21 novembre 2005    

Devolution: come cambiano i rapporti Stato-Regioni (di Luisa Lombardo)


Via libera alla riforma della Costituzione che devolve sanità, istruzione e polizia locale alle Regioni, introduce il Senato Federale, rafforza i poteri del premier.PALAZZO CAMPANELLA
Con 170 sì, 132 no (tra i voti contrari anche quelli degli ultimi tre membri della Costituente del 1948: Giulio Andreotti, Oscar Luigi Scalfaro ed Emilio Colombo, tutti ex dc) e 3 astenuti, passa la “Devolution”. Adesso l’ultimo scoglio da superare resta il referendum confermativo. La palla passa quindi ai cittadini che decideranno in ultima istanza sulla riforma federalista.
Partorita in un clima di forti contrapposizioni, la legge di riforma ha scatenato polemiche roventi nel panorama politico, ma anche fra i tecnici del diritto. Secondo alcuni, “non si è registrata quella auspicata convergenza che i costituzionalisti raccomandano quando si va ad incidere sugli assetti fondamentali del rapporto Stato-Regioni e del sistema Paese”.
La Costituzione è per sua natura, una legge destinata a durare nel tempo, guidando ed orientando le scelte di politica legislativa che da essa stessa discendono; è la bussola, la “traccia”, sulla quale costruire, tassello dopo tassello, il sistema normativo complessivo di un Paese. “Per queste ragioni -  sostengono gli avversari della riforma – i manuali di diritto costituzionale ci insegnano che, la nostra, è una Costituzione rigida e che per modificarla occorre una procedura aggravata”.
Di diverso avviso, come è ovvio, fautori e sostenitori della “devolution”. Il centrodestra parla un po’ enfaticamente di una grande giornata per la democrazia. “E’ un passo importante, storico – ribadiscono all’unisono senatori e ministri leghisti”. Mentre per le opposizioni, quella dell’approvazione è una giornata di lutto per la democrazia. I senatori del gruppo Verde per marcare la gravità del momento sono entrati in aula vestiti a lutto, con un fiocco nero sulla giacca.  
Agazio Loiero, presidente della Regione Calabria ha deciso di attivarsi perché sia immediata la richiesta di cinque Consigli regionali per il referendum confermativo. E, d’altra parte, tutte le Regioni, ad eccezione del Veneto, hanno già detto chiaro e tondo che questa riforma va bocciata. Ma perché questa ferma levata di scudi? Certamente, emerge il diverso animus col quale i costituenti di ieri (e poi tutti i cittadini) si sono accostati alla Costituzione del ’48, anche per la particolare congiuntura nel corso della quale veniva alla luce un documento che sintetizzava gli esiti della riconquista delle libertà perdute e puntava verso l’edificazione di una società più giusta. Tutt’altro, invece, lo spirito  nei riguardi degli atti di revisione, certamente espressivi di un potere ormai costituito (e non costituente) e per questo, privi del fascino che fanno avere solo le modificazioni genuine del potere originario fondativo dell’ordinamento.
Il testo licenziato dal Senato riforma ben 55 articoli della Carta del 1948. Ma, come cambia il volto dell’ordinamento e dell’organizzazione statale? In primo luogo, diminuisce il numero dei parlamentari; nasce il Senato Federale; il bicameralismo perfetto scompare tranne in alcune materie nelle quali Camera e Senato legiferano alla pari. E cioè sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e in materia di legislazione elettorale locale.
Indipendentemente da come si pronunceranno i cittadini in sede di referendum, occorrerà comunque provvedere in breve tempo a completare l’anello mancante dell’autonomia impositiva. L’art. 119 del nuovo Titolo V della Costituzione, sancisce che i Comuni, le Province, le Città Metropolitane e le Regioni “hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa”, stabiliscono ed applicano “tributi ed entrate propri” e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali “riferibili al loro territorio”.
Con la devolution approvata il 16 novembre scorso, le Regioni guadagnano la competenza esclusiva nell’assistenza e nell’organizzazione sanitaria (capitolo che oggi assorbe la parte più consistente dei bilanci regionali), mentre, le norme generali sulla tutela della salute saranno riservate allo Stato.
In materia scolastica, la Devolution affida alle Regioni la legislazione esclusiva sull’organizzazione scolastica, la gestione degli istituti scolastici e di formazione, la definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione.
Tra le materie di esclusiva competenza delle Regioni, elencate nel nuovo art. 117 sulla devolution, compare anche “la polizia amministrativa regionale”. Resta allo Stato centrale, invece, la legislazione in via esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza.
Ma vediamo adesso i tempi di applicazione della Devolution. Una parte della riforma entrerà in vigore subito dopo il referendum: eleggibilità e immunità dei parlamentari, età per il Quirinale, Authority (che entrano così in Costituzione), federalismo, interesse nazionale. Una seconda parte andrà a regime solo a partire dal 2011: Senato Federale, iter delle leggi, nuovi poteri del Presidente della Repubblica, premierato. Un’ultima parte della riforma entrerà in vigore ancora più tardi, nel 2016: riduzione dei parlamentari, età per essere eletti alla Camera, contestualità tra elezione del Senato Federale e dei Consigli regionali.
In ogni caso, non è ancora chiaro quali saranno i prossimi passaggi politici, in una situazione complessa e carica di tensioni pre-elettorali.

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