22 settembre 2006    

Piccoli comuni a caccia del futuro (di Antonio Acri*)


Avviamo, con la riflessione del consigliere regionale dei Ds Antonio Acri, che è anche Presidente della Lega delle Autonomia calabresi, un dibattito sul destino delle aree interne.


Sui piccoli comuni calabresi si è aperto un interessante e proficuo dibattito. Che mi sembra scevro di un male antico: la lamentazione.
Nuove leve di amministratori locali si pongono obiettivi positivi. Sono a caccia del futuro.
La prima consapevolezza è che non stiamo parlando di una fascia marginale di enti locali. Stiamo parlando dell’80% dei Comuni calabresi; che amministrano il 65% del territorio regionale; nel quale vive un calabrese su tre. Considerare secondario tale dibattito significherebbe non discutere della Calabria.Il consigliere regionale Ds Antonio Acri
Il secondo aspetto sono le dinamiche – demografiche ed economiche - che stanno investendo i piccoli comuni e la consueta caratterizzazione calabrese.
Da un lato il dato italiano che ci conferma che nei piccoli comuni con meno di 5mila abitanti la popolazione residente è cresciuta dello 0,5%. Dall’altro la situazione calabrese che vede i piccoli comuni perdere quasi quattromila abitanti. A testimonianza che l’esodo della popolazione, che altrove si è quasi arrestata, da noi continua, soprattutto a scapito delle migliori menti, giovani laureati e diplomati. Del resto quasi il 40% della popolazione calabrese ultrasessantenne, vive oggi nei piccoli comuni.
Dal punto di vista economico la situazione è anch’essa polarizzata. C'è un gruppo molto folto di comuni (1.800 circa) concentrato soprattutto a Sud della Campania e nelle Isole, con una densità di popolazione rarefatta pari a circa 33 abitanti per chilometro quadrato, basso tasso di scolarità, pochi laureati e diplomati, scarsa occupazione, forte dipendenza del settore pubblico, un territorio poco frequentato, un deficit imprenditoriale, limitati sportelli bancari, patrimonio immobiliare povero e inutilizzato, forte disagio economico.
C’è poi un gruppo di circa 1.400 comuni - situati al Nord - con circa 87 abitanti per chilometro quadrato, con un'elevata ricchezza immobiliare, con un alto numero di laureati, con una ricchezza individuale superiore alla media nazionale, diffusa offerta turistica e sportelli bancari.       
Il centro storico di Torre di RuggieroL’ultimo elemento riguarda gli indicatori economico-strutturali di questi comuni.

Se in Italia il grado di autonomia finanziaria e di rigidità strutturale dei piccoli comuni è, rispettivamente, del 64,7% e del 44,0%, nei comuni calabresi è del 38,0% e del 50,3%
Ci troviamo di fronte, quindi, ad una polarizzazione crescente fra piccoli comuni che rischiano di proseguire nel loro declino e altri che invece, già oggi benestanti, miglioreranno la loro situazione. Nella prima categoria ci sono quasi tutti i piccoli comuni calabresi.
Questo il quadro. C’è da chiedersi allora quali strategie mettere in campo per il futuro dei piccoli comuni calabresi. Cioè per il futuro della Calabria.
Quattro, a mio avviso, le linee guida sulle quali operare.
Migliorare l’interlocuzione istituzionale. La dimensione politico-amministrativa sarà decisiva nel determinare il destino delle piccole comunità. Non spendo altre parole sulla necessità che il rapporto enti locali-Regione sia completamente rinnovato. In cui la Regione assuma quella sua veste di "istituzione pilotale" – un termine caro a Blair - di struttura, cioè, che faccia da snodo di relazione fra cittadini e amministrazione, fra sfera pubblica e sfera privata, fra poteri di vertice e territorio, fra sedi decisionali e rappresentanze d'interessi.
Ragionare su convivenze più evolute. Gli amministratori locali devono convincersi che solo la coesione fra piccoli comuni può far nascere una nuova dimensione del locale. Creare nuove identità associative consente di ottimizzare risorse  e servizi scarsi se gestiti singolarmente. Consente di garantire servizi di base che favoriscono la permanenza nei piccoli comuni.
Favorire il dinamismo innovativo. Non tutti i piccoli comuni sono uguali. Non tutti sono turistici o borghi di pregio. Non tutti presentano eccellenze ambientali, enogastronomiche, artigianali. Così come non tutti cercano furbescamente di esorcizzare l'arretratezza allestendo alla meno peggio manifestazioni di pessimo gusto, sagre, fiere celebrative di prodotti inesistenti, con sperpero di denaro pubblico. Favorire il dinamismo innovativo significa concentrare le risorse nei luoghi di sperimentazione più favorevoli delle politiche ambientali, culturali, dei prodotti e dei servizi.
Fare breccia sulle emotività collettive. Sono ancora molti i nostri borghi in cui la permanenza, lo sguardo sulle cose produce forti emozioni. Dopo aver letto un libro di Carmine Abate viene voglia di andare a Carfizzi per cercare quelle suggestioni. Meno sagre e più scintille capaci di generare mobilitazioni di senso, di valori. Dobbiamo chiedere anche questo ai nuovi amministratori locali e alla politica regionale. Lo sviluppo viaggia anche sulle emozioni collettive.
 
* Consigliere regionale Ds

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