17 gennaio 2011    

L'insostenibile leggerezza del ponte sullo Stretto (di Romano Pitaro )
Intervista al prof. Domenico Marino


Intuizione d’alta tecnologia o idea  folle? Storia infinita  o la soluzione ai mali del Sud?  Di tutto, di più. Nessuno, però, l’aveva sfiancato così. Con l’ironia,  presa a prestito da zio Paperone (“Topolino” n. 1401) che lo vuole per far più soldi, ma poi glielo fregano con dei palloncini. E con dati, cifre, grafici da cui si evince “che ci sono dubbi rilevanti sulla stessa fattibilità tecnica”. “L’insostenibile leggerezza del Ponte” (Rubbettino editore)  è un libro che manda di traverso l’ottimismo con cui si annuncia l’ottava meraviglia del mondo per gennaio 2017. Si sostiene: “Ha  poco ha a che fare con lo sviluppo e non migliora la situazione attuale. Sarebbero più utili investimenti di gran lunga inferiori che contribuissero a migliorare il sistema dei trasporti siciliano e calabrese”. E senza panegirici: “E’ un inutile spreco di danaro pubblico, un Ponte che collegherà  due deserti”.  Il professor Domenico Marino (insegna  politica economica all’Università Mediterranea di Reggio Calabria)  nelle cento pagine del volume, muove  un’accusa annientatrice: “La scelta è  tra la costruzione del Ponte ed il vero sviluppo economico della Calabria e della Sicilia. Questo Ponte non è solo dannoso, ma è legato ad una filosofia vecchia ed arretrata  dello sviluppo.” Una fotosimulazione del Ponte lato Sicilia
Va però sgombrato subito il campo da un equivoco: non è vero che il Ponte è un  sogno di Silvio Berlusconi.    Se la campata unica, per la cui realizzazione occorrono 6.3 miliardi di euro, lunga 3.300 metri, larga 60 metri e sostenuta da due piloni  sui due versanti siciliano e calabrese, sarà una  meraviglia o un incubo, non è a lui  che bisogna guardare.  Il primo ad averlo immaginato è il console romano Lucio Cecilio Metello. Non per un ghiribizzo. Ma per consentire il passaggio di 140 elefanti sottratti al generale cartaginese Asdrubale. A  seguire:  Carlo Magno e Ruggero il Normanno, il ministro dei Lavori pubblici Stefano Iacini nel 1866, che incarica un costruttore di verificarne la fattibilità. Dal 1950, da quando si ha un progetto di Ponte a tre campate, il dibattito è incessante. Nel 1969, l’Anas indice un concorso internazionale d’idee. Nel 1971 è definito “d’interesse nazionale”. Nel 1982 nasce la Società “Stretto di Messina” spa e scatta l’interrogativo:  ponte sospeso o tunnel? La risposta (1992): a campata unica.  Sette anni dopo, il Cipe nomina gli advisor  per verificarne il progetto. Ma  l’anno fatidico  è il 2003 (legge Obiettivo è del 2001), quando viene approvato il progetto di massima.  Nel 2005 ottengono l’incarico per la progettazione  un raggruppamento d’imprese capeggiate da Impregilo. Il Governo Prodi, nel 2006, lo accantona, invece   due anni dopo, con  Berlusconi,  riprende quota. Arriva  la nomina a commissario straordinario dell’amministratore delegato di Anas e “Stretto di Messina” Pietro Ciucci.  Adesso  c’è il progetto, anche quello definitivo. E   ci sono  le risorse.  Aspettiamo soltanto il 2017, quando  il mitico Stretto  sarà solcato  da una lingua di cemento che a milioni verranno ad ammirare da ogni angolo del mondo.
