18 ottobre 2006    

on. Li Gotti (*): «Delitto Fortugno, profonda ferita per la Calabria»


Cara onorevole Laganà Fortugno, gentili autorità, come calabrese avverto che voi, come me e l’intera regione oggi, ci  sentiamo ancora una volta profondamente feriti. Non è soltanto per l’occasione della celebrazione per l’anno trascorso dal delitto, è perché avvertiamo che quel delitto ha rappresentato una ferita profonda per noi tutti. Ciò che non condivido è il ritenere che quella ferita così attuale sia espressione di qualcosa che improvvisamente abbia squarciato la nostra normalità: era scritto nella storia anche della nostra terra che saremmo arrivati a questo livello di scontro, perché la storia che abbiamo sotto i nostri occhi in altre regioni d’Italia dimostra questo, che il crimine cresce ed aggredisce e noi saremmo diventati come altre regioni sono diventate, subendo una serie di pesantissimi insulti. Era, quindi, scritto, era inevitabile che ciò accadesse, nel momento in cui una regione manifesta segnali di risveglio era inevitabile che ciò accadesse, quindi, non è stata una folgore a ciel sereno.


Quando noi diciamo – e condivido – che abbiamo  attese, quando noi diciamo che vogliamo la verità su questo delitto, una prima verità già la conosciamo: anche in Calabria lo scontro è diventato pesantissimo, lo scontro tra la classe politica, la classe dirigente e la classe, purtroppo, dominante criminale è una realtà con la quale dobbiamo fare i conti.


Vedete, la straordinarietà del movimento dei ragazzi di Locri sta nella loro domanda di normalità, non dicono nulla di eccezionale, si limitano a chiedere riconoscimento di diritti, rispetto del lavoro, onestà, correttezza, libertà di agire ed operare, cose normalissime che molti Paesi conoscono e ritengono condizioni basilari del comune vivere civile.Il sottosegretario alla Giustizia on. Ignazio Li Gotti


Cosa c’è di straordinario nella richiesta di pulizia? Noi siamo ridotti, invece, in queste condizioni.


Allora, la domanda che dobbiamo porci è: possiamo, come calabresi, chiedere a noi stessi di essere normali, non eccezionali, normali? Ma cosa c’entra il parallelismo cattiva amministrazione e delitto? Ma cosa c’entra nella democrazia? Esiste la cattiva amministrazione, ma questo non significa delitto. Il delitto è un’altra cosa, è il contrario della democrazia, perché nella democrazia l’incapacità amministrativa ha, attraverso il voto dei cittadini, le sue sanzioni democratiche.


L’altra elemento di attenzione da tenere presente, nel momento in cui cerchiamo normalità, è quello di non cadere ancora una volta nella sindrome dei figli e dei figliastri. Lo Stato può e deve, lo Stato è e sarà presente, ma molto dipende da noi.


Noi abbiamo vissuto e continuiamo a vivere una fase di emigrazione della coscienza, abbiamo trasferito la nostra coscienza altrove, spesso su qualche alibi. Riappropriamoci della coscienza, il nostro impegno dovrebbe essere quello di impegnarci nel concretizzare uno slogan, “togliere l’acqua ai pesci”. Ma l’acqua siamo noi! Il crimine nasce, si sviluppa, si manifesta anche per poi esplodere al nostro interno e noi qualche segnale, qualche volta, lo avvertiamo, ma siamo distratti, chiudiamo gli occhi, voltiamo la testa. Riappropriarsi della coscienza significa questo. Dobbiamo pretendere dallo Stato, non con le dietrologie che non fanno bene, perché vede, onorevole Tassone, io le ho già risposto alla Camera: quando noi ipotizziamo che dietro l’assunzione di altre funzioni delicatissime da parte del dottor Creazzo ci sia una strategia, vogliamo dire che il dottor Creazzo che accettò il trasferimento, il Consiglio giudiziario che valutò positivo il trasferimento, il capo dell’ufficio che accettò il trasferimento, il Consiglio superiore della magistratura che lo autorizzò, il ministro che avviò la procedura, sarebbero tutti complici di un delitto, perché dire che quel trasferimento è anomalo significa questo.


Allora normalizziamo anche questo fatto e non assegniamogli un significato che non ha, solo questo volevo dire, perché anche le parole hanno il loro peso; non assegniamo a questo fatto un significato che non ha, perché in questo modo aumenta nei cittadini la sfiducia nello Stato e i cittadini hanno bisogno di avere fiducia. Anche noi dobbiamo assumerci le responsabilità per far crescere la fiducia nello Stato, fiducia e risposte concrete anche da parte nostra, quindi, dello Stato e ognuno di noi deve impegnarsi a fare di più, ma come calabresi pensiamo anche alle nostre lacune.


L’insulto violento che come calabresi abbiamo vissuto sia di stimolo a non cadere vittime delle celebrazioni, ma a trovare le ragioni di un riscatto e di un recupero di dignità. Essere orgogliosi della nostra terra significa capire che la nostra terra vuole essere onesta e leale e non vuole le contaminazioni con il crimine e non accetta di averlo al suo fianco. Essere coerenti con questo postulato significa rendere omaggio a chi ha perso la vita facendo il proprio lavoro e significa rendere omaggio a tutte le altre vittime che questa terra ha avuto.


* Sottosegretario di Stato alla Giustizia
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