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20 maggio 2011
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Non polarizzare il voto (di Romano Pitaro)
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Non può essere così. Se andiamo al voto solo con questi pensieri in testa, chi si prenderà cura delle nostre città malate? L’intero dibattito pubblico, in vista del voto di domenica, non può essere schiacciato da due narrazioni polarizzate che, specie negli ultimi giorni, hanno preso il sopravvento. Milano da un lato, che se sbatte al tappeto la Moratti o quantomeno la costringe al ballottaggio, è vista come il radioso futuro del Paese; e, dall’altro, Crotone, assurta a simbolo del più deplorevole trasformismo in salsa meridionale, in quanto la senatrice dell’Udc, Dorina Bianchi, candidata a sindaco dell’ex Stalingrado del Sud col centrodestra, è (o sta per farlo) passata col Cavaliere. Ancora una volta, si vorrebbe proporre il Nord come la spada fulgida che può uccidere il drago satollo di vergini. E il Sud, invece, come la terra estrema dalla vita collettiva inaridita. Una lettura siffatta distorce la realtà. Occulta le scosse telluriche che stanno interrogando l’Occidente sulle crisi profonde che l’hanno investito. E, peggio ancora, non consente ai cittadini di scegliere non tra Mackie Messer e i gli altri leader dal carisma incolore che gli si contrappongono, ma il sindaco ed il presidente di provincia più capaci. Ai quali consapevolmente affidare l’impresa, tutt’altro che agevole, di umanizzare città degradate e torturate dalla presenza di centri urbani congestionati e periferie dormitorio da tempo fuori controllo. Una lettura fortemente politicizzata del voto amministrativo e persino geograficamente duale, è contraria agli interessi dei cittadini. Sbagliata culturalmente. Anzitutto, perché tra questi due artefatti poli, c’è l’universo multiforme della politica dal basso, dei cosiddetti poteri diffusi nei territori e delle rappresentanze sociali su cui da tempo si sofferma il più acuto conoscitore della provincia italiana che è Giuseppe De Rita. Si tratta di un mondo vivace che interagisce orizzontalmente, che non ha, il più delle volte, agganci coi poteri verticali, e che proprio nel voto amministrativo potrebbe dare il meglio di sé, offrendo nuove risorse umane alla politica e soluzioni ai problemi. In secondo luogo, l’impostazione a tesi contrapposte del dibattito, mentre espropria i cittadini di un legittimo confronto sui loro problemi specifici e lo incanala, immiserendolo, nell’alveo asfissiante dei talk show dove si può soltanto tifare per o contro Berlusconi, finge di non vedere i nodi gordiani che rendono immatura la politica italiana. Perché in mezzo all’idea che Milano sia la speranza e Crotone il passato e tra gli interessi di Berlusconi e quelli dei suoi oppositori, c’è molto altro. Per esempio, l’incapacità dei grandi collettori del consenso politico, per come si sono strutturati dopo la caduta del muro di Berlino e dopo Tangentopoli, di trovare risposte alla crisi di identità degli Stati nazionali e del progetto europeo, anzi del “sogno europeo” come lo definì Jeremy Rifkin, drammaticamente eclissato sulle spiagge dell’Africa mediterranea. D’altronde, se rinunciamo inquadrare i singoli accadimenti nel flusso generale delle idee, finiamo col ridurre in farsa le cause di quanto avviene. In realtà, siamo dinanzi ad una lacerante crisi di sistema e ad uno smarrimento epocale. Crisi di sistema, come va ripetendo il nuovo direttore del “Riformista” Emanuele Macaluso. Nella storia della Repubblica e dell’Italia che ha compiuto da poco un secolo e messo, è intervenuta una cesura che rischia di trasformare l’architettura istituzionale anche in senso autoritario, ma non è certo demonizzando Berlusconi o rovistando nei cassetti di un’alternativa che ha pilastri incerti ed è priva di idee forti che se si ridarà ossigeno al Paese. Dentro questo quadro d’insieme, senz’altro il sopraggiungere di Berlusconi a Crotone, per lanciare la parlamentare dell’Udc Dorina Bianchi a sindaco, è un’anomalia che suscita stupore, ma ad una condizione. Che cioè non la si interpreti come il frutto marcio di un Meridione che ha le spalle al futuro. Occorre, se vogliamo capire quel che ci scorre sotto gli occhi, guardare tutte la patologie e non una soltanto. Berlusconi, infatti, anche nel “caso” Crotone, può essere indicato non come la causa dello stordimento istituzionale, ma, al contrario, come uno degli effetti che, alla pari degli altri, ed aldilà delle accuse e degli applausi che attira su di sé per alcune perniciose considerazioni, si muove nello scacchiere nazionale a tentoni. Senza un canovaccio, improvvisa.
Come gli altri, sembra lo shakespeariano Riccardo III che urla “Il mio regno per un cavallo!”. Se ciò che è decisivo in politica sono i numeri, e non la capacità di pensare a come sarà l’Italia tra dieci o vent’anni, come si può biasimarlo? Tra l’altro, lui lo fa da una posizione di forza. Ed è per questo che, pur subendo colpi micidiali, regge l’urto. Perché tra i tanti, è quello meno fragile e, grazie al potere economico e mediatico di cui dispone, meno solo. I commenti sull’irritualità berlusconiana e sulla liquefazione delle opposizioni, spesso guardano solo il dito, di conseguenza non spiegano il guasto fondamentale. E’ il sistema istituzionale che è grippato; la legge elettorale porcata” e l’allontanamento di tutte le forze politiche dai principali filoni ideologici e culturali sopravvissuti alla guerra fredda, liberalismo e socialismo, mandano in scena la disperazione di una democrazia che, avvitata su se stessa, trascura i problemi dei cittadini. Chi si ostina a sparare su Berlusconi e ad indicarlo come il male assoluto, non si rende conto che anche senza Silvio il populismo leaderistico che suscita inquietudine, andrebbe avanti comunque. A meno che la politica nel suo insieme non decida di fermarsi per ristrutturare, grazie ad un nuovo Patto, gli assi portanti.
In attesa di un rinsavimento generale, può quindi accadere che a Crotone Berlusconi, mentre tesse l’elogio di una parlamentare dell’Udc, indichi in Casini, leader dell’Udc, l’ostacolo per le “sue” riforme. Sembra un giochetto di furbizia, ma è semplicemente la politica italiana che si è incartata, e non si può rimproverare ai giocatori in campo di fare i propri interessi. E’ la politica italiana sprofondata nella voragine che decenni di partitocrazia, prima, e un ventennio d’illusionismi pirotecnici, dopo, hanno prodotto. E che adesso vorrebbe, ed in parte c’è riuscita, ficcare le sue idiosincrasie ed il suoi tormenti persino nel dibattito sulla scelta degli amministratori locali. Tocca ai cittadini fare da argine. Difendendo la propria autonomia di scelta, in base ai programma dei candidati ed alla loro affidabilità etica e realizzativa. Nelle urne non si è chiamata a scegliere chi vorremmo alla guida del Paese. Ma chi deve dare una regolata alle società di servizi partecipate dai comuni, chi deve occuparsi del verde pubblico e garantire più spazio ai cittadini e meno agli speculatori ed a dissennati cementificatori che hanno saccheggiato ed abbrutito le nostre città.
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