18 marzo 2011    

Il futuro ci veda sempre pił uniti (di Monsignor Vittorio Mondello *)


Sento anzitutto il bisogno di esprimere, non solo a nome mio personale, ma dell'intero Episcopato calabro e delle stesse Comunita' ecclesiali della nostra Calabria, la gratitudine per questo singolare invito a prendere la parola nel contesto della nostra celebrazione dei 150 anni dell'Unita' d'Italia. Questo invito e' un segno di quella assoluta evidenza che la gioia di sentirci ed essere italiani e' di tutti: appartiene allo Stato, ma anche alla Chiesa che e' in Italia. E' la gioia di un intero popolo, la gioia di tutti i cittadini, la stragrande maggioranza dei quali sono insieme cittadini e credenti. Certo, da una parte, sarebbe antistorico e puerile negare che lungo il complesso cammino verso l'unita', ci sia stato un serio conflitto tra Stato e Chiesa; ma, dall'altra, sarebbe altrettanto antistorico e puerile insistere su quel conflitto per negare lo straordinario contributo che i cattolici hanno offerto su quella frontiera. Come si puo' dimenticare l'esistenza e l'assoluta concreta influenza nel 'fare gli italiani' di quel 'moto risorgimentale cattolico' che tra i suoi esponenti ebbe personalita' dello spessore di un Silvio Pellico, di un Manzoni, di un Rosmini, di un Gioberti? Il conflitto di cui tanto parlano e non sempre in maniera compiuta i libri scolastici, sui quali si forma la cultura storica dei nostri ragazzi, fu piu' per il modo in cui avvenne che non per il fatto in se stesso dell'unita' d'Italia, che era un auspicio dell'intera Chiesa. Lo stesso Cavour, che, del resto, alla fine della sua vita volle accanto al suo letto un sacerdote amico per ricevere i sacramenti, fu raggiunto piu' volte da lettere di sacerdoti e influenti laici cattolici che gli chiedevano di fare il possibile per realizzare il sogno di un'Italia unita. E quando  si giunse, avvenuta l'unita', alla stagione del 'non expedit' (che era il segno del disappunto dello Stato della Chiesa per il modo in cui l'unita' era stata perseguita), nessuno deve ignorare che fu proprio la Chiesa, nelle sue molteplici realta' concrete, fatte di cattolici immersi nella vita sociale quotidiana, che lavoro' per l'unita' del Paese, lavoro' per 'fare gli italiani'. Che cosa fu, infatti, se non lavoro per l'unita' concreta del Paese quel massiccio e straordinario impegno dei cattolici, i quali, astenutisi dalla vita politica, si immersero nella creazione di istituzioni educative, caritative ed assistenziali, in una maniera cosi' capillare e radicata su tutto il territorio, da educare in concreto gli italiani dell'intera Nazione ad essere unificati dai grandi valori della solidarieta', della socialita' e della sussidiarieta'? E lungo la tragica esperienza delle due guerre mondiali non furono soprattutto i Cappellani militari, espressione della presenza della Chiesa, a far sentire 'fratelli l'uno con l'altro' i soldati di ogni parte d'Italia, a tenere loro stessi spessissimo i rapporti con le loro famiglie, a creare quel clima di comunione che porto' davvero l'Italia ad essere un Paese unito? E dopo la liberazione dal fascismo, non fu proprio la Chiesa, in fondo, ad essere il 'grembo sapiente' della transizione dal precedente regime al nuovo Stato democratico? Non furono i cattolici, assieme ai rappresentanti di altre ideologie, a raggiungere quel fecondo accordo che porto' alla stesura della Carta Costituzionale che tutti ancora oggi ci unisce? Ecco perche' ripeto che oggi la gioia di sentirci italiani e' di tutti. Ma non basta fermarsi a dare con pacatezza uno sguardo al passato. I 150 anni non li celebriamo semplicemente per ricordarli, ma perche' vogliamo sentirli come un trampolino di lancio per un futuro dell'Italia che ci veda tutti ancora piu' uniti. Un'unita' che dobbiamo costruire con l'apporto delle intelligenze piu' vive e la fatica di ogni cittadino. Un'unita' che non significhi soltanto un nuovo modo del nord di guardare al sud del Paese; e un nuovo modo del sud di cogliere ed esprimere in pienezza le sue potenzialita'. Ma un'unita' che conduca la stessa classe imprenditoriale del Paese a rapporti nuovi con la classe operaia; e la stessa classe politica a vivere in maniera piu' solidale e trasparente il contatto con quel popolo che con il suo libero voto la crea; e conduca tutti, dal primo all'ultimo cittadino del Paese, specialmente dentro l'affacciarsi di scenari complessi come quelli che provengono dalle vicende del Mediterraneo, a capire e fare proprio il principio fondamentale della convivenza civile: il dovere e la passione di spendersi per il bene comune. E' su questa frontiera che bisogna intraprendere il cammino delle stagioni nuove della nostra Italia. Un cammino che sara' certamente lungo, ma sara' tanto piu' efficace quanto piu' tutti avvertiremo che l'Unita' d'Italia non e' solo un fatto avvenuto 150 anni or sono, ma una sfida che ci interpella e attraversa il nostro oggi e il nostro domani.
* Arcivescovo metropolita Reggio Calabria - Bova
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