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RECENSIONI E SPIGOLATURE Alan Lomax in Calabria: ''L'anno più felice della mia vita'' Il grande etnomusicologo americano in Italia. A caccia, col suo furgone Volkswagen, di suoni antichi e volti del Mezzogiorno povero degli Anni ’50. E’ musica dai sentimenti antichi, che sgorga dalla fatica fisica e trasuda dalle fotografie in chiaroscuro di Alan Lomax, l’antropologo ed etnomusicologo nato nel 1915 ad Austin (Texas) e morto nel 2002 a Holiday (Florida). Le immagini, catturate in tutt’Italia in un tour avventuroso, sono state pubblicate in un volume di 236 pagine edito da il Saggiatore. Il titolo del libro è una frase stupenda del più noto ricercatore di musiche folk americane che è stato una delle personalità più influenti della cultura del XX secolo: “L’anno più felice della mia vita”. Un lavoro che si avvale del prezioso contributo autobiografico della figlia di Lomax, Anna Lomax Wood, e della presentazione di Martin Scorsese, che lo definisce “meraviglioso e delicato” e confessa di essersi “emozionato infinitamente” perché, spiega il regista (che è un estimatore del nostro Vittorio De Seta), “sono sempre stato attratto dalle immagini dell’Italia di un tempo, il mondo dal quale provenivano mio padre e mia madre”. Fotografico si dice di un libro d’ immagini, ma questo è molto di più. La prima sensazione che trasmette, anche grazie alla “rapsodiche annotazioni di Lomax” ad ogni volto sottratto alla caducità, è “un senso di pace”. Cosi ha scritto Edmondo Berselli, lo scrittore/giornalista scomparso l’altro giorno, nella recensione al volume apparsa su “Repubblica” con un titolo che è una chiave interpretativa: “Laggiù al Sud c’era una volta il blues italiano”. Il titolo del libro, “breve e commovente”, chiosa Berselli, è ispirato dall’ultima fotografia, quella di un uomo in gessato scuro che suona la chitarra, evidentemente in un giorno di festa. Un viaggio nell’Italia del 1954/55 alle soglie della grande trasformazione compiuto da Lomax, in fuga dall’America maccartista che lo giudicava “un pericolo pubblico” e addirittura “un simpatizzante del Partito Comunista”, in compagnia del calabrese Diego Carpitella (1924-1990), uno dei “fondatori” dell’etnomusicologia italiana contemporanea, all’epoca del viaggio un giovane studioso. Dalla Sicilia alla Calabria (“dove la vita e la morte si intrecciano facilmente”) al Friuli, e poi di nuovo giù per la penisola, fino a fermarsi infine in Campania. Un’immersione senza pregiudizi nella realtà e nelle miserie di più di cento città, paesi e villaggi, da parte di un ricercatore di suoni che riascolteremo nella colonna sonora del “Decameron” di Pier Paolo Pasolini, e che di sé, a un certo punto, dice: “Ho guidato più io di qualsiasi altra persona sulla faccia della terra”. Un vagabondaggio non privo di disavventure (quasi tutti i taccuni di Lomax vengono rubati alla fine del viaggio), incomprensioni e suggestioni, tra lamentatrici dai capelli bianchi e mulattieri di Montepertuso, contadini di Cinquefrondi e di Mammola, pescatori siciliani e nenie di donne; lavoratori delle vigne che cantano “con le bocche macchiate di viola, non di santi ma di belle ragazze” e “schiavi di galea vestiti di stracci che si passano la rete di mano in mano” e cantano mentre i tonni finiscono nella camera della morte; tra cantori delle miniere di zolfo e suonatori di tamburo calabresi che fanno partire la tarantella “e le donne che con felicità ed orgoglio danzano all’aperto”. Ore ed ore di suoni registrati con meticolosa accortezza sul Magnecord PT-6 trasportato nell’indistruttibile furgone Volkswagen dell’“americano” (cosi apostrofavano Lomax contadini, poeti di paese, salinai e cantastorie). Lomax, a 18 anni, durante la Grande depressione, seguiva il padre, il folclorista John Avery Lomax, nelle sue esplorazioni del Sud degli Stati Uniti, per registrare i canti dei condannati ai lavori forzati e dei neri fuggiti dalle proprietà dei bianchi (quando il blues era ancora la musica delle paludi e dei ghetti). Nel 1954, convinto che “l’Italia sarebbe stato il laboratorio ideale per mettere alla prova una sua teoria, secondo la quale lo stile della voce cantata codificava alcuni profondi segreti dell’umanità”, eccolo in giro per le vie di un altro Sud, quello italiano. A Cardeto (Reggio Calabria) si sofferma e dinanzi alle immagini di donne dagli sguardi luminosi e bassi con in braccio bambini dalle guance scavate, scrive: “La gente lavora a giornata, quando c’è lavoro: si alza quand’è ancora buio e deve camminare per tre o quattro ore su difficili sentieri di montagna per raggiungere i campi da coltivare”. Non solo canzoni e suoni, ma investigazione sociale. Testimonianza dal vivo. Straordinaria la comparazione che propone Berselli: “Quando muore un uomo (nell’Italia del Sud) le donne intonano un lamento vicino al suo corpo, ballando con passi spasmodici un’antica danza funebre, strappandosi i capelli, graffiandosi la faccia in un rituale parossismo, in quel Sud cosi italiano e mediterraneo con i suoi uomini che suonano la chitarra con la sigaretta all’angolo della bocca e con le sue donne cosi antiche sembra di cogliere echi che sanno addirittura di America”. Quando Lomax viaggia col suo furgone (1954/55) in Italia c’è il boom del cinema (si vendono 819 milioni di biglietti), arriva nelle case la televisione (“Lascia o raddoppia”), i dialetti iniziano a mescolarsi con le prima parole di italiano. Lo stipendio di un operaio è di circa 40.000 lire, un giradischi costa intorno alle 30.000 lire, un disco a 78 giri 800 lire. Rocco Scotellaro firma “I contadini del Sud”, un affresco di quel mondo dimenticato che è stata la plebe rurale, Giangiacomo Feltrinelli fonda la sua casa editrice e fa entrare di nascosto il romanzo di Pasternak, “Il dottor Zivago”, e subito dopo pubblica “ Il Gattopardo”. Due grandi successi. Luchino Visconti finisce “Senso”, lo scenario è la rivoluzione mancata del Risorgimento italiano. Il ’55 è l’anno della rivoluzione dei consumi e della 600, all’italiano si suggerisce di fare l’americano. Corrado Alvaro nel ’54 è colpito da un tumore e muore a Roma nel ’56.
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