17 ottobre 2006    

Morelli (An): «Una forte, coraggiosa, urgente terapia contro la 'ndrangheta»


Signor Presidente del Consiglio, autorità, signora Fortugno, Eccellenza reverendissima o, meglio, padre Giancarlo, le commemorazioni, come Tucidide aveva sostenuto nel discorso di Pericle in elogio alla democrazia quale, a quei tempi, originale forma istituzionale, necessitano di atti concreti che comportano conseguenze pratiche dimostrate con i fatti.


In questa occasione, a distanza di un anno, purtroppo, ancora non possiamo parlare, onorevole Laganà, di concretezza, non si intravedono significativi interventi, se non parate ed encomi solenni che nulla fanno presagire nella direzione tanto attesa di accertamento della verità.


Far luce sulla verità, è chiaro, significherebbe riscattarci e riscattare la Calabria da una etichetta di illegalità, malaffare, collusione che ci portiamo appiccicata addosso, quasi endemica condizione dell'essere calabresi.Il consigliere regionale Franco Morelli (An)


Ribellarci non significa, verosimilmente, sulla scia emotiva del verificarsi, all'indomani di un evento criminoso, soltanto manifestare per combattere la ‘ndrangheta. Negli anni ci è stato insegnato che non si approda a nulla e a niente agendo così, poiché il solo riflesso mediatico si dissolve velocemente, occupa l’attenzione dello spazio di un mattino o della velocità con la quale un colpo di parabellum va a colpire l’obiettivo designato.


Comprendere i processi di questi farraginosi meccanismi non è cosa semplice, ma sicuramente compiere uno sforzo in questa direzione significherebbe incominciare a percorrere una strada possibile. Certo, è difficile, ma non impossibile.


E’ compito delle istituzioni farsi carico di grosse responsabilità nel tentare di smuovere le coscienze, non solo dei cittadini, attraverso quei processi culturali sicuramente indispensabili, i cui effetti, però, lentamente si delineano nel tempo. E’ da ricercare nelle istituzioni la dimostrazione della effettiva volontà di essere fautori di un sistema inquirente della magistratura calabrese a se stante, che incentra l'attività investigativa in modo coordinato e sistematico nella piena autonomia e con l'ausilio dello Stato, signor Viceministro, onorevole Minniti, signor Sottosegretario, onorevole Li Gotti, utilizzando corpi e mezzi speciali a sostegno delle indagini, a sostegno di sua eccellenza il prefetto De Sena, a sostegno dei tanti e bravi magistrati che pur in Calabria operano tra mille disagi e, a volte, in condizioni di grosse precarietà, se non di pericolo per la loro stessa incolumità fisica e personale.


Sicuramente, senza voler coltivare la superbia del giudizio, che non ci appartiene, ad esempio – mi perdoni il sottosegretario Li Gotti – può indurre a riflessione il cittadino calabrese che legge, e non sa tutti i fatti come si sono verificati, il trasferimento ad altra Procura del sostituto procuratore incaricato, con la palese implicazione di un arresto, se non addirittura l’azzeramento delle indagini.


Così come desta allarmante preoccupazione – mi sia consentito, con tutto il rispetto dovuto – la effettiva non presenza del Governo centrale che, fatte salve le parate con la turnazione di autorevoli rappresentanti sulla strada della distribuzione degli encomi solenni, di certo non ha concretamente dato attenzione alla nostra Calabria, altrimenti il Presidente del Consiglio, onorevole Prodi non avrebbe usato, lunedì scorso, dopo circa un anno, parole vuote e fuorvianti tendenti quasi alla affannosa ricerca di prendere tempo, come se il nostro fosse un male incurabile a cui ci si può solo stringere, costernati, nelle spalle, ossia in una sorta di rassegnazione.


E faccio salva la Finanziaria che penalizza di certo la Calabria quando prevede la soppressione di importanti presidi del territorio: mi riferisco alle prefetture, alle questure, ai presidi dei Vigili del fuoco nelle città al di sotto dei 200 mila abitanti.


