18 ottobre 2006    

on. Minniti (*):«Calabria, frontiera più esposta della legalità»



La ringrazio, Presidente, innanzitutto per l’invito che lei a nome dell’Assemblea ha voluto farmi, ringrazio anche il Presidente della Commissione regionale  antimafia che mi ha rivolto analogo invito, ringrazio anch’io tutti coloro che sono intervenuti. Penso che il dibattito che c’è stato sia ricco, importante e non voglio in alcun modo far venir meno le mie valutazioni. Mi scuso con il Presidente della Giunta regionale, onorevole Agazio Loiero, per non aver potuto sentire il suo intervento, ma come sapete, siamo in piena fase di discussione della legge Finanziaria e stamane, all’alba, sono stato convocato per andare in Commissione affari costituzionali sui temi della sicurezza, dell’assetto dello Stato.


Posso anche , sul terreno di quello che qualcuno ha chiamato uno smembramento dello Stato, trasmettervi un messaggio di non preoccupazione: non c’è un segnale di smembramento e, in ogni caso, penso che il Parlamento abbia qualche ora fa, con un voto emendativo, sciolto anche l’oggetto del contendere. Tuttavia – lo dico en passant – il fatto che si sia sciolto l’oggetto del contendere non significa che non bisogni affrontare anche un tema di riforma delle strutture decentrate dello Stato. Penso sia una grande questione perché il funzionamento dello Stato, il funzionamento della pubblica amministrazione costituiscono un punto fondamentale anche nella battaglia più generale che noi dobbiamo fare per la legalità, la sicurezza, la lotta contro la mafia.Le interviste della stampa dopo la seduta dedicata a Francesco Fortugno


E’ per questo che, pur considerandolo anch’io un provvedimento non convincente, debbo dire tuttavia che non si può, ogni qualvolta si tocchi un tema di riforma, avere un atteggiamento che abbia come reazione un immediato riflesso conservativo. Non c’è dubbio che quella non è la soluzione migliore, ma non c’è altrettanto dubbio che bisogna incominciare a cambiare qualcosa.


Lo dico en passant, non è il tema di questa nostra discussione, ho già detto che ci sono dei segnali: il Parlamento ha affrontato questo tema nella Commissione affari costituzionali. Io stavo lì e quindi, non appena finita l’audizione che mi ha direttamente riguardato, sono venuto qui, per cui mi scuso sinceramente con il Presidente Loiero per non averlo ascoltato, ho avuto modo anche attraverso gli interventi di coloro che si sono qui alternati di cogliere qualche sprazzo di quello che hanno detto, mentre ho letto la relazione che il Presidente Bova ha qui presentato.


Debbo anche dire che la relazione presentata mi sembra un riferimento importante, costituisce non solo una riflessione, ma a mio avviso anche una importante e basilare punto di partenza.


Governo, Stato, Regione possono trovare un punto concreto di attività e di lavoro.


Vedete, oggi è una giornata triste, di quelle dolorose, siamo qui a ricordare un atto drammatico e sconvolgente, siamo qui a ricordare una persona straordinaria che oggi non c’è più. Noi avvertiamo, penso che la cosa più importante che si possa dire è che la Calabria, la politica calabrese avvertono l’assenza di Franco Fortugno. Nel momento in cui con quell’atto così proditoriamente aggressivo la mafia ha deciso di troncare la sua vita, in quel momento preciso la politica calabrese – e quando dico la politica calabrese, mi riferisco alla politica di entrambi gli schieramenti – è diventata improvvisamente più debole.


Guardate, io penso che non ci possa essere modo migliore per ricordare Franco, che dire e ripetere quello che si è detto fin dal primo momento della sua morte, si è detta una cosa semplicissima, ma in sé fortissima: “E’ morto Franco, un uomo perbene”. E’ una cosa semplicissima in sé, cioè appare come la riflessione più immediata, ma è anche la riflessione più alta, perché un uomo perbene raccoglie in sé tante caratteristiche, un giudizio di valore che nella sua semplicità è, in qualche modo, assoluto. Penso che questo riferimento all’uomo perbene debba essere riferimento fondamentale che deve guidarci, nel momento in cui ci apprestiamo oggi ad una ricostruzione di quel momento, di un ricordo che non deve essere formale.


