18 marzo 2011    

Serve riscatto per il Sud (di Sandro Principe *)


il capogruppo Pd Sandro Principe Dopo il fallimento dei moti rivoluzionari del 1799 ed, in particolare, della rivoluzione napoletana, le speranze suscitate dall’avventura bonapartista in Italia generarono amarezze e delusioni nei patrioti italiani, che avevano sperato che Napoleone, con il suo arrivo in Italia, avrebbe determinato la formazione di uno stato italiano unitario. Dopo le vicende del 1799 e, soprattutto, dopo i trattati di Vienna del 1815, che avevano stabilito la restaurazione dei vecchi stati italiani, la critica storica, ben supportata, se non addirittura anticipata dalla letteratura, dalla poesia, dall’arte e dalla musica, elaborò la teoria che l’Italia libera ed unita sarebbe diventata uno Stato sovrano soltanto se gli italiani avessero compreso che dovevano “fare da sé”, piuttosto che attendere l’aiuto esterno da parte di qualche potenza europea, in particolare dalla Francia.
Questo filone culturale, non solo prevalse nei componimenti storici, letterari e poetici, ma, sostenuto dalle associazioni segrete e, in particolare, dalla Carboneria e, successivamente, dalla Giovane Italia, ispirò i moti del 1821 e del 1831; sempre con Mazzini, Garibaldi e Manin ed altri illustri patrioti, questa impostazione prevalse negli anni Trenta e Quaranta, sfociando nella Repubblica Romana prima, di Venezia dopo ed in altri moti insurrezionali, nel biennio 1848-1849. Addirittura, la politica del “far da sé” ispirò lo Stato Sabaudo che, con il suo re Carlo Alberto, scatenò la sfortunata I° guerra di Indipendenza contro l’Austria.
Bisogna riconoscere, però, che l’Unità d’Italia,  proclamata il 17 marzo 1861, fu in realtà dovuta sia alla capacità del movimento patriottico italiano di “far da sé”, impostazione che ebbe la sua più importante estrinsecazione nell’esaltante epopea garibaldina da Quarto al Volturno, per dirla con il titolo scelto da Giuseppe Cesare Abba per la sua “Storia dei Mille”, sia all’aiuto esterno, portato dalla Francia di Napoleone III. Senza l’intelligenza di quel grande statista che è stato Cavour, che aveva partecipato alla guerra di Crimea  nel 1855 per ingraziarsi Napoleone III, ritenendo sin da allora necessario l’intervento della Francia per liberare il lombardo-veneto dall’Austria, non si sarebbe verificata la vittoriosa II guerra di indipendenza, culminata con il successo dei piemontesi a San Martino e con la decisiva vittoria delle armate francesi, guidate da Napoleone III, a Solferino. Cavour, per verità, pensava di instaurare un Regno del Nord; progetto che Garibaldi fece fallire con la sua impresa nel 1860.
Ed è, infatti,  indubbio che l’Unità d’Italia, non ci sarebbe stata senza la vittoria di Garibaldi, che a Teano consegnò a Vittorio Emanuele II il Regno delle Due Sicilie, costringendo Cavour a rivedere i suoi piani e Mazzini, deluso perché sperava che l’epopea Garibaldina desse luogo ad una Repubblica, a riprendere la via dell’esilio. Mazzini aveva perfettamente ragione, in quanto il Regno d’Italia era nato come un estendimento del Regno di Sardegna, tant’è che le leggi piemontesi divennero vigenti sull’intero territorio nazionale, compresa la Carta Fondamentale rappresentata dallo Statuto Albertino; ed a conferma di ciò il re continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II re d’Italia, così come , con il nome di Vittorio Emanuele II, era stato re di Sardegna.
L’Italia unita, dunque, vide i suoi giovani, i suoi intellettuali, la sua gente e lo Stato Sabaudo “far da sé”, ma non v’è dubbio che l’aiuto esterno assicurato diplomaticamente e militarmente dalla Francia del II impero fu altrettanto importante, se non decisivo. Del resto la III guerra di indipendenza conferma questo modesto pensiero, poiché senza la vittoria dei prussiani sugli austriaci a Sadowa il Regno d’Italia non avrebbe aggregato al suo territorio il Veneto, a causa delle nostre sconfitte a Custoza e sul mare, a Lissa, dove “ uomini di ferro su navi di legno hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro”, per come affermò il vittorioso ammiraglio Whilhelm von Tegethoff, comandante della flotta austriaca. Nella III guerra di Indipendenza l’unico a dimostrare ancora una volta  che si poteva “fare da sé” fu ancora Garibaldi che, sconfitti gli austriaci a Bezzecca, si diresse con le sue camice rosse alla conquista di Trento, ma fu fermato dal Re; in questa occasione Garibaldi  rispose con il famoso telegramma “Obbedisco”.