Così come – perché non è giusto, per carità di patria e di Dio soprattutto – incomprensibili sono state le parole del ministro Pisanu e bene hanno fatto alcuni giovani di Locri a far sentire vibrata la loro voce di sdegno, unitamente alla denuncia e alla protesta di essere stati lasciati soli e abbandonati dall’istituzione calabrese dopo la costituzione del forum “Fo.re.ver.”. L'on. Maria Grazia Laganà vedova Fortugno


E non basta certo, architetto Macrì, l’ottimismo della volontà della città di Locri a sostenere i forum, “non basta volare se non hai le ali”, ci insegna Padre Giancarlo Bregantini nel volume “La terra e la gente”. E tutto ciò se da un lato ingenera scoramento, sfiducia e confusione, dall'altro non fa altro che favorire un viatico sistematico, sicuro, certo dell'affermazione del radicamento delle attività malavitose.


E’ a tutto questo che dobbiamo dire no, con forza no perché questo è quello che a noi non serve.


Pertinente alla riflessione di oggi mi sia consentito di ricordare la fiction che ci riporta alla memoria un uomo come il giudice Falcone, il quale ci ha insegnato, attraverso un’acuta intuizione, che è necessario per sconfiggere le organizzazioni criminali assicurare agli inquirenti le condizioni più favorevoli sulle indagini relative ai delitti di mafia. Si costituì, allora, per questo il “pool antimafia”, sul modello delle equipe attive nel decennio precedente di fronte al terrorismo politico.


Il giudice Falcone era convinto assertore della struttura verticistica della cupola mafiosa e della connivenza tra apparati dello Stato e settori della illegalità, sostenitore del coordinamento nelle indagini nella lotta antimafia.


Forse anche per noi è ora, in questo particolare momento in cui sono state colpite al cuore le nostre istituzioni, in cui è sempre più palese una forte recrudescenza malavitosa, di prendere un autorevole ed intramontabile spunto dall'azione e dal sacrificio del giudice Falcone per riflettere in direzione di un possibile cambiamento, tenendo conto e sempre ben presente la lapidaria frase dello stesso magistrato: “Chi tocca certi fili muore!”.


Sempre non molti giorni addietro, il dottor Ayala, nel ricordare il suo amico Falcone, ha affermato che in quegli anni Palermo ha vinto la lotta contro la mafia solo ed esclusivamente perché i siciliani hanno avuto uno scatto di orgoglio e attraverso una rivoluzione culturale hanno sconfitto l'omertà e dimostrato che l'estenuante lavoro simbolo di un modo di essere magistrati temerari e coraggiosi ha dato una svolta nella storia della Sicilia ed è stato l’unico deterrente alla mafia.


Sempre il dottor Ayala afferma che, oggi come oggi, l’organizzazione che detiene il primato soprattutto in ambito internazionale è la ‘ndrangheta, proprio perché ha una maggiore libertà di azione ed agisce incontrastata nel silenzio più assoluto.


Questa è una affermazione allarmante, ma dobbiamo avere la consapevolezza e la coscienza di dire che è vera.


Con grande onestà intellettuale, è necessario convincersi che in modo flebile e comunque non persuaso si avverte quel forte segnale che coinvolge univocamente tutti su una problematica che oltrepassa i confini politici, per abbracciare quel benessere che appartiene a tutti noi.


Certo è cosa molto difficile, ma bisogna avere la forza di affermare una nuova cultura politica che superi le vecchie logiche, gli interessi, le domande, la cultura dell'assistenzialismo e del bisogno, che sia in grado di interpretare i fenomeni sociali, il loro movimento, la diversità delle istanze che provengono dalla società civile. E' necessario affermare, di contro, il principio della condivisione dei bisogni, il rispetto delle diversità ed è quanto mai opportuno e necessario ricercare la forza unificante di una sintesi più elevata di un progetto politico più alto che vede ricongiungersi e riconoscersi in esso tutti ed essere non solo portatori di denunce e proteste, ma di progetti e proposte.


