18 febbraio 2011    

L'etica della comunicazione e la libertà di stampa (di Silvia Gulisano *)


Il presidente del Corecom Calabria Silvia Gulisano Volendo tentare di tracciare un quadro riassuntivo del dibattito sviluppato in questo confronto seminariale, emerge secondo me – in rilievo –  un primo profilo, quello che riflette la molteplicità e la complessità degli approcci al delicatissimo e impegnativo tema trattato.
Voglio sottolineare subito che abbiamo affrontato una questione che non solo è di notevole portata ma anche di crescente rilevanza. Non c’è dubbio, infatti, che la rilevanza dell’aspetto etico nel campo della comunicazione ha assunto in questa fase storica un peso molto maggiore che in passato.
In materia viene segnalato, senza mezzi termini e con allarme, che nella storia della comunicazione dagli albori ad oggi mai come adesso si è verificata l’urgenza di intraprendere nuove vie per far crescere una coscienza critica. Lo scenario mediale, d’altra parte, si colloca in un contesto che lo pone in posizione mai finora così elevata.
Pensiamo alla crisi dei partiti paragonati a com’erano fino a vent’anni fa; pensiamo a quanto si sia affievolita la voce dei magisteri tradizionali; pensiamo a quanto sia diventato cruciale un fenomeno come la corruzione che si presenta come una grande sfida di questi ultimi anni.
Aiutati da tecnologie sempre più sofisticate, i media hanno preso un posto di assoluta importanza. Non si fanno più semplicemente guardare e ascoltare, ma guidano in qualche modo il nostro riflettere e giudicare, sono diventati invasivi fino a  penetrare furtivamente nel nostro privato; fino, per così dire, a diventare una sorta di voce fuori campo della nostra coscienza
Intendiamoci: non c’è dubbio che c’è alla base un sentire comune e, almeno in pubblico, da tutti condiviso.  Quando parliamo, infatti, di etica  non possiamo prescindere dai valori positivi cui ispirare regole e discipline che devono rendere effettiva una buona comunicazione politica.
Eguaglianza e parità di trattamento di tutte le opinioni politiche, quindi, correttezza, tutela della privacy, trasparenza e completezza dell’informazione, responsabilità verso l’ambiente, autonomia e indipendenza.
Ma è forse inutile compiere sforzi a definirli, visto che stessa legge nazionale –  la n. 28 del 22 febbraio 2000,  quella ribattezzata della par condicio – dice, all’articolo 5, che la comunicazione deve “garantire la parità di trattamento, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione” e che “I registi ed i conduttori sono (…) tenuti ad un comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma”, dopo aver stabilito, all’articolo 2, che “Le emittenti radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l'accesso all'informazione e alla comunicazione politica”.
Presiedo il Comitato regionale per le comunicazioni che, tra gli altri compiti, è organo funzionale regionale dell’Autority nazionale per le garanzie delle comunicazioni. Sto parlando dell’Agcom, presieduto dal professor Corrado Calabrò, che – lo dico non senza un certo orgoglio – ha delegato il Corecom Calabria, insieme a quelli di altre solo 6 regioni, alla vigilanza sul rispetto degli obblighi di programmazione e delle disposizioni in materia di esercizio dell’attività radiotelevisiva locale, mediante il monitoraggio delle trasmissioni dell’emittenza, secondo precise linee-guida. L’AGCOM è l’unica Autority indipendente italiana ad avere una tale articolazione territoriale.
Il professor Calabrò ci ha definito “un forte presidio sul territorio”.  Operiamo all’interno di un complesso quadro di regole normative e regolamentari: vi sono i principi generali della legge - completezza, obiettività, pluralismo, correttezza, imparzialità –; e vi sono gli indirizzi sul pluralismo dettati dall’Agcom.
Mi rendo conto che il tema della libertà di espressione, costituzionalmente garantita, è quanto mai complesso. Tuttavia , non dico limiti, ma regole e criteri più precisi e concreti andrebbero individuati. Serve un’informazione libera ed anche critica, ma mai faziosa, e c’è il tema delle responsabilità editoriali che vanno meglio precisate, perché chi risponde è la Rai, che è l’azienda concessionaria incaricata del pubblico servizio e le altre emittenti nazionali e locali.
Su questo terreno, così delicato, come ho avuto modo di dire già ieri, il metodo più idoneo ed efficace è quello dell’autodisciplina. Si tratta di individuare, coinvolgendo i soggetti direttamente interessati, una serie di principi e di obblighi cui occorre attenersi per assicurare la correttezza dell’informazione, la tutela di soggetti e fasce cosiddette “deboli” e la promozione di valori positivi.
Voglio ricordare, però, che il vero professionista non esige una legge o una supervisione esterna. Il professionista della comunicazione deve essere perciò guidato dall’impegno attraverso l'Ethos della professione, una questione di coscienza personale. Il professionista specialmente il professionista della comunicazione pubblica, deve mantenersi indipendente dall'ente in cui lavora, dallo Stato, dalla Chiesa. Deve essere fedele solo alla sua coscienza.
In qualche modo, occorre tornare alle origini, e risalire all’etimologia del termine. Si scoprirà, così, che sono due le origini etimologiche del vocabolo etica. Il termine ithos, che significa la condotta dell’anima, in qualche modo lo stile nel senso complessivo. E poi c’è il termine ethos, complementare al primo, che può designare l’insieme delle norme che nascono dal rispetto. L’etica, insomma, prende in considerazione l’ithos e l’ethos. E’ la garanzia dell’armonia che deriva dalla buona conduzione di ogni cosa e di ogni azione, insomma dall’accordo fra l’anima e il suo manifestarsi.

