4 marzo 2011    

Unità d'Italia: stop al museo degli orrori (di Romano Pitaro)


Il 17 marzo si festeggia l’Unità d’Italia. Tutti, salvo velleitarie eccezioni, siamo dell’idea che non ci siano alternative allo stare assieme, e che - pur consapevoli che il ‘gap’ Nord/Sud sia un grave problema -  le energie vadano indirizzata non alle piccole patrie identitarie, ma all’Europa dei cittadini. 
Tuttavia, benché non si vogliano acuire i tratti dolenti del processo unitario,  in vista, appunto, di un irrobustimento della democrazia nata dopo una guerra mondiale e rappresentata dalla Costituzione del 1948, una domanda occorre farla.
E’ davvero indispensabile il museo di Torino dedicato a Cesare Lombroso, aperto al pubblico di recente e, insomma, quasi in coincidenza con l’inizio del dibattito sul 150mo compleanno dell’Italia?
Chi era lo psichiatra  veneto che imperversò con le sue abominevoli teorie nella seconda metà dell’800, lo sanno anche le pietre.
Le sue  convinzioni, in sintesi, si basavano  sulla tesi “dell'uomo delinquente nato o atavico”. L’ individuo  recherebbe nella struttura fisica i caratteri degenerativi che lo differenziano dall'uomo normale. Tesi infondate dal punto di vista scientifico; ma che lo spinsero, al fine di trovare un riscontro, a scorticare cadaveri, mozzare, sezionare teste ed  effettuare i più crudeli interventi su uomini ritenuti criminali per le misure di parti del cranio e del corpo, imbastendo, inoltre,  teorie sbrindellate  sulle caratteristiche somatiche dei cosiddetti delinquenti per natura.
Così come sono note le sue dissezioni sui crani di briganti meridionali (e il brigantaggio è una tristissima   pagina di storia, nascosta dalla scuola,   che documenta la reazione sociale non di una massa di assassini e ladri; ma che come delinquenti furono trattati, e perciò  passati a migliaia per le armi dalle truppe  piemontesi, in quanto contrari all’annessione del Sud da parte del Nord)  e, di conseguenza, il pregiudizio antimeridionale cui le dissennatezze dell’alienista  diedero impulso.
Ancora:  è possibile che l’Italia, pur  chiedendo al Sud di dimenticare  che l’Unità non sia stata il frutto di un’annessione e che non vi sia stato  lo sterminio di 180mila ‘resistenti’ ( briganti - delinquenti),  metta in bella mostra a Torino in un museo che è una  “fossa comune” (Lombroso non catalogava), non tanto teorie balorde, ma addirittura  i crani di tanti briganti meridionali,  catturati e fucilati dai soldati del nascente Stato italiano, su cui Lombroso   infieriva con compassi “a branche curve” e scalpelli seghettati?
Quale apertura dimostra lo Stato italiano verso il Sud, calpestato dai soldati in una guerra civile durata dodici mesi a partire dal 1861? E che messaggio manda, per esempio,  alla Calabria, terra a cui appartiene il pezzo più prezioso del museo di Torino, ossia il cranio del brigante Giuseppe Villella (nato a Motta Santa Lucia nel 1803 e morto nel carcere di Vigevano  nel 1872, dove  lo psichiatra ha avuto il permesso di asportarne la testa) ?
Cranio prezioso, perché la teoria lombrosiana  poggia sulla cosiddetta “fossetta occipitale mediana”, che Lombroso asseriva  di avere individuato (guarda caso!)  nel cranio di Villella. E’ la testa di Villella, per Lombroso, “la chiave di volta di ogni  devianza” su cui   intendeva  fissare “scientificamente” i caratteri del cosiddetto “tipo criminale, pazzo, mattoide e geniale”.
Da quelle folli deduzioni, accusano nella Rete molte  associazioni meridionali, presero il via un’infinità di malevolenze verso la “razza maledetta” dell’Italia del Sud  che hanno  contribuito  alla creazione di preconcetti razzisti. 
Le reazioni contro il museo di Torino dedicato al fondatore (manipolatore?)  dell’antropologia criminale, si susseguono senza sosta. Professori universitari,  affermati professionisti  e semplici cittadini indignati, hanno dato vita al Comitato “No Lombroso” (
www.nolombroso.org/it/)  che da un pezzo  invia istanze per la chiusura del museo in ogni direzione.  Finora inascoltate e ignorate. 
E’ tranciante Pino Aprile, ex direttore di “Gente” ed autore del best seller ‘Terroni’, che lancia una provocazione: “Finché si continuerà ad esporre, come si fa  a Torino, una ‘testa di meridionale’, per inutile spiegazione ‘delinquente naturale’, in base alle illuminate osservazioni del Lombroso, propongo che si istituisca a Napoli un museo del Vero Risorgimento, nel quale si espongano teste di ‘bersagliere sabaudo naturalmente stupratore’; disegni in scala 1:1, con sezioni e visioni prospettiche della luminosa capoccia del colonnello Pier Eleonoro Negri, con la dicitura: ‘Eroe dell'Italia unita e medaglia d'oro al valor militare, sterminatore di interi paesi, per il miglioramento demografico del Mezzogiorno’. Si provi ad  immaginare cosa accadrebbe negli Stati Uniti, se a New York esponessero una testa di  ‘soldato confederato dell'Alabama’!”.
