavoratori e delle altre categorie produttive, le rappresentanze di emigrati e delle loro famiglie e altre organizzazioni e formazioni sociali, culturali e professionali; il secondo riconosce il diritto all'informazione sull'attività regionale. oltre che ai singoli cittadini, anche alle organizzazioni sociali.

La Regione e gli enti locali

La disciplina dei rapporti tra l'ente Regione e gli enti infraregionali è ispirata. in tutti gli Statuti ordinari, al principio del pieno rispetto dell'autonomia degli enti locali e del suo effettivo potenziamento, in armonia, peraltro, con il dettato dello articolo 5 della Costituzione, Province, Comuni ed altri enti locali sono infatti chiamati a partecipare ed a collaborare all'attività legislativa e politico-amministrativa della Regione (si ricordi, ad esempio, lo apporto di questi enti alla formulazione dei piani regionali di sviluppo) e ad esercitare per delega della Regione - secondo quanto disposto dall'articolo ~18, comma III, della Costituzione - le funzioni amministrative regionale che possano essere svolte in forma decentrata. E prevista anche la creazione di ulteriori enti di decentramento. quali i comprensori. La Regione, pertanto. intende svolgere un ruolo promozionale e coordinatore dell'attività degli enti locali ai fini di un equilibrato sviluppo territoriale, economico e sociale, favorendo ed attuando, tra l'altro, nuove forme di decentramento.

In quest'ampia prospettiva di promozione e di valorizzazione delle autonomie locali. lo Statuto della Calabria (articolo 48 impegna la Regione a riconoscere nella partecipazione degli enti locali alla sua attività, anche legislativa e politico-amministrativa. un "momento essenziale" dell'autonomia e del decentramento politico ed amministrativo ed a favorire il potenziamento effettivo della autonomia dei Comuni e delle Province, coordinandone l'azione con gli obiettivi della programmazione. lì successivo articolo 49 attribuisce ai Comuni ed alle Province il diritto di rivolgere interrogazioni alla Regione che, a norma dell'articolo 11) del regolamento consiliare, sono "ricevute" dal Presidente del Consiglio regionale e da questi trasmesse alla Giunta. Se la Giunta non risponde per iscritto entro venti giorni dalla ricezione, il Presidente del Consiglio dispone che l'interrogazione sia senz'altro posta all'ordine del giorno del Consiglio nella seduta successiva alla scadenza del termine.

Sempre al fine di promuovere il decentramento amministrativo e di realizzare una organizzazione più adeguata in funzione della programmazione economica, l'articolo 50 dello Statuto prevede che la Regione, sentiti i Consigli comunali e provinciali interessati, possa creare con legge i comprensori, con la diretta partecipazione degli stessi Comuni interessati. stabilendone la competenza. E subito da dire che la Regione Calabria - a differenza di altre Regioni (Soprattutto settentrionali) - non ha sinora dato vita ad alcun comprensorio; ed è dubbio che vi procederà in avvenire. Il. comprensorio. infatti, avrebbe dovuto rispondere all'esigenza di superare la tradizionale ripartizione del territorio in Province e Comuni, in modo da avviare una razionale politica di programmazione e da individuare nuovi ambiti territoriali dell'azione amministrativa.

L'esperienza in materia non può, però, dirsi ancora chiara e definita (ed anzi, in alcune Regioni. si è già conclusa) e da più parti ormai si ritiene di dover valorizzare come ente intermedio (attribuendole nuovi funzioni) la Provincia. Bisogna riconoscere, peraltro, che il comprensorio non ha risolto il problema dell'ente intermedio tra Comuni e Regione e che la sua figura giuridica non è stata ancora determinata. se si esclude che le Regioni possano istituire enti locali; di modo che i comprensori possano considerarsi Organi decentrati. semplici o composti, delle Regioni, rappresentativi in secondo grado delle comunità in essi comprese e costituiscono la sede in cui si elaborano proposte e pareri in tema di programmazione regionale ed intercomunale e di pianificazione urbanistica.

Negli articoli 51,52 e 53, lo Statuto affida alle Province, ai Comuni e ad altri enti locali l'esercizio delle funzioni amministrative regionali, uniformandosi a quanto disposto nell'articolo 118, comma III, della Costituzione. Di tale esercizio ci occuperemo più oltre nella parte relativa all'ordinamento amministrativo.