Ringrazio tutti coloro che hanno parlato qui e anche quelli che hanno utilizzato gli accenti più critici, perché la cosa peggiore sarebbe stata se ci fossimo qui riuniti dicendo ognuno qualcosa della quale non era fondamentalmente convinto, se avesse prevalso in quest’Aula un sentimento di ipocrisia. Non l’avrebbe voluto Franco, ma io penso che sarebbe stato sbagliato in sé, perché il modo migliore per ricordare una persona così vilmente sottratta all’affetto dei suoi cari è quello di parlare sempre e comunque un linguaggio di verità. Non è vero che, di fronte al dolore, si sospende la dialettica politica, il conflitto politico; si sospende la strumentalizzazione del conflitto, quello sì, perché la strumentalizzazione confligge con il dolore, ma sarebbe assai strano se non dicessimo ognuno la sua su temi così delicati, la cosa peggiore che può succedere è di passare da una ricerca faticosa dell’unità nella lotta contro la mafia, che io considero fondamentale ed importante – mi sono battuto e mi batterò per l’unità contro la mafia, perché so bene che è importante: più forte sono la politica, le istituzioni se unite contro la mafia –, ad una unanimità di facciata, segno di debolezza, di fragilità, perché, nonostante ognuno possa recitare bene la sua parte, si capisce che è unanimità di facciata. L’unità, per come l’intendo io, è il frutto di una dialettica aperta, non è mai data una volta per tutte e soprattutto non è un prerequisito, è qualcosa che si ottiene e si costruisce nella pratica concreta. Mai come nei temi della lotta alla mafia l’unità è pratica concreta, è coerenza tra princìpi e comportamenti. Allora, se così è, dobbiamo per un attimo ritornare a quel 16 ottobre di un anno fa: cosa è stato quell’omicidio? Voi l’avete detto, ho ascoltato, ho letto le cose che ha detto il Presidente del Consiglio regionale in questa occasione e anche in altre circostanze, ho letto anche la bella intervista sul periodico della Regione Calabria che al Procuratore nazionale antimafia ha fatto il direttore Gianfranco Manfredi, Piero Grasso ha detto: “L’omicidio di Franco Fortugno è stato un omicidio politico-mafioso”. Sicuramente è il termine più giusto che io possa pensare e trovare, non riesco a trovarne uno migliore e partendo da questo assunto, aggiungo un’altra cosa: quell’omicidio politico-mafioso ha rappresentato la più alta sfida alla democrazia calabrese mai avvenuta in questa regione. La Calabria è una regione che non ha avuto una sequenza di grandi omicidi politici e a mio avviso questo ha costituito, per la persona, il luogo, il momento, una evidente sfida democratica e così penso sia stata percepita anche da questa istituzione. Ricordo il Consiglio regionale straordinario fatto immediatamente dopo l’omicidio Fortugno, ho ascoltato e ho sentito lì le parole di tanti che oggi sono di nuovo qui, ho ascoltato le parole dell’allora ministro dell’interno onorevole Pisanu e quella sfida, in qualche modo, era stata colta da questa istituzione. Prestate attenzione, quando parlo di sfida per la democrazia, intendo un’altra cosa, cioè che in quell’omicidio c’era il cuore del messaggio di contrapposizione della mafia alla democrazia e allo Stato. Quando si commette un omicidio di una persona perbene, in quel modo, a quell’ora, con quella dinamica, si dice una cosa, fondamentalmente: “Noi possiamo ammazzare chiunque, in qualunque posto e quando vogliamo!” e si dice un’altra cosa che è implicita: “Qui comandiamo noi!”. Per questo penso che dobbiamo riprendere quello che è il cuore vero della questione, l’omicidio di Franco Fortugno, un omicidio politico-mafioso che segnala una sfida per la sovranità in questo pezzo d’Italia. Chi comanda in questo pezzo d’Italia? La domanda è stata posta il 16 ottobre di un anno fa, dopo un anno dobbiamo incominciare a trarre un bilancio e sarebbe sciocco limitarci soltanto alle chiacchiere. Io sono venuto qui per dirvi, da Viceministro dell’Interno….


