31 gennaio 2006    

Verso un nuovo regionalismo (di Luisa Lombardo)


Sono pregnanti di attualità le riflessioni raccolte nel libro “La riforma del La copertina del Volume curato da Alberto calogero e Claudio CarboneRegionalismo italiano nella prospettiva del Federalismo solidale e cooperativo”, e aiutano a capire meglio il cammino dell’Italia verso il Federalismo. Un percorso lungo e travagliato che ha visto protagonista, in prima battuta, il centrosinistra, con la riforma del titolo V della Costituzione e poi, a distanza di sei anni, il centrodestra, con la legge di riforma costituzionale, la cosiddetta “devolution”, che ha innovato profondamente il sistema dei rapporti Stato-Regioni.
Nel libro edito da Laruffa che racchiude gli atti di un convegno promosso nel 1996 dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dalla Camera Civile di Palmi, autorevoli costituzionalisti ed avvocati intervengono sulle questioni più spinose del dibattito sul federalismo: i rapporti tra “centro” e “periferia”; la ripartizione delle competenze legislative; la potestà legislativa esclusiva e concorrente; il federalismo fiscale.
Contributi che aiutano a comprendere meglio i termini di un dibattito che da più di un ventennio attraversa il Paese.
L’idea federalista muove dall’assunto che “l’unità dei piccoli e dei diversi si può trasformare in forza comune, se si trovano i modi istituzionali per mantenere le individualità e potenziare la coesione”. E’ anche vero però che “le identità regionali non possono essere ‘calate’ dall’alto con atto d’imperio costituzionale, ma devono costituire il risultato di processi di autoidentificazione dal basso”.  (prof. Gaetano Silvestri)
Un particolare del dipinto di Tommaso Campanella La premessa da cui trae origine il dibattito è il riconoscimento della crisi del regionalismo italiano. Ma, dove vanno ricercate le ragioni di questa crisi? Le cause  vanno fatte risalire indubbiamente alla genesi del regionalismo, “in una certa debolezza del ‘profilo’ disegnato alle Regioni dai nostri padri costituenti”.  I costituenti non hanno sciolto infatti alcuni dei maggiori nodi che una riforma di tale portata poneva sul tappeto. Tra questi, “l’elencazione delle materie regionali, la cui compilazione è avvenuta al di fuori di un chiaro progetto strategico”. (prof. Antonio D’Atena)
Un altro elemento di debolezza del sistema disegnato dai padri costituenti è stata “la frammentazione degli elenchi delle materie le cui ‘voci’ non sono state costruite come settori organici, ma come ambiti dai contorni estremamente frastagliati”. Tutto questo ha più volte determinato una sovrapposizione di competenze. Gli interventi regionali si sono spesso intrecciati con quelli di altri soggetti pubblici (in primis, dello Stato). E in questo quadro, è cresciuta l’incertezza sullo stesso ruolo delle Regioni che rischiano di configurarsi come come enti privi di una specifica vocazione funzionale, anzi per riprendere una metafora di Giuliano Amato, come ‘enti senza volto’. Secondo diversi costituzionalisti “la debolezza della disciplina dettata dalla Costituzione italiana in materia di Regioni va ricondotta anche al difficile compromesso, raggiunto in sede di Assembela Costituente, tra una concezione garantista del federalismo (di matrice liberale) e l’antifederalismo di matrice giacobina e marxista-leninista”. (prof. Antonio D’Atena)
Alle ragioni “genetiche”, si sono aggiunte poi anche le prassi poco ortodosse seguite in Italia. “Spesso, infatti, è accaduto che le inadeguatezze della disciplina normativa, sono state ‘rimosse’ ricorrendo ad espedienti interpretativi se non – in taluni casi – all’aperta violazione della Carta fondamentale, invece di essere affrontate nella sede propria”.
Quello che è mancato insomma è stata una costante manutenzione della Costituzione italiana, mediante il ricorso alla revisione costituzionale.  Molti costituzionalisti però attribuiscono le colpe di questo insuccesso alla partitocrazia. “Le Regioni infatti sono state calate in una realtà istituzionale dominata dalla presenza di partiti politici organizzati su base nazionale, e lungi da contrapporsi a tale assetto, hanno in larga misura finito per subirne la logica interna”. (Prof. Antonio D’Atena)
Centrale è la questione della finanza. Il sistema di finanziamento delle Regioni discende indubbiamente dal modello di federalismo che si intende attuare sotto il profilo istituzionale. “Se si vuole che le Regioni continuino ad operare in base a criteri e per raggiungere obiettivi fissati dal Governo centrale, il sistema di finanziamento attuale, vincolato e derivato,  è di sicuro il più adatto. Se invece, si ammette che le Regioni possano intervenire in piena autonomia  - pur nel rispetto dei principi fissati da leggi nazionali ma approvate anche da una Camera delle Regioni – allora è inevitabile rivedere il sistema finanziamento in modo che autonomia tributaria e sistema di perequazione divengano ‘gambe’ capaci di far camminare bene questo modello di federalismo”. (prof. Iole Buccisano).   Il problema è che allo stato ci sono diverse esigenze di federalismo. “Nulla quaestio – spiega l’avvocato Salvatore Silvestri – se si trattasse di applicare il nuovo sistema federale ad uno Stato omogeneo per struttura economica e sociale. Ma, l’Italia di oggi è, senza tema di smentita, tutt’altro che una nazione omogenea. Si spiega così l’esistenza, nel nostro Paese, di due diverse esigenze di federalismo, la prima è quella che ben si attaglia ad un Nord ricco ed opulento che spinge verso un federalismo capace di permettere ai capitali prodotti in una certa area geografica di essere reinvestiti nelle stesse zone, avendo come conseguenza immediata quella di una probabile riduzione della pressione fiscale e, al contempo, la creazione di nuove infrastrutture tendenti a favorire un ulteriore sviluppo; l’altra è quella a cui pensa un Sud povero (non soltanto per ragioni storiche) che vede nel federalismo una sorta di svolta epocale, non suffragata da dati di fatto, capace da sola di risvegliare, non meno identificate, energie sopite”.
Tali riflessioni servono a far capire quanto sia difficile il cammino verso una nuova forma di Stato che possa compendiare le diverse esigenze, garantendo equilibrio e pari opportunità in ogni parte del territorio nazionale. 

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