Infine, l'articolo 54 disciplina la materia dei controlli sugli atti degli enti locali, rinviando per le modalità ad una legge regionale. Al riguardo, la Costituzione (articolo 130) dispone che un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da una legge della Repubblica. esercita, anche in forma decentrata. il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. e che. in casi determinati dalla legge. può essere esercitato il controllo di merito. nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione. lì previsto organo di controllo (denominato Comitato regionale di controllo) è stato istituito dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62 (articolo 55) ed è costituito - nel caso in cui sia chiamato a svolgere il controllo sugli atti delle province e degli enti a carattere regionale e provinciale - da tre esperti nelle discipline amministrative, iscritti nelle liste elettorali di un Comune della Regione, relative ai cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati, eletti dal Consiglio regionale; da un membro nominato dal Commissario del Governo, da un giudice del tribunale amministrativo regionale designato dal Presidente del tribunale stesso. oltre che da membri supplenti. Tale Comitato ha sede nel capoluogo della Regione. Il controllo sugli atti dei Comuni e degli altri enti locali - che secondo lo Statuto (articolo 54. comma Il) si svolge in forma decentrata nel capoluogo di ogni singola Provincia - è stato affidato a sezioni decentrate dal Comitato composte (articolo 56 legge n. 62 del 1953) da tre esperti nelle discipline amministrative, iscritti nelle liste elettorali di un Comune della Provincia, eletti dal Consiglio regionale; da un membro nominato dal Commissario di Governo; dal funzionario più elevato in grado dell'amministrazione provinciale oltre che da membri supplenti. La legge regionale che ha dato attuazione agli articoli 130 della Costituzione e 54 dello Statuto è la n. 22 del 27 dicembre 1973, alla quale si rinvia per le ulteriori modalità del controllo.

La Regione e la programmazione

Della programmazione regionale si è già avuto modo di trattare nelle pagine che precedono. Qui va ricordato che è secondo quanto dispone lo Statuto (articolo 55. comma I) - la Regione assume la programmazione come metodo e strumento volti a realizzare le riforme economiche e sociali e le finalità indicate dalla Costituzione e dallo stesso Statuto. A tale scopo formula programmi di sviluppo economico globali (articolo 55. comma Il), oltre che - s'intende - programmi settoriali.

Lo Statuto inoltre (articolo 55. comma Il) definisce la Regione "soggetto autonomo della programmazione" che. in collaborazione con gli enti locali e con la partecipazione dei partiti politici. delle organizzazioni sindacali. economiche e sociali. concorre con proprie iniziative alla determinazione degli obiettivi e degli strumenti della programmazione nazionale di cui rivendica le finalità meridionalistiche.

Su quest'ultimo aspetto. che coinvolge la Regione nel processo programmatorio nazionale secondo uno scherma di partecipazione dal basso alla determinazione degli obiettivi (con una particolare sottolineatura - da parte dello Statuto calabrese - delle "finalità meridionalistiche"). non ci soffermeremo. In Italia. infatti. mancano ancora sia un'organica legge di programma sia una legge che disciplini la partecipazione delle Regioni, e di altri enti alla elaborazione del programma. La partecipazione delle Regioni alla programmazione economica nazionale (negli ambiti settoriali in cui essa ha luogo) è pertanto limitata a poche previsioni legislative ed a funzioni meramente consultive (come ad esempio, quelle svolte - a norma dell'articolo 9 della legge 6 marzo 1978, n. 218 - dal Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridionale).

Per quel che attiene, invece. agli obiettivi della programmazione regionale essi sono indicati, con particolare ampiezza e precisione, nell'articolo 56 dello Statuto. Ed è subito da accennare. a questo riguardo, che l'articolo sopra citato pone detti obiettivi espressamente in relazione alle finalità di cui all'articolo 3 dello Statuto, vale a dire (è bene ricordarlo) all'attuazione dei principi della democrazia e dell'eguaglianza dei cittadini, del più ampio decentramento politico ed amministrativo e delle autonomie locali oltre che della effettiva partecipazione dei lavoratori all'attività politica, sociale ed economica. Ancora - e sempre a norma dell'articolo 3 - altre finalità da realizzare sono lo sviluppo culturale, sociale ed economico delle popolazioni in modo da riscattare la Calabria della sua "storica arretratezza" e la piena occupazione per bloccare l'esodo dei lavoratori, in modo da rendere effettivo il diritto al lavoro per tutti i cittadini.