Non sono più il parlamentare Minniti, sono il Viceministro dell’Interno, ci conosciamo da tempo, dobbiamo abituarci che nella democrazia dell’alternanza può succedere che uno faccia il parlamentare e poi il Viceministro, può succedere anche il contrario e può succedere che quello che faceva il parlamentare e il ministro finisca per non fare più niente…! E’ la democrazia dell’alternanza e dobbiamo abituarci a tutto ciò. Prendendo spunto da una massima che spesso i frati si ripetono quando si incontrano nei conventi di clausura: “fratello, ricordati che devi morire!”, non perché auspichino è che l’altro muoia, ma per considerare la pochezza dei passaggi terreni, per pensare anche che la politica, pure essendo un elemento di impegno, di servizio, ma – vivaddio - anche di gratificazione, è una cosa che può esserci, può crescere e, a un certo punto, può cessare senza che questo comporti particolari traumi.


Da Viceministro dell’Interno vi dico che  nel momento in cui si è aperta una sfida per la sovranità, che a mio avviso questa sfida è ancora aperta. Vorrei che fossimo consapevoli che sto dicendo una cosa molto impegnativa, so bene che abbiamo tanto abusato delle parole, la sfida è aperta, nel senso che sicuramente non ha vinto la mafia – di questo ne sono sicuro – ma anche non ha rimontato lo Stato. Questo è il giudizio più serio che possiamo dare, meno propagandistico, perché dobbiamo abituarci su questa cosa a non fare propaganda, la mafia ride della propaganda che noi facciamo. Noi dobbiamo comprendere due cose, fondamentalmente: la prima è che la Calabria è la frontiera più esposta della legalità d’Italia. Sono anni che ci ripetiamo che la ‘ndrangheta è la forza mafiosa più importante - tutte cose su cui siamo tutti ormai acculturati, perché una parte le ha lette e un’altra parte le ha sentite tante volte ripetere, che ormai le ha apprese - il problema non è ripeterci questa cosa, ma comprendere che appunto perché ha queste caratteristiche, perché c’è stata a lungo una sottovalutazione di questo fenomeno – chiamiamo le cose con il loro nome - qui si gioca la partita più impegnativa, ma – questa è l’altra questione che volevo sollevare – il tema della battaglia della Calabria per la sicurezza e la lotta contro la mafia non è un problema soltanto della Calabria, ma del Paese. Non è una - sia pure importante - questione regionale, è un grande tema del Paese, perché una nazione come l’Italia, una potenza industriale che sta nel “G8”, non può permettersi di avere pezzi del suo territorio in cui è aperta una questione di sovranità. Lo dico da Viceministro dell’Interno, non ce lo possiamo permettere! Non è un problema di particolare afflato verso la mia regione, no,  non si può permettere che in un pezzo di territorio sia aperta una sfida, perché questo implica problemi per lo sviluppo non solo di questa regione, ma dell’intero Paese, perché ha per conseguenza un indebolimento della forza dell’Italia sullo scenario internazionale. Poi se a questo si aggiunge che nella nostra regione abbiamo il più importante porto di transhipment del Mediterraneo – prima era il primo, oggi è il secondo, ma siamo là – comprenderete che la questione è cruciale per il Paese e non solo per la Calabria. Dobbiamo, quindi, slegare la contraddizione esistente tra la forza della mafia e la debolezza della Calabria e lo dobbiamo fare con una iniziativa forte che metta insieme Stato, Regione, comunità locali, tenendo presente che abbiamo avuto un anno da quel momento ed io - sinceramente, pur avendo detto le cose che ho detto e avete ascoltato - non penso sia passato invano, sarebbe sbagliato dirlo. Noi dobbiamo liberarci sui temi della lotta alla mafia della sindrome di Bartali ricordate: “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, altrimenti la sensazione che passa è - magari, facciamo anche bella figura dicendolo, perché la gente dice “guarda, però  Minniti ha detto una cosa ancora più acuta” -  di impotenza totale. Se il messaggio ogni volta che ci vediamo è che niente è cambiato, che è sempre la stessa cosa, – noi non ce ne rendiamo conto, perché spesso siamo autoreferenziali, cioè parliamo tra di noi –, quello viene fuori è la sensazione di una impotenza totale. Vorrei che questo fosse presente a tutti quanti noi, è il massimo di autocritica che si possa fare, perché se non è cambiato niente, certo c’è la colpa di Minniti, poi c’è la colpa di Loiero, di Bova, di De Sena, del colonnello Fiano, del questore, e nessuno può dire: “no, io non c’ero, non conoscevo la situazione”. Lo dico non perché io voglia, in qualche modo, preoccuparvi, ma perché secondo me è sbagliato. Vorrei che fossimo un po’ oggettivi e sapete perché questo lo posso fare con tranquillità? Perché in questo anno non sono stato io Viceministro, se lo fossi stato potevo apparire “Cicero pro domo sua”, cioè Minniti viene qua e da Viceministro difende il suo lavoro, sono, invece, nella condizione ottimale, posso giudicare un periodo politico sufficientemente lungo senza averne la diretta responsabilità. Sarei potuto venire qui - tenendo conto di quello che dicevo prima - a dire “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, però penso non sia giusto – lo dico in tutta coscienza -, in questo anno c’è stato un tentativo di risposta seria - poi dirò i limiti - si è incominciato a recepire l’idea che qui in Calabria si gioca una partita un po’ più importante del solito, si è superato quello scetticismo che c’era verso questa regione. Penso che il segnale più emblematico dell’importanza del momento - al di là della persona che io stimo - sia la figura del prefetto De Sena. E’ stata una scelta - al di là della persona che ha un’efficienza, una capacità notevoli- del precedente Governo che ha mandato a Reggio Calabria il vicecapo della Polizia, non è una scelta ordinaria. Non dovrei dirlo io, ma penso sia corretto farlo.


