24 maggio 2005    

Il presidente Loiero: “Rinvigorire le nostre Istituzioni”


SINTESI DELL’INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE ON. AGAZIO LOIERO NELLA SEDUTA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL 17 MAGGIO DURANTE LA QUALE L’AULA HA APPROVATO IL PROGRAMMA POLITICO DELLA CENTROSINISTRA


Con la presentazione della Giunta e del programma comincia una nuova legislatura regionale densa di attese e di speranze. Personalmente la vivo come ho vissuto da bambino il mio primo viaggio il cui pensiero martellante non mi permetteva la notte precedente di prendere sonno, tante erano le immagini fantastiche ed i sogni che affollavano la mia mente. Oggi rispetto a quel tempo lontano avverto anche i rischi ed i pericoli di questo viaggio. Ma il sogno di riuscire insieme, insieme a voi di trasformare, di cambiare le cose nella nostra Regione prevalgono sugli stessi rischi e pericoli. I calabresi hanno inteso premiare la coalizione di centro-sinistra in una misura che ha stupito gli osservatori più attenti, anche chi come me ha sempre creduto in un successo del centro-sinistra in queste elezioni regionali. Lascio ai politologi le motivazioni e le cause di questa vittoria. A noi resta solo il compito di trarre le conseguenze del risultato. La prima che mi viene in mente è che la Regione non può accontentarsi di una spolverata d’abito per lasciarlo con tutte le sue chiazze di unto. La seconda persino paradossale - e mi rivolgo alla opposizione – è che la non ordinaria dimensione della vittoria elettorale consente un rapporto più franco ed aperto con l’opposizione a cui intendo proporre confronti veri, non di maniera sui grandi nodi regionali. Primo fra tutti lo stato della nostra maggiore istituzione. Faccio una confessione pubblica qua. Mi atterrisce l’idea che pure circola con insistenza negli ultimi anni nel nostro territorio e fuori di esso di un distacco crescente, profondo, quasi incolmabile tra i cittadini e la Calabria. Quando si pensa alla nostra Regione si pensa ad un luogo dove sono possibili cose che altrove non sono possibili. Abbiamo bisogno proprio, davvero, di una disperata ordinarietà. Oggi la Regione è vista come un  regno dell’anarchia che forse neanche risponde alla realtà ma che comunque così viene vissuto. Basta leggere la relazione di questi anni della Corte dei conti per rendersene conto ma basta leggere quello che scrivono i grandi inviati in prima pagina dei più grandi giornali italiani. L’idea di una Regione che emerge in questi pochi giorni di lavoro è quella di un ente senza storia, senza antefatto, senza alcuna continuità amministrativa. Una Regione dove si fa una fatica del diavolo a recuperare il pregresso, a stabilire nessi tra le cose, nessi temporali, giuridici e amministrativi. Molti atti che pure hanno inciso profondamente nella vita della Regione sembrano non essere mai esistiti e sembrano vivere senza una concatenazione logica. E’ come se fosse stata per anni adottata una oscura comon-low  priva dei bagliori della tradizione inglese che ha reso, lungo l’arco dei secoli, di altissimo profilo il diritto consuetudinario. A noi dunque spetta il compito di rinvigorire le nostre istituzioni, di conferire loro sostanza e forma,  più accettabili avendo consapevolezza che le due cose: la sostanza e la forma, in tale ambito, non vanno disgiunte. Ho molto apprezzato (e lo confesso qui) nel discorso del Presidente del Consiglio ed in alcune sue dichiarazioni alla stampa la nuova attenzione che intende dare alla forma. Primo fra tutti il rispetto dell’orario delle sedute. Ricordo che sono spesso quelle considerate le piccole cose, quelle cui in certe zone del Paese si bada poco, a dare forza e vigore agli organismi istituzionali. Un compito che spetta in misura esattamente uguale alla maggioranza e alla opposizione. Anzi il rispetto formale delle norme, delle regole è la prima garanzia della opposizione. Le regole sono infatti nate in Inghilterra, in quel Paese che rappresenta la culla della democrazia, per arginare, appunto, il potere del sovrano. Se posso fare un riferimento personale voglio confessare a questa Assemblea che io ho sempre amato gli inglesi non solo per come hanno saputo teorizzare l’esercizio del comando, ma anche per quella loro attitudine a porre ad esso limiti definiti, argini sicuri e soprattutto per quella loro inclinazione che è sempre stata culturalmente eccitante, a resistere attraverso, il rispetto delle regole, al potere costituito. Sono dunque le regole il primo dei nostri problemi. Poi naturalmente vengono gli altri che sono tanti e che nell’ultima legislatura si sono drammaticamente aggravati. Nel programma che vi consegno credo di averli elencati tutti anche se alcuni rappresentano,  sicuramente una priorità assoluta. Ad essi ho tentato, insieme alla coalizione ed insieme ad una schiera di esperti, i professori Cersosimo, Pangallo e Viscomi che voglio nominare perché i loro nomi restano agli atti di questo Consiglio di dare una soluzione nel mio programma di governo che risponde, ovviamente, ad una nostra visione del mondo e che può pertanto essere anche opinabile, me ne rendo conto, ma che, comunque, intendo sottoporre anche all’attenzione della opposizione, convinto come sono, che è spesso la dialettica, il confronto serrato e talvolta il disaccordo più aspro a farci pervenire ad un migliore livello di conoscenza. Estrapolo in questa sede, dal mio programma, alcuni passaggi rinviando l’intera Assemblea alla lettura del programma organico. Comincio dallo sviluppo che in questo mio non lungo intervento, che considero la base stessa del nostro futuro. Lo abbiamo spiegato mille volte in campagna elettorale però ci sembra utile ricordare come intendiamo lo sviluppo. Esso deve poggiare su di un presupposto di intesa, tra imprese e forze sociali sindacali, una intesa che rilanci il metodo della concertazione inspiegabilmente abbandonata negli ultimi anni come fosse un rudere del passato. Non sto qui a ricordare il valore della concertazione che in certi territori deboli come il nostro rappresenta più una risorsa per il Governo che per le forze sociali e sindacali. Un’ intesa, dunque, tra imprese e forze sociali che trovi nella istituzioni un potere vincolante. Avvertiamo forte il bisogno di una politica che insieme vincoli e favorisca il patto, l’intesa rendendo più appetibile il territorio.


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