Come si può notare, si tratta di finalità ed obiettivi ambiziosi, se si vuole, ma in piena armonia con lo "spirito" della Costituzione repubblicana e che testimonia la volontà politica del Consiglio regionale (che li ha fissati nello Statuto) di imprimere una svolta decisiva alla storia della Calabria. Si aggiunga che il rinvio dell'articolo 56 all'articolo 3 vale a non circoscrivere la programmazione regionale al campo delle scelte di politica economica e ad estenderla. invece, a tutti i settori che interessano il progresso civile e socio-economico della comunità calabrese.

Il contenuto dell'articolo 56 può essere qui soltanto succintamente esposto. Esso riguarda l'impegno della Regione ad intervenire in quattro grandi settori della sua attività: economico; sociale; dei diritti civili; dell'assetto del territorio e dei beni culturali.

Nel campo economico spiccano le norme che impegnano la Regione a promuovere e ad attuare una politica agraria che possa consentire il raggiungimento di equi rapporti sociali nelle campagne ed in equilibrato processo di industrializzazione rivolto ad assicurare la piena utilizzazione delle risorse umane e materiali della Regione. Una particolare attenzione è riservata al turismo come componente importante dello sviluppo economico e sociale, alla proprietà privata di cui si vuole assicurare la funzione sociale, alla cooperazione nella produzione e nei servizi, all'artigianato ed al superamento degli squilibri, soprattutto nelle zone montane ed in quelle particolarmente depresse.

Nel campo sociale, obiettivi degni di nota appaiono essere il concorso nella attuazione di programmi di sviluppo della scuola e dell'istruzione in genere e l'assetto e lo sviluppo della Università. intesa come strumento indispensabile del progresso culturale. sociale ed economico; l'elevazione del livello culturale dei cittadini nel campo scientifico, umanistico, dello spettacolo. della musica e dell'arte ed, inoltre, l'attuazione di piani di sviluppo e di valorizzazione delle biblioteche, dei musei e di ogni altra attività formativa; l'attuazione di piani per la formazione professionale dei giovani e per la riqualificazione degli adulti, ai fini di un loro migliore inserimento nelle attività produttive; la promozione dell'attività sportiva, della pratica dilettantistica e dell'impiego del tempo libero come momenti importanti nella formazione ed esplicazione della persona umana; la formazione e l'adozione di particolari programmi per la cura, l'assistenza e l'educazione dell'infanzia, Specie nelle campagne e nelle zone di più accentuata emigrazione; la rimozione di tutte le cause di carattere sociale, economico e culturale che impediscono il pieno inserimento della donna nelle attività produttive.

Tra i diritti civili, l'articolo 56 menziona il diritto all'abitazione (che - si badi bene - non è espressamente previsto nella Costituzione) ed il diritto allo studio. Rispetto al primo. impegna la Regione a promuovere iniziative ed adottare programmi per la sua realizzazione e, quanto al secondo, ad assicurarlo, nell'ambito delle sue competenze, mediante la rimozione delle cause che ne limitano o nei impediscono l'effettivo esercizio. La Regione è poi impegnata a promuovere iniziative idonee a realizzare un collegamento con le comunità degli emigrati calabresi all'estero. anche al fine di favorire l'esercizio dei loro diritti civili e politici.

L'assetto del territorio e la cultura sono, infine, oggetto di particolare attenzione da parte dello Statuto. Secondo l'articolo 56, infatti, la programmazione regionale deve perseguire un razionale assetto del territorio che preveda lo sviluppo ordinato degli insediamenti umani, garantendo la difesa e la conservazione del suolo, la regimentazione delle acque e la loro utilizzazione per fini industriali, agricoli e potabili e deve, altresì, tutelare la naturale purezza dell'aria e delle acque. Le norme dedicate ai beni culturali riguardano l'impegno della Regione a tutelare i valori del paesaggio e del patrimonio naturale, storico, artistico ed archeologico: la valorizzazione - già ricordata - deì musei e delle biblioteche e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale ed artistico delle popolazioni di origine greca ed albanese, nel rispetto delle loro tradizioni.