Così come è importante il fatto che sull’omicidio Fortugno si sia fatto qualche passo avanti. Guardate, noi abbiamo una storia degli omicidi di mafia che solitamente hanno una lunghissima fase di totale oscurità. Ora qui, per quanto riguarda l’omicidio Fortugno, abbiamo responsabili materiali, un primo livello dei mandanti, poi vedremo, c’è in corso un processo, è chiaro, ma si è arrivati ad un primo punto. Solitamente queste cose rimangono oscure per tanto tempo. Il problema che io pongo è che non bisogna accontentarsi.


Si è fatto un piccolo passo in avanti, ci si è incominciati a muovere in questo anno, non mi accontento, devo chiedere di più per quanto riguarda la capacità di contrasto sul terreno della lotta alla mafia.


Quando dico la capacità di contrasto, pongo una questione fondamentale e questo vorrei che fosse recepito. E’ chiaro che la lotta alla mafia è una lotta a 360 gradi, però oggi dobbiamo sapere che c’è un punto dal quale partiamo e sul quale concentriamo il meglio delle risorse e del nostro lavoro: la lotta ai patrimoni mafiosi


Vedete, nelle politiche della sicurezza pubblica contano anche le priorità che si danno – noi non ne abbiamo discusso, quindi quello che sto indicando l’ho sostenuto già prima, in altre sedi, possiamo dire, tra virgolette, quelle cioè più preposte a discutere di queste cose –, ecco, allora che c’è bisogno di darsi delle priorità.


Noi dobbiamo colpire lì, quello è il punto fondamentale, perché c’è un passaggio che non vi sfugge, poi è chiaro che c’è la lotta contro i grandi latitanti, tutte cose importanti, intendetemi, nessuno sta dicendo che non cercheremo i latitanti, non vorrei  creare equivoci con i giornalisti, perché i latitanti, il pizzo, il controllo del territorio, sono tutte cose che io considero importantissime, però qual è il cuore? Se io voglio colpire al cuore la ‘ndrangheta, devo colpire i loro patrimoni, cioè devo incidere lì e poi devo avere la possibilità, attraverso un lavoro rapido, più rapido di quello che è adesso, e il rapporto con i Comuni e la Regione, di poter utilizzare rapidamente quel patrimonio.


Cioè io non so se le cifre che si danno sul patrimonio della mafia in generale, delle mafie italiane e della ‘ndrangheta calabrese siano realistiche, non lo so, a volte si esagera, a volte si dice la verità, non voglio citare numeri perché questa cosa è un po’ difficile in quanto parliamo di patrimoni occulti, però vi rendete conto che abbiamo un Paese che oggi discute, si interroga su una manovra economica di 15 miliardi di euro, perché quello era il punto del riallineamento dell’Italia rispetto all’Europa, una cifra importante, ma non sfugge a nessuno che, se dovessimo prestare attenzione a quello che ci si dice sul volume di affari delle mafie e della ‘ndrangheta calabrese, ci rendiamo conto che 15 miliardi di euro sono “nella disponibilità” di questa organizzazione, prendendo la stima più bassa, la più bassa possibile.


