25 gennaio 2011    

Il talento, risorsa per svecchiare la Calabria (di Salvatore Magarò*)


Il presidente della Commissione contro il fenomeno della mafia Salvatore MagaròRicordo un articolo giovanile di Franco Dionesalvi, erano gli anni felici di Inonija, una rivista di cose letterarie scritte con Angelo Fasano e Raffaele De Luca, dal titolo fulminante: “Talenti e altre monete”. Un titolo che con rara semplicità riconduceva la metafora del talento (come attitudine, capacità, potenzialità) alla letteralità della moneta. Già, quando si parla di talento, in fondo si parla di metalli preziosi. Anche se, a dir la verità, già nel 1751, pubblicando a 23 anni i cinque tomi del trattato Della Moneta, l’abate Galiani rileva l’esistenza di una « moneta immaginaria quella che non ha un pezzo di metallo intero che le corrisponda per appunto in valore. Così il ducato romano è divenuto oggi moneta ideale, perché non zeccandosi più moneta che contenga dieci paoli d'argento, il ducato non si trova più in piazza corrente, ma solo da' curiosi si conserva ». Giorgio Ruffolo, rileggendo le teorie di Ferdinando Galiani e del nostro Antonio Serra, situa così la questione: “la ricchezza è l'economia reale, i prodotti della terra, delle manifatture, del lavoro e dell'intelligenza, non la moneta. Ma la moneta è il fluido attraverso il quale la ricchezza scorre. Non ha dunque alcun senso l'obiettivo mercantilista di accumulare la massima quantità possibile di moneta: come non avrebbe senso la prescrizione di aumentare al massimo la pressione del sangue nelle vene”. Un dibattito così attuale che ci lascia l’amaro in bocca, per il fatto che un talento come Serra, economista cosentino del XVI secolo, sia così poco conosciuto, che non abbia ancora ottenuto il riconoscimento meritato. Imprigionato e torturato, come Tommaso Campanella, scrisse un “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere”. Ecco un altro titolo di grande precisione e attualità. “Dove non sono miniere” è l’orizzonte italiano e soprattutto quello meridionale. Sottolinea il valore delle arti e dei mestieri, del commercio, di ciò che oggi definiremmo intrapresa, delle buone leggi e della saggia amministrazione di governo. Come tanti ho sentito anch’io nelle scorse settimane su Rai Tre l’elenco dei valori della destra e della sinistra, esplicitati da Fini e Bersani. E mi ha colpito la sottolineatura dell’uguaglianza delle opportunità, di una società in cui il merito e le capacità siano i criteri per selezionare la classe dirigente. Eccoci di nuovo al talento come moneta unica, imprescindibile per quanto immaginaria. Sembra un valore della destra, almeno di quella che, anche se tardivamente, oggi inneggia all’etica pubblica. C’è da sperare che sia anche un approdo valoriale della sinistra. Mi rendo conto che i politici, soprattutto da quando siamo nominati, non hanno le carte in regola per affrontare la questione. E ad ogni puntata di Report, tra manifesta incompetenza e servilismo dei vari commissari nominati, s’inanellano bruttissime figure. Mi secca ricordarlo ma chi scrive da tempo ha proposto un disegno di legge che promuove il turn over (a casa dopo due mandati anche per l’ente regionale). Per dirla tutta, ho ben presente anche i meccanismi regionali di spoil system, vale a dire i meccanismi di sostituzione, o – si suppone - di rinnovo, della dirigenza pubblica in posizione verticistica in occasione del cambio di governo.   So quanto la scelta della persona giusta per il ruolo proposto resti difficoltosa, soprattutto quando prevale la ricerca dell’ubbidienza sulla competenza, oppure quando la meta agognata e tardivamente raggiunta offre l’agio di una cooptazione riparatoria per gli amici.  Intendo che possa entusiasmare la parabola della giovane Giorgia Meloni, prima militante del Fronte e poi ministro della Gioventù. Ma non capisco l’apporto di Adriano Tilgher a Cosenza o di Vittorio Sgarbi a Rende.  Di gente competente che ama i centri storici (con qualche idea seria sul da farsi) ce ne è a bizzeffe anche dalle nostre parti.
Ricordo anche il Principio di Peter (Murphy, Peter, etc. quelle straordinarie massime raccolte da Arthur Bloch): “in una gerarchia ogni membro tende a raggiungere il proprio livello di incompetenza”. Gustoso pure un suo corollario, conosciuto come Osservazione di Peter:
“la supercompetenza è peggio dell'incompetenza”. Compresa  in questa oscillazione, in questa escursione tra incompetenza assoluta e supercompetenza, registro un interessante approfondimento sulla questione del reclutamento aziendale. Si usa dire che le persone vengono assunte per le loro qualifiche e vengono licenziate per la loro personalità.
Le agenzie che se ne occupano professionalmente, i cosiddetti “cacciatori di teste”, sanno che è questione delicata. Le qualità e le capacità personali sono il punto di partenza ma devono intrecciarsi alle qualifiche professionali e soprattutto all’esperienza lavorativa. Così, forse prima di buttare la croce su un concorso per capo sala sempre rinviato, bisognerebbe fermarsi un attimo a riflettere. Anche l’università non va meglio, e non per colpa della Gelmini. Ma ciò che si prefigura a causa di tagli e ristrettezze finanziarie, nella scuola come nell’università, non sembra niente di virtuoso: il trionfo dell’adattamento, della normalizzazione e della sopravvivenza dei più tutelati. Che il più delle volte è una cooptazione che trabocca miseria umana. Si ricorderà quel racconto che ha per protagonisti alcuni professori universitari i quali, per mantenere le loro posizioni di prestigio e non farsi scavalcare, in futuro, dagli allievi, reclutano collaboratori sempre leggermente meno competenti di loro, “i quali a loro volta diventano professori universitari che fanno la stessa cosa, in un ciclo che si conclude con il reclutamento dell’idiota integrale che, proprio perché è tale, non si renderà conto di reclutare uno migliore di Lui”. Anche in questo caso, aneddoto a parte, non è il caso di semplificare. Buona parte dei docenti si battono per aprire le porte dell’università agli allievi più talentuosi, non ai servi sciocchi.
Qualche segnale realmente positivo, all’insegna della complessità, della criticità e della dialettica, è sembrato provenire dalle forze più fresche di Confindustria. Ad es. sorprende una dichiarazione di Luisa Todini (che spesso è ospite a Ballarò): “Penso che le aziende private, le piccole e medie imprese, possano guardare al di là dei parametri tradizionali. Non sempre è il modello del primo della classe a essere vincente. Spesso arrivare da una famiglia disagiata, l’aver affrontato difficoltà economiche, ti dà una marcia in più”. Le fa eco Federica Guidi, presidente dei Giovani di Confindustria: “ meglio nessuna laurea e tanta buona volontà unita all’esperienza sul campo. Un perito meccanico e un ragioniere hanno più senso di un laureato in Scienza della comunicazione. Ci vuole l’apprendistato, piuttosto che vegetare su corsi fantasiosi”. Peccato che la giovane Guidi sia inciampata in una figura retorica (“meglio ingegneria che scienze della comunicazione”) già lanciata da Romano Prodi e poi reiterata dal superficiale di turno. Lei stessa ammetterà che ha una laurea in giurisprudenza, non in ingegneria. E non faticherà a riconoscere quanto è miope l’algoritmo delle tre i (impresa, informatica, inglese) e – al contrario - il valore della riflessione critica e in più in generale della cultura umanistica. Esemplare il ciclo di conferenze organizzato a Cosenza in occasione delle celebrazioni per il quinto centenario della nascita di Telesio, con lezioni imperdibili di Giulio Giorello, Salvatore Veca e altri, tutte centrate sul corpo a corpo tra riflessione filosofica e scienza. Anche in tv, nei programmi non banali, le uniche parole con un minimo di senso, da Giorello a Cacciari, chissà perché le pronunciano immancabilmente i filosofi. Vedo segnali incoraggianti anche nel varo di programmi televisivi di divulgazione scientifica come “e se domani” di Alex Zanardi. Tutto il resto purtroppo è un trionfo di tronisti, opinionisti, rottamatori e psico-criminologi. Saranno pure giovani, ma spesso è un parametro miope e comunque non sufficiente. La semplificazione e il giovanilismo non potranno – come si usa dire – liberare nuove energie. Ed è motivo di preoccupazione verificare che tra i tanti gap ce n’è uno tutto televisivo: mentre nel centro-nord il programma tv di Fazio e Saviano produce ascolti da record, in Calabria e in tutto il  meridione vince immancabilmente il Grande Fratello. Da presidente della commissione sul fenomeno della ‘ndrangheta, con tutti i limiti delle “faziosità”, sono preoccupato.
 
* Presidente della Commissione regionale contro il fenomeno della mafia
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