Occorre adesso chiedersi se ed in quale misura la Regione. nella sua attività ormai ultradecennale, abbia perseguito gli obiettivi sopra indicati. Al riguardo, si deve in primo luogo osservare che sarebbe quanto meno ingeneroso pretendere dal Consiglio e dalla Giunta in poco più di un decennio (nel corso del quale hanno dovuto provvedere anche all'assetto organizzativo della Regione) una completa trasformazione della realtà regionale, così come è prefigurata nello Statuto. Gli obiettivi raggiunti. peraltro, sono molti. tenuto conto delle inevitabili incertezze nell'avvio della nuova esperienza e delle instabilità politico-programmatiche del governo della Regione: gli obiettivi da raggiungere sono, tuttavia, moltissimi ma. anche se la strada da percorrere è lunga e faticosa, essi saranno sicuramente realizzati, facendo leva sulla fierezza, l'intelligenza, l'innata civiltà e la volontà di riscatto delle popolazioni calabresi.

A questo fine, non poco rilievo assumono la conferenza annuale dei sindaci e dei presidenti delle Amministrazioni provinciali che - secondo quanto dispone l'articolo 58 dello Statuto - la Regione deve indire per dibattere sullo stato della Regione in rapporto ai problemi dello sviluppo economico, sociale e civile; e la possibilità offerta alla Regione dall'articolo 69 dello Statuto di istituire con legge enti aziende e società finanziarie cui affidare lo svolgimento (sotto il suo controllo ed indirizzo) di tutte quelle attività inerenti allo sviluppo economico, sociale e culturale od a servizi di interesse della Regione stessa che, per la loro speciale natura e dimensione, non possono essere esercitate direttamente o delegate agli enti locali interessati.

Iniziando il nostro esame dal campo economico, notiamo che la Regione, con sue leggi, è intervenuta nel settore delle infrastrutture rurali e delle opere pubbliche di bonifica; ha concesso incentivi finanziari diretti a favorire lo sviluppo delle imprese artigiane e l'incremento della produzione artigiana; ha agevolato l'insediamento delle piccole e medie imprese produttive ed incentivato lo sviluppo della zootecnia e lo sviluppo della cooperazione agricola; è intervenuta in favore dell'agricoltura nel settore dei miglioramenti fondiari; ecc.

Più intensa l'attività svolta nel campo sociale, con l'istituzione degli asili nido, la concessione di contributi per l'assistenza farmaceutica diretta a coltivatori diretti, artigiani e commercianti, gli interventi nel settore della medicina preventiva ed a favore degli enti

per la protezione e l'assistenza dei sordomuti, oltre che degli infermi hanseniani e dei loro familiari a carico, le norme sull'assistenza dialitica domiciliare, l'istituzione dei consultori familiari, gli interventi nel settore della medicina riabilitativa, l'assistenza domiciliare agli anziani e la creazione di punti d'incontro, l'istituzione del servizio sanitario regionale, l'applicazione nella Regione della legge 29 febbraio 1980. n. 23. sull'occupazione giovanile, ecc.

Per quel che riguarda i diritti civili, è da segnalare la legge che rende in buona misura effettivo, mediante una serie di interventi e di provvidenze a favore degli alunni e dei vari ordini di scuole, il diritto allo studio, mentre non è stato ancora predisposto il piano urbanistico regionale che dovrebbe avere, tra le sue finalità, anche quella di promuovere l'incremento della edilizia abitativa, in modo da assicurare un abitazione a tutti coloro che ne sono privi.

Nel campo. infine, dell'assetto del territorio e dei beni culturali, la Regione è intervenuta con misure di protezione delle coste e per il trasferimento ed il consolidamento degli abitati colpiti da calamità naturali, per la salvaguardia del Pollino e contribuendo finanziamente alla formazione ed alla revisione dei piani regolatori generali comunali o intercomunali.

Patrimonio, demanio e finanze

Si è già detto, a suo luogo. della rilevanza che assume l'autonomia finanziaria delle Regioni. quale necessario ed indispensabile supporto della loro attività politico-amministrativa.

