18 marzo 2011    

Il Sud non sia più passivo (di Giuseppe Bova *)


Il capogruppo del Gruppo Misto Giuseppe Bova In uno dei quotidiani nazionali, ieri, era pubblicato un articolo, né superficiale né meramente celebrativo, sul centocinquantesimo dell’Unità d’Italia.

Il titolo emblematico era “I numeri dell’Italia che fa 150 anni bloccano il futuro”.

Nel merito, poi, una raffica di problemi che tengono distante la media italiana, sugli indicatori di civiltà, da quelli dei paesi europei più sviluppati. A partire dai due milioni di giovani che non studiano né lavorano, per passare all’essere fanalino di coda, in Europa, sui brevetti per l’innovazione. Infine i dati del Pil italiano scanditi per macroaree, nord, centro, sud.

Il sud di oggi (esso rappresenta il 40% della popolazione italiana), veniva detto, contribuisce al Pil nazionale per il 26,8%, cioè lo 0,1% in meno rispetto al 1951. Quello pro capite è il 69% di quello europeo, quando quello del nord è pari al 127%.

Non si può, se tutto questo è vero, far finta di nulla, tantomeno limitarsi a sottolineare che 150 anni sono passati, stiamo ancora tutti assieme e tutto va bene. Può essere invece l’occasione per una riflessione approfondita e di lungo

respiro sulle prospettive dell’Italia quale cerniera tra l’altra sponda del Mediterraneo e l’Unione Europea.

A partire da una riflessione sugli ostacoli e i “nemici”, tra virgolette, che l’Italia deve superare per far affermare prospettive unitarie ancor più vere e grandi rispetto a quelle di oggi.

Si richiede, a questo proposito, lo dico in maniera sommessa, una grande apertura culturale e un procedere di tipo nuovo, equivalente a quelli messi in campo da Karl Popper e che stanno a base del suo testo fondamentale, scritto parecchi anni fa, ormai,  “La società aperta e i suoi nemici”.

Lì l’analisi era chiara; veniva sottolineato il carattere mortale per le democrazie moderne quale rappresentato dai vari totalitarismi.

Su questo filone c’è, successivamente, una riflessione puntuale di George Soros su “ La società moderna e … i suoi nemici”. Una riflessione, in questo caso, sulla vittoria del capitalismo, il dio mercato, e i rischi per le democrazie rappresentati da relazioni sotterranee tra lobbies e potere dello Stato nelle varie nazioni.

Mi si potrebbe obiettare che non è chiaro il nesso tra tutto questo e i problemi dell’Italia di oggi, delle sue crisi, dei rischi di declino e di impoverimento strutturale dei legami unitari soprattutto tra sud e nord.

A questo proposito, consentitemi alcune assai schematiche considerazioni.

L’Unità di oggi è figlia di grandi processi storici che hanno trovato nel nord del paese e nelle sue elites ragione, nerbo e spinta propulsiva.

Erano giovani del nord i Mille che da Quarto sbarcarono a Marsala. E’ un fenomeno essenzialmente del Nord la Resistenza, l’impegno per la Repubblica che portarono il 1°gennaio del 1948 alla straordinaria Costituzione da cui ha tratto linfa e spinta l’Italia del dopoguerra. E che successivamente, per l’impegno lungimirante di alcuni grandi italiani, portò il nostro Paese ad essere parte, prima, di un Mercato Comune e, successivamente, dell’Unione europea. Evento, a mio parere, di pari portata rispetto a quello dell’Unità nazionale.

Oggi, con ogni evidenza, emerge non solo che questa spinta non c’è più, ma che proprio al nord è insediato un fenomeno politico e sociale  che pratica un programma,  fin dentro il Governo dell’Italia, che è antitetico all’idea di Paese quale propugnato dai primi e dai secondi Padri fondatori. Da quelli del Risorgimento a quelli dell’Italia repubblicana.

Questo è il nodo. Tanti si muovono, purtroppo, dentro la logica fatalista del “così è”; altri con il “prima o poi a’da passà a nuttata”, ritenendo che solo dal nord chissà come, quando e perché potrà nascere un terzo Risorgimento, che ci liberi dai problemi attuali.

Questi signori ragionano come chi pensa ancora che economia nel XXI secolo sia solo ricchezza di materie prime e di infrastrutture materiali, negando la funzione decisiva che nella nuova economia hanno la conoscenza e la capacità di innovazione. Il ragionamento va trasposto sul terreno della democrazia, delle libertà e dell’autogoverno.

In questo senso è doveroso oltre che possibile, pensare e lavorare ad un percorso e ad un processo che non solo non sia passivo in attesa di un fantomatico “terzo vento del nord” ma che abbia l’audacia di ritenere, non solo, che questo vento sia urgente e necessario, ma che, questa volta, esso possa scaturire dal sud. Ad un condizione, che il sud cessi di essere passivo, di piangersi addosso, di aspettare “liberatori” esterni e avvii un processo costituente che abbia nel futuro del sud nel Mediterraneo, dentro l’Italia e l’Europa, il cuore e il cervello del terzo Risorgimento.

Tutto ciò, prima e oltre ad essere tema di una stimolante riflessione culturale, può diventare ragione e impegno per un moderno movimento civile e democratico di riscatto del sud.

Così vedo io l’apertura della fase che dai 150 anni in avanti guardi con fiducia feconda  al futuro di tutte e di tutti.

Viva l’Italia. Viva l’Italia di ieri, di oggi e di domani.

* capogruppo Gruppo Misto
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