Prof. Marino, il ministro Matteoli sostiene che il Ponte “è un vanto per l'ingegneria e la tecnologia italiane,  un ‘opera prioritaria per il Mezzogiorno, per l'Italia e l'Europa, essendo  un tassello del corridoio Berlino-Palermo.  Lei però  non  è d’accordo…
Un modo corretto di vedere le cose non può che partire da due considerazioni di fondo:  un’infrastruttura inutilizzata, altro non è che una cattedrale nel deserto. Non produce nessun effetto in termini di sviluppo, se non il semplice trascinamento «keynesiano» nella fase di costruzione. Se, come è vero, le infrastrutture devono essere funzionali al territorio e al suo modello di sviluppo, un eccesso indiscriminato di offerta di dotazione infrastrutturale non è un fatto positivo. In termini di costo/opportunità i costi prevalgono. Partire dal paradigma ‘tutte le infrastrutture che servono, solo quelle che servono’, sposta il problema della costruzione del Ponte in un ambito che viene  evitato dai fautori di questa infrastruttura. In tale ambito, il problema  piuttosto è  la sua  funzionalità al modello di sviluppo dell’area dello Stretto. 
Tradotto in soldoni?
Gli ipotetici benefici del Ponte non  potranno risarcire i calabresi e i siciliani dall’aver visto distrutto il loro territorio e dall’essere costretti a vivere sotto un Ponte. La riduzione dei tempi e quindi dei costi di trasporto sulle lunghe distanze è sicuramente trascurabile. Si otterrebbe un risultato migliore se si facessero interventi cento volte meno costosi sui tratti autostradali del Mezzogiorno. I Corridoi, poi, non sono altro che delle elaborazioni teoriche fatte a tavolino che spesso servono solo a rendere fattibili opere altrimenti non lo sarebbero.
Le somme necessarie per fare il Ponte  sono per il 40 per cento a carico dello Stato e per il 60 a carico dei privati, ma lei definisce un’opzione irrealistica l’apporto di capitali privati…
Che un’opera da 6,3 miliardi di euro abbia  difficoltà oggi  a trovare finanziatori è cosa quasi ovvia. Ma la storia del finanziamento del Ponte ha assunto negli ultimi mesi i caratteri del giallo.  Nella congiuntura attuale, le finanze pubbliche non sono in grado di trovare risorse per finanziare l’opera. L’abolizione dell’ICI sulla prima casa ha assorbito le poche risorse destinate al Sud, il terremoto in Abruzzo ha reso necessario l’impegno di ulteriori fondi, la finanziaria 2011-2012 di 24 miliardi di euro per rimettere in ordine i conti dello Stato, con ingenti sacrifici richiesti a tutti gli italiani,  dovrebbe raschiare il fondo del barile. Da qui la necessità di sbandierare ai quattro venti che il Ponte non costa nulla alle casse dello Stato.
Dove vuole arrivare ?
Un’opera simile  non si costruisce con le buone intenzioni, e i soldi veri alla fine qualcuno li deve tirar fuori. Ed è a questo punto che entra in gioco la finanza creativa. I soldi stanziati sono uno specchietto per le allodole, un segnale agli investitori che lo Stato crede all’iniziativa e mette mano al portafoglio. Ma sappiamo che in realtà si è trattato solo di un annuncio e che, trincerandosi dietro la richiesta di chiarezza sui soci privati, probabilmente il Ministero dell’Economia ha evitato di impegnare somme che sarebbe stato arduo reperire in questa congiuntura. È vero che tali somme sono state inserite nella legge finanziaria; ma è vero anche che, contestualmente alla creazione di un capitolo di spesa avente per oggetto il Ponte, le somme relative hanno preso altre destinazioni, in particolare sono andati a coprire la detassazione dell’Ici sulla prima casa. Il saldo attuale di quel capitolo di bilancio è oggi pertanto zero e zero sono i soldi disponibili per il Ponte. Con il miraggio dei soldi virtuali si è alla ricerca di soldi veri, e chi ha oggi i soldi veri? Le banche. Ma le banche non sono note per dare qualcosa senza una garanzia, soprattutto se si tratta di dare molti soldi per un progetto di dubbia sostenibilità economica da cui potrebbero rimanere scottate. E allora ecco la furbata: un prestito garantito dallo Stato per finanziare il Ponte. Nel deserto dei finanziatori privati e di fronte alla renitenza delle banche, il prestito garantito dallo Stato può essere una soluzione. Ma un prestito garantito dallo Stato non è a tutti gli effetti debito pubblico? Se le cose stanno così, non è vero che il Ponte è a costo zero per la finanza pubblica, anzi è totalmente a carico dello Stato. Solo che questo finanziamento è diluito nel tempo, e soprattutto imputato alle generazioni future. In sostanza, è una sorta di debito pubblico occulto.
