20 marzo 2007    

Un patto per la legalità e la nuova regione (di Giuseppe Bova*)


ISTITUZIONI


doveri e diritti


Reggio Calabria, 13 marzo 2007 – Auditorium “Calipari”
 
Ai calabresi, attraverso l’immagine forte e simbolica che campeggia nel manifesto che vedete in quest’auditorium, dai giornali, dalle televisioni e dalle radio locali, abbiamo lanciato un messaggio chiaro ed inedito: è iniziato il lavoro per demolire la vecchia Regione e per costruirne una nuova.
Non è stata una scelta repentina o di parte. Ci abbiamo riflettuto a fondo, poi lo scorso 10 febbraio, come Ufficio di Presidenza, alla presenza e con l’accordo del Presidente Loiero e del Vicepresidente Adamo, assieme ai Presidenti dei Gruppi e a quelli delle Commissioni, abbiamo deciso di procedere abbandonando ogni indugio e, per la prima volta nella storia del regionalismo calabrese, è stata formalmente indetta questa Convenzione attraverso cui abbiamo chiamato a raccolta l’intera società calabrese.
Una Convenzione, allora.
Il Manifesto ufficiale della ConvenzioneVedete, a pronunciarla, sembra che questa parola chiave, dall’origine e dal suono antichi, custodisca una sorta di radicale contraddizione rispetto all’obiettivo profondamente innovativo che invece ci siamo posti.
Forse in parte è così, perché è certo antica, o meglio sperimentata e sicura, la trasparenza delle procedure, come anche la chiarezza delle responsabilità, l’ampiezza e la pari dignità tra le forze chiamate a sottoscrivere questo Patto.
Ma per il resto, si tratta di affrontare un percorso per vie ancora inesplorate ed a tratti assai accidentato, con molti passaggi, per tanti aspetti, tutti da inventare.
Lo abbiamo chiamato “Patto per la legalità e la democrazia calabrese”, con un titolo preciso, “Istituzioni: doveri e diritti”.
Innanzi tutto “doveri”, quindi; responsabilità propria e diretta di ciascun consigliere regionale e, in pari luogo, espressione di una quota indivisa di responsabilità, in quanto ciascuno di noi è parte dell’istituzione consiliare.
Abbiamo contezza che per la politica regionale un certo modo di procedere è ormai arrivato al capolinea e che tutto questo, nell’insieme, vada sottoposto a critica al fine di produrre un superamento positivo dello stato delle cose.
Demolire per ricostruire, dunque; cambiare per trasformare. Di certo, non per esercitare attraverso l’istituzione Regione un potere ancora maggiore, ma all’opposto, per condividere, delegare, decentrare i poteri e le funzioni regionali.
Avremmo voluto farlo sin dall’avvio di questa legislatura, ma l’assassinio di Franco Fortugno per mano di mafia ha reso tutto più arduo e complicato.
Il colpo inferto alla Regione, così come il messaggio che ci veniva direttamente inviato, erano di una chiarezza terribile: nessuno osi cambiare nulla, pena la morte.
Ma non solo questo. Dopo quel delitto, definito sin dall’inizio come politico-mafioso, di cui con ogni evidenza il Consiglio regionale era parte lesa, incombeva invece sulla politica calabrese un sospetto agghiacciante, come se la stessa ne dovesse portare comunque una qualche responsabilità.
Anni e anni di sottovalutazioni, di indifferenza, di cinismo, che hanno portato ad una presenza dirompente del potere della ‘ndrangheta in Calabria, venivano scaricati tutti sulla Regione e sulla politica di oggi. Così indagini legittime sugli eletti, e quindi l’essere i consiglieri regionali anche solamente indagati, è diventato quasi equivalente all’essere colpevoli o addirittura additati come malfattori.
Ma i guai veri non arrivano mai da soli. Veniva anch’essa da lontano la querelle certo assai seria sui costi della politica, accompagnata da un’altra, quella sul familismo sfrenato nelle strutture dei consiglieri regionali.
Questioni assai pesanti in sé, ma ancor più dirompenti a fronte di un quadro di crisi profonda dell’economia e della società calabrese, segnate da un numero vastissimo di disoccupati, di inoccupati e di precari.