L'articolo 119 della Costituzione dispone. al riguardo. che le Regioni hanno autonomia finanziaria. nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni, ed altresì che alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai loro bisogni per adempiere le loro funzioni normali. Sempre a norma dell'articolo sopra citato, lo Stato assegna per legge contributi speciali a singole Regioni per provvedere a scopi determinati e, particolarmente, per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole e la Regione ha un proprio demanio e patrimonio. secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

In questo quadro generale. lo Statuto. dopo aver ribadito all'articolo 60 che la Regione ha autonomia finanziaria ed un proprio demanio e patrimonio. stabilisce che le entrate della Regione sono costituite: a) dai redditi del suo patrimonio; b) dai tributi propri; c) dalle quote del gettito di tributi erariali: d) dalle quote del fondo nazionale destinato al finanziamento dei programmi regionali e) dai contributi speciali previsti dal 111 comma dell'articolo 119 della Costituzione; f) da ogni altro eventuale contributo, proventi od entrata.

Nonostante le previsioni normative contenute nella Costituzione e nello Statuto (così come negli Statuti delle altre Regioni), l'autonomia finanziaria è, però, un obiettivo non ancora raggiunto, per un complesso di concause che qui non è possibile esaminare nei particolari. Manca, ad esempio, quel coordinamento dell'autonomia finanziaria delle Regioni con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni che secondo la Costituzione - dovrebbe essere il corretto presupposto di ogni politica di spesa e di una programmazione regionale dello sviluppo; le spese impegnate e non effettuate (i c.d. "residui passivi") raggiungono una somma notevole ed il fenomeno è da imputare in buona misura alle complesse procedure ed ai minuziosi vincoli previsti nelle leggi statali di settore; le amministrazioni centrali, infine, appaiono ancora restie a rinunciare all'esercizio di un proprio potere decisionale.

La legge 16 marzo 1970, n. 281, ha comunque fissato le linee generali della finanza delle Regioni a Statuto ordinario. Esse consistono: a) nell'attribuzione alle Regioni di alcuni tributi erariali (l'imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile; la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche) che divengono, in tal modo, "tributi propri" della Regione, b) nell'attribuzione alle Regioni del gettito delle imposte erariali sul reddito dominicale ed agrario dei terreni e sul reddito dei fabbricati; c) nella partecipazione delle Regioni al gettito di alcune imposte erariali che affluisce in un fondo comune (incrementato dalla legge 10 maggio 1976, n. 356) ripartito tra le varie Regioni secondo criteri predeterminati che (come quello del tasso di emigrazione al di fuori del territorio regionale o del grado di disoccupazione) tendono a favorire le Regioni economicamente più depresse; d) nella creazione di un fondo (anch'esso incrementato dalla legge n. 356 del 1976) per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo; e) sulle qualificazione dei contributi speciali come spese aventi carattere aggiuntivo rispetto alle spese effettuate dallo Stato con carattere di generalità per tutto il territorio.

Un'ulteriore legge (19 maggio 1976, n. 435) ha poi disposto che tutte le somme assegnate, a qualsiasi titolo, dallo Stato alla Regione confluiscono nel bilancio regionale senza vincolo di destinazione. La stessa legge ha inoltre introdotto il principio del bilancio pluriennale che la Regione adotta assieme al bilancio annuale e le cui previsioni, per un periodo non superiore al quinquennio, assumono come termini di riferimento quelli del programma regionale di sviluppo, così soddisfacendo l'esigenza di collegare il programma di sviluppo economico-sociale con un adeguato supporto finanziario.

La Regione Calabria, da parte sua, ha provveduto a disciplinare la istituzione di tributi propri (legge 31 dicembre 1971. n. 1), a fissare l'ammontare della tassa di circolazione (legge 15 gennaio 1974. n. 1) a dettare norme in materia di bilancio e di contributi (legge 22 maggio 1978, n. 5) e per la formazione del bilancio annuale e pluriennale (legge 24 agosto 1979, n. 10).

I nodi da sciogliere nel delicato campo dell'autonomia finanziaria sono, peraltro, ancora parecchi, anche - in seguito allo avvenuto trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni, cui avrebbe dovuto corrispondere un tempestivo e puntuale trasferimento dei capitali finanziari dall'amministrazione centrale alle Regioni. Molto dipenderà. in quest'opera, dalla volontà politica dello Stato e dalla capacità contrattuale delle Regioni; sicuramente, però, l'avvenire delle Regioni si giocherà anche (se non soprattutto) sul campo dell'autonomia finanziaria.