Sostenere che la costruzione del Ponte significherà per le due regioni meno scuole, meno strade, meno ospedali e meno teatri, non le pare terrorismo psicologico?
In una situazione di ristrettezza dei bilanci pubblici, l’investimento nel Ponte produrrebbe un effetto di spiazzamento sulle altre opere infrastrutturali. Più che colmare il deficit infrastrutturale nel lungo periodo, il Ponte aggraverebbe il divario fra la Sicilia e la Calabria da una parte e il resto del Paese dall’altra. Se a ciò si aggiunge che nello scenario del federalismo fiscale, i costi di gestione dell’infrastruttura   dovrebbero ricadere sulle due Regioni direttamente interessate dal progetto il costo di mantenimento dell’infrastruttura che sarà a carico delle due Regioni. La costruzione del Ponte sullo Stretto significherà quindi meno scuole, meno strade, meno ferrovie, meno ospedali, meno teatri, meno cultura, meno sanità, meno acquedotti e meno molto altro in due Regioni che già presentano un forte divario infrastrutturale con le altre. Politicamente, questa scelta sarebbe semplicemente suicida
E’  stato messo nero su bianco che il Ponte  potrà resistere ad un evento sismico di magnitudo 7.2 della scala Richeter, allora perché paventa che possa fare la fine del Colosso di Rodi?
Quella del Colosso di Rodi è la miglior metafora del Ponte. Opera senz’altro ardita, ma priva di qualunque utilità pratica, totem alla volontà di potenza che cerca stupidamente di sfidare la natura. Probabilmente la città di Rodi si indebitò pesantemente per costruire la grande opera; all’epoca non esistevano la finanza creativa o il debito pubblico, ma erano i templi a finanziare la costruzione delle infrastrutture attingendo al tesoro sacro, e la città si indebitava con il tempio. E quando non si ha una tecnologia valida cui ricorrere, la natura ben presto si prende gioco dell’ambizione umana. Non vogliamo essere facili profeti di sventura, ma probabilmente oggi non possediamo ancora una tecnologia in grado di assicurare la stabilità del Ponte rispetto a un evento sismico. E vero che  nel progetto preliminare è assicurato che il Ponte potrà resistere a un evento sismico di magnitudo 7,2 della scala Richter. Però  i terremoti di magnitudo superiore a 7,2 punti della scala Richter sono abbastanza frequenti e  la scala è logaritmica, per cui a ogni punto corrisponde un aumento di potenza di 10 volte. Un terremoto di magnitudo superiore a 7,2 gradi della scala Richter non è peraltro un evento improbabile, se consideriamo che nel mondo ogni anno vi sono almeno cinque eventi sismici di questa intensità. Non è quindi avventato ipotizzare che il Ponte, se costruito, potrebbe fare la stessa fine del Colosso di Rodi.
