18 marzo 2011    

Un orgoglio essere italiani (di Luigi Fedele *)


Il capogruppo del Pdl Luigi FedeleÈ con soddisfazione che, a nome della forza politica che rappresento, prendo la parola in questa solenne cerimonia per festeggiare il 150mo compleanno d’Italia! 
Dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani ed orgogliosi di chi l’Italia l’ha voluta e fatta…
E questo sentimento occorre avvertirlo sia nel Centro che nel Nord e, a mio avviso, soprattutto nel Mezzogiorno, che alla causa unitaria ha dato uomini e donne, energie e passioni, morti ed immensi sacrifici.
E dobbiamo essere orgogliosi,  noi meridionali,  perché, prima che l’Unità fosse conquistata (con il prezioso e generoso contributo anche  dei tantissimi liberali  calabresi, molti dei quali specie dopo la terribile reazione del 1849 furono costretti ad emigrare)     per una serie di vicende  storiche, sociali e culturali, noi meridionali – come ebbe a dire Vincenzo Cuoco a proposito della Rivoluzione Napoletana del 1799 che costituisce secondo molti storici il preludio dell’Unità,  “Non eravamo  nulla”.
“Diventammo - ricorda sempre Cuoco ed il riferimento è utili per far comprendere in che condizioni fosse il Mezzogiorno a quei tempi – or Francesi, or Tedeschi, ora Inglesi. Tante volte ci era stato ripetuto che non valevamo nulla, che quasi si era giunto a farcelo credere”.
Le condizioni del nostro Sud, specie della Calabria,  erano disastrose, la giustizia amministrata secondo la casta d’appartenenza, i processi inquisitori, la povertà si tagliava a fette per i ceti sociali più deboli.
La Calabria, anche a causa del terremoto del 1783,  presentava divergenze insopportabili tra ricchi e poveri,  senza commerci, con un’agricoltura a pezzi, le industrie inesistenti…Non c’erano diritti, c’era la Monarchia  e il suo arbitrio.
“Per andare da Reggio a Napoli occorrevano dieci giorni - scrive Pietro Camardella in una monografia sulla spedizione dei Mille - e quando si andava, non solo ci voleva il passaporto che si otteneva con infinite noie, ma bisognava far testamento perché le vie non erano sicure…”
A tutto questo paesaggio desolato  ha posto fine l’Unità d’Italia.
La nascita dell’Italia, dello Stato italiano, ci ha resi, come meridionali anzitutto, protagonisti del nostro destino, arbitri della nostra vita. Liberi da monarchie e tiranni: questa conquistata indipendenza del nostro Paese merita di per sé di non essere mai dimenticata.
Possiamo anche tollerare  polemiche aspre  circa le  ragioni di quella parte del Nord che dà segni d’insofferenza verso l’Unità, o le ragioni di quella parte del Mezzogiorno che non dimentica i Borboni -il Regno più grande d’Europa ai suoi tempi -,  e che ricorda, a discredito dell’Italia unita,  la bruttissima pagina del brigantaggio che ebbe come conseguenza una repressione cruenta ed a tratti sanguinosa. Forse su quella pagina l’Italia si dovrebbe soffermare di più. Ci vorrebbe un’ “operazione verità” per ristabilire torti e ragioni, ma questa è un’operazione che spetta agli storici. 
L’Italia unita, costituzionale e parte integrante e protagonista di un’Europa il cui progetto è presente persino nelle pagine del nostro Risorgimento;
l’Italia,  il cui sguardo, soprattutto oggi, è auspicabile  che sia diretto con maggiore efficacia verso le politiche euromediterranee, può tollerare divergenze e contrarietà sul suo atto di nascita, sulle cause del suo lungo concepimento e su taluni episodi salienti del processo che ha avuto come sbocco l’impresa dei Mille e, quindi, la proclamazione dello Stato unitario. Ma ad una condizione: che non si metta in discussione ciò che i nostri padri hanno conquistato  col sangue e l’intraprendenza carica di abnegazione  nel 1861.  
In tal senso, anche nella qualità di esponente di un partito che tra le sue responsabilità ha la guida del Paese in questa congiuntura economica internazionale assai complessa, ho il dovere di ribadire che per noi NON SI TORNA INDIETRO!
Non si mette in discussione il disegno unitario.
Un Paese frantumato non sarebbe più l’Italia, e non si farebbero neanche gli interessi del Nord dividendo l’Italia.
Il Nord sarebbe un pezzo di geografia d’infime proporzioni senza il resto del Paese.
Non potrebbe svolgere mai una funzione prestigiosa a confronto con le economie forti degli altri partner europei.
Con la stessa schiettezza, quindi, con cui mi sento di rivolgermi ad un alleato con cui stiamo riformando il Paese e con cui abbiamo davanti tanta strada da fare, debbo anche dire che è giunto il momento di rendersi conto che  un ciclo della storia del Paese, dopo un secolo e mezzo, è giunto alla sua conclusione.
Mi riferisco ovviamente all’ assetto istituzionale ed amministrativo dell’Italia che ha rivelato crepe e inefficienze non più sopportabili.
Le diversità economiche fra aree del Paese -  per un’infinità di ragioni, non ascrivibili ad una sola forza politica ma a tutte quelle che si sono alternate al Governo del Paese in questi 150 anni - sono giunte al punto che, se non si fosse concepito un disegno federalista in grado di tenere assieme -  valorizzando le diversità,  dentro un processo di solidarietà irrinunciabile che deve vedere sempre lo Stato garantire i servizi essenziali a tutti i cittadini italiani - per davvero l’Unità avrebbe corso seri rischi.