Un’altra cosa è certa: è irrinunciabile il discorso sulla qualità. Una comunicazione  pubblica che non valorizzi la qualità viene meno alla sua funzione.
Ricordo, in proposito, che in Inghilterra, nell’ambito del progetto Digital Britain, è stata lanciata una consultazione pubblica sulla costituzione di un fondo destinato a migliorare la qualità dell’informazione televisiva.
L'etica nelle comunicazioni non riguarda, però, soltanto ciò che appare sugli schermi cinematografici o televisivi, nelle trasmissioni radiofoniche, sulla carta stampata e su Internet, ma va riferita anche a molti altri aspetti. La dimensione etica tocca non solo il contenuto della comunicazione (il messaggio) e il processo di comunicazione (come viene prodotta la comunicazione), ma anche questioni fondamentali, strutturali relative agli assetti dell’intero sistema, che coinvolgono temi relativi alle politiche di distribuzione delle tecnologie e dei prodotti sofisticati.
Ci troviamo a vivere in un’epoca dove dietro il concetto di mercato libero si nasconde una concorrenza il più delle volte sleale, generatrice di conflitti di potere.
In questo quadro voglio sottolineare come vi sia la necessità di realizzare una linea di equilibrio nei rapporti tra emittenza nazionale ed emittenza locale, poiché il pluralismo non è solo il rispetto e il dar voce alle differenti correnti culturali o politiche ma anche l’articolazione del sistema stesso, in maniera bilanciata, fra la dimensione nazionale e quella regionale e locale.
Lo sottolineo, tra l’altro, perché si tratta di uno dei nodi sul tappeto in questa fase difficile, delicata, cruciale, di passaggio dal sistema televisivo analogico a quello digitale terrestre. La fase di transizione comporta anche il rischio che la trasmigrazione dal sistema analogico al digitale terrestre, cancelli parte delle emittenti come sta accadendo purtroppo in altre regioni.
Paradossalmente, un sistema come il digitale nato per aumentare l’offerta televisiva e per aprire il mercato, potrebbe significare, invece, anche qui da noi, un impoverimento delle voci sui territori.
Tuttavia la Calabria, che insieme ad altre regioni arriva per ultima al cosiddetto  “switch-off” (il momento in cui si spegneranno per sempre i ripetitori analogici) può far tesoro delle esperienze altrui.
C’è, d’altra parte un’importante consapevolezza già manifestata dalla Regione: come ha ribadito più volte il presidente dell’Assemblea Francesco Talarico, c’è l’ intenzione di accompagnare il sistema dell’emittenza locale calabrese nel passaggio al digitale terrestre. Si lavora, insieme. il Corecom, di concerto con la Giunta presieduta dal governatore Scopelliti per predisporre  strumenti adeguati di sostegno a progetti di investimento per l’innovazione tecnologica e  organizzativa.
Le tv locali vengono riconosciute, insomma, come aziende particolari, che rappresentano una risorsa, un valore aggiunto per il nostro territorio e per l’economia calabrese. Un pezzo importante della libertà d’informazione e quindi della democrazia.
L’emittenza cosiddetta “minore” va tutelata, insomma, proprio perché rappresenta anche un argine al rischio, quantomai tangibile in Italia, di oligopolio dell’informazione. E’ quindi necessario che un sistema a tante voci, diverse tra loro anche per dimensioni e forza, venga realizzato non solo con misure e interventi “in negativo” –  con vincoli, tetti, limiti di tiratura per i giornali o numero delle frequenze per radio e tv –  ma anche in positivo, mediante misure volte a sostenere e incrementare le imprese di piccola e media dimensione che spesso sono anche quelle più vive e vivaci.
Quasi sempre l’informazione locale può diventare fattore attivo dell’articolazione degli interessi, rendendo più intenso lo scambio sociale e la circolazione delle risorse. materiali e immateriali, sul territorio. I grandi gruppi e le grandi audience non sempre garantiscono pluralismo. La libertà d'informazione è una specie di diritto dei diritti, è forse una libertà superiore ad altre costituzionalmente protette, e come tale va difesa da ogni tentativo di compressione.
La liberta di espressione e il pluralismo sono, del resto, valori assoluti.
Più di mezzo secolo fa Bertrand Russell affrontava il problema della conciliazione tra l’esigenza di un controllo governativo centralizzato e quella di una crescita dell’iniziativa personale che richiede «le maggiori possibilità e libertà compatibili con l’ordine sociale».  «Se non vogliamo che la vita umana diventi una cosa polverosa -  ammoniva il filosofo - è bene coltivare ogni forma di anticonformismo, in modo che possa produrre i suoi cento fiori, purché non provochi danno ad altri.


* Presidente Corecom Calabria
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