D’altro canto, la penuria di fondi regionali ordinari non vincolati impediva ormai l’allargamento di vecchie e stantie pratiche assistenziali.
Né era più accettabile, sotto ogni profilo, che si continuasse a procedere ancora come se  nulla fosse, con l’approvazione di leggi manifesto, tanto forti nel creare suggestioni, quanto strutturalmente senza alcuna copertura finanziaria.
Si determina così una situazione di vera empasse, un rompicapo da cui è difficile uscire.
Le questioni importanti cui tentare di dare risposte sono tante e diverse. Certo, quella decisiva non dipende dal Consiglio regionale, né dai consiglieri, ma dalla magistratura. Capire e sapere perché è stato ucciso Franco Fortugno, quali interessi, quali forze occulte hanno ispirato, autorizzato e richiesto quel delitto è davvero la madre di tutte le questioni. Senza questo, la democrazia calabrese rimarrebbe del tutto esposta ed indifesa.
Attenzione, affermando tutto ciò non si ricerca alcun alibi con cui salvarsi l’anima. Dicendo questo non si intende sottacere nulla dei propri limiti. Lo testimonia l’agire concreto del Consiglio regionale su una serie di tematiche assai delicate.
Sono stati mesi lunghi e difficili ma, via via, seppur gradualmente, il Consiglio regionale ha tentato di affrontare a viso aperto e senza infingimenti le proprie molteplici fragilità e contraddizioni.
L’Assemblea calabrese, lo voglio ricordare ancora una volta, unica in Italia, ha già approvato all’unanimità una integrazione al Regolamento consiliare con cui si è disposta la revoca di nomine ed incarichi assembleari di secondo livello nei confronti di  quei  consiglieri  regionali  che  riportino condanne penali, anche non definitive, o che violino i principi fissati dal “codice del buon governo”. Lo ribadisco: nessun’altra Regione italiana conosce una legislazione simile!
Sul terreno della riduzione dei costi e su quello della moralizzazione della politica, il Consiglio regionale ha assunto decisioni altrettanto esemplari e inedite, tagliando del dieci percento le indennità dei componenti dell’Assemblea e vietando per legge che parenti ed affini entro il terzo grado siano utilizzati nelle strutture speciali dei consiglieri e dei direttori generali.Il momento dell'intervento del Presidente Bova
Ma anche così, sul Consiglio regionale e sulla politica calabrese hanno continuato a pesare sospetti e sfiducia; né si sono create condizioni, sia pur minime, per rilanciare un agire politico capace di inverare progetti che fossero contemporaneamente inclusivi, aggreganti, ed in grado di produrre una spinta in avanti nell’economia e nella società calabrese.
Né si sono fermati gli attentati e le intimidazioni delle forze malavitose, che hanno assunto da tempo i caratteri di una vera e propria escalation. Per ultimo, l’incendio della sala consiliare del Comune di Chiaravalle, che ha portato alla sostanziale distruzione del palazzo municipale.
Così, sta addirittura aumentando in tante realtà regionali un’inquietudine profonda.
In un clima siffatto, e con una vera e profonda preoccupazione, viene convocata e si tiene la conferenza dei gruppi del 10 febbraio scorso. In quella sede risulta chiaro a tutti che va data su ogni terreno una risposta ancora più radicale e sistematica ai problemi che si pongono.
Da qui, la decisione di inasprire ulteriormente il regolamento interno prevedendo la decadenza automatica dagli incarichi anche per il semplice rinvio a giudizio per reati associativi di tipo mafioso. Da qui, anche il taglio drastico del 25 % alle spese per le strutture speciali dei consiglieri regionali e la destinazione di quanto così risparmiato al finanziamento di stage formativi, per 250 giovani laureati meritevoli, da svolgere presso gli enti locali della regione.
Ma, soprattutto, l’idea ed il progetto della Convenzione, imperniato su alcune innovazioni assai radicali e strutturali:
- Proseguire nell’opera di “rottamazione” degli enti sub-regionali oramai inutili e costosi;
- Ritrarsi da numerosi gangli dell’economia regionale, riducendo drasticamente la presenza della Regione nei diversi consigli di amministrazione, diminuendo anche il numero dei componenti, il livello dei loro compensi, ed elevando i criteri di merito e competenza per la nomina dei  rappresentanti regionali in enti e istituzioni;
- Intensificare il profondo processo di delegificazione in atto, per abrogare leggi vecchie e non più attuali, e per cancellare leggi “manifesto” prive di copertura finanziaria;
- Approvare Testi unici che consentano una forte semplificazione delle disposizioni legislative regionali per materie omogenee, superando l’attuale congerie di norme contraddittorie e disarmoniche sulle medesime questioni;
- Avviare una stagione che si caratterizzi per leggi innovative in materia di appalti pubblici, incentivi alle imprese sane, adottando un sistema di controlli interni assai rigoroso che restituisca efficienza ed efficacia alla macchina amministrativa della Regione;
- Proseguire, imprimendo una forte accelerazione, il processo di decentramento di competenze, funzioni e risorse dalla Regione alle Province, ai Comuni ed alle Comunità Montane, in un quadro di sussidiarietà e di federalismo fiscale, e senza sovrapposizioni, in termini tali da avvicinare sempre più i cittadini alle istituzioni e da garantire un maggiore ed effettivo controllo democratico.
La sfida lanciata dalla politica regionale è dunque già in atto. Nel collegato alla manovra finanziaria che nei prossimi giorni sarà discussa ed approvata dal Consiglio, sono infatti previste significative novità, a cominciare dalla verifica dei risultati prodotti da consulenti ed esperti nominati a vario titolo, e da norme tese ad evitare la moltiplicazione in capo agli stessi soggetti di più incarichi. Naturalmente, lo stesso rigoroso criterio dovrà valere anche per i dirigenti ed i direttori generali di Giunta e Consiglio.
In questo quadro, il fronte istituzionale per la legalità e la democrazia, che oggi si intende sancire solennemente attraverso questo patto, non può non comportare una più piena e consapevole assunzione di responsabilità, in primo luogo da parte di chi, eletto democraticamente nelle pubbliche amministrazioni locali o regionali, intende operare al servizio esclusivo dei cittadini calabresi.
Per queste ragioni, abbiamo chiamato a raccolta tutte le istituzioni democratiche rappresentative della Calabria. Perché, al cospetto del vasto sistema delle autonomie, e dell’intera comunità calabrese che esso rappresenta, si stringa un patto solenne che fissi per tutti alcuni impegni essenziali per la libertà e la democrazia nella nostra regione, a partire da questi capisaldi:
1)  introdurre negli Statuti il principio del ripudio della ‘ndrangheta e di tutte le mafie;
2) introdurre nei regolamenti consiliari la regola etica della decadenza dagli incarichi elettivi di secondo livello in caso di condanna anche non definitiva - così come già previsto nel Regolamento interno del Consiglio regionale della Calabria – ovvero nel caso di mero rinvio a giudizio per il reato di associazione di tipo mafioso;    
3)  impegnarsi a dare sempre corso alla costituzione in giudizio quale parte civile in tutti i processi di mafia e sino al terzo grado di giurisdizione, senza la possibilità di pervenire ad accordi transattivi giudiziali o stragiudiziali.
Tutto questo, nasce dalla  profonda consapevolezza della crisi della politica così com’è, a cui ci si sforza di fornire una risposta in positivo. Il fine, però, non può essere, come forse inconsapevolmente oggi taluni sostengono, di cancellare tutte le prerogative dell’agire politico, ma siamo qui oggi per tentare assieme di ridefinirne i limiti, e dentro quei limiti di rilanciarne l’azione.
 

* Presidente Consiglio regionale Calabria

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