La stessa liberazione di Roma, infine, resa famosa dalla  Breccia di Porta Pia, attraverso la quale i bersaglieri irruppero nella città Santa, fu possibile per il cessare della protezione francese sul potere Temporale dei Papi, a seguito della sconfitta di Napoleone III a Sedan  ad opera dell’esercito prussiano, evento che determinò la nascita dell’Impero Germanico. Bisogna dire, per onestà intellettuale, che l’Italia unita ha dato buona prova di sé in molti campi: ha unito il Nord con il Sud con migliaia di KM di rete ferroviaria, di strade e di autostrade, per quanto tuttora insufficienti e da ammodernare ( SA-RC); ha ridotto l’analfabetismo dal 70% ( 90% al Sud) al 12%; ha visto crescere il reddito medio pro-capite di 16 volte ( 10 nel Mezzogiorno) a fronte di una crescita pari a 10 in Europa. Sono solo alcuni esempi. Inoltre, il Made in Italy, il nostro modo di vivere, la qualità della nostra cucina, i nostri beni culturali, i Musei, i Teatri, la nostra arte, in una parola la nostra cultura, tutto ciò suscita l’invidia del mondo intero.
L’Italia odierna, però, viaggia con due velocità e vede, a fronte di  un Nord progredito socialmente ed economicamente, le regioni meridionali tuttora sottosviluppate ed arretrate e, ciò, rischia sul serio di compromettere il risultato raggiunto con la grande epopea risorgimentale; oggi noi festeggiamo il 150esimo dell’Unità d’Italia, infatti, in un momento in cui sono fortemente presenti seri rischi di disunità nazionale.
L’affermarsi della Lega Nord, partito regionale molto forte nella Pianura Padana ed in Friuli, ma inesistente nel resto del Paese, condiziona in modo scandaloso la scelte del Governo di Roma, che si è reso promotore di un iniquo federalismo fiscale che, determinerà, a nostro avviso, l’ulteriore impoverimento del Mezzogiorno e rischia di spaccare in due il Paese, anche sotto il profilo istituzionale.
Il Mezzogiorno non può essere considerato e trattato come una pesante palla al piede per lo sviluppo del Paese; solo se si assume la questione meridionale come questione nazionale, il Mezzogiorno potrà evolvere diventando forza propulsiva per la crescita dell’intera Nazione, così come sapientemente ha saputo fare in meno di vent’anni la Germania con le sue regioni orientali, godendo oggi di questa politica che ha fatto ripartire la locomotiva tedesca in economia.
A nostro avviso, così come è avvenuto per raggiungere il glorioso obiettivo dell’Unità d’Italia come Stato Sovrano, per merito del contemporaneo esplicarsi del fattore rappresentato dal sostegno esterno, da parte della Francia e della Germania, da un lato e  dall’azione interna, all’insegna della politica del “far da sé”, dall’altro, allo stesso modo, il rilancio del Mezzogiorno ed il suo sviluppo potranno avvenire, nell’interesse dell’intero Paese, se il Sud d’Italia diverrà oggetto di un forte sostegno dello Stato nei comparti di sua competenza ed, ad un tempo, se le regioni meridionali, il suo sistema delle autonomie locali, il mondo dell’imprenditoria, la cultura e le università, in una parola tutta la società meridionale capirà che va posta in essere una efficace politica del “far da sé”, nelle materie affidate alle loro cure.
In particolare, lo stato deve: completare e/o ammodernare il sistema infrastrutturale, partendo dalla nostra Gioia Tauro che deve diventare la porta d’Oriente dell’Europa; potenziare, attraverso ingenti investimenti, la conoscenza, i saperi, l’istruzione, il sistema universitario, la ricerca ed i poli di innovazione; porre in essere una politica per la sicurezza, per far si che la mancanza di sicurezza cessi di essere la principale causa di sottosviluppo;  un pacchetto di incentivi per lo sviluppo dell’impresa, che preveda misure agevolative di natura fiscale e contributiva, piuttosto che contributi a fondo perduto. In questo settore è indispensabile una nuova politica del credito, che riporti alla normalità il costo del denaro nel sud.
Parimenti le istituzioni e la società meridionale tutta debbono esercitare con efficace ed efficienza le loro funzioni per  essere protagoniste di gestioni all’insegna del buon governo nelle politiche per l’occupazione e per il sostegno all’impresa, nei settori dell’agricoltura, del turismo, della sanità, dei trasporti, del recupero dei Centro Storici, dell’ambiente.
Il nostro impegno, dunque, deve essere teso a far si che dopo 150 anni, finalmente, con linearità, chiarezza e determinazione sia elaborato per il Mezzogiorno un progetto di crescita composto da efficaci politiche nazionali e da dignitose, ma altrettanto efficaci, politiche delle istituzioni regionali, in sintonia con l’intera comunità meridionale.
Com’è stato per l’Unità d’Italia, quindi, il riscatto del Mezzogiorno deve vedere il concorso tra la solidarietà esterna ( dello Stato e della UE) e la politica “ del far da sé” degli uomini del Sud,per far sì che in un futuro non lontano si possa festeggiare l’unità sostanziale del Paese. Questo risultato il Mezzogiorno lo merita per il contributo di idee ( Cuoco, Colletta, Poerio, etc.), per il sacrificio di martiri e per la numerosa partecipazione di combattenti che ha dato al Risorgimento; Garibaldi, infatti, sbarcò a Marsala con  1162 giovani ed arrivò alla fine della guerra con al seguito 50 mila volontari, in gran parte meridionali, che si erano aggregati ai garibaldini man mano che il Generale attraversava la Sicilia e risaliva la Penisola.

* Capogruppo Pd
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