Voglio essere sincero: oggi possiamo festeggiare senza patemi e preoccupazioni l’Unità, perché il federalismo sta procedendo rapidamente verso la meta;  ed il Paese, liberato dal vecchio e consunto abito in cui era stato infilato dalla sua nascita, potrà, anzi in parte lo sta già facendo, indossare un nuovo vestito col quale presentarsi dignitosamente sul proscenio delle sfide internazionali  in corso.
L’aver ripreso l’idea federalista - già presente nella fase Rinascimentale, sia nella forma laica che cattolica -  ma accantonata in favore del centralismo sabaudo - è stata una soluzione  politica di straordinaria importanza.
Perciò oggi, i 150 anni del Paese, se è vero che coincidono con una fase economica e sociale in declino, è anche vero che non trovano impreparate le classi dirigenti italiane.
Le quali, come ormai sta avvenendo, hanno approntato la risposta federalista alla disgregazione paventata.
L’Unità al suo 150mo compleanno, finalmente, potrà essere un’Unità federalista nel rispetto dei principi costituzionali e  che, responsabilizzando le classi rigenti locali, può procedere spedita sulla strada della riduzione del divario Nord/Sud il quale, come dice spesso  il ministro Tremonti, è uno dei gravi nodi del Paese.
La questione meridionale, in questa cornice, non è affatto cancellata.
Non è il federalismo, dicevo,  che ha fatto nascere, acuito o dimenticato il Sud.
La questione meridionale è  nata con l’Unità, come dicono i libri di storia, quando scientificamente si piegarono le scelte generali per favorire lo sviluppo del Nord a scapito del Sud - da meridionale e da calabrese non posso certo essere io a sottacere questa lampante verità! –
E’ cresciuta e si è aggravata, in seguito,  a causa di uno Stato centralista e opprimente.
Tocca oggi apici inquietanti, per disagio sociale, disoccupazione giovanile, lacune scolastiche e corruzione, e sono esattamente questi  i veri pirati di cui l’Italia deve guardarsi.
Nostro merito oggi, è quello di avere una risposta per tenere unito il Paese, nella continuità ma dentro un processo  di modernizzazione che ci deve vedere come classe politica più uniti sulle grandi trasformazioni di sistema.
Questo è l’auspicio che mi sento di pronunciare in questa solenne occasione.
Prima di concludere, vorrei -  perché toccati da vicino e perché il dovere della memoria è parte integrante della persona umana- ricordare tutti i patrioti morti per l’Unità, calabresi e non, nel corso di tutta la fase risorgimentale.
Oggi è la festa dell’Unità, la nostra ma anche la loro festa! 
Vorrei ricordare i patrioti  morti nel 1799.
Quelli morti  nel 1820.
E  durante la ‘rivoluzione calabrese’ del ’47 -  successiva alla rivoluzione indipendentista siciliana del 1820 - quando Domenico Romeo ordì una trama tra Calabria, Sicilia e Basilicata che coinvolse i veterani della Carboneria e che, in accordo con i patrioti Siciliani, doveva propagarsi in tutto il Regno.
Con  500 insorti, Romeo  occupò Reggio Calabria, ma la disorganizzazione fece fallire l’impresa e la rivolta  venne repressa nel sangue:  Romeo fu decapitato. Mentre a Gerace, sulla Piana di Gerace il 2 ottobre del 1847, i Borboni  si macchiarono di un misfatto che riempì di sdegno l’Italia.
Furono infatti   fucilati:
Michele Bello di Siderno;
Rocco Verduci di Caraffa del Bianco;
Pierdomenico Mazzone di Roccella;
Gaetano Ruffo di Ardore;
Domenico Salvadori di Bianco.
I cinque martiri di Gerace non avevano più di 28 anni  e la loro colpa era stata quella di chiedere la Costituzione e la libertà, ma in cambio ebbero la morte e i loro copri furono gettati in una fossa comune detta ‘La Lupa’.
Un ricordo va a tutti questi eroi e poi quelli del ’48,  e del ’60...
E segnatamente ai ventuno  calabresi della spedizione dei Mille
La Calabria fra tutte le regioni del Mezzogiorno continentale ha dato il maggior numero di patrioti alla gloriosa impresa di Garibaldi:
Tutti entrarono a far parte della terza compagnia dell’esercito garibaldino comandata prima dal barone Francesco Stocco  e, successivamente, da Francesco Sprovieri.
Fra quegli uomini gloriosi, mi piace ricordarlo ai nostri giovani, c’erano personalità prestigiose. E fra loro ce n’erano otto che avevano portato la catena ai piedi  nelle carceri di Nisida, Procida, Santo Stefano, Montefusco e  Montesarchio, condannati a venti, trent’anni di carcere, ma appena liberi per effetto della grazia dell’anno precedente, non avevano desistito dallo gettarsi nell’ennesima impresa.
 Ho voluto ricordare quei valorosi, perché, pur a distanza di tanto tempo, ognuno di loro testimonia la passione, il coraggio e la fierezza con cui si sono sacrificati per renderci liberi e indipendenti.
Il nostro ricordo , pertanto, sia equivalente all’elogio sincero con cui oggi possiamo ricambiare il sacrificio di persone che ci hanno permesso di poter essere, nel bene e nel male, quelli che siamo. A noi spetta onorarne la memoria non solo ricordandoli doverosamente, ma anche  salvaguardando, ogni qual volta dovesse accadere, lo spirito e la forma dell’Unità per cui  si sono sacrificati.

* capogruppo Pdl
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