11 marzo 2011    

Rivoluzioni arabe: un'opportunità per il Sud (di Romano Pitaro )


L’allerta profughi, dopo i fuochi del  Maghreb, in Italia è altissima. In Calabria alcuni sindaci hanno già offerto accoglienza. Ma non si può procedere a naso. Né sottovalutare,  “il ritorno del Mediterraneo  al centro della storia del mondo”. Che chiama in causa senz’altro l’Italia ma, per ovvi motivi, soprattutto  le Regioni del suo Mezzogiorno. Se gli scenari ipotizzati hanno fondamento, pur non volendo fare allarmismi, come raccomanda  il Presidente della Repubblica, non ci si può illudere - specie chi è chiamato anzitutto dalla geografia a misurarsi con il primo approdo dei nuovi  immigrati   che a migliaia (oltre 300mila?)scappano, una volta caduto il muro di paura nelle nazioni arabe - che l’incombenza sarà agevole. La gestione delle conseguenze provocate dal rivolgimento in atto,  richiederà risorse finanziarie, un’attenzione diversa del Paese verso il Sud e un diverso approccio con l’immigrazione. Chiusa, al primo urto della storia, la stagione che ha visto nell’immigrato un nemico da utilizzare  per finalità  elettorali che non di rado hanno rasentato la   xenofobia ed il razzismo, se ne apre un’altra. Che deve vedere l’Occidente (e l’Italia segnatamente )  adoperare  altre chiavi di lettura.  L’immigrazione genera commistione di culture. E’  un fenomeno sociale complesso che non può essere affrontato  con il codice penale, le carceri e le  espulsioni.  Non fermi una falla nella stiva infilandoci il dito. A questo punto, però, con la frontiera meridionale dell’Occidente in fiamme,  è  necessario che il Governo italiano non lasci sole le sue  regioni del Sud.  Attendere che si muova la laburista Catherine Ashton, sbiadito  ministro degli Esteri dell'Unione europea, non è una mossa saggia. Accusare l’Europa di  essere l’Europa ad encefalogramma piatto che conosciamo, significherebbe perdere altro tempo. In questo  preciso tornante della storia mondiale, e dinanzi agli ostacoli che fanno delle  Istituzioni comunitarie dei  pachidermi, dovrebbero entrare in gioco  le Regioni dell’Italia del Sud, cruciali  avamposti dell’Occidente nel Mediterraneo. Soprattutto quelle che sono a tu per tu con la costa africana, farebbero bene a mettere questa vicenda epocale, che improvvisamente dà loro l’occasione di svolgere una funzione strategica  importante, tra le priorità di cui occuparsi. Attendendo che altri si muovano, la carta preziosa che la storia mette loro a disposizione potrebbe andare in fumo. E debbono farlo, non soltanto perché  sembra prevalere  l’idea secondo cui ad affrontare l’emergenza sbarchi (uno degli aspetti)  debbano essere i diretti interessati, e solo poi (magari quando sarà inutile) interverranno gli altri.  Ha ragione, in questo senso, il ministro  Tremonti, quando descrive  scenari apocalittici e livelli sempre più inquietanti di videogame. Saltati gli equilibri geopolitici  del secolo scorso, il mondo si muove a tentoni . Non ci sono più le potenze del secolo scorso, l’equilibrio è una meta  indefinita non  un punto di partenza. Tra l’assumere una decisione, anche dinanzi a eventi disastrosi, e il suo concretizzarsi, c’è di mezzo l’eternità. Le Regioni italiane del Sud, in sostanza,  dovrebbero agire al più presto. Non solo per legittima difesa, ma per coprire un vitale spazio politico, economico e culturale, incustodito  dall’establishment europeo. Ciò che più è sconvolgente - e badate che si tratta non solo dell’ esplosione  di un   fenomeno migratorio di portata straordinaria, ma anche di un pezzo consistente dell’economia europea   messo a repentaglio dalle  novità impreviste- è l’inconsapevolezza pressoché totale  su quanto andava maturando in un’area a noi così vicina.  Il che dimostra, a  essere indulgenti, la pochezza   delle Istituzioni internazionali, l’inesistenza di una politica euromediterranea  e l’assoluto fallimento di  decine di convegni e      conferenze  sulle dinamiche sociali nel Mediterraneo, nonché di molti  trattati di libero scambio, road map e processi di pace del Medio Oriente.  Tant’è che, a un salto da casa nostra, è scoppiata la rivoluzione araba e noi guardavamo  Sanremo in tv, mentre  lady Ashton  e la  ridondante  burocrazia europea si rigiravano  i pollici. Questo è  l’inatteso spazio politico in cui dovrebbero catapultarsi le Regioni del Sud italiano  per riavvicinare l’Europa alla civiltà mediterranea.     La Calabria, la Sicilia, la Puglia, tra l’altro, in questo capitombolo mondiale,  non hanno scheletri negli armadi, anche perché il loro protagonismo  istituzionale è relativamente recente.  Sicché, dalla fine di tirannie  sull’altra sponda del Mare Nostrum,  se sapranno  intraprendere le giuste relazioni con i nuovi governi che nasceranno, hanno  tutto da guadagnare.  L’Italia del Sud,  se  allunga lo sguardo e riflette su quanto sta accadendo, ha davanti a sé un’ occasione preziosa. Può svolgere  un ruolo di cerniera tra i popoli che si affacciano sul Mediterraneo,  l’Italia  e l’Europa. Non è a  caccia, da lungo  tempo, di un’ opportunità da cogliere, quest’area del Paese fin qui bistrattata? Tra l’altro, anche le recenti,  coraggiose prese di posizione di alcuni Stati europei, inglesi, tedeschi, francesi, continuano ad essere mosse da una visione economicistica delle rivoluzioni arabe.  Più decisionismo, infatti, è andato di pari passo con il maggiore coinvolgimento economico di ciascuno Stato. Le Regioni meridionali, al contrario,  possono avviare  un ragionamento con quei popoli che dovranno darsi nuove forme di governo, non condizionato soltanto dalla pancia.  Possono colmare  il silenzio imbarazzante cui tanti Stati europei sono costretti ancora adesso, per essere stati attivissimi  in partite anche oscure  che i giovani arabi  hanno mandato  all’aria. Mentre grandi media, riviste specializzate, centri studi e  sopravvalutati servizi di spionaggio industriale non ne  avvertivano  gli scricchioli. 
 segnala pagina ad un amico
 CHIUDI