L'ordinamento amministrativo

Prima di esaminare l'ordinamento amministrativo della Regione, così come risulta delineato dallo Statuto, appare opportuno ricordare che la Costituzione (articolo 118, comma III) e lo Statuto (articolo 51) dispongono che la Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province. ai Comuni (singoli od associati) o ad altri enti locali.

La Costituzione aggiunge che la Regione può esercitare tali funzioni anche valendosi degli uffici degli enti sopra menzionati, mentre lo Statuto (non riproducendo siffatta disposizione) sembrerebbe escluderlo.

Le ragioni del decentramento dell'esercizio delle funzioni amministrative (ad eccezione, ovviamente, di quelle che, per la loro stessa natura, richiedono di essere svolte dall'apparato amministrativo centrale - Consiglio e Giunta - quale, ad esempio, la funzione di promozione, indirizzo e coordinamento e la funzione di controllo) appariranno chiare ove si rifletta che l'esercizio indiretto evita da un lato l'accentramento burocratico ed il conseguente formarsi di una grossa burocrazia regionale e (esaltando la natura di soggetto politico di indirizzo e di coordinamento dell'Ente Regione) consente dall'altro, di porre gli amministrati a più immediato contratto con gli amministratori, secondo i principi di una corretta e funzionale democrazia.

La Regione Calabria, in attuazione dell'articolo 51 del suo Statuto, ha disciplinato. con la legge 15 dicembre 1973, n. 18. le modalità e le procedure della delega delle funzioni amministrative agli enti locali, disponendo. tra l'altro, che la delega può essere conferita ad enti singoli od a più enti che abbiano carattere di sostanziale omogeneità in relazione alla natura delle funzioni delegate e che le leggi di delega devono favorire l'aggregazione dei comuni, tra loro e con la Provincia. in strutture associative rivolte a garantire il carattere generale ed organico della delega di funzioni regionali.

La Regione ha sinora delegato, alle Province ed alle comunità montane, parte delle funzioni amministrative in materia di artigianato (legge 22 maggio 1980. n. 9); ai Comuni, singoli od associati, parte delle funzioni amministrative in materie urbanistica (legge 2 giugno 1980, n. 20); alle comunità montane ed ai Comuni il cui territorio non è incluso neppure parzialmente in una comunità montana parte delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e foreste (legge 2 giugno 1980, n. 27).

Ciò premesso, va detto che l'ordinamento amministrativo della Regione tiene nel debito conto i suddetti principi. giacché. a norma dell'articolo 67 dello Statuto, la struttura degli uffici regionali deve essere articolata in funzione dei compiti prevalentemente direzionali, programmatori e di coordinamento spettanti alla Regione e della più ampia delega agli enti locali.

Altri principi che devono presiedere alla struttura dell'ordinamento amministrativo regionale sono quelli della autonomia e della democrazia, del più ampio snellimento e della pubblicità delle procedure oltre che del decentramento, secondo quanto disposto dall'articolo 66 dello Statuto; ed al riguardo lo stesso articolo prescrive che gli atti della Regione sono pubblici (le modalità della pubblicazione sono regolate dalla legge 17 maggio 1976, n. 14).

L'articolo 68, infine, pone una riserva di legge, per quanto attiene alla costituzione degli uffici regionali ed allo stato giuridico, al trattamento economico ed al ruolo organico del personale, escludendo di conseguenza che tali materie possano essere disciplinate (e sia pure dallo stesso Consiglio) con regolamenti di organizzazione. Si aggiunga che la legge che disciplina le materie sopra indicate deve garantire i diritti fondamentali del personale, nonché le posizioni giuridiche ed economiche acquisite (articolo 68, comma lI). Altra disposizione statutaria relativa al personale è quella contenuta nel 111 comma dell'articolo 68. a norma del quale il personale della Regione. salvo i casi previsti dalla legge, è assunto mediante pubblico concorso, secondo le norme vigenti in materia e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento statale sul pubblico impiego (peraltro, la regola secondo la quale agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede, salvo i casi stabiliti dalla legge, mediante concorso, è contenuta nell'articolo 97' comma III, della Costituzione). Resta da dire che le leggi regionali che disciplinano il trattamento giuridico ed economico e l'inquadramento del personale regionale sono la n. 9 del 28 marzo 1975 e la o. 15 del 30 maggio 1980.