Bisogna evitare l'affermarsi di interessi che tendono a ripiegare su se stessi nella difesa egoistica, corporativa o localistica del proprio “particolare”, perché questo attenua e addirittura cancella la consapevolezza delle possibili ragioni di unità e di solidarietà.


E' evidente che l'assenza di risposte politiche complessive determina inevitabilmente, a poco a poco, una condizione crescente di insoddisfazione e di malessere.


“Solo tu puoi farcela, ma non puoi farcela da solo” - padre Giancarlo, mi permetto di citare con umiltà anch’io prendendo in prestito le parole di don Gelmini -: questo è stato uno slogan che, ella eccellenza, ha posto come base memoriale nella sua opera ammirata, preziosa ed encomiabile nella locride. Allora si può fare.


Mi piace ricordare questo perché ritengo che il compito di questa Assemblea, di questo Consiglio regionale non sia solo quello di legiferare, ma di fare sentire sempre forte la presenza della politica e delle istituzioni sul territorio, non facendo mai mancare la propria voce presso il Governo, affinché la situazione calabrese sia considerata, signor viceministro Minniti, signor sottosegretario Li Gotti, una priorità nazionale, perché appunto noi possiamo farcela, ma non possiamo farcela da soli.


E' necessaria, a questo punto, fatta la diagnosi, applicare una forte e coraggiosa urgente terapia, a modo di esempio non esaustivo: mi riferisco, per esempio, al tagliare l’ossigeno alle organizzazioni malavitose, creando un vuoto intorno ad esse, spezzando ogni possibile contatto nel tentativo di far attecchire logiche del bisogno e della sopravvivenza; monitorare le forti e ingenti forme di finanziamento che possono trovare copertura al malaffare e forme parassitarie nelle quali si nutrono i germi della criminalità organizzata; applicare il principio della separazione tra il momento politico delle scelte e della programmazione da quello puramente gestionale, quindi auspicare intransigenti controlli sulla esecuzione degli appalti di opere e servizi e sulla attività della burocrazia.


Infatti, sottraendo la gestione a tutti i livelli, alla responsabilità politica e alla burocrazia, per esempio affidando la “cantierazione” e l'attuazione delle opere direttamente alla società civile con un opportuno e trasparente coinvolgimento delle organizzazioni professionali competenti, con la presenza eventualmente di magistrati amministrativi ed attraverso organismi elettivi, si tratterebbe di volgere lo sguardo solamente alla società civile e a quelle professionalità competenti che la stessa esprime, di certo si riduce, signor Presidente del Consiglio, il cosiddetto “fattore rischio”.


Siamo, comunque, consapevoli che la legalità incomincia quando noi stessi ci mettiamo in discussione, perché al di là delle affermazioni di principio su cui tutti siamo sostanzialmente d'accordo, c'è una quotidianità fatta di piccole cose, di comportamenti, di modi, di linguaggi, di modi di essere che, a volte anche inconsapevolmente, sono metodi, linguaggi e modi di essere mafiosi, così come la solidarietà che non è quella che tutti predichiamo, ma di fatto è di coloro che la praticano, che non si limitano ad annunciarla, la solidarietà vera, non carità pelosa, ma condivisione dei problemi che incomincia dalle piccole azioni quotidiani.


Ecco, quindi, iniziamo da noi stessi che abbiamo responsabilità politica e tutti noi, nei quali i cittadini hanno riposto la loro fiducia e delega, dando il loro consenso e il loro voto, iniziamo con umiltà e senza farsa alcuna ad operare, ma ad operare seriamente. Forse questo, signora Fortugno – mi consenta se la chiamo così – è il modo migliore per onorare la memoria di un amico innanzitutto quale Franco, ma anche delle tante e tante vittime cadute per mano malavitosa.


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