Lino Patruno,  ex  direttore della Gazzetta del Mezzogiorno ( ha scritto   ‘Alla riscossa terroni’), anche lui contrario al museo torinese, propone “di sterilizzare  la madre dei cretini che  purtroppo è sempre incinta”. Spiega: “Nel museo dedicato a  Lombroso, sono esposti gli scheletri di un folto numero di briganti meridionali uccisi proditoriamente dalle truppe di occupazione sabaude o deportati nei campi di concentramento. Lombroso è l'autore della teoria che criminali si nasce e non si diventa e la  trasse anche dal cranio dei briganti, a suo dire fatti in modo tale che non avrebbero potuto che essere briganti. Ora, visto che i cosiddetti briganti sterminati al Sud dai piemontesi furono 180 mila, visto che avevano dei figli, e visto che questi figli ne hanno fatti altri, attualmente al Sud devono esserci milioni di briganti causa cranio. Quindi si fa bene a lasciare il Sud al suo destino, destino di colonizzato e sfruttato. Deportiamoli tutti e avremo risolto la questione meridionale.”
  Contro il museo  Lombroso “insulto alla scienza”, si schiera   Lorenzo Del Boca, ex presidente dell’Ordine dei giornalisti. “Chi cerca l’Italia - scrive in ‘Maledetti Savoia’ - non la trova, forse perché non esiste. E  non esiste anche per colpa di Lombroso e delle sue bislacche teorie. Le stravaganti teorie sul ‘dna’ del male sono servite ai dirigenti razzisti del nord per calpestare i diritti della gente del sud. Non è possibile riscrivere la storia, ma è possibile restituire dignità a coloro che pagarono per scelte sbagliate,  vanagloria di potere e arroganza politica”.
Dignità, ecco la parola magica su cui ha imperniato una tenace  battaglia, sebbene al momento priva di risultati,  il piccolo comune calabrese di Motta Santa Lucia.  Non  chiede la chiusura del museo, si badi, ma la restituzione del cranio del brigante Villella che, se avvenisse, lascerebbe il museo senza ‘la fossetta occipitale’ che Lombroso s’era illuso di aver riscontrato in quel cranio. 
Si dà il caso che il sindaco di Motta, Amedeo Colacino, sia anche il pronipote del brigante Villella per parte di madre.  Si sommano l’interesse storico  e il diritto di un erede alle spoglie del suo parente. Così,  la sua non è solo una richiesta fondata su documenti storici,  ma  sul diritto delle persone ad avere, una volta morti,  una regolare sepoltura. Una  richiesta che, di colpo,  umanizza quei crani,  ricorda quanto sangue sia stato versato al Sud per  indurlo  a far parte dell’Italia, quanto dolore è stato inflitto, prima con la repressione, le uccisioni ed  i saccheggi. Dopo con l’emigrazione -  a milioni -  cui furono costretti i figli di una terra soggiogata agli interessi del Nord.
Una richiesta umanitaria, che  lo  Stato democratico non  potrà eludere, se messo alle strette o trascinato in un tribunale.  Poche  parole pronuncia  il sindaco di Motta, ma  sono come  una requisitoria di mille pagine: “Rivogliamo quel cranio, per dare finalmente degna sepoltura ad un nostro concittadino”.
 La  delibera del comune di Motta Santa Lucia,  inviata al museo torinese ed   a più  ministri, per lo Stato  può essere l’occasione, una volta esaudita, di festeggiare il suo giubileo eliminando alcune vistose contraddittorietà. Dopo 150 anni, infatti,  passi la volgarità  di alcune opinioni sul Sud.  Può anche essere spiegata  l’intemperanza delle aree ricche che nella crisi  tendono ad accusare  quelle deboli,  ma l’ostentazione pubblica   dei corpi dei meridionali che, per non suscitare scandalo, si continua a definire delinquenti (quando le più recenti e aggiornate ricerche storiografiche testimoniano  la natura politica del cosiddetto brigantaggio post-unitario, fenomeno tutt’altro che inquadrabile in un contesto di ordinaria delinquenza o di follia criminale) e  la cui unica colpa fu quella di non arrendersi a un nemico feroce, che ha ucciso e stuprato,  non ha attenuanti.
Insomma l’Italia, dopo tanto tempo, sappia assumersi le responsabilità della sua storia. Compia un gesto di riconciliazione con il suo Mezzogiorno.  Prima del 17 marzo, chiami il sindaco di Motta Santa Lucia e gli faccia recapitare i resti del suo concittadino perché si provveda a dargli dignitosa sepoltura.
 
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