Ora non è che noi sequestriamo 15 miliardi di euro in una volta, però quello deve essere il punto di attenzione, perché se noi ragioniamo seriamente e pensiamo poi di avere la possibilità che i beni prima confiscati diventano rapidamente sequestrati e poi abbiamo la possibilità del loro riutilizzo, se ci ragioniamo con attenzione – e questo lo sa molto bene monsignor Bregantini che lavora su queste cose – possiamo ricostruire una piccola economia dal bene confiscato, che poi può diventare una economia significativa, perché la cosa più importante e il messaggio più duro che si può dare al mafioso nel suo territorio, perché la roba conta di più di tutte le altre cose, è vedere che un suo bene, diventa bene pubblico, è utilizzato dal pubblico ed è ragione di lavoro e di vita per coloro che non sono né contigui né affiliati alla mafia. Questo è il punto.


L’altro aspetto è quello di vedere come noi possiamo riuscire ad affrontare un altro problema, cioè quello del rapporto tra questa realtà nazionale, questa vicenda nazionale e la realtà di questa regione Calabria. Vedete, in quest’ultimo anno è successa un’altra cosa molto importante: nei giorni scorsi un tribunale, il tribunale di Paola – se non vado errato – nel condannare la cosca Muto, ha riconosciuto la costituzione di parte civile della Regione Calabria e ha condannato la cosca Muto a pagare un risarcimento danni alla Calabria. E’ una cosa, se ci pensate bene, straordinariamente nuova non solo perché quella sentenza farà giurisprudenza, ma perché per la prima volta nella storia di questo Paese i soldi, anziché uscire dalla tasca degli enti pubblici e della Regione e finire nelle tasche della mafia, come è sempre storicamente successo: in alcuni casi perché si era in collusione, in altri casi perché c’era una fragilità; in questa circostanza i soldi escono dalle tasche della mafia e finiscono nella utilizzazione dei beni pubblici! E’ una cosa importante.Anna Maria Pancallo del Forum Fo.Re.Ver.


Non è vero che non è cambiato niente, scusatemi, lo dico perché vorrei che ci intendessimo, è chiaro che la partita è durissima, poi dirò qualcosa in proposito, però se si muove qualcosa, dobbiamo incominciare a valutarla. Aggiungo anche che quel primo passo sull’omicidio di Franco Fortugno costituisce un primo gradino, poi noi abbiamo detto sempre – e l’ha ripetuto stamattina qui l’onorevole Laganà-Fortugno – che l’impegno che ci siamo presi tutti quanti è quello di arrivare alla verità completa su questo omicidio e, per quanto ci riguarda, io sono venuto qui per dire che il Governo è impegnato a sostenere l’iniziativa dello Stato e, quando dico lo Stato, intendo le sue istituzioni in senso lato, le forze di Polizia, la magistratura, perché quel disegno che ha incominciato ad essere configurato diventi un percorso chiaro e certo.


Noi abbiamo bisogno di tutta la verità sull’omicidio Fortugno e abbiamo bisogno di ricostruire la verità su tanti omicidi che ci sono stati nella Locride. Lo dico perché non sono insensibile alle domande, alle angosce di tanti genitori, però posso affermare qui una cosa, nei limiti di quello che posso dirvi, cioè che c’è un impegno quotidiano delle forze di Polizia in questa provincia e nella Locride, c’è un impegno dei magistrati per arrivare alla verità anche per gli altri omicidi. Spero che presto possa esserci qualche buona notizia.


Allora questo è il quadro. Quando dico la Regione, dico una cosa che, a mio avviso, deve essere fino in fondo scelta, nel senso che dobbiamo pensare ad una cooperazione tra Stato e Regione. Pensiamo allora – lo dico qui al Presidente Loiero, al Presidente Bova – che la Conferenza regionale sull’ordine e la sicurezza pubblica che già esiste in Calabria possa diventare sempre di più, se siamo d’accordo, una sorta di Conferenza Stato-Regione Calabria in cui insieme discutono e lavorano su quale possa essere l’impegno sussidiario di entrambi per affrontare i temi della sicurezza.