Col progetto definitivo appena consegnato anche la previsione di spesa smette di oscillare: 6.3 miliardi. Non le pare un nonsense sostenere che le stime di costo, come le valutazioni di impatto ,sono mere congetture?Una fotosimulazione del Ponte lato Calabria
In ambito ingegneristico i livelli di dettaglio sono tre; nello specifico, sono definiti progetto di massima, progetto definitivo e progetto esecutivo. Il primo è  poco più che un’ipotesi progettuale: è un abbozzo di progetto in cui non sono stati ancora affrontati e risolti i problemi tecnologici e strutturali; è uno schizzo che raccoglie e sintetizza i contenuti principali del progetto. Diverso è il progetto definitivo, nel quale devono essere già stati affrontati e risolti tutti i problemi tecnologici e strutturali: esso offre una rappresentazione definitiva del manufatto progettato. Il progetto esecutivo è il progetto che serve per realizzare i lavori, e che ovviamente è molto più dettagliato di quello definitivo. Il governo italiano ha infatti deciso nel 2005 l’affidamento dell’appalto a un General Contractor sulla base del solo progetto di massima. Questa  indeterminatezza ha fatto sì che in tre anni i costi lievitassero: i 4,6 miliardi di euro del 2006 sono diventati 6,3 miliardi nel 2009. La verità è che, in assenza di un progetto definitivo o meglio ancora esecutivo, le stime dei costi possono subire variazioni molto forti, anche dell’ordine del 100%. E non è affatto strano che i finanziatori non abbiamo mai risposto ai vari appelli. Tutte le stime di costo e le valutazioni di impatto sono, allo stato attuale, mere congetture. Abbiamo detto che il progetto di massima è poco più di uno schizzo: eppure su questo schizzo sono state basate valutazioni economiche, studi di impatto, proiezioni di effetti. E’ di questi giorni la notizia che il Contraente Generale avrebbe consegnato il progetto definitivo che successivamente dovrà essere approvato dal Cipe.
Dinanzi a questa ottava meraviglia, non rischia di passare per oscurantista l’osservazione secondo cui le opere di collegamento del Ponte  avrebbero un impatto drammatico sull’ambiente?
Solo quando si avrà contezza del progetto definitivo si avrà anche un’idea della forma effettiva di questo manufatto, che le videosimulazioni della “Stretto di Messina SpA” fanno sembrare filiforme e quasi per nulla impattante. Miracoli che la grafica compie quando può operare senza tener conto delle rappresentazioni in scala corretta. . Non si tratta di un filo sottile che si sovrappone, quasi appoggiandosi, a un paesaggio immaginario, ma di un intervento invasivo che stravolge il paesaggio e il tessuto connettivo urbano sotto molti aspetti . Il Ponte, a quanto ne sappiamo, avrà due piloni sui due versanti, siciliano e calabrese, alti quasi 400 metri. Questi serviranno a tenere sospesa una lingua lunga 3300 metri e larga 60. Le opere di collegamento distruggeranno tutta la cosiddetta ‘Costa Viola’ e tutta l’area di Ganzirri, trasformandole in un gigantesco, mostruoso e opprimente svincolo autostradale.
Che lei sappia il progetto definitivo risolve il problema del passaggio dei treni sul Ponte? 
E’ uno dei dubbi  più grossi. Non a caso i giapponesi hanno scelto di non far passare i loro treni sul Ponte di Akashi-Kaiky , che è stato realizzato con la stessa tecnologia costruttiva prevista per il Ponte sullo Stretto, ma che è lungo circa la metà. Il ponte è soggetto a oscillazioni trasversali proprie della struttura, a dilatazione termica, a oscillazioni indotte dal vento. È davvero possibile far passare i treni, tenuto conto che queste dilatazioni e oscillazioni sono anche superiori a 10 metri?
Lei ha messo in dubbio la sostenibilità economica del Ponte nel tempo, eppure i dati della Stretto di Messina dimostrano il contrario…
Sulla base delle ipotesi ottimistiche forniteci , si prevede che il Ponte possa dare una redditività solo dopo quarant’anni. Va detto che una qualunque infrastruttura che abbia tempi di ritorno superiori a quindici anni può essere catalogata come infrastruttura «fredda», ossia poco redditizia. Quarant’anni per ottenere un ritorno, è un periodo troppo lungo per qualunque investitore.  Il Ponte sullo Stretto, in realtà, non riuscirà mai ad avere un punto di pareggio, per il semplice fatto che i costi di gestione e manutenzione saranno sempre superiori ai ricavi.Sarà, quindi, un’opera destinata ad assorbire flussi di cassa (pubblici) per ripianare i deficit annuali; senza contare che lo Stato dovrà anche farsi carico di rimborsare il debito garantito e sarà costretto a pagare interamente non solo la costruzione, ma anche la gestione dell’opera. Per inciso, le stime di redditività includono un canone di più 65 milioni di euro pagato da Rete Ferroviaria Italiana per assicurare il passaggio (la cui effettiva possibilità rimane, come già evidenziato, uno dei punti critici della progettazione) di poche decine di treni. A questo canone si aggiunge il contributo pubblico già preventivato di 40,8 milioni di euro. Se tra dieci anni Rfi rivedesse questo investimento, il disastro finanziario sarebbe totale. Basterebbe, per convincersene,   dare uno sguardo alla salute finanziaria di altre infrastrutture simili: il  Golden Gate Bridge,  Eurotunnel.
