15 febbraio 2006    

14 Regioni dicono No alla Devolution (di Luisa Lombardo)


L’offensiva contro la riforma federale dello Stato trova la Calabria ancora attestata in prima fila, e sempre in posizione di netta intransigenza.
Nel dicembre scorso, il Consiglio regionale della Calabria, era stato fra i primi a licenziare all’unanimità il provvedimento di richiesta del referendum. L'Ingresso dell'Auditorium «Nicola Calipari» del Consiglio regionale
A Roma, in occasione della presentazione alla cancelleria della Corte di Cassazione della richiesta di referendum confermativo della legge voluta dalla Casa delle Libertà (e che ha  modificato 53 articoli della seconda parte della Costituzione), il presidente Bova ha ribadito che si è così voluto dare voce alle ragioni dei calabresi che non vogliono accettare di diventare figli di un Dio minore”. “E’ la prima volta – ha spiegato Bova – che le Regioni si mobilitano per chiedere che una riforma costituzionale sia valutata dai cittadini”.
Nella Capitale, c’era anche il vicepresidente di minoranza Roberto Occhiuto, quasi a testimoniare che in Calabria, il dissenso è totale.
La realtà è che, soprattutto al Sud, la riforma di Bossi non va giù, perchè il Mezzogiorno teme di risultarne penalizzato. Ma la Devolution non è accettata anche per le sue altre insidie. “La legge approvata dal Parlamento ha creato una fortissima limitazione dei diritti costituzionalmente riconosciuti. E’ stato travolto il senso della Carta del 1948 che i Padri costituenti hanno approvato”. “Noi, quali rappresentanti delle Assemblee Legislative non l’accettiamo – ha detto il presidente del Consiglio Il Presidente Giuseppe Bovaregionale, Giuseppe Bova”.
Ora si va al referendum partendo da queste premesse. La Devoluzione è una riforma che tradisce lo spirito dal quale furono animati i costituenti del 1948, i quali hanno saputo porre al primo posto i valori della solidarietà e della uguaglianza. La riforma invece inasprisce le disuguaglianze fra Nord e Sud e fra cittadini delle diverse aree.  
Su 15 Assemblee regionali (Sardegna, Campania, Lazio, Lombardia, Calabria, Toscana, Valle D’Aosta, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Puglia Liguria, Abruzzo) che, negli ultimi due mesi, hanno deliberato di sottoporre al voto degli italiani la riforma della seconda parte della Costituzione, 14 sono favorevoli al <>, alla bocciatura secca della legge, mentre solo una è favorevole alla conferma del testo varato dal Parlamento. Si tratta della Lombardia, la cui giunta è retta da una maggioranza di centrodestra.  
Intanto, il fronte del no si allarga. E, accanto alla voce dissenziente di 14 Regioni italiane, si registra anche la mobilitazione popolare. Duecentomila firme sono già pronte per la consegna in Cassazione, ma ne servono almeno 500 mila, per sottoporre la riforma al referendum popolare. L’art. 138 della Costituzione dice infatti che se una legge di modifica costituzionale non è approvata da entrambi i rami del Parlamento con la maggioranza dei due terzi, questa può essere sottoposta a referendum popolare confermativo entro tre mesi dall’ultima approvazione. La richiesta può essere fatta da un quinto dei membri di una Camera, da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali.
Il 17 febbraio è il termine ultimo per la consegna delle firme alla Corte, perciò, prosegue a tamburo battente la raccolta promossa dal Comitato “Salviamolacostituzione”, guidato da Oscar Luigi Scalfaro.
Adesso, si attende il 21 febbraio, data in cui è prevista in Cassazione, la riunione dell’Ufficio centrale per i referendum, durante la quale si saprà se la domanda delle Regioni è stata accolta.

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