E in questo quadro affrontiamo il tema dell’Apq, il tema del Pon sicurezza, vediamo insieme come utilizzare le risorse, sapendo che possono sembrare cose banali, ma noi nel 2007 avremo in tutte le città grandi e medie della Calabria il sistema di videosorveglianza nei centri storici. Voi mi direte: “Ma che c’entra la videosorveglianza nel centro storico con la lotta contro la mafia!”. No, c’entra, perché siccome vanno nei negozi quelli che chiedono il pizzo e vanno nei negozi del centro – e lo sappiamo che va così – entrano, chiedono il pizzo o, in qualche caso, si prendono il vestito e se ne vanno, se c’è il sistema di videosorveglianza, è un po’ più complicato farlo. Se poi c’è il sistema di videosorveglianza, e anche la notte è più complicato che uno vada a fare un attentato incendiario. Naturalmente, poi tutto si può fare, ma diventa tutto più difficile. Se poi quel sistema di videosorveglianza è in grado non solo di identificare le persone, ma di leggere le targhe, diventa tutto più complicato per chi mette in atto il tentativo criminoso. Il compito nostro è quello di rendere più complicata la vita alla mafia, combatterla giorno per giorno. Il punto è questo, il vero messaggio di novità che dobbiamo trasmettere è che la lotta alla mafia non si fa con l’emergenza: succede un fatto drammatico, io rispondo per sei mesi e faccio reazione durissima, dopo sei mesi tutto si affievolisce. Il problema è che una questione mafiosa come quella della Calabria ha bisogno di un’iniziativa strutturale giorno per giorno.


Ecco, ho voluto parlare anche di cose concrete, ma voglio fare ancora due ultime valutazioni. La prima: solitamente, quando c’è un omicidio così poderoso nel suo messaggio, si intende colpire al cuore della democrazia – ricordate, c’è un bellissimo film sul terrorismo, “colpire al cuore dello Stato”, fecero un film, ma era il messaggio del terrorismo, brigate rosse, “colpire al cuore dello Stato” –, e la sfida del 16 ottobre è stato quella di un colpire al cuore della democrazia calabrese. Solitamente, quando si colpisce al cuore un corpo, il rischio è che questo stramazzi, non si riprenda più.


Se si guarda alla storia della Calabria per i vari omicidi di mafia, vediamo che solitamente, dopo un delitto criminale mafioso, su quel territorio si registra un contraccolpo. Qui c’è stata una reazione, la Calabria non è rimasta tramortita. Su questo perché non è rimasta tramortita? Guardate – dobbiamo essere equilibrati perché questo è un punto chiave – non è rimasta tramortita perché c’è stata una risposta delle istituzioni, una risposta corale, perché è venuto il Presidente della Repubblica, perché c’è stata una risposta dalla Calabria, non è stata colpita al cuore perché c’è stata la reazione di quei ragazzi.


Io non sono abituato, chi mi conosce lo sa, a lisciare il pelo alle persone, insomma, a volte si dice esattamente l’opposto, però quella è stata una cosa importante, cioè quella reazione di quel nucleo di ragazzi con la scritta “ammazzateci tutti”, la maglietta indossata, quelle manifestazioni. Io vorrei dire al mio amico fraterno sindaco di Locri, a cui voglio molto bene e ho apprezzato quello che lui ha detto per tutta l’altra parte, e su questo però vorrei che lui riflettesse un attimo,  che dobbiamo capire che quei ragazzi hanno costituito un punto importante per tutti, poi è chiaro che quei ragazzi fanno politica, non possiamo disconoscerlo…


Guardate, ricordo che quando lavoravamo insieme io e Peppe Bova nell’ufficio della sede di un partito politico, a un certo punto, scherzando, avevamo scritto davanti alla porta di ingresso: “Qui si lavora, non si fa politica”! Era una cosa da ridere perché quella era appunto la sede di un partito politico ed era un modo per rendere la cosa ancora più clamorosa. Ecco, ora io dico, faranno pure politica, ci saranno schierati, diranno pure una cosa o un’altra, ci criticheranno, criticheranno quell’altro, il punto, però, è che noi dobbiamo stare attenti perché quella vitalità va in ogni caso preservata, perché quella vitalità è una risorsa di tutti, non di una parte, perché è un punto delicato questo, perché se si abbassa anche quello, la partita è più difficile ancora.