Ma se il Ponte non presenta convenienze economiche e se fosse vero che non è neppure tecnicamente realizzabile, perché si si sostiene con certezza  che entro il 2016 sarà concluso?
Alla luce dell’insostenibilità finanziaria, si capisce bene come mai, nei numerosi annunci di previste date di ultimazione dei lavori, queste vengano spostate anno dopo anno. Sarebbe bene che si dicesse la verità: l’opera non si realizza perché si è capito che non è realizzabile; per le imprese interessate significherebbe  perdere un business enorme e per la classe politica non poter utilizzare una leva propagandistica.
In ogni caso, non negherà che la costruzione del Ponte significherà sviluppo e occupazione ( 40mila posti di lavoro), inclusa la riduzione dei tempi di trasporto che avvicineranno il Sud all’Europa? 
La stima di 40.000 posti lavoro creati non si riferisce all’opera a regime. I 40.000 posti sono il risultato della traduzione in termini di Ula(Unità Lavorative Anno) dei lavori di costruzione. Non saranno quindi, posti di lavoro stabili, ma posti di lavoro che, secondo le stime più ottimistiche  avranno una durata di cinque o sei anni. Una volta finiti i lavori del Ponte questi lavoratori torneranno a essere disoccupati. Ma il vero problema è che a regime  il saldo dell’occupazione creata sarà negativo. Una volta a regime, il Ponte avrà prodotto poco meno di mille posti di lavoro stabili, e questo numero sarà inferiore agli esuberi che si registreranno nel settore dei trasporti navali. A regime,  nella migliore delle ipotesi, si sposteranno posti di lavoro dal settore marittimo ai servizi connessi con il Ponte, ma con un saldo certamente negativo. La marginalizzazione dei centri urbani di Reggio Calabria e Messina avrà come conseguenza il declino dell’attività economica e quindi una perdita indiretta di posti di lavoro; solo una parte di essi sarà recuperata dai servizi indiretti che sorgeranno a ridosso del Ponte, ma anche in questo caso il saldo sarà negativo. Il Ponte sullo Stretto porterà  nel lungo periodo a un peggioramento dell’occupazione nell’area. Vanno peraltro inclusi nel computo anche i danni ambientali creati dalla fase di costruzione e di esercizio, che peggioreranno il potenziale turistico dell’area.
Ma le pare sostenibile un ragionamento secondo cui costruire il Ponte addirittura vorrebbe dire condannare le due regioni al sottosviluppo?
 Il Ponte sullo Stretto è una megainfrastruttura non migliora la situazione attuale: per andare da Trapani a Catania in treno  serviranno sempre 10 ore. Investire sul Ponte significa precludere la possibilità di fare altri interventi infrastrutturali più urgenti e prioritari. Non è per niente vero che il Ponte sarà l’investimento che trascinerà il sistema infrastrutturale del Sud.
A indicare il pericolo mafia dovrebbe essere la Lega con l’intento di evitare l’investimento di risorse nel Sud, perché lo fa anche lei?
Un investimento di 6.3 miliardi di euro concentrato in un’area ad alta densità criminale non può che suscitare allarme. L’interesse delle organizzazioni criminali è estremamente elevato, le organizzazioni criminali calabresi e siciliane potranno trarre dalle opere di costruzione linfa vitale per rafforzarsi e avere nuovi profitti. Questo non significa certo che lo Stato debba abdicare solo per questo alla costruzione dell’opera; ma se all’insostenibilità economica, finanziaria, ambientale e all’inutilità complessiva dell’opera si aggiunge anche il fatto che i lavori andranno ad arricchire le organizzazioni criminali, beh, allora non tornare indietro su una scelta del genere sarebbe pura follia.


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