25 maggio 2011    

Il voto amministrativo risucchiato dalla politica nazionale (di Romano Pitaro )


Milano ha messo al tappeto il Cavaliere, che se l’è cercata. Se non avesse chiesto  un referendum sulla sua persona, adesso non offrirebbe  la gola  agli  avverarsi. I quali  hanno poco da gongolare. Perché il massimo che, nelle condizioni date, è possibile  immaginare, qualora il voto di Milano innescasse le  logiche reazioni della Lega, sarebbe la riproposizione dell’Ulivo del 2006. Magari con Prodi o un suo simile  alla guida del governo e, quindi, ancora una volta, assisteremmo a  furibonde liti. In realtà, siamo dinanzi ad una sovrapposizione dei livelli  elettorali. Abbiamo votato per le città, ma ci piomba addosso il tormentone della politica nazionale.  Il che rischia di confondere  le idee.  Non è inutile, dunque, mettere qualche punto fermo.  Non è vero che  il voto di Milano equivale all’epilogo berlusconiano.  Perché  la parabola del berlusconismo è calante, ma  da un pezzo. Ed è la Lega che ne ha finora  impedito lo schianto.  Non a caso il ministro Tremonti, uno  che assomma  più potere nel centrodestra  e  gode della fiducia della Lega,  da un po’ di tempo,   nei confronti del Mezzogiorno, ha un approccio morbido. A Reggio Calabria, assieme al presidente Scopelliti,  ha usato un linguaggio di sprone, ma non  aggressivo.   Evidentemente, l’idea di una spallata al Cavaliere, con tanto  di apertura di crisi e costruzione di un  governo tecnico presieduto da Tremonti, è in laboratorio da un po’. A Milano è stata sconfitta la Moratti. Ma la spiegazione  più naturale  è che  Pisapia è stato bravo a convincere i milanesi  che, dopo cinque anni, hanno deciso di svoltare.  Chi conosce Milano sa quanto potere hanno accumulato le banche e i grandi costruttori, monopolizzando lo spazio pubblico e oscurando la proiezione internazionale della metropoli. Ecco, semplicemente, i milanesi hanno scelto di  affidare il loro futuro  al volto rassicurante di Pisapia.  Così come a Catanzaro. E’ vero che Scalzo è stato stracciato   anche in ragione del disfacimento del Pd,  ma la vittoria di  Traversa  è dovuta al fatto di essere stato nel corso degli anni un buon amministratore. In breve: una città malgovernata  ha deciso di guardare da un’altra parte. Ciò che incredibilmente viene ignorato nei commenti sul voto, è la specificità delle performances elettorali, col rischio d’infondere nell’analisi suggestioni fuorvianti. E  di non  farci capire né lo stato di crisi delle città in cui si è votato, né gli sbocchi  reali  per la crisi istituzionale e politica in cui l’Italia è finita dopo il ventennio berlusconiano. Infilare il risultato amministrativo nel calderone della polemica   nazionale, è un vizio dei media. Che focalizzano l’attenzione sugli eventi generali, nella speranza di  ravvivare,  inserendovi peculiarità locali, l’esangue  dibattito politico. Da qui lo scarso approfondimento delle criticità urbane e la marginalizzazione  delle  questioni che rendono immatura la  politica italiana  e che imporrebbero  ben altre riflessioni. A partire dall’ analisi sull’incapacità dei grandi collettori del consenso d’inserirsi  nelle rotte tracciati dalle più importanti famiglie politiche sopravvissute al secolo breve (liberismo e socialismo) o dall’urgenza di  mettere mano ad una riforma dello Stato che  esige  non solo il federalismo fiscale. La riprova di quanto sia paradossale buona parte del  dibattito  di questi giorni,  è data dall’utilizzo, in ogni ragionamento, sia come chiave di lettura  che   come indicazione strategica, del termine più inflazionato del momento: moderati. Vinci se sei moderato o se catturi il voto moderato. Ore di talk-show in cui  quando l’avversario incalza,  lo si accusa di non essere un moderato. Salvo non fornire mai un’esaustiva definizione del termine. I  moderati sono come la teoria della relatività di Einstein.  Sappiamo che c’è, ma chi sa cos’è?  Le contraddizioni abbondano. Per esempio: Pisapia è considerato  un estremista di sinistra, perché è del  partito di Vendola. Ma come va definito il quasi 50 per cento dell’elettorato milanese che lo ha votato? Misteri. 
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