Infine l’ultima questione, non potrei non parlarne, perché questo è un punto delicato, però è un punto vero. Io ho fatto tutto ‘sto po’ po’ di ragionamento, però è chiaro che, se abbiamo un omicidio come quello di Franco Fortugno, definito dal Procuratore Grasso omicidio politico-mafioso, dobbiamo discutere anche di questa parte del tema, cioè del rapporto tra mafia e politica. Io lo faccio con la delicatezza dell’uomo di Governo, ma sinceramente non sono tra quelli che pensano che, appena si dice questa cosa, bisogna subito fermarsi, perché questo è un punto cruciale perché la mafia, le mafie sono diverse rispetto a qualunque altra organizzazione criminale semplice, le altre associazioni a delinquere semplici, perché hanno nel loro Dna l’idea di infiltrare la politica, di condizionarla, di entrare nelle istituzioni. Questa è la differenza che c’è tra la ‘ndrangheta e una qualunque altra associazione criminale che, magari, traffica stupefacenti, la differenza è appunto questa, cioè le mafie hanno nel loro Dna l’idea di condizionare il potere.


Allora, se noi vogliamo affrontare seriamente il tema della lotta alla mafia – lo dico con grande sincerità – dobbiamo evitare che il tema del rapporto mafia-politica venga utilizzato come una clava dell’uno contro l’altro, perché questo sarebbe sbagliato e sciocco, ma d’altro canto evitiamo questo, però non evitiamo di parlarne, se lo facessimo, non coglieremmo un’assoluta specificità.


Ho finito, non parlo della Salerno-Reggio Calabria, della “106”, del ponte, non è il caso, ne potremo parlare per i riflessi sulla sicurezza degli appalti, ma che seguiamo giorno per giorno e minuto per minuto.


Ultima questione attiene ad un altro punto che ritengo fondamentale, e che forse va fronteggiato a viso aperto. Credo che  noi  dobbiamo incominciare ad affrontare un po’ più direttamente il tema del mito della invincibilità della mafia, anche considerando che a volte siamo noi stessi ad alimentarlo. Questo è e rimane un punto chiave per me.


So bene cos’è la ‘ndrangheta, vi potrei citare le statistiche, i soldati, quante sono le famiglie, potrei anche dirvi che su questo terreno stiamo mettendo le forze migliori che abbiamo, per contrastare questa grave piaga, direttamente sul terreno dell’intelligence, della qualità investigativa. Tuttavia un punto è fondamentale: la mafia non è invincibile. Il punto di inversione politico-culturale è trasmettere questo messaggio, perché se l’idea che passa è che siamo di fronte ad una sorta di gigantesca organizzazione che comunque, in ogni caso, va avanti lo stesso, guardate che è difficile che ci si opponga che poi, a quel punto, passerebbe l’idea che abbiamo noi, che è quella del il famoso proverbio “calati junco ca passa la china”, cioè l’invincibilità, consapevolezza della forza della ‘ndrangheta. Ed allora non accettare mai, nemmeno per un attimo, nemmeno nella parte più recondita del nostro pensiero deve trovare posto l’idea della invincibilità. Io penso che quest’idea dobbiamo, in qualche modo, collegarla alla memoria di Franco Fortugno.


Vedete, non a caso un altro grande italiano, Giovanni Falcone, che era testardamente impegnato sulla questione della non invincibilità della mafia, quando sosteneva che “la mafia, come tutti i fenomeni umani, nasce, può crescere, ma può anche essere sconfitta”, voleva dire esattamente questo, non era un’indagine, non era un teorema, era un messaggio che bisognava lanciare. Penso che la cosa più forte e più seria che possiamo fare, nel momento in cui ricordiamo Franco Fortugno, e quel passaggio doloroso, ma cruciale nella storia di questa regione, è dire con grande chiarezza che l’impegno che prendiamo qui è che noi vogliamo rompere questo mito. Noi non possiamo indicare date, perché sarebbe come dare i numeri al gioco del lotto, possiamo, però affermare qui una ragionevole certezza, che faremo due cose e penso e mi auguro che le facciamo insieme: la prima è una lotta senza quartiere alle mafie e alla ‘ndrangheta in Calabria, la seconda è che dobbiamo lavorare nel nome di Franco Fortugno non solo per avere la verità su quello che è avvenuto, ma anche per sconfiggere la mafia. Se facciamo questo, sarà il modo migliore per poterlo ricordare.


* Viceministro dell'Interno
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