ALCUNE CONCLUSIONI

Alla fine di questa rassegna dei contenuti dello Statuto della Calabria, sembra opportuno trarre alcune brevi conclusioni.

Innanzi tutto, va riaffermata la validità dello Statuto come strumento normativo idoneo - sia nella sua parte organizzativa che nella sua parte sostantiva - a promuovere lo sviluppo culturale, sociale ed economico delle popolazioni calabresi. Le sue potenzialità, infatti, sono molte e tutte di notevole rilievo, di modo che lo Statuto non è - né va considerato - un insieme di astratte prescrizioni normative e di vuote enunciazioni programmatiche, Al contrario, esso deve costituire per quanti, a diversi livelli e con diverse responsabilità, operano nella società civile e nella società politica della Calabria un preciso punto di riferimento valido ad indirizzare ed a guidare le loro azioni.

Se così è. se, cioè, si crede nella funzione e nella carica promozionale dello Statuto, allora occorre che ad esso si dia. pur tenendo conto dei tempi necessari, dei punti di partenza e dei condizionamenti esterni, piena attuazione. Le fondamentali strutture organizzative, peraltro, sono già state predisposte, cosicché gli organi di governo della Regione sono in grado di portare a compimento, con una visione globale e non settoriale della realtà e dello sviluppo socio-economico della Calabria, l'opera intrapresa. A tal fine, di grande utilità potrebbe rivelarsi la partecipazione alla definizione degli indirizzi generali e delle scelte programmatiche da parte degli enti locali, dei sindacati dei lavoratori dipendenti ed autonomi, del movimento cooperativo. delle altre categorie produttive e di ogni altra significativa organizzazione sociale, culturale e professionale.

Tale partecipazione nelle forme ed attraverso i canali (alcuni dei quali, però. ancora da attivare) previsti nello Statuto. ha come suo essenziale presupposto la conoscenza delle norme statutarie affinché possa svolgersi con piena consapevolezza, nel rispetto delle competenze istituzionali e con matura responsabilità. Ecco perché lo Statuto, questa "Carta fondamentale" delle popolazioni calabresi, merita di essere divulgato e conosciuto, assieme alla Costituzione della Repubblica, che è la "Carta fondamentale" di tutti i cittadini italiani, dalla quale lo Statuto deriva e nella quale trova il suo primo fondamento.

Certamente, se questa è la strada da seguire non è tuttavia l'unica. Giustamente, infatti, se lo Statuto impegna da un lato la Regione a riconoscere che la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, alla funzione legislativa ed amministrativa ed al controllo dei poteri pubblici è condizione essenziale per lo sviluppo della vita democratica, dall'altro la impegna a considerare i partiti politici strumenti fondamentali per concorrere a determinare, con metodo democratico, la politica regionale. E, dunque, anche e soprattutto i partiti sono chiamati a svolgere sino in fondo il ruolo. che loro spetta in una società pluralista, di mediazione tra società civile e società politica e di integrazione delle istanze espresse nelle varie sedi in cui si articola la comunità regionale.

In tal modo, partecipazione popolare e ruolo dei partiti potranno utilmente e felicemente integrarsi e le giuste aspettative della Calabria riusciranno ad avere - come già hanno in parte avuto - una risposta ed a trasformarsi in dati reali.

Sia consentito, allora, a conclusione di queste pagine, formulare un auspicio ed esprimere una speranza.

L'auspicio che gli organi di governo della Regione Calabria continuino come per il passato ad ispirarsi nella loro azione allo Statuto ed intensifichino i loro sforzi perché gli obiettivi in esso così solennemente e puntualmente indicati vengano perseguiti e raggiunti.

La speranza (che è pure venata di certezza) che le varie componenti la comunità calabrese riescano, forti delle loro tradizioni e della loro coscienza civile, a condurre a termine il lungo cammino iniziato quando e stata istituita la Regione. nella consapevolezza che l'avvenire della